Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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I “particolari diritti riguardanti l'amministrazione della società” a responsabilità limitata e i profitti extralucrativi nel diritto societario (di Ruggero Vigo)


SOMMARIO:

1. Gli interessi del socio privilegiato - 2. Il socio “mero” e il socio portatore di interessi personali - 3. Il principio di esclusività dello scopo lucrativo - 4. Gli interessi non lucrativi - 5. Interessi egoistici ed autonomia statutaria - 6. Impresa collettiva e profitti non lucrativi - 7. Particolari diritti amministrativi sottoposti alla disciplina del conflitto di interessi - 8. La determinazione dell’interesse personale - 9. Il meccanismo della modificabilità e del recesso - 10. La “rilevante” modificazione - 11. Alcuni corollari - 12. (Continua) - 13. Il recesso dei soci non privilegiati - 14. I due modelli di privilegio amministrativo - NOTE


1. Gli interessi del socio privilegiato

L’art. 2468, 3° comma, c.c. consente che i soci sottopongano il modello societario legale a due varianti, mediante le quali alcuni quotisti ottengono ora privilegi economici, ora privilegi amministrativi. Una volta, i quotisti beneficiati partecipano alla ripartizione degli utili in misura superiore a quella legale; nell’altro caso, essi esercitano poteri amministrativi maggiori di quelli ordinari. Il codice non indica gli interessi per realizzare i quali i soci inseriscono nell’atto costitutivo l’una o l’altra clausola, ma non vi è dubbio che i particolari diritti riguardanti la distribuzione degli utili corrispondono all’interesse personale del socio beneficiario. Non è altrettanto palese quali interessi recepiscano i privilegi di ordine amministrativo 1. In modo non equivoco la norma fa comprendere soltanto che è consentito all’autonomia statutaria operare una deroga che non si appunta sul momento finale del riparto degli utili, ma risale alla gestione dell’impresa, giacché i “particolari diritti” così ottenuti dal quotista nell’atto costitutivo hanno ad oggetto “l’amministrazione della società”. Si potrebbe argomentare che, per il fatto stesso che vi è una situazione giuridica attiva (“un particolare diritto”) e che essa non è stata asservita (non espressamente, almeno) ad un interesse alieno, il privilegio soddisfa un interesse personale del socio, alla stessa stregua del privilegio patrimoniale. Ma si potrebbe ribaltare questo approccio e asserire che l’atto costitutivo assegna al socio il privilegio amministrativo affinché egli coltivi lo scopo lucrativo comune a tutta la compagine sociale meglio di quanto avverrebbe lasciando operare gli ordinari processi decisori 2. Nel fatto stesso che il privilegio amministrativo è esercitato all’interno della società, sarebbe implicitamente stabilito che quel potere è strumentale alla cura dell’interesse comune ai soci, e non alla ricerca di un vantaggio personale del socio beneficiato. Il raffronto con il privilegio patrimoniale sarebbe poco significativo perché quest’ultimo si colloca nel momento (idealmente) successivo all’esercizio dell’impresa, quando non vi è da decidere come svolgere l’attività produttiva, ma come distribuirne il reddito fra i [continua ..]


2. Il socio “mero” e il socio portatore di interessi personali

L’esame del rapporto fra le due serie di interessi (e quindi fra le funzioni dei privilegi amministrativi) conduce ad una distinzione. a) Quando è attribuito ad un socio che non è portatore di interessi personali che possano interferire con l’impresa sociale (si potrebbe dire, quando il beneficiario è un “mero socio”), il privilegio amministrativo è funzionale soltanto alla migliore cura dell’interesse sociale. In questo caso l’atto costitutivo attribuisce ad un socio privilegi amministrativi aventi soltanto la funzione di guidare la società verso le decisioni più efficaci per raggiungere lo scopo lucrativo. Quando redigono l’atto costitutivo i soci sanno che nel corso della gestione del­l’im­presa sarà necessario assumere numerose decisioni. A tal fine saranno seguiti i procedimenti deliberativi previsti dalla legge e dall’atto costitutivo, che può munire alcuni soci di particolari diritti amministrativi. In questo senso i privilegi amministrativi sono utili a risolvere difficoltà di valutazioni e non conflitti di interessi, ed è irrilevante che il privilegio amministrativo sia stato riconosciuto al socio perché tutti ne apprezzano le competenze o perché egli ne ha fatto una condizione per entrare in società. b) Ma è possibile, e forse non è rarissimo, che il socio privilegiato sia portatore di interessi personali che interferiscono con l’impresa societaria7. Tale interferenza può generare un conflitto inconciliabile con l’interesse sociale, sicché, esercitando il “particolare diritto”, il socio fa prevalere il suo interesse, o ne accetta il sacrificio (b/1). Se i due interessi si fron­teggiano in termini di conflittualità, si prospetta davvero l’alternativa inizialmente delineata, che peraltro non è necessariamente risolta tutta in favore di un interesse o dell’altro. La scelta della legge può essere interamente rivolta in una direzione, ma può essere meno drastica, ed allora vi è un’area nella quale la norma consente al socio di perseguire il proprio interesse, ed un’altra nella quale glielo vieta. Anzi, la realtà è ancora più articolata perché altre volte l’interferenza fra le due serie di interessi (quello egoistico e quello sociale) non si propone [continua ..]


