Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


Nomina e cessazione dei componenti del collegio sindacale nelle società chiuse (di Michele Mozzarelli)


The paper examines the appointment and the termination of the position of statutory auditors (sindaci), focusing on closed corporations. Starting from the appointment and examined the difference between the first sindaci, appointed by the charter and the following ones, appointed with a shareholders’decision, the analysis concentrates on the different options given to shareholders to customize the composition of collegio sindacale. Concerning the termination of position, the paper scrutinises especially the cases of forfeiture, revocation – focusing on the concept of just cause – and resignation, with the controversial subject of prorogatio.

Articoli Correlati: collegio sindacale - società chiuse

SOMMARIO:

1. Le diverse composizioni dell’organo di controllo nelle società chiuse - 2. I primi sindaci - 3. I sindaci successivi ai primi - 4. Nomina dei sindaci e autonomia privata - 5. Ipotesi di nomina extra-assembleare - 6. Accettazione dell’incarico - 7. Il presidente del collegio - 8. Le cause di cessazione dalla carica - 9. La decadenza dall’incarico - 10. La revoca per giusta causa - 11. Altre cause di revoca? - 12. La rinuncia da parte del sindaco e la prorogatio - NOTE


1. Le diverse composizioni dell’organo di controllo nelle società chiuse

La tematica della nomina dei componenti del collegio sindacale delle società chiuse ha visto negli ultimi dieci anni un allargamento della diversificazione tra i due principali tipi sociali che compongono le società di capitali, s.p.a. e s.r.l. Ciò è facilmente osservabile considerando la diversa composizione dell’organo sindacale nei due tipi sociali. Nelle s.p.a. chiuse, oggetto di questo lavoro, il collegio sindacale è un “organo pluripersonale a struttura rigida” [[1]], il cui numero di componenti è rimesso al­l’autonomia societaria nel ristretto limite dell’alternativa tra un collegio di tre o un collegio di cinque membri effettivi, a cui si aggiungono in ogni caso, e dunque senza alcuna possibilità di scelta per i soci, due membri supplenti. La scelta tra un collegio composto da tre membri effettivi e uno invece di cinque deve essere compiuta in sede statutaria come previsto dall’art. 2328, n. 10 c.c. che prevede specificamente che lo statuto debba indicare “il numero dei sindaci”. In questo senso si è rilevato che, poiché non sussiste per il collegio sindacale una norma del tenore di quella di cui all’art. 2380 bis, 4° comma, c.c. che dispone che, in presenza di previsione statutaria indicante solamente il numero massimo e minimo degli amministratori, la determinazione all’interno di questo intervallo viene affidata all’assemblea che li nomina, non pare legittimo che lo statuto riproponga l’alternativa prevista dalla legge senza optare per una o l’altra possibilità, né, conseguentemente, che tale opzione sia esercitata da un’assemblea diversa da quella convocata per la modifica dello statuto. Diverso è il caso della modifica statutaria che cambi il numero dei sindaci in corso di mandato. In tal caso il problema non riguarda la forma della decisione, ma la sua sostanza, con rischi per l’indipendenza dei sindaci. Li presenta, soprattutto [[2]], la riduzione del numero da cinque a tre sindaci. In questo caso, infatti, è evidente la possibilità di dissimulare una revoca senza giusta causa di sindaci sgraditi. Per ovviare a questo rischio la dottrina prevalente suggerisce pertanto di differire l’esecuzione della delibera alla scadenza [[3]]. Questa soluzione riprende quella scelta dal legislatore per regolare il regime [continua ..]


