Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Sez. III – Osservatorio sulle società pubbliche (di Vittorio Occorsio)


SOMMARIO:

L’adeguamento degli statuti di società a partecipazione pubblica e gli altri adempimenti societari alla luce del nuovo testo unico (d.lgs. n. 175/2016) e del decreto correttivo - 1. L’intervento normativo, la sentenza della Consulta e il decreto correttivo. - 2. Gli adempimenti a carico delle società partecipate che non comportano modifiche dello statuto. - 3. Il timing delle modifiche statutarie e l’ambito soggettivo di riferimento. - 4. Modalità di adeguamento degli statuti. - 5. Il necessario passaggio all’amministratore unico. - 5.1. L’entrata in vigore della norma e la scadenza dell’organo in carica. - 5.2. La possibile decadenza ex lege dell’organo in carica e le relative conseguenze. - 5.3. Le conseguenze del mancato adeguamento sugli organi in carica. - 6. Altre previsioni statutarie circa l’organo amministrativo delle società pubbliche. - 7. Alcune previsioni particolari per gli statuti di s.r.l. - 8. Gli statuti delle società in house. - 8.1. Le conseguenze della violazione dell’esclusività dell’oggetto o della percentuale di “prevalenza” dell’attività. - 8.2. Le tecniche statutarie per la conformazione del controllo analogo. - 9. Lo statuto delle società miste. - NOTE


L’adeguamento degli statuti di società a partecipazione pubblica e gli altri adempimenti societari alla luce del nuovo testo unico (d.lgs. n. 175/2016) e del decreto correttivo

1. L’intervento normativo, la sentenza della Consulta e il decreto correttivo.

Il d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175, pubblicato in Gazzetta Ufficiale l’8 settembre 2016, e in vigore dal 23 settembre 2016, reca il nuovo “Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica” (di seguito, “Testo Unico” o “TUSP”). Il decreto è stato emanato nell’ambito di una ambiziosa operazione di riorganizzazione normativa in materia di amministrazioni pubbliche, scaturita dalla legge 7 agosto 2015, n. 124 (c.d. legge Madia), e precisamente in esecuzione della delega ivi contenuta nell’art. 18 [1]. Lo scopo dell’intervento – come evidenziato dal parere del Consiglio di Stato sullo schema iniziale del decreto [2] – è di razionalizzare una materia nel cui ambito la mancanza di un disegno coerente di lungo periodo è stato più volte oggetto di censure anche da parte della Commissione Europea, la quale, da ultimo nel Country report del 26 febbraio 2016, ha rilevato la strategicità di una riforma in questo ambito per favorire la ripresa dell’economia del Paese [3]. A seguito dell’intervento della Corte Costituzionale, è stato approvato dal Consiglio dei Ministri del 17 febbraio 2017 uno schema di decreto correttivo – “Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 19 agosto 2016 n. 175, recante testo unico in materia di società a partecipazione pubblica” (c.d. “decreto correttivo”) [4]. Il testo è stato valutato positivamente, seppur con alcune ulteriori proposte di modifica, dal parere del Consiglio di Stato n. 638 del 14 marzo 2017, nonché dal­la Conferenza Unificata Stato Regioni che ha reso la sua “intesa” in data 16 mar­­zo 2017. L’intervento integrativo e correttivo, nel caso del TUSP, è dovuto anche a – e ha dovuto tener conto di – quanto stabilito dalla Corte costituzionale con la sentenza pubblicata il 30 novembre 2016, n. 251, con la quale è stata ravvista una violazione delle norme costituzionali sul concorso di competenze statali e regionali da parte della citata legge n. 124/2015 [5]. La stessa Consulta ha avuto modo di precisare che all’illegittimità costituzionale di alcune disposizioni si sarebbe potuto rimediare, da un lato, mediante decreti correttivi [6], dall’altro, nel rispetto del principio di [continua ..]