3. Il principio di esclusività dello scopo lucrativo

La legge può dettare le norme applicabili alle fattispecie considerate seguendo in modo rigoroso il principio della esclusività dello scopo lucrativo. Questo principio implica che, se vi è un rapporto di incompatibilità (b/1), l’interesse personale del socio non prevale mai sull’in­teresse sociale. Comporta inoltre che, quando non vi è conflitto (b/2, b/3), l’interesse personale del socio resta un interesse semplice e viene soddisfatto soltanto in fatto. Il privilegio del socio è funzionale soltanto allo scopo lucrativo. La norma può anche non vietare al socio di esercitare il suo “particolare diritto” in modo da acquisire un vantaggio personale, ma quell’interesse non ha ingresso all’interno della società. Non è però davvero incontestabile che la riforma societaria sia così fedele al dogma lucrativo, e ne tragga immancabilmente ogni implicazione. Un segnale in senso “non lucrativo” offre la novella del 2003, laddove essa costruisce intorno ai privilegi dei soci l’inconsueto meccanismo degli artt. 2473 e 2479, per il quale vi è contemporaneamente la modificabilità e l’im­mo­di­ficabilità a maggioranza e il diritto di recesso. E viene da osservare che non sarebbe stato necessario apprestare un congegno tanto complesso se gli organi della società e i soci privilegiati perseguissero soltanto lo scopo lucrativo, sicché ogni dissenso in società attiene al modo migliore in cui perseguire lo scopo lucrativo, e non vi è mai un conflitto di interessi endosocietari. Ma soprattutto in questo studio ci si sforza di non esorcizzare un dato della realtà, quale è la ricerca, da parte di alcuni soci, di benefici personali ricavabili dalla appartenenza alla compagine societaria 8. Si reputa opportuno sottoporre questo fenomeno ad una disciplina giuridica adeguata, così evitando che esso si sviluppi soltanto in fatto e quindi viva in modo opaco ed incontrollato. La previsione dei particolari diritti amministrativi, e lo “strano” regime al quale essi sono sottoposti offrono occasioni interpretative che si tenterà qui valorizzare 9.


4. Gli interessi non lucrativi

Gli interessi personali del socio che potrebbero essere perseguiti per mezzo del privilegio amministrativo sono qui denominati “non lucrativi”, ma non perché essi si collochino in una sfera ideale, bensì per mettere in evidenza che sono interessi economici diversi dall’interesse a partecipare alla ripartizione degli utili accumulati presso la società proprio per essere distribuiti. Quelli presi in considerazione sono quindi interessi economici “diretti”, nel senso che il socio mira ad acquisire un’utilità economica in modo immediato e nel corso dell’impresa, piuttosto che prendere parte alla distribuzione degli utili, a chiusura dell’esercizio, quando vi è un trasferimento unilaterale di denaro dal patrimonio sociale al suo patrimonio personale. Così intesi, i privilegi amministrativi soddisfano interessi prettamente economici e sono conquistati da uno, da alcuni, o sono assegnati a tutti i soci, in ragione di due fattori: la forza contrattuale di ogni socio e la sua attitudine a volgere a proprio vantaggio le opportunità generate dall’esercizio dell’impresa comune. Fra i soci che vengono in evidenza vi è anche quello che esercita un’attività di direzione e coordinamento di imprese, ma accanto a lui possono ben esservi soci che hanno poteri minori e minori occasioni di proficua interferenza, e pur tuttavia sono portatori di interessi extralucrativi. Dall’interpretazione “egoistica” dei privilegi amministrativi ammessi dall’ordinamento discende una modifica della causa del contratto di società. L’interesse personale del socio si eleva a interesse sociale statutario. La società non persegue più soltanto lo scopo legale lucrativo, ma persegue anche lo scopo personale del socio privilegiato. Le clausole statutarie che attribuiscono ad un socio il diritto di intervenire nel processo decisorio della società, affinché essa assuma misure amministrative strumentali a raggiungere scopi diversi da quello comune, segnano un’innovazione che bisogna inserire, non senza fatica, nel tessuto del diritto societario. Se così intesa, è questa relativa ai particolari diritti riguardanti l’amministrazione della società una norma senza corrispondenza negli statuti delle s.p.a., che non potevano e non possono creare privilegi amministrativi, se non nel [continua ..]


