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1. Il caso - 2. Gli orientamenti delle precedenti pronunce sull’art. 2497, 3° comma, c.c. Critica - 3. L’interpretazione dell’art. 2497, 3° comma, c.c. proposta dalla sentenza in esame - 4. L’autonomo carattere precettivo dell’art. 2497, 3° comma, c.c. - 5. Segue - 6. L’art. 2497, 3° comma, c.c. e i creditori della società dominata - 7. Risvolti processuali della tesi accolta dalla Cassazione - 8. Conclusioni - NOTE
La fattispecie oggetto della controversia qui esaminata è piuttosto semplice: i soci di minoranza di una società esperivano un’azione risarcitoria ai sensi dell’art. 2497, 1° comma, c.c. nei confronti della holding del gruppo, nonché nei confronti della società che controllava direttamente l’ente danneggiato. Tanto il giudice di primo grado quanto la Corte d’Appello dichiaravano improcedibile la domanda, in quanto l’azione risarcitoria dei soci della dominata per violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale sarebbe subordinata, ai sensi dell’art. 2497, 3° comma, c.c., alla preventiva escussione della stessa società eterodiretta. La Suprema Corte ha invece accolto il ricorso contro la decisione adottata in appello, negando che l’art. 2497, 3° comma, c.c. preveda quella condizione di procedibilità dell’azione del socio contro la società che esercita l’attività di direzione e coordinamento configurata dai giudici di merito.
La sentenza in esame costituisce un ulteriore contributo alla ricostruzione del significato dell’art. 2497, 3° comma, c.c., definito dai più come “singolarmente oscuro”, “contrario a ogni logica” e fonte di “imbarazzi ed equivoci” [1], ma ritenuto, al contempo, “norma chiave” per la comprensione della prevista risarcibilità del danno riflesso da abuso di eterodirezione in termini coerenti con il sistema [2]. Nell’interpretare quella norma, la Suprema Corte ha negato la fondatezza della tesi ad avviso della quale essa configurerebbe un onere di preventiva escussione dell’eterodiretta danneggiata a carico dei soci, i quali potrebbero agire nei confronti della capogruppo solo successivamente, se insoddisfatti [3]. Più specificamente, la sentenza in esame ha sostenuto l’opinabilità di entrambe le versioni della ricostruzione appena rappresentata [4]: ad avviso della Cassazione la lettera dell’art. 2497, 3° comma, c.c. non prescrive l’onere per i danneggiati ex art. 2497, 1° comma, c.c. né di agire preventivamente (o in sede di giudizio di cognizione; o in sede di esecuzione forzata) contro la società dominata, né di richiederle anche in via stragiudiziale il risarcimento del danno [5]. Ne consegue – secondo la Corte – che il socio della eterodiretta non è neppure titolare del diritto di essere risarcito dalla stessa per fatto della capogruppo, ossia non ha un’azione risarcitoria per attività di direzione e coordinamento abusiva contro la propria società. Peraltro, oltre alle argomentazioni addotte dalla Cassazione [6], contro l’esistenza di un beneficium excussionis a favore della capogruppo si può sostenere che: – ammettendone l’esistenza e individuando in esso una condizione dell’azione esecutiva verso la holding – ossia interpretando il 3° comma dell’art. 2497 c.c. come l’art. 2304 c.c. [7] –, la responsabilità della capogruppo assumerebbe carattere sussidiario rispetto a quella dell’eterodiretta. Tale esito interpretativo appare, tuttavia, difficilmente conciliabile con l’art. 2497 c.c., che sembra attribuire, al contrario, carattere principale alla prestazione risarcitoria della [continua ..]
La Suprema Corte ha riconosciuto in modo condivisibile che il passaggio fondamentale per proporre una ricostruzione soddisfacente della disposizione in esame consiste nel cogliere il significato del termine “soddisfatti” riferito dalla norma in esame tanto ai soci quanto ai creditori dell’eterodiretta, dato che, una volta individuate le ipotesi in cui gli uni o gli altri possono dirsi tali, risultano definiti di conseguenza anche i casi nei quali essi non sono legittimati ad agire ex art. 2497, 1° comma, c.c. Alla stregua di tale premessa, per quanto concerne i soci della dominata, la Cassazione pare aver recepito quello spunto dottrinale secondo il quale la disposizione in esame non discorre di “adempimento “, ma di una “soddisfazione”, così facendo intendere che in essa non tanto si tratti dell’esercizio di una pretesa risarcitoria nei confronti della società controllata e del suo adempimento di un obbligo (risarcitorio), quanto di una presa d’atto che, se gli interessi dei soci esterni della società dominata sono stati soddisfatti dalla stessa al proprio interno, non sussiste una pretesa risarcitoria nei confronti della controllante. Anzi neppure esiste un danno risarcibile, poiché tale è in definitiva quello di non aver avuto soddisfazione dei propri interessi nella controllata [12]. La soddisfazione menzionata dalla norma in esame è da intendere, dunque – secondo l’insegnamento della dottrina civilistica [13] – come attribuzione ai soci della dominata di un’utilità che ne realizza l’interesse leso dall’eterodirezione abusiva (alla reddittività e al valore della partecipazione sociale) [14]. In altri termini, l’intervento satisfattivo dell’eterodiretta quale terza estranea all’obbligazione risarcitoria gravante unicamente sulla capogruppo, ai sensi dell’art. 1180 c.c., elide il danno patito dai soci minoritari e con esso la loro legittimazione ad agire nei confronti della holding [15].