2. Gli adempimenti a carico delle società partecipate che non comportano modifiche dello statuto.

Come si è accennato, il T.U. ha imposto alle società partecipate lo svolgimento di alcune attività, necessarie all’attuazione del decreto, per le quali non è richiesta alcuna modifica dello statuto sociale. Si consideri che le disposizioni transitorie di cui all’art. 26 stabiliscono che l’entrata in vigore del testo unico è differita di un anno (e quindi al 23 settembre 2017) per (i) le società in partecipazione pubblica che abbiano deliberato la quotazione delle proprie azioni in mercati regolamentati con provvedimento comunicato alla Corte dei conti nei dodici mesi successivi all’entrata in vigore del decreto, ossia tra il 23 settembre 2016 e il 23 settembre 2017 (art. 26, 4° comma, TUSP) [12]; nonché (ii) per le società in partecipazione pubblica che abbiano adottato, entro il 30 giugno 2016, atti per l’emissione di strumenti finanziari, diversi dalle azioni, quotati in mercati regolamentati, anche se il procedimento di quotazione si sia concluso prima del 23 settembre 2017 (art. 26, 5° comma, TUSP). Pertanto, in entrambi questi casi, non valgono le prescrizioni che impongono adempimenti con scadenze precedenti al 23 settembre 2017. Le società «a controllo pubblico» [13] devono in primis redigere, a cura dell­’or­gano amministrativo, una relazione sul governo societario, nella quale devono essere indicati i meccanismi adottati, ai sensi del 3° comma, al fine di integrare gli strumenti di governo societario (art. 6, 4° comma, TUSP) [14]. Tale relazione deve essere predisposta annualmente, a chiusura dell’esercizio sociale, e deve essere pubblicata contestualmente al bilancio di esercizio, ossia, solitamente, il 30 aprile di ciascun anno (a partire dal 2017), o altra data stabilita per l’approvazione del bilancio. Nell’ambito della presentazione della relazione all’assemblea devono essere altresì illustrati «specifici programmi di valutazione del rischio di crisi aziendale» (art. 6, 2° comma, TUSP) [15]. Entro sei mesi dall’entrata in vigore del testo unico, ossia entro il 23 marzo 2017 – termine differito al 30 giugno 2017 ai sensi dell’art. 14, 1° comma, lett. a), decreto correttivo [16] – era necessario, ai sensi dell’art. 25, 1° comma, TUSP, procedere alla ricognizione del [continua ..]


3. Il timing delle modifiche statutarie e l’ambito soggettivo di riferimento.

Le prescrizioni di maggior interesse ai fini della presente analisi, come è stato anticipato, sono quelle che prescrivono modifiche statutarie. Esse avrebbero dovuto essere apportate entro il 31 dicembre 2016 (art. 26, 1° comma, TUSP) – ma il termine verrà probabilmente differito al 31 luglio 2017 dall’art. 15, 1° comma, lett. a), decreto correttivo. Ora, una prima deroga dal termine anzidetto è prevista per le società a partecipazione mista pubblico-privata che gestiscono opere o servizi di interesse generale (art. 26, 1° comma, ult. periodo, TUSP), che avranno tempo fino al 31 dicembre 2017, mentre al 23 settembre 2017 è differito il termine per le società quotate, indicate al 4° e 5° comma dell’art. 26 TUSP, per le quali l’intero testo unico entrerà in vigore con un anno di ritardo. Pertanto, le società che abbiano deliberato la quotazione o l’emissione di strumenti quotati, non dovranno adeguare i propri statuti: tuttavia, al momento in cui il TUSP si applicherà anche a queste società – qualora la quotazione abbia esito negativo: in caso di esito positivo, esse saranno definitivamente escluse dall’ambito di applicazione del TUSP – sarà già scaduto il termine dell’adeguamento. Le stesse saranno allora immediatamente inadempienti alle nuove previsioni. Sarà quindi opportuno anche per le società temporaneamente esonerate dall’applicazione del decreto, “prepararsi” alla sua entrata in vigore modificando per tempo i relativi statuti. Un’ulteriore deroga è stabilita per le limitazioni in materia di dipendenti negli organi amministrativi, ossia per l’adeguamento al divieto di nominare come amministratori delle società a controllo pubblico i dipendenti delle amministrazioni controllanti o vigilanti (stabilito dall’art. 11, 8° comma, TUSP) che andranno recepite nel diverso termine di sei mesi dall’entrata in vigore del decreto (art. 26, 10° comma, TUSP), ossia entro il 23 marzo 2017 – termine che verrà probabilmente posticipato al 31 luglio 2017 ex art. 15, 1° comma, lett. c), decreto correttivo. Ai fini della delimitazione dell’ambito soggettivo di riferimento per gli adempimenti che comportano modifiche statutarie, l’art. 26, 1° comma, TUSP, precisa che esso riguarda le [continua ..]