2. I primi sindaci

Nelle società di capitali si assiste a una strutturale distinzione tra la nomina dei primi sindaci e quella dei loro successori. In via preliminare, e a scapito di tale “staffetta”, si potrebbe porre la questione relativa alla possibilità di sindaci con incarico a tempo indeterminato. Il tema non sussiste nella s.p.a., dove la durata dell’incarico è espressamente indicata in tre esercizi (art. 2400 c.c.), ma potrebbe porre qualche dubbio in più nella s.r.l. In tale tipo sociale, infatti, è possibile la nomina di amministratori senza scadenza di mandato, che di fatto finiscono per integrare una forma di amministrazione “per persone” e non “per uffici”, come invece avviene necessariamente nella s.p.a. [[6]]. Si tratta però di un dubbio di breve durata, perché, a differenza di quanto accade per gli amministratori, difettano indicazioni nel senso dell’incarico a tempo indeterminato (non sussiste per l’organo di controllo una disposizione analoga all’art. 2479, 2° comma, n. 2, c.c., dal quale è possibile immaginare una durata indeterminata degli amministratori) e, invece, sussistono elementi in senso contrario (oltre al rinvio alla s.p.a., va ricordata la soluzione sopra indicata dal legislatore per il passaggio dal collegio pluripersonale al sindaco unico, soluzione che implica necessariamente una scadenza dell’incarico [[7]]). Ciò premesso, tanto nella s.p.a. quanto nella s.r.l. i primi sindaci sono nominati nell’atto costitutivo. L’eventuale difetto di nomina è causa di irregolarità e rende irricevibile l’atto per il notaio. Tuttavia l’eventuale iscrizione della società nel registro delle imprese in difetto dell’indicazione dei componenti del collegio sindacale non comporterebbe comunque la nullità dell’intera società. Come è noto, infatti, le cause di nullità previste dall’art. 2332 c.c. (richiamato per la s.r.l. dall’art. 2463 c.c.) sono tassative e tra esse non rientra il difetto di nomina degli organi di (amministrazione e) controllo [[8]].


3. I sindaci successivi ai primi

I sindaci successivi ai primi sono nominati con decisione dei soci: si tratta di competenza inderogabile per l’autonomia privata, che può essere superata solo ove sussista una diversa modalità di nomina prevista dalla legge [[9]]. Per quanto riguarda la decisione dei soci essa è necessariamente presa nelle forme dell’assemblea ordinaria nella s.p.a., mentre nella s.r.l. l’opzione assembleare integra il regime residuale, che può essere superato da una specifica previsione statuaria che preveda che le decisioni dei soci siano adottate mediante consultazione scritta o sulla base di consenso espresso per iscritto (art. 2479, 4° comma, c.c.). Nella sua versione originaria, il codice civile prescriveva che la nomina dei sindaci fosse decisa a maggioranza. Ciò comportava che il socio di maggioranza avesse i numeri per nominare sia l’organo amministrativo sia quello di controllo. Questa geometria seguiva l’idea ottocentesca che vedeva l’assemblea organo sovrano che nominava i sindaci “quali funzionari di derivazione interna, nati per la constatata impossibilità di mantenere le funzioni di controllo in capo alla moltitudine variabile ed irrequieta degli azionisti” [[10]]. Tuttavia “il congegno prescelto dal codice devolve la scelta dei controllori (sindaci) e dei controllati (amministratori) alle medesime maggioranze assembleari, con l’ovvio risultato di trasformare gli uni e gli altri in centri di potere investiti di interessi economici e corporativi sostanzialmente coincidenti” [[11]]. Con l’effetto di “minare alle fondamenta l’indipendenza del collegio e, svuotando di contenuto le (pur numerose) norme cautelative predisposte dal codice, introduce nel sistema un vizio d’origine così grave da rendere ben comprensibile la crisi indiscussa e quasi storica degli organi interni di controllo” [[12]]. A fronte di questa seria criticità nel 1998, con la promulgazione del Testo unico della finanza, veniva prevista per le società quotate l’introduzione del voto di lista e la nomina di un sindaco di minoranza [[13]]. Nonostante questo esempio, il legislatore della riforma organica del diritto delle società di capitale non ha inteso modificare lo status quo ante, confermando che la nomina dei sindaci avviene tramite l’assemblea ordinaria (o comunque con [continua ..]


