Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Responsabilità degli amministratori e diritto di ispezione del socio. Nota a margine del caso Yahoo (di Marco Coluzzi)


The Delaware Court of Chancery granted to an institutional Yahoo investor the inspection rights under Section 220 DGCL on the company books and records for the purposes of carrying out an “investigation of potential mismanagement” related to the executive compensation.

The decision, which evokes the complex Walt Disney derivative litigation, represented for the Court of Chancery an important opportunity to reidentify the elements of the inspection rights and to redefine the correct fiduciary standard applicable to the case at stake.

In this regard, in a comparative perspective, it is useful to investigate whether the Italian joint stock companies legislation includes a tool similar to Section 220 DGCL and to what extent the shareholders may seek inspection on corporate books and records under Italian law.

SOMMARIO:

1. La decisione della Court of Chancery del Delaware - 2. Il diritto di ispezione dell’azionista - 3. Lo standard del diritto di ispezione: doveri fiduciari, business judgment rule ed exculpatory clause - 4. Il precedente: In re Walt Disney Co. Derivative Litigation e i parametri di condotta fiduciaria coinvolti - 5. L’analisi dei doveri fiduciari nella decisione: a) gli indizi di violazione nel processo di assunzione del CEO - 6. (segue) b) … il sospetto di violazione nel processo di licenziamento - 7. La possibile contestazione di corporate waste - 8. Discovery e incorporation by reference doctrine - 9. Cenni al diritto di ispezione dell’azionista nell’ordinamento giuridico italiano - NOTE


1. La decisione della Court of Chancery del Delaware

Con un provvedimento del 2016 [[1]], la Court of Chancery del Delaware ha garantito a un investitore istituzionale azionista di Yahoo il diritto di ispezione concesso ai soci dalla Sec. 220(b) della Delaware General Corporation Law (DGCL). La richiesta di ispezione nasceva dalla necessità di proseguire l’istruttoria relativa alla vicenda inerente all’assunzione del nuovo COO (chief operating officer) di Yahoo, deliberata dietro forte impulso del CEO (chief executive officer), e il suo successivo licenziamento senza giusta causa che, nella tesi dell’attore, avrebbe costituito una violazione dei doveri fiduciari con un conseguente corporate waste. È opportuno analizzare brevemente i fatti. Nel corso del procedimento di ricambio del management, Marissa Mayer, CEO di Yahoo, propose l’assunzione del nuovo COO, Henrique de Castro, già collega di Mayer nella sua passata esperienza professionale in Google. Il processo di assunzione fu caratterizzato da controverse modalità procedurali e da uno scarso coinvolgimento del board e del comitato nomine. Posto infatti che l’identità del nuovo COO rimase ignota a tali organi sociali per tutta la fase delle negoziazioni, durante tale procedimento Mayer fu in più occasioni autorizzata dal comitato nomine a proseguire le trattative con il candidato (il tutto senza che né il comitato nomine né il board ricevessero alcuna indicazione sul suo profilo e sulla composizione del pacchetto retributivo in relazione alla durata e alle eventuali cause estintive del rapporto di lavoro) [[2]]. In un momento successivo, detti organi sociali, pur continuando a non ricevere alcun dato su come le componenti della retribuzione sarebbero state combinate tra loro, appresero il nome del candidato e il comitato nomine approvò la proposta presentata da Mayer, conferendole l’autorità di negoziare, mantenendo, tuttavia, il controllo sulle modifiche rilevanti dell’offerta [[3]]. Concluse le negoziazioni, Mayer presentò al board la versione finale dell’of­ferta al candidato prescelto: la retribuzione annuale lorda rimaneva la stessa approvata dal consiglio, ossia 56 milioni di dollari, ma era stata incrementata la cifra che sarebbe stata pagata da Yahoo in caso di licenziamento senza giusta [continua ..]