4. Modalità di adeguamento degli statuti.

Il nuovo testo unico interviene variamente sul contenuto degli statuti delle società partecipate, talvolta prescrivendo alcune modifiche, talaltra prevedendo delle possibili deroghe alla disciplina del codice civile che possono, facoltativamente, essere inserite negli statuti al fine di coniugare il regime ordinario delle società commerciali con le caratteristiche delle società pubbliche. In base alla formulazione letterale della norma che impone gli adeguamenti statutari («le società […] adeguano», recita l’art. 26, 1° comma, TUSP), emerge la necessità che l’adeguamento degli statuti sia effettuato, appunto, dalle società stesse, non essendo prevista alcuna sostituzione automatica di clausole ex art. 1339 c.c. In altre parole, destinatari delle disposizioni sono gli amministratori delle società, i quali sono tenuti a convocare l’assemblea straordinaria della società affinché i soci possano apportare le modifiche statutarie opportune. Le modifiche statutarie dovranno essere adottate, nelle s.p.a., da deliberazioni dell’assemblea straordinaria ai sensi dell’art. 2365 c.c., da verbalizzare ai sensi del­l’art. 2375 c.c. e da iscrivere ai sensi e per gli effetti dell’art. 2436 c.c.; nelle s.r.l., da decisioni in assemblea dei soci con verbalizzazione notarile ai sensi dell’art. 2479, 4° comma, c.c. Laddove gli amministratori non provvedano, fermo restando la loro responsabilità, i soci (sia i soci pubblici, sia quelli privati) avranno l’interesse a richiedere all’organo amministrativo di provvedere alla convocazione (ex art. 2367, 1° comma, c.c.), e in caso di prolungata inerzia degli amministratori e del collegio sindacale (ex art. 2367, 2° comma, c.c.), a rivolgere apposita istanza al Presidente del Tribunale del luogo dove ha sede la società affinché questo provveda con decreto a convocare l’assemblea, designando la persona che deve presiederla (art. 2367, 2° comma, c.c.). Tra l’altro, gli «adeguamenti dello statuto a disposizioni normative» rientrano tra le materie che «lo statuto può attribuire alla competenza dell’organo amministrativo», ai sensi dell’art. 2365, 2° comma, c.c. [27], di talché sarà necessario verificare l’eventuale presenza della relativa clausola [continua ..]


5. Il necessario passaggio all’amministratore unico.

Una delle innovazioni più importanti del nuovo testo unico è quella che impone che l’organo amministrativo debba essere costituito «di norma» [29] da un amministratore unico (art. 11, 2° comma, TUSP). Si inverte in tal modo il criterio sin ora in vigore, previsto, da ultimo, nell’art. 4, 4° e 5° comma, d.l. 6 luglio 2012 n. 95, conv., con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, in cui l’opzione per l’amministratore unico era consentita, ma residuale [30]. Allo stato attuale è prevista un’eccezione per quelle società che, secondo i criteri da individuarsi con apposito decreto del Presidente del Consiglio, da emanarsi entro sei mesi dall’entrata in vigore del testo unico (ossia il 20 marzo 2017, termine scaduto senza che il decreto sia stato emanato), «per specifiche ragioni di adeguatezza organizzativa» [31], avrebbero potuto optare per un consiglio di amministrazione – composto da un minimo di tre a un massimo di cinque membri – ovvero per i modelli di gestione dualistico o monistico (art. 11, 3° comma, TUSP) [32]. L’art. 7 del decreto correttivo interverrà sostituendo integralmente il 3° comma dell’art. 11 TUSP, che nella versione contenuta nello schema di decreto correttivo recita: «L’assemblea della società a controllo pubblico, con delibera motivata con riguardo a specifiche ragioni di adeguatezza organizzativa e tenendo conto delle esigenze di contenimento dei costi, può disporre che la società sia amministrata da un consiglio di amministrazione composto da tre o cinque membri, ovvero che sia adottato uno dei sistemi alternativi di amministrazione e controllo previsti dai paragrafi 5 e 6 della sezione VI-bis del capo V del titolo V del libro V del codice civile. La delibera è trasmessa alla sezione della Corte dei Conti competente ai sensi dell’articolo 5, comma 4, e alla struttura di cui all’articolo 15». Nel quadro che risulterà, con ogni probabilità, dal decreto correttivo, la scelta per un sistema collegiale di amministrazione (oppure per i modelli dualistico o monistico), è interamente rimessa all’as­sem­blea dei soci, i quali dovranno però giustificare tale opzione per «ragioni di adeguatezza organizzativa» e «tenendo conto delle esigenze di contenimento [continua ..]