4. Nomina dei sindaci e autonomia privata

Prevedendo che per la nomina delle cariche sociali lo statuto può stabilire norme particolari (art. 2368 c.c.) e dunque diverse dal principio di maggioranza appena descritto, il legislatore prevede che, all’interno della competenza assembleare, quest’ultimo costituisce il regime residuale di nomina dei sindaci e come tale derogabile. Limite esplicito all’autonomia privata è fissato dal divieto di prescrivere maggioranze più elevate chiaramente volto a evitare lo stallo decisionale sulla nomina degli organi della società [[15]]. Di conseguenza la prassi si è interrogata circa le possibili modalità alternative a livello di autonomia statutaria di nomina del collegio sindacale. In questo senso si è ritenuta certamente ammissibile la previsione del meccanismo del voto di lista, sulla falsariga di quanto previsto nell’art. 148 t.u.f. [[16]]. Molto più discussa è invece la possibilità di voto tramite categorie d’azioni [[17]]. Il tema si concretizza nell’interrogativo relativo alla possibilità di attribuire attraverso una clausola statutaria “a una o più categorie di azioni, quale ‘diritto diverso’ ai sensi dell’art. 2348 c.c., il diritto di nominare uno o più componenti (del consiglio di amministrazione e) del collegio sindacale” [[18]], fino a giungere all’ipotesi della clausola dello statuto di una società per azioni non quotata con sistema tradizionale di amministrazione e controllo, che riconosca alla categoria di azioni titolare della maggioranza di voti esercitabili nelle deliberazioni aventi per oggetto la nomina di un organo il diritto di nominare la maggioranza (o la totalità) dell’or­gano [[19]]. La sostanza della questione riguarda la derogabilità del principio di “proporzionalità tra il ‘peso’ quantitativo delle azioni cui spetta, quale diritto di categoria, un diritto di nomina degli organi sociali e il numero dei componenti oggetto di tale diritto di nomina, nell’ambito di ciascun organo sociale” [[20]]. Il primo ostacolo, si potrebbe dire derivante da un’impostazione sistematica di teoria generale, riguarda il noto rapporto tra rischio e potere [[21]]. Appare infatti evidente che in presenza di un rigido principio di proporzionalità tra rischio in termini di [continua ..]


5. Ipotesi di nomina extra-assembleare

L’art. 2400 c.c. fa salve alcune ipotesi di nomina che si considerano extra-as­sembleari, citando gli artt. 2351 e 2449 c.c. (oltre all’art. 2450 c.c. abrogato), relativi, rispettivamente, alla nomina affidata ai titolari di strumenti finanziari partecipativi e a quella attribuita allo Stato o agli enti pubblici che abbiano partecipazioni in una s.p.a. che non fa ricorso al mercato del capitale di rischio. Con riguardo a quest’ultima opzione, dalla qualità extra-assembleare della nomina da parte dello Stato o degli enti pubblici si deriva la natura di provvedimento amministrativo di questa, con l’effetto di attribuire la competenza a decidere in materia di vizi della nomina al giudice amministrativo [[35]]. La seconda, e operativamente più rilevante, ipotesi di nomina extra-assembleare prevista dall’art. 2400 c.c. è relativa alla facoltà di riservare agli strumenti finanziari partecipativi (ex art. 2346, 6° comma, c.c. ma anche 2349, 2° comma, c.c. [[36]]), secondo modalità stabilite dallo statuto, la nomina di un sindaco. A proposito di questa ipotesi l’interesse della dottrina e della prassi notarile si è soffermato su alcuni temi. Il primo è quello relativo alla natura extra-assembleare della nomina. Tale posizione, benché non pacifica, è decisamente prevalente [[37]]. Volendo dunque escludere il cumulo indifferenziato delle presenze e dei voti relativi agli azionisti e ai titolari di strumenti finanziari partecipativi nel calcolo dei quorum costitutivi e deliberativi delle assemblee degli azionisti, si sono recentemente ritenute ammissibili diverse opzioni operative che spaziano dal caso della nomina diretta e immediatamente efficace a quello che struttura l’operazione in un procedimento a formazione progressiva i cui effetti della decisione da parte dei titolari degli strumenti finanziari si producono contestualmente alla deliberazione assembleare generale di nomina dei restanti membri del nuovo organo [[38]]. Il secondo tema di rilievo affrontato riguarda il numero dei sindaci (o più in generale di componenti gli organi sociali) che può essere eletto, soprattutto in presenza di diverse categorie di strumenti finanziari partecipativi. Sul punto si confrontano due posizioni: da una parte si colloca chi afferma che pure nel caso di emissione di una pluralità di classi distinte di [continua ..]