2. Il diritto di ispezione dell’azionista

La richiamata previsione legislativa autorizza l’azionista a prendere visione, a fini di ispezione, dei libri e registri della società, a condizione che dimostri cumulativamente [[7]]: di essere azionista [[8]], di aver rispettato i requisiti formali prescritti per la domanda di ispezione e di avere un “proper purpose” [[9]]. Oltre a tali requisiti, l’azionista deve provare l’essenzialità dei documenti richiesti in relazione al purpose affermato nella domanda [[10]]. In particolare, l’ispezione deve arrestarsi al quantum di informazioni che la Corte ritenga sufficiente per accogliere la domanda: se i libri e registri non sono valutati come essenziali in relazione al purpose, allora la domanda dell’azionista dovrà essere rigettata [[11]]. Posto che la Sec. 220 DGCL identifica il proper purpose come ragionevolmente collegato all’interesse del richiedente in quanto azionista, lo scopo da cui muove la richiesta di Amalgamated Bank, ossia la necessità di effettuare un’indagine per verificare la violazione dei doveri fiduciari da parte degli amministratori (e quindi proporre nei loro confronti l’azione di responsabilità), è considerato dalle corti del Delaware come valido e meritevole di tutela [[12]]. Si noti inoltre che, al fine di condurre l’ispezione, l’azionista non è tenuto a provare che le irregolarità siano effettivamente occorse, ma deve solo dimostrare l’esistenza di una “credible basis” che poi la Court of Chancery, attraverso un ragionamento di tipo induttivo, dovrà valutare al fine di proseguire l’istruttoria. È comunque esclusa la necessità di una prognosi di successo del richiedente nel merito, volta a indagare la condotta dei soggetti fiduciari che si presume violata e dunque a pronunciarsi sulla violazione dei fiduciary duties (presupposto per l’accesso a libri e registri). La Corte, infatti, una volta accertata la ricorrenza estrinseca dei requisiti della Sec. 220 DGCL, concederà all’azionista il diritto di ispezione senza, tuttavia, entrare nel merito né valutare la fondatezza dell’azione di responsabilità [[13]]. Risulta dunque intuitivo come, ragionando in termini di onere della prova, lo standard di questo strumento a tutela [continua ..]


3. Lo standard del diritto di ispezione: doveri fiduciari, business judgment rule ed exculpatory clause

È un principio cardine del sistema societario statunitense quello secondo cui gli affari della corporation sono gestiti dagli, o sotto la direzione degli, amministratori [[16]]. Nello svolgere questo compito, essi hanno un’obbligazione di natura fiduciaria nei confronti della società e degli azionisti [[17]]. In generale, il contenuto di questa ob­bligazione è costituito dal duty of care, che si riflette nella necessità che gli amministratori agiscano diligentemente e prudentemente ogniqualvolta compiano operazioni per conto della società assumendo le loro decisioni in modo informato [[18]], e dal duty of loyalty, che impone agli amministratori di non usare la propria posizione al fine di favorire il proprio interesse [[19]]. Secondo quest’ultimo dovere, infatti, una lealtà assoluta e incondizionata verso la società richiede che non vi sia alcun conflitto tra funzione societaria e interesse personale [[20]]. È altrettanto radicale nel Delaware l’orientamento che concede il rimedio della Sec. 220 DGCL quando si contesti l’indipendenza e l’assenza di conflitti di interesse degli amministratori [[21]] e, in particolare, quando la condotta censurata riguardi la nomina dei membri del board o l’adozione di procedural safeguards [[22]]. Alla luce di quanto finora esposto, quindi, la richiesta di prendere visione di libri e registri per indagare sulla cattiva gestione e su possibili irregolarità (e dunque una possibile violazione del duty of care) e sull’indipendenza e assenza di conflitti di interesse degli amministratori (e dunque una possibile violazione del duty of loyalty) costituisce un proper purpose per concedere all’attore la possibilità di proseguire le proprie indagini, ponendo in essere atti di ispezione. Va tuttavia rilevato come il diritto di ispezione non assuma valenza assoluta e sia controbilanciato dalla business judgment rule e dalla (eventuale) presenza di una exculpatory clause negli articles of incorporation. Sotto tale profilo, infatti, mentre la prima regola impedisce in linea generale ad una corte di attuare un second guessing sulle scelte imprenditoriali degli amministratori, presumendo che questi abbiano adempiuto al loro duty of care, l’exculpatory [continua ..]