5.1. L’entrata in vigore della norma e la scadenza dell’organo in carica.

  Nessun problema sorge nel caso in cui gli amministratori, diligentemente, ovvero i soci in caso di loro inerzia, convochino l’assemblea, la quale deliberi l’adegua­mento dello statuto [35]. Per evitare le difficoltà di un repentino cambio di gestione, ma allo stesso tempo per rispettare le nuove norme, si potrà eventualmente inserire nello statuto la previsione di un amministratore unico pro tempore, per gestire il periodo transitorio nell’attesa di un riassetto dell’intera organizzazione societaria [36]. Nel caso in cui, invece, l’adeguamento non avvenga nel termine previsto, e la società non deliberi con adeguata motivazione l’opzione per l’amministrazione collegiale o per i sistemi dualistico o monistico, occorre verificare la sorte degli organi in carica. In altri interventi legislativi del settore la data entro la quale la società era tenuta ad adeguare il proprio statuto coincideva con il termine entro cui il numero dei componenti doveva essere ridotto, entrambi stabiliti alla prima scadenza dell’or­ga­no amministrativo successiva all’entrata in vigore della norma [37]. In tal modo non si poneva il problema di coordinare l’efficacia della disposizione rispetto al completamento del mandato gestorio. Altre volte, si è disposto, oltre al termine per l’ade­guamento statutario, anche un termine – diverso dalla scadenza del mandato – entro il quale si deve procedere al rinnovo dell’organo amministrativo [38]. Non essendo previsto tale meccanismo, occorre ricostruire la sanzione in cui possono incorrere la società e i suoi organi per il mancato adeguamento dello statuto nel termine previsto. Pervero, il problema in questione perderà molta della sua rilevanza pratica con la modifica del decreto correttivo, che demanda all’autonomia delle singole società la soluzione per poter optare per (recte, rimanere in) un sistema di amministrazione collegiale: sarà sufficiente una delibera assembleare adeguatamente motivata per evitare qualsiasi (eventuale) conseguenza negativa.


5.2. La possibile decadenza ex lege dell’organo in carica e le relative conseguenze.

Il problema merita comunque qualche riflessione ulteriore. Con riferimento a specifiche società pubbliche, è stato in passato espressamente stabilito che il termine per l’adeguamento dello statuto rappresentava altresì il termine per la decadenza anticipata dell’organo in carica [39]. Altre volte – come era avvenuto nella manovra finanziaria 2010 – si è stabilito, inoltre, che «la mancata adozione dei provvedimenti di adeguamento statutario o di organizzazione previsti dal presente comma nei termini indicati determina responsabilità erariale e tutti gli atti adottati dagli organi degli enti e degli organismi pubblici interessati sono nulli» (art. 6, 5° comma, d.l. n. 78/2010, cit.). In mancanza di previsioni circa la sorte degli amministratori in carica – come è peraltro accaduto anche in altri interventi normativi sul tema [40] – sorge il dubbio se si possa ritenere ricorrente un’ipotesi di decadenza automatica dell’organo in carica, e quale ne siano le conseguenze.   5.2.1. I margini di applicabilità del d.l. 293/1994. – Il problema appena posto è complicato dal rinvio, operato dall’art. 11, 15° comma, TUSP, alle previsioni contenute nel d.l. 16 maggio 1994, n. 293 convertito, con modificazioni, in legge 15 luglio 1994, n. 444, limitatamente «agli organi di amministrazione e di controllo delle società in house». La disposizione citata contiene una disciplina pubblicistica della prorogatio degli organi che si differenzia da quella civilistica. In quest’ultima, in caso di cessazione dell’organo per scadenza del termine, l’art. 2385, 2° comma, c.c. prevede che i consiglieri rimangano in carica – come i sindaci, ai sensi dell’art. 2400, 1° comma, c.c. – fino al momento in cui il consiglio è stato ricostituito; nel caso, invece, della disciplina speciale della prorogatio degli organi di amministrazioni e di controllo delle società a prevalente partecipazione pubblica, di cui al d.l. n. 293/1994, è previsto un ben più rigido regime, in quanto la prorogatio è di soli 45 giorni [41], decorsi i quali l’organo si ritiene decaduto, e gli atti da questo compiuti sono nulli [42]. Mentre la prorogatio civilistica si fonda sulla [continua ..]