6. Accettazione dell’incarico

Il rapporto si costituisce con l’accettazione dell’incarico da parte dei componenti nominati, e da questo momento decorrono i trenta giorni per l’iscrizione nel registro delle imprese di cui all’art. 2400 c.c. Per i membri effettivi si ritiene che tale accettazione non sia soggetta a particolari requisiti di forma [[44]]. La forma scritta serve semmai per l’iscrizione della nomina nel registro imprese. Poiché però l’assenza di iscrizione nel registro delle imprese, pur essendo causa di irregolarità, non pregiudica la costituzione del rapporto, l’assunzione dell’incarico, con il suo carico di poteri, doveri e responsabilità, si perfeziona anche in forma orale o per l’inizio di fatto delle funzioni sindacali [[45]]. Quest’ultima soluzione, quella dell’accettazione per comportamenti concludenti, non vale invece per i sindaci supplenti. Anche in questo caso il rapporto si costituisce nello stesso momento degli effettivi, e infatti il supplente non è un candidato sindaco a cui si offrirà la carica in un futuro ma un soggetto già investito della funzione di supplenza, obbligato a svolgere i compiti se chiamato. Il punto è che però, prima della concreta assunzione da parte dei supplenti delle funzioni in seguito alla cessazione degli effettivi, non sussistono comportamenti concludenti che indichino l’accettazione dell’incarico da parte dei supplenti. Di conseguenza è necessaria da parte di costoro un’espressa accettazione sin dalla nomina [[46]].


7. Il presidente del collegio

A differenza di quanto avviene per il presidente del consiglio di amministrazione, che può, ma non necessariamente deve, essere di nomina assembleare (art. 2380 bis c.c.), l’omologo del collegio sindacale è inderogabilmente indicato dall’assem­blea dei soci (art. 2398 c.c.) [[47]]. In questo modo si sottolinea il particolare legame fiduciario con il gruppo dei soci in generale e, nel regime residuale, con il socio di maggioranza in particolare [[48]]. Questo legame è ribadito dal peculiare regime di sostituzione del presidente: anche in questo caso la scelta non viene rimessa ai membri restanti del collegio, ma assume la presidenza il sindaco più anziano [[49]]. In questo modo, sin dal momento della nomina l’assemblea può dunque prevedere chi sarà, almeno in astratto, il secondo presidente. In dottrina ci si è posti la questione della mancata nomina da parte dell’as­sem­blea. Sono state proposte due tesi. Parte della dottrina ha affermato che le funzioni presidenziali verrebbero in tal caso svolte congiuntamente da tutti i sindaci, denunciando l’irregolarità. Questa soluzione finisce però per svilire il rapporto fiduciario sopra indicato. Risulta dunque preferibile la tesi alternativa che, sulla scorta di quanto previsto in tema di sostituzione, attribuisce le funzioni presidenziali al sindaco più anziano fino alla nomina da parte dell’assemblea che dovrà essere convocata al più presto per sopperire alla lacuna della prima deliberazione [[50]].


8. Le cause di cessazione dalla carica

Le cause di cessazione dei sindaci sono la morte, la scadenza naturale dell’in­ca­rico, la decadenza, la revoca e la rinuncia. Mentre la disciplina delle prime due cause di cessazione, c.d. cause naturali, è tutto sommato pacifica, le restanti cause di cessazione sono costellate da un crescendo di questioni dibattute che trova il suo apice con riguardo all’applicabilità del regime di prorogationell’ipotesi di revoca.