5. Interessi egoistici ed autonomia statutaria

La legge delega per la riforma del diritto societario volle che fossero ampliati “gli ambiti dell’autonomia statutaria, tenendo conto della esigenza di tutela dei diversi interessi coinvolti” (art. 2, 1° comma, lett. d), legge 3 ottobre 2001, n. 366). Ponendo tale direttiva il legislatore delegato prese in considerazione anche il fenomeno dei profitti personali dei soci e consentì loro di recepire all’interno degli equilibri societari (e quindi all’interno della causa societaria) l’interesse ad acquisire benefici privati. A differenza di quanto avvenne nel 1942, ora il legislatore non ha ritrosia a prendere atto che taluni soci partecipano all’impresa sociale per procacciarsi “ritorni” eterogenei e aggiuntivi rispetto agli utili che spartiranno con gli altri soci. È presumibile che l’ideologia della legge sia mutata anche perché la riforma societaria è maturata in un periodo in cui la letteratura economica discute dei private benefits, sia pure in un’ottica ristretta, e cioè in riferimento ai costi di agenzia nella s.p.a. controllata dai soci di comando 10; mentre l’economia aziendale li prende in considerazione al fine di valutare quale premio di maggioranza meriti colui che trasferisce il controllo della società 11. Per conseguenza, all’inizio del nuovo secolo la legge sa che, pur essendo inderogabilmente costituita per soddisfare un interesse comune, l’impresa societaria può essere piegata dai soci a perseguire anche interessi personali di alcuni di loro o di ciascuno di loro. Il legislatore del 2003 non considera inevitabilmente censurabile che la società coltivi anche scopi diversi da quello lucrativo; non ignora questo fenomeno, ma lo regola. Ciò suggerisce un ripensamento interpretativo della sequenza societaria enunciata nell’art. 2247 c.c., nella quale si susseguono la prestazione dei conferimenti, l’esercizio dell’attività economica, la temporanea accumulazione di utili in capo alla società e, infine, la distribuzione dei medesimi fra i soci. Dopo la riforma, il meccanismo societario può ricomprendere anche una variante, in quanto i soci possono porre in essere una società che persegue anche altri scopi, e la legge interviene per regolare le conseguenze dell’innovazione voluta dai soci. Nella prospettiva prescelta si coglie [continua ..]


6. Impresa collettiva e profitti non lucrativi

L’interesse del socio a ritrarre dall’impresa societaria profitti personali economici non lucrativi non si manifesta soltanto nella s.r.l. Al contrario, nel corso dello svolgimento di ogni impresa collettiva si generano opportunità economiche non suscettibili di essere accumulate e poi ripartite fra i soci, ma dalle quali alcuni soci aspirano a trarre profitto diretto e personale. In ogni tipo societario, dunque, il legislatore decide se vietare (o, quantomeno, avversare) l’acquisizione di profitti extralucrativi; o tollerarla, ignorandola; o approvarla, consentendo che i soci ne facciano oggetto di apposite pattuizioni. (Meno probabile – ma non impossibile – che la legge, con una norma astratta, possa addirittura istituire essa stessa un diritto a conseguire quei benefici, che sono connessi a particolari situazioni di fatto). La legge istituisce il divieto di acquisire profitti personali quando ripone fede nella lucratività “pura” e quindi considera indegni gli interessi extralucrativi dei soci. Il legislatore adotta la seconda opzione quando il suo approccio è agnostico. In tal caso la legge tace: non consente che sia attribuito ad alcun socio il diritto soggettivo di conseguire un profitto extralucrativo, e tuttavia lascia che risultati vantaggiosi siano ottenuti, ma soltanto di fatto, da chi esercita il controllo della società. Ma ignorare il fenomeno degli interessi egoistici comporta che la ricerca dei profitti extralucrativi si svolge in assenza di adeguati controlli giuridici. E anche per questa ragione talvolta la legge attribuisce efficacia giuridica alle clausole statutarie o agli accordi parasociali con i quali è più facile per alcuni soci conseguire, ma ancora soltanto di fatto, benefici non lucrativi. Ci si avvicina così alla situazione nella quale la legge accoglie l’assunto per cui anche gli interessi extralucrativi dei soci possono meritare riconoscimento all’interno degli accordi societari, e attribuisce validità alle clausole statutarie che assegnano ad alcuni soci il diritto di acquisire benefici personali: donde gli espliciti privilegi amministrativi qui in esame. Quest’ultima ipotesi si avvera più facilmente quando è presumibile che i rapporti di forza contrattuale fra i soci siano equilibrati, e pertanto la legge non è stretta dal timore che quelle clausole generino abusi in danno dei soci [continua ..]


7. Particolari diritti amministrativi sottoposti alla disciplina del conflitto di interessi

In questa cornice si inserisce l’art.  2468, 3° comma, c.c., che attua la già citata direttiva della legge delega e consente che l’atto costitutivo della s.r.l. disponga l’attribuzione a singoli soci di particolari diritti riguardanti l’amministrazione della società 13. Ma il legislatore non può fermarsi a questa disposizione. Se i “particolari diritti riguardanti l’