5.3. Le conseguenze del mancato adeguamento sugli organi in carica.

La mancata previsione di un regime transitorio, così come delle sorti dell’organo in carica, pone l’esigenza di verificare l’eventualità di una decadenza ex lege dei consiglieri in carica. La decadenza potrebbe avvenire in forza della semplice previsione legislativa (che opererebbe una sorta di sostituzione automatica della clausola statutaria difforme); ovvero a seguito della modifica statutaria che preveda una diversa composizione dell’organo, senza che sia necessario procedere alla relativa nomina. Le conseguenze sarebbero le medesime in entrambi i casi, ossia l’applicazione dell’art. 2386, ult. comma, c.c., secondo cui in caso di cessazione di tutti gli amministratori, «l’assemblea per la nomina dell’amministratore o dell’intero consiglio deve essere convocata d’urgenza dal collegio sindacale, il quale può compiere nel frattempo gli atti di ordinaria amministrazione». In caso di prolungata inerzia dell’assemblea, che non provveda a nominare i nuovi amministratori, si potrà incorrere in una causa di scioglimento della società, da un lato per impossibilità di conseguire l’oggetto sociale (art. 2484, 1° comma, n. 2, c.c.), ovvero per impossibilità di funzionamento dell’assemblea (art. 2484, 1° comma, n. 3, c.c.) [47]. Quello che tuttavia cambia è il presupposto per l’applicazione della norma, ossia la causa di cessazione degli amministratori: se essa vada ravvisata nel decorso del termine di legge, ovvero nella modifica statuaria di adeguamento [48]. Un parere della Corte dei Conti [49], ha in passato stabilito che la decadenza dell’organo ammnistrativo si produce automaticamente, ma è pur sempre necessaria una previa modifica dello statuto in adempimento dell’obbligo di adeguamento gravante sulla società. La giurisprudenza di merito è andata oltre, affermando che la cessazione dalla carica deriva “dal decorso temporale imposto espressamente dalla legge per l’ade­guamento dello statuto” [50]: un provvedimento legislativo, dettato da interessi generali, renderebbe impossibile la prestazione, sub specie di factum principis, producendo l’estinzione del rapporto obbligatorio al momento della scadenza del termine per l’adeguamento, ai sensi dell’art. 1256 c.c. (che disciplina, come [continua ..]