9. La decadenza dall’incarico

Dal punto di vista della cessazione dell’incarico sindacale, e prescindendo dunque dalla trattazione delle singole cause di decadenza [[51]], il problema che qui si esamina riguarda quei casi in cui può essere dubbio se la decadenza operi di diritto o richieda un accertamento da parte di un organo [[52]]. Le due opzioni presentano entrambe vantaggi e svantaggi: se da un lato l’accertamento da parte di un organo aumenta la certezza dei rapporti e la salvaguardia dell’indipendenza in momenti in cui la valutazione implica un certo grado di discrezionalità, l’operatività di diritto impone una maggiore vigilanza e esclude la possibilità di comportamenti dilatori da parte dell’accertatore. La questione ha suscitato ampio dibattito in dottrina, ove non sono mancate autorevoli voci che hanno ritenuto un accertamento della decadenza comunque operativamente indispensabile perché si possa sostituire il sindaco decaduto, a norma dell’art. 2401 c.c. [[53]]. Decisamente più consolidata l’opinione della Suprema Corte che, ancora con pronuncia del 9 maggio 2008, ha ribadito che “le eventuali situazioni d’incom­patibilità da cui sia colpito un sindaco di società operano di diritto, in modo automatico, senza la necessità di alcuna pronuncia assembleare (o di altro organo della società) che le faccia valere” [[54]]. L’automaticità della decadenza, che prima della riforma del diritto societario del 2003 veniva già efficacemente sostenuta osservando che non era giustificata l’ipotesi di un procedimento accertativo che il legislatore non aveva previsto e che, inoltre, il successivo art. 2401 c.c. indirizzava in favore dell’immediato subentro del sindaco supplente, veniva così ribadita anche dopo la riforma, con un ulteriore argomento a contrario. Nella citata pronuncia si rilevava infatti che il legislatore della riforma, pur avendo a disposizione il diverso precedente del t.u.f., in cui la decadenza deve essere accertata (art. 148 t.u.f.), aveva sì modificato l’art. 2399 c.c., ma senza tuttavia disciplinare alcun tipo di procedimento di accertamento della decadenza del sindaco che si trovi in una situazione di ineleggibilità. Con l’effetto, secondo la Cassazione, di confermare implicitamente la “già ritenuta non necessità di un [continua ..]


10. La revoca per giusta causa

Ai sensi dell’art. 2400, 2° comma, c.c. un sindaco può essere revocato solo per giusta causa a seguito di una deliberazione assembleare che deve essere approvata con decreto dal tribunale, sentito l’interessato. Il procedimento si articola così su tre snodi fondamentali: la delibera assembleare, la presenza di una giusta causa e il vaglio dell’autorità giudiziaria. La regola generale è nel senso che in assenza di questi tre elementi la revoca è priva di efficacia e il sindaco rimane in carica. Di norma il primo atto del processo di revoca del sindaco è integrato da una delibera dell’assemblea (ordinaria) dei soci. Attraverso tale delibera si esplicita la giusta causa posta a fondamento della revoca, dando implicitamente modo a tutti i soci e al sindaco di conoscere la ragione della richiesta di cessazione del rapporto. Per questo motivo, si ritiene da una parte che in assenza di tale disclosure la delibera sarebbe inefficace (o nulla [[62]]), dall’altra che non sia ammissibile l’aggiunta di ulteriori motivi, né in via extra-assembleare, né in sede di omologazione davanti al giudice. Il passaggio assembleare è espressamente previsto anche per la revoca dei sindaci nominati dai titolari degli strumenti finanziari partecipativi, giusta la precisazione di cui all’art. 2351, 5° comma, c.c. secondo cui “alle persone così nominate (e dunque anche ai sindaci, n.d.r.) si applicano le medesime norme previste per gli altri componenti dell’organo cui partecipano”. Contro revoche abusive da parte degli azionisti (di maggioranza) il legislatore ha ritenuto probabilmente sufficiente la tutela offerta dalla valutazione del giudice. L’equiparazione dei sindaci nominati dai titolari degli strumenti finanziari ai sindaci nominati ai sensi dell’art. 2400, 1° comma, c.c. ha permesso di estendere, sulla base dell’argomento logico per cui nel più sta il meno, la disciplina generale ai sindaci nominati da specifiche categorie di azioni [[63]]. Diversa è invece la disciplina della revoca del sindaco nominato dallo Stato o dall’ente pubblico. Sul punto nulla quaestio: l’art. 2449, 2° comma, c.c. prevede infatti espressamente che i sindaci “nominati a norma del primo comma possono essere revocati soltanto dagli enti che li hanno [continua ..]