4. Il precedente: In re Walt Disney Co. Derivative Litigation e i parametri di condotta fiduciaria coinvolti

Nel decidere la controversia in esame, la Corte richiama costantemente la decisione In re Walt Disney [[26]], della quale è quindi opportuna una breve esposizione, trattandosi di un caso in buona parte analogo a quello in commento [[27]]. La Corte Suprema nel caso Disney, accogliendo un orientamento della Court of Chancery che aveva cominciato a delinearsi nella prima metà degli anni ‘90, enunciò il principio generale secondo cui gli amministratori delle società del Delaware hanno un dovere fiduciario di agire in buona fede, che non confluisce nel duty of care o nel duty of loyalty ma ha natura autonoma [[28]] ed è costituito da una “true faithfulness and devotion to the interest of a corporation and its shareholders” [[29]]. Nonostante la proclamazione di questo dovere di buona fede, la Corte stabilì che, benché la condotta del CEO e del consiglio di amministrazione in quel caso non fosse stata ottimale, non era in mala fede e ne derivò la regola secondo cui l’ordinary neglicence non è sufficiente a costituire una violazione dei doveri fiduciari data la protezione della business judgment rule e l’exculpatory clause negli articles of incorporation [[30]]. Il board andò inoltre esente dalla contestazione di corporate waste [[31]]. Sebbene la nozione di “good faith” abbia avuto una lunga e travagliata storia nel diritto societario del Delaware [[32]], l’innalzamento a dovere autonomo, al tempo della decisione In re Walt Disney e ancora oggi con il provvedimento in commento, è un concetto in divenire [[33]]. Sotto tale profilo, la decisione In re Caremark del 1996 [[34]] aveva dato luogo ad un dibattito sull’autonomia di detta regola di condotta [[35]] a cui aveva fatto seguito una vasta discussione dottrinale, concentrata soprattutto nella fase in cui Disney V stava per essere decisa  [[36]]. In tale contesto, la dottrina aveva illustrato come nel Delaware esistessero due tipologie di buona fede [[37]]: la prima, generalmente riferita come “old good faith” o “subjective good faith”, basata sull’assunto secondo cui l’agire in buona fede si estrinsecherebbe nella valutazione di una [continua ..]


5. L’analisi dei doveri fiduciari nella decisione: a) gli indizi di violazione nel processo di assunzione del CEO

Disney III era cominciata con la contestazione dell’attore secondo cui gli amministratori avevano preso consapevolmente e intenzionalmente una decisione rilevante per la società senza informazione adeguata e non curandosi delle possibili conseguenze [[48]]. La domanda, giudicata meritevole di tutela giudiziaria così da superare una motion to dismiss, determinò l’avvio di un’azione per “breach of the directors’obligation to act honestly and in good faith in the corporation’s best interests”. Il provvedimento in esame collega le contestazioni mosse nei confronti del CEO e degli amministratori di Disney a quelle dell’attore nei confronti degli amministratori di Yahoo, analizzando il parametro sancito alla luce della prima decisione e attuandolo poi al caso in esame (sia pure solo in funzione del diritto di ispezione, non quindi al fine di riconoscere nel merito una violazione dei doveri fiduciari, violazione che, ad opinione della Corte, sembra esservi stata, ma il cui rilievo andrebbe oltre i limiti della domanda). La Court of Chancery divide ideologicamente il momento di assunzione e nomina del COO da quello di licenziamento senza giusta causa, insistendo peraltro sul carattere soltanto artificiale della separazione, dovendo i momenti essere considerati fattualmente e giuridicamente correlati [[49]]. Nel processo di nomina, secondo la tesi dell’attore accolta dalla Corte, il CEO non avrebbe fornito le necessarie informazioni al consiglio di amministrazione e, nella decisione di aumentare il compenso in caso di licenziamento senza giusta causa, non avrebbe adeguatamente informato il comitato nomine dei cambiamenti rilevanti che, di fatto, avevano aumentato notevolmente l’esborso dovuto da Yahoo in caso di licenziamento senza giusta causa [[50]]. Sotto tale profilo, l’approvazione da parte del comitato nomine dell’offerta originale e l’autorizzazione a continuare la trattativa sarebbero state viziate dalle erronee e incomplete informazioni fornite dal CEO. È, infatti, un principio saldo quello per cui il chief executive officer non può agire in maniera contraria a quanto deliberato dal consiglio di amministrazione, avendo gli officers un dovere di ottemperanza alle direttive del board  [[51]]. Corollario di questo principio è [continua ..]


6. (segue) b) … il sospetto di violazione nel processo di licenziamento

Mentre nel processo di nomina l’attenzione sembra posta più sul CEO e sul consiglio di amministrazione, in quello di licenziamento è maggiormente coinvolto anche il comitato nomine. Analogamente alla scelta del CEO in Disney, i problemi ineriscono alla decisione di licenziamento senza giusta causa, compiuta unilateralmente dal CEO di Yahoo, e vissuta nella più totale acquiescenza da parte del comitato nomine che, nonostante le gravi implicazioni economiche, si limitò a recepirla, non sindacandola né compiendo alcuna analisi sul merito [[57]].


7. La possibile contestazione di corporate waste

I due momenti della vicenda in commento, collegati dal punto di vista logico, costituiscono, ad opinione della Corte, una ragione per ritenere che possa essere occorso anche un corporate waste [[58]]. L’accusa di corporate waste, in generale, richiede il superamento, con l’onere della prova gravante sull’attore, di un test complesso [[59]]. Con riguardo al compenso degli amministratori, lo standard è, invece, più agevole. È, infatti, una lunga tradizione della Corte Suprema del Delaware quella di qualificare il waste attraverso un bilanciamento tra il principio di discrezionalità nella remunerazione degli amministratori e i criteri di proporzionalità e ragionevolezza [[60]]. La Corte ha così in passato affermato che le decisioni inerenti alla remunerazione assunte dal consiglio di amministrazione sono protette dalla business judgment rule a meno che non venga dimostrato che quell’ammontare, rapportato ai servizi ricevuti in cambio, costituisca un waste o sia contrario al prodotto del valido esercizio del business judgment [[61]].