6. Altre previsioni statutarie circa l’organo amministrativo delle società pubbliche.

Il nuovo testo unico interviene non soltanto con riguardo alla composizione monocratica dell’organo amministrativo, ma detta alcune previsioni in tema di poteri consigliari di gestione e di sorveglianza in caso di opzione per il sistema dualistico, nonché altre indicazioni che devono essere inserite negli statuti e che riguardano le deleghe interne al c.d.a., le cariche di vicepresidente, i compensi, e l’istituzione di organi diversi. In primo luogo, laddove sia eccezionalmente consentito scegliere il sistema dualistico (disciplinato dagli artt. da 2409-octies a 2409-quinquiesdecies c.c.), ovvero quello monistico (artt. da 2409-sexiesdecies a 2409-noviesdecies c.c.), il numero complessivo dei componenti degli organi di amministrazione e controllo non può comunque essere superiore a cinque (art. 11, 3° comma, TUSP). Nel caso in cui, poi, si sia optato per il sistema dualistico, al consiglio di sorveglianza debbono necessariamente essere attribuiti i poteri di deliberare in ordine alle «operazioni strategiche e ai piani industriali e finanziari della società predisposti dal consiglio di gestione», potere che ai sensi dell’art. 2409-terdecies, 1° comma, lett. f-bis), c.c., spetta solo se facoltativamente inserito nello statuto (art. 11, 3° comma, TUSP) [57]. Per quanto riguarda la composizione soggettiva [58] degli organi amministrativi, è richiesto in ogni caso il rispetto dell’equilibrio di genere (art. 11, 4° comma, TUSP). Nel caso si tratti di organo amministrativo collegiale, lo statuto deve prevedere che «la scelta degli amministratori da eleggere sia effettuata nel rispetto dei criteri stabiliti dalla legge 12 luglio 2011, n. 120», ove già si stabiliva la misura del rapporto donna/uomo pari ad almeno una su tre, da calcolarsi con riguardo all’intero organo [59]. Nel caso in cui, invece, vi sia un organo monocratico, è prescritto (ed è questa una novità del testo unico) che la misura di un terzo (rapporto donne/uomini) debba essere computato «sul numero complessivo delle designazioni o nomine effettuate in corso d’anno» dall’amministrazione controllante (art. 11, 4° comma, TUSP) [60]. Mentre nella legge n. 120/2011, il riferimento alla parità di genere valeva anche per il collegio sindacale (ex art. 1, 3° comma, legge [continua ..]


7. Alcune previsioni particolari per gli statuti di s.r.l.

Per le società a responsabilità limitata valgono, mutatis mutandis, tutte le previsioni sin qui analizzate in tema di composizione dell’organo amministrativo. Vi sono poi alcune disposizioni specifiche dettate per questa forma societaria, che tendono a ridurre gli spazi di autonomia nella conformazione di un tipo che fa della sua duttilità il punto di maggior forza. Tra esse spicca la necessaria previsione della nomina di un organo di controllo o di un revisore – cui fa da contraltare la necessità, nelle s.p.a., di un revisore esterno (art. 3, 2° comma, TUSP) [69]. È evidente come in questo caso si deroghi alle vigenti disposizioni codicistiche che prevedono (art. 2477 c.c.) la nomina dell’organo di controllo o di un revisore dei conti, quale contenuto meramente eventuale dello statuto (o dell’atto costitutivo) [70]. Non è invece derogata l’autonomia statutaria intorno alla scelta tra organo di controllo collegiale (collegio sindacale) o monocratico (sindaco unico) [71]. La previsione legislativa, che fa riferimento all’organo di controllo «o» a un revisore, lascia peraltro aperti i dubbi interpretativi ben evidenziati dalla dottrina, circa la possibilità che il controllo sulla gestione e il controllo contabile vengano affidati entrambi al collegio sindacale, nonché la possibilità di prevedere entrambi gli organi di vigilanza [72]. L’altro intervento, sempre in tema di s.r.l., che limita l’autonomia statutaria, è il divieto di prevedere che l’amministrazione sia affidata, disgiuntamente o congiuntamente, a due o più soci, come invece consentito dall’art. 2475, 3° comma, c.c. [73] (art. 11, 5° comma, TUSP). In tal modo, viene meno la possibilità di cumulare i vantaggi connessi ad una gestione personale e diretta dell’impresa, tipica delle società di persone, con il beneficio delle responsabilità limitata, o comunque di offrire regole gestionali più semplici e snelle di quelle proprie di un sistema corporativo [74].