11. Altre cause di revoca?

Ulteriore questione posta in dottrina è quella della presenza di cause di revoca, non per giusta causa, bensì automatiche. La risposta sul punto mi sembra debba essere negativa tutte le volte che la ragione (dissimulata) di cessazione dall’incarico sia l’aggiramento del controllo da parte dell’Autorità Giudiziaria. In questo senso è opportuno vagliare alcuni casi paradigmatici. Un esempio di causa automatica di revoca potrebbe essere integrato dall’ap­plica­zione analogica ai sindaci di quanto previsto dall’art. 2393, 4° comma, c.c. in tema di azione sociale di responsabilità contro gli amministratori. Questa disposizione prevede infatti la revoca automatica degli amministratori quando l’azione di responsabilità sia deliberata con il voto favorevole di almeno un quinto del capitale sociale. Per quanto sopra detto, appare evidente che la risposta rispetto all’ammissibilità di una tale formula di revoca debba essere negativa, non potendosi sostituire il vaglio del giudice con una maggioranza qualificata. Benché vi siano stati in precedenza anche provvedimenti in senso contrario [[69]], il dibattito è stato chiuso nel 2010 dalla Suprema Corte, secondo la quale “la deliberazione con la quale l’assem­blea di una società per azioni autorizzi l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità contro i sindaci, anche se adottata con il voto favorevole di almeno un quinto del capitale, non determina la revoca automatica dei sindaci dalla carica e non ne implica l’immediata sostituzione, così come avviene per gli amministratori ai sensi dell’art. 2393, comma 3 (ora 4° comma, a seguito della riforma attuata con il d.lgs. 6/2003) c.c., atteso che (…), sul piano logico, l’automatica revoca implicherebbe la esclusione del controllo del tribunale sulla giusta causa di revoca dei sindaci, imposto dall’art. 2400, comma 2, c.c. a garanzia della loro indipendenza anche nei confronti dell’azionariato di maggioranza” [[70]]. Parimenti non ammissibile sarebbe l’introduzione di una clausola simul stabunt simul cadent. Anche in questo caso infatti la cessazione dall’incarico del sindaco non dimissionario sarebbe sottratta al vaglio del giudice, per essere affidata unicamente alla decisione di un altro sindaco [[71]]. La palese [continua ..]


12. La rinuncia da parte del sindaco e la prorogatio

L’ultima causa di cessazione dall’incarico è la rinuncia allo stesso da parte del sindaco. La rinuncia da parte del sindaco è sempre possibile e non richiede una giusta causa. Tuttavia la rinuncia senza giusta causa ovvero senza un congruo preavviso che consenta alla società di provvedere altrimenti è motivo di risarcimento del danno subito da quest’ultima. Secondo l’opinione preferibile la rinuncia va fatta per iscritto per ragioni di certezza e non deve essere accettata per avere effetto. La best practice vuole l’invio del documento al presidente del collegio sindacale, al sindaco supplente e al presidente del consiglio di amministrazione (o all’amministratore unico). La comunicazione al supplente permette di abbreviare i tempi di sostituzione [[77]], mentre quella all’organo amministrativo accelera l’iscrizione nel registro delle imprese e l’even­tuale convocazione dell’assemblea nel caso di mancato completamento del collegio ex art. 2401, 3° comma, c.c. [[78]]. Tuttavia pare corretto ritenere che l’uni­ca comunicazione essenziale (in presenza di collegio) sia quella al presidente del collegio, il quale è poi chiamato ad attivarsi nei confronti tanto del supplente quanto dell’or­gano amministrativo [[79]]. Come è noto, il tema più dibattuto in materia riguarda l’ipotesi in cui a seguito di una rinuncia manchi il sindaco supplente. In questo caso si discute – animatamente – sull’applicabilità o meno della prorogatio nel silenzio del testo legislativo. Compiendo una panoramica delle diverse posizioni, si può rilevare che radicalmente contrario alla prorogatio è il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili [[80]], tendenzialmente favorevole è invece la dottrina [[81]], mentre in giurisprudenza si assiste a orientamenti diversi nel merito, a fronte di una posizione favorevole, ribadita anche di recente, della Suprema Corte [[82]]. Le ragioni del no si centrano, oltre che sull’assenza di una disciplina positiva in tal senso, sulla mancanza di una ragione forte alla continuità dell’organo di controllo e invece sulla specifica intenzione del sindaco a non voler più proseguire l’in­carico. E infatti, secondo questa tesi, “se non [continua ..]


NOTE