A tale ricostruzione dell’art. 2497, 3° comma, c.c., parte della dottrina ha obiettato che essa rende la norma del tutto superflua, non essendoci alcuna necessità di statuire con una disposizione specifica l’ovvia carenza, a seguito del risarcimento corrisposto dall’eterodiretta, della legittimazione dei suoi soci ad agire verso la holding per un danno ormai ristorato [16]. Tale rilievo, tuttavia, sembra affrettato per una serie di ragioni, alcune delle quali colte nella stessa sentenza della Cassazione. In primo luogo, la soddisfazione dei soci dell’eterodiretta può realizzarsi ove si ammetta – come fa parte consistente della giurisprudenza teorica e pratica espressasi sull’argomento [17] – la legittimazione della società eterodiretta [18] ad agire contro la società “madre” per il risarcimento del danno da essa patito in conseguenza dell’eterodirezione abusiva: il pregiudizio alla redditività e al valore della partecipazione sociale ex art. 2497, 1° comma, c.c. è un danno riflesso, che transita, cioè, per il patrimonio della dominata; risarcito questo, dunque, i soci sono già ristorati della lesione indirettamente patita derivante dall’eterodirezione abusiva e, in quanto “soddisfatti”, non hanno più titolo per agire nei confronti della capogruppo [19]. Laddove si accolga questa tesi, la previsione dell’art. 2497, 3° comma, c.c. assume una funzione normativa autonoma. L’art. 2497, 1° comma, c.c., prevedendo una responsabilità diretta della capogruppo verso i soci della dominata per il danno tipicamente riflesso alla “redditività e al valore della partecipazione sociale” e derogando, così, con riguardo alle società soggette a direzione e coordinamento, alla regola generale (ex art. 2395 c.c.) del diritto societario che limita il risarcimento del socio al solo pregiudizio diretto [20], pone il problema di evitare la duplice riparazione – alla società dominata, da un lato e ai suoi soci, dall’altro – del medesimo danno da direzione unitaria scorretta. Quel problema che sorge, peraltro, ogni qualvolta un comportamento incida in modo pregiudizievole sul patrimonio sociale, così cagionando un danno oggettivamente unitario sotto il profilo [continua ..]
Pur prescindendo dalla sussistenza – non pacifica, come detto – della legittimazione attiva della società eterodiretta ad agire nei confronti della holdinga fronte del danno arrecatole nell’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento, l’art. 2497, 3° comma, c.c. non sembra poter essere ritenuto ultroneo, seppure ricostruito nei termini (condivisibili) prospettati dalla sentenza in esame. Al riguardo, la Suprema Corte si è fatta carico di attribuire un’autonoma portata precettiva alla disposizione, cogliendone i profili di specialità rispetto all’art. 1180 c.c., del quale l’art. 2493, 3° comma, c.c. viene considerato un’applicazione nel contesto della disciplina del gruppo. La norma in esame è stata ritenuta speciale rispetto a quella civilistica sia per quanto attiene al terzo adempiente, non estraneo, in quanto società dominata, all’organizzazione della capogruppo responsabile nei confronti del socio danneggiato; sia per quanto attiene all’esclusione implicita della possibilità – ammessa invece dalla norma civilistica – per il creditore della prestazione risarcitoria di rifiutare l’adempimento da parte del terzo; sia, infine, per la particolare connotazione della causa concreta del pagamento – normalmente fattispecie avente natura causale astratta [24] – da parte della controllata. L’autonoma portata precettiva dell’art. 2497, 3° comma, c.c., pur a fronte dell’interpretazione qui preferita del termine “soddisfatti”, non è circoscritta, però, solo ai profili civilistici sui quali si è soffermata la sentenza commentata. In primo luogo, in una prospettiva maggiormente attinente al diritto societario, essa è stata individuata nella valenza “organizzativa” della regola enunciata nella disposizione, avente cioè la funzione di dettare criteri o parametri di comportamento degli organi appartenenti al gruppo: tale regola varrebbe a legittimare trasferimenti di risorse finanziarie dalla capogruppo alla eterodiretta danneggiata, preordinati al soddisfacimento delle pretese risarcitorie avanzate ai sensi dell’art. 2497, 1° comma, c.c. dai singoli soci della stessa [25]. Ma anche qualora si ritenga ultroneo il 3° comma dell’art. 2497 c.c. così [continua ..]