8. Gli statuti delle società in house.

Il Testo Unico è intervenuto anche sulla formulazione degli statuti delle società in house, ossia quelle società «sulle quali un’amministrazione esercita il controllo analogo o più amministrazioni esercitano il controllo analogo congiunto» (art. 2, 1° comma, lett. o), TUSP). Caratteristica operativa di questo tipo di società è quella di poter ricevere affidamenti diretti di contratti pubblici dalle p.a. controllanti [75]. A tal fine, è necessario che ricorrano i tre requisiti individuati dalla celebre sentenza Teckal (18 novembre 1999, in causa C-107/98) della Corte di Giustizia europea: i) la partecipazione interamente pubblica; ii) l’esercizio da parte dell’amministrazione controllante di un “controllo analogo” a quello esercitato sui propri servizi; iii) lo svolgimento del­l’attività sociale prevalentemente a favore di tale amministrazione. Tutti questi requisiti sono stati recepiti nell’art. 16 TUSP [76], in cui sono disciplinati anche i corollari applicativi, sul piano statutario, di questa particolare conformazione dell’attività, che ha portato a dubitare della conciliabilità della società in house con i principi del diritto statutario [77]. In primo luogo, da ciò consegue che l’attività che costituisce l’oggetto sociale (e cfr. artt. 2328, n. 3 e 2463, n. 3, c.c.), deve essere espressamente limitata ad «una o più delle attività di cui alle lettere a), b), d) ed e) del comma 2» [78] (art. 4, 4° comma, TUSP). Qualsiasi attività che fuoriesca da questi limiti è dunque un’attività compiuta al di fuori dell’oggetto sociale, che tuttavia rimarrà valida, stante la conformazione del potere di rappresentanza nelle società di capitali (e cfr. artt. 2384 e 2475-bis c.c.), che non risulta derogata in alcun modo dal testo unico in commento [79]. A fianco dell’esclusività dell’oggetto sociale, è stabilita la necessità di una partecipazione pubblica totalitaria, con l’unica eccezione nel caso in cui la partecipazione dei privati sia prescritta da una norma di legge e comunque avvenga in forme che non comportino controllo o potere di veto, né l’esercizio di un’influenza [continua ..]


8.1. Le conseguenze della violazione dell’esclusività dell’oggetto o della percentuale di “prevalenza” dell’attività.

Le conseguenze del mancato rispetto, da un lato, dell’esclusività dell’attività sociale e, dall’altro, della proporzione tra percentuale di fatturato che deve essere generata dall’attività verso la pubblica amministrazione controllante e fatturato derivante dall’attività con terzi, influiscono anche sugli statuti delle società coinvolte [88]. Nella prima ipotesi, valgono i criteri generali che regolano i rapporti con i terzi, per i quali l’estraneità all’oggetto sociale è inopponibile (e cfr., per le s.p.a., ma con identica formulazione per le s.r.l., il combinato disposto degli artt. 2380-bis e 2384 c.c.). Nella seconda ipotesi, invece, la disciplina particolare dettata dall’art. 16 TUSP può portare anche ad effetti nei confronti dei terzi. Infatti, il 4° comma di tale articolo prevede che il mancato rispetto del «limite quantitativo di cui al comma 3 costituisce grave irregolarità ai sensi dell’articolo 2409 c.c.». Da questa disposizione sembrerebbe che il superamento del limite non abbia effetto se non dal punto di vista gestorio interno alla società. È stata però prevista una particolare procedura di “sanatoria” dell’irregolarità, che comporta importanti effetti anche nei confronti dei terzi. Questa sanatoria si realizza tramite la rinuncia, da compiersi entro tre mesi dalla data in cui l’attività extra moenia si è manifestata, a una parte dei rapporti di fornitura con soggetti terzi, ovvero agli affidamenti diretti da parte dell’ente o degli enti pubblici soci. In entrambi i casi, la società potrà (e dovrà) procedere «sciogliendo i relativi rapporti» (art. 16, 5° comma, TUSP). Nel caso in cui si opti per una rinuncia agli affidamenti diretti, le attività precedentemente affidate alla società controllata «devono essere riaffidate, dall’ente o dagli enti pubblici soci, mediante procedure competitive regolate dalla disciplina in materia di contratti pubblici, entro i sei mesi successivi allo scioglimento del rapporto contrattuale, e nelle more dello svolgimento delle procedure di gara i beni o servizi continueranno ad essere forniti dalla stessa società controllata» (art. 16, 5° comma, TUSP) che potrà continuare la propria attività se [continua ..]