8. Discovery e incorporation by reference doctrine

Da ultimo, la Court of Chancery insiste sulla necessità di delimitare e precisare l’ambito della discovery¸ cioè di circoscrivere il materiale istruttorio acquisibile fuori dalla sede giudiziale prima dell’instaurazione del giudizio di merito. Rilievo importante è, infatti, quello secondo cui il diritto di ispezione ai sensi della Sec. 220 DGCL, una volta concesso, non attribuisce all’azionista una “wide-range discovery” su tutti i documenti in possesso della società citata in giudizio. La circostanza non è priva di conseguenze sul piano pratico e vale a distinguere la discovery ex Sec. 220 DGCL dalla discovery nelle plenary actions. Nel giudizio ordinario, infatti, l’onere di limitare la portata dell’ispezione è addossato in capo al soggetto passivo mentre, nell’ambito del giudizio sommario della Sec. 220 DGCL, è l’attore richiedente a dover circoscrivere l’ambito della discovery, sul quale poi si pronuncerà la Court of Chancery [[62]]. Invero, la Sec. 220(c) DGCL autorizza la corte a prescrivere limitazioni o condizioni al diritto di ispezione [[63]] e tale prerogativa è il frutto di un giudizio di bilanciamento tra il diritto dell’azionista ad ispezionare i libri sociali ed il business judgment degli amministratori [[64]]. Infine, nell’ultima parte del provvedimento, la Corte ha accolto la richiesta di Yahoo di includere ogni documento prodotto a seguito dell’esercizio del diritto di ispezione in ogni successivo procedimento o azione che Amalgamated Bank potrà promuovere nei confronti di Yahoo, affermando come tale condizione tuteli sia l’in­te­res­se di Yahoo sia l’interesse del sistema giudiziario affinché ogni altra azione di Amalgamated Bank non sia basata su una documentazione prodotta selettivamente [[65]]. Tale posizione della Court of Chancery accoglie pienamente la c.d. “incorporation by reference doctrine” [[66]].


9. Cenni al diritto di ispezione dell’azionista nell’ordinamento giuridico italiano

Alla luce di quanto sopra affermato, può essere interessante chiedersi se nell’or­di­namento giuridico italiano delle società per azioni vi sia uno strumento simile alla Sec. 220 DGCL. Come noto, ai sensi dell’art. 2422 c.c., i soci hanno il diritto di ispezionare il “libro dei soci” e il “libro delle adunanze e delle deliberazioni dell’assemblea”. Diversamente da quanto previsto in tema di società di persone (art. 2261 c.c.) e società a responsabilità limitata (art. 2476 c.c.), la disciplina applicabile per le società per azioni è fortemente limitativa [[67]]. Come risultante dal dato letterale, infatti, la possibilità per il socio di porre in essere atti di ispezione è circoscritta ed è esclusa la visione degli atti dell’organo amministrativo [[68]]. Posto quindi che non tutti i libri sociali sono soggetti al diritto di ispezione [[69]], la dottrina è concorde nel ritenere che il silenzio legislativo relativo agli altri libri sociali (principalmente il “libro delle adunanze e deliberazioni del consiglio di amministrazione” e il “libro delle adunanze e deliberazioni del collegio sindacale”) permetta comunque l’esercizio del diritto di ispezione da parte degli stessi soggetti di cui il libro documenta le deliberazioni: rispettivamente, quindi, da ciascun amministratore e da ciascun sindaco [[70]]. Le ragioni di tale approccio si ravvisano nella necessità di concedere l’ispezione agli amministratori, in quanto essendo soggetti deputati alla gestione sociale non possono essere estranei ad alcun aspetto della vita societaria; ai sindaci, in quanto l’esame dei libri sociali rappresenta un elemento costitutivo del loro dovere di vigilanza [[71]]. Interessante, sotto questo profilo, è la questione se gli amministratori possano analizzare il libro dei verbali del collegio sindacale. Sul punto, va rilevata la divisione della dottrina tra chi ammette tale possibilità e propende per una conoscibilità assoluta dei rilievi del collegio sindacale da parte dell’organo amministrativo [[72]] e chi, invece, la nega, salvo espresso consenso dei sindaci [[73]]. Assunto, dunque, che l’esercizio del diritto di ispezione ex art. 2422 c.c. si qualifica come un diritto di controllo che permette ai soci [continua ..]


NOTE