Seppure in un obiter dictum – trattandosi nel caso controverso dell’azione di responsabilità esercitata dai soci di minoranza della società dominata – la sentenza in esame si è soffermata anche sull’interpretazione dell’art. 2497, 3° comma, c.c. laddove dispone in merito all’azione dei creditori della società eterodiretta. La pronuncia, pur condividendo l’assimilabilità dell’azione dei creditori della dominata per abuso di eterodirezione a quella ex art. 2394 c.c. quanto ai rispettivi presupposti, ha escluso che l’art. 2497, 3° comma, c.c. possa essere spiegato nel senso che l’azione dei creditori nei confronti della capogruppo sarebbe sussidiaria rispetto a quella contro l’eterodiretta, in quanto i) condizione di procedibilità della domanda risarcitoria di costoro verso un terzo rispetto al debitore sarebbe (come previsto all’art. 2394, 2° comma, c.c.) l’insufficienza in concreto del patrimonio dell’obbligato stesso e in quanto ii) tale insufficienza risulterebbe provata proprio in conseguenza della previa escussione della debitrice/dominata [28]. La Cassazione ha negato, in altri termini, che il riferimento alla “soddisfazione” verso i creditori (come anche verso i soci) da parte della società dominata vada inteso come onere di procedere almeno con una richiesta stragiudiziale nei confronti della stessa, poiché solo in caso di richiesta infruttuosa sarebbe azionabile la pretesa risarcitoria verso la holding. Al contrario, la pronuncia ha affermato che la disposizione in esame regola la situazione fattuale successiva alla nascita del credito risarcitorio [29], in cui la menzionata soddisfazione si realizza – in termini omogenei con il pregiudizio all’integrità del patrimonio sociale che è volta a eliminare – “mediante l’adozione di misure di ripatrimonializzazione” dell’eterodiretta [30] idonee a ripristinarne la garanzia patrimoniale e così a eliminare la situazione pregiudizievole per i crediti vantati nei suoi confronti. Tale lettura viene ritenuta preferibile dalla Cassazione, valorizzando l’analoga regola iuris (stando almeno al tenore letterale della disposizione in esame) prescritta per i soci e per i [continua ..]
La pronuncia in esame fornisce l’occasione per dedicare qualche cenno alle implicazioni sul piano processuale dell’interpretazione preferita dell’art. 2497, 3° comma, c.c. Per quanto attiene alle implicazioni negative, la Suprema Corte ha escluso che nell’art. 2497, 3° comma, c.c. possa essere ravvisata sia una condizione di procedibilità dell’azione del socio verso la holding per eterodirezione abusiva, sia un onere di formale messa in mora stragiudiziale della dominata [38]. Così ragionando, dunque, il socio o il creditore che agisca ai sensi dell’art. 2497, 1° comma, c.c. viene sollevato dall’onere di provare – in particolare, allorché sussista un’espressa e puntuale contestazione sul punto del convenuto – il suo mancato soddisfacimento da parte della dominata [39]. D’altro canto, la Cassazione ha affermato che, nel caso dell’eliminazione specifica del danno da eterodirezione da parte della dominata mediante soddisfacimento della pretesa risarcitoria ai sensi dell’art. 2497, 3° comma, c.c., la holding ha l’onere di allegare e provare tale evenienza, capace di determinare la sopravvenuta carenza di interesse ad agire dell’attore per il venir meno del pregiudizio, quale elemento costitutivo della fattispecie risarcitoria [40].
L’interpretazione accolta dalla Suprema Corte costituisce un significativo sviluppo di quell’“assetto del diritto vivente” [41] ela-borato dalla giurisprudenza di merito – in particolare quella del Tribunale di Milano –che va nel senso di agevolare la possibilità per i soci di minoranza della dominata in bonis di chiamare in giudizio direttamente la capogruppo. Dal principio di diritto enunciato dalla sentenza commentata pare possibile evincere, infatti, l’impossibilità di ricavare dall’art. 2497, 3° comma, c.c. finanche quel mero “onere di richiesta di soddisfazione, posto in capo al socio…che ben può essere assolto anche citando in giudizio la società controllata in chiave di denuntiatio litis volta a stimolarla all’azione verso la controllante …” [42], affermato, invece, da parte della giurisprudenza di merito.