8.2. Le tecniche statutarie per la conformazione del controllo analogo.

L’elemento che maggiormente caratterizza gli statuti delle società in house è la necessità che in essi siano inserite le clausole per realizzare il c.d. controllo analogo, che consiste nella possibilità per l’ente pubblico controllante di esercitare direttamente la gestione e la vigilanza della società. La necessità di un “controllo analogo” discende dal principio comunitario di concorrenza, o meglio dalla necessità di predisporre particolari casi in cui la disciplina sulla concorrenza può essere limitata mediante affidamenti diretti dalla p.a. [90]. Da essa consegue un assetto organizzativo particolare, in deroga alle norme codicistiche sul funzionamento e sulla ripartizione di competenze degli organi delle società. Una deroga siffatta, secondo taluni, impedirebbe di riconoscere in capo alle società in house le caratteristiche di una società che possa essere sussunta nel modello delle s.p.a. o delle s.r.l., dovendosi ravvisare nell’in house un “tipo societario” a sé stante [91]. Eppure, la strada percorsa dal T.U. è stata quella di ricondurre espressamente le particolarità di questa figura societarie nell’ambito della disciplina ordinaria delle società. In tal senso, per assicurare il ruolo penetrante svolto dalla p.a. nei confronti dell’organo amministrativo nei casi in cui sussiste il controllo analogo, si è consentito [92] – alle s.p.a. – di inserire nei relativi statuti “clausole in deroga” agli artt. 2380-bis e 2409-novies c.c., e – alle s.r.l. – di attribuire all’ente o agli enti pubblici partecipanti «particolari diritti», ai sensi del­l’art. 2468, 3° comma, c.c., aventi ad oggetto potere di decidere direttamente, senza passare per l’organo amministrativo, gli atti più rilevanti nella vita sociale, ovvero – in modo più mediato – l’attribuzione del diritto di ricoprire la carica di amministratore [93]. A tali esigenze è possibile dare riscontro, nelle s.r.l., anche con la deroga al principio di proporzionalità tra diritti del socio e partecipazione sociale, attribuendo a questi competenze amministrative anche al di là dei limiti dell’art. 2479 c.c., ovvero, appunto, mediante diritti [continua ..]


9. Lo statuto delle società miste.

L’attività di realizzazione e gestione di un’opera pubblica, di cui alla lett. c) del 2° comma dell’art. 4 TUSP, che come visto al precedente paragrafo non può essere oggetto di una società beneficiaria di affidamenti diretti in house, può invece essere perseguita tramite lo strumento delle società a partecipazione mista pubblico-privata (c.d. P.P.P., public-private partnerships), disciplinata dall’art. 17 TUSP [105]. La formulazione degli statuti delle società miste assume un rilievo ancora maggiore di altri casi, in quanto essi sono inseriti nelle gare pubbliche indette per l’affi­damento della partecipazione e dell’appalto. Le particolarità di questo tipo di statuti [106], discendono dalla necessità che il socio privato, che deve detenere una partecipazione di almeno il trenta per cento del capitale, svolga la funzione di socio d’industria, e quindi sia scelto in forza delle sue capacità professionali di realizzare una determinata opera pubblica. Pertanto, la selezione del medesimo si deve svolgere con procedure di evidenza pubblica, segnatamente tramite la c.d. gara “a doppio oggetto”, ossia tramite una gara riguardante sia la qualità di socio sia l’affidamento del contratto di appalto o di concessione [107]. Non solo: l’attività oggetto di gara costituisce l’oggetto esclusivo della società – o di un “comparto” di essa nelle società multiservizi – per il tempo dell’opera per la quale la partecipazione privata è stata sollecitata [108]. Di conseguenza, queste società sono soggette al ricambio periodico del socio privato, la cui partecipazione è legata al compimento di un singolo affidamento. L’inscindibilità di questi due aspetti – che consente, al ricorrere degli altri requisiti indicati nel 6° comma della norma in esame, di non dover sottostare alle previsioni del codice degli appalti [109] – provoca importanti conseguenze. In primis, è necessario che la durata della partecipazione privata non sia superiore alla durata dell’appalto o della concessione. Questo tipo di previsione, che deve essere inserita nella gara che porta alla costituzione o all’acquisto della partecipazione da parte del privato, dovrà essere riportata [continua ..]


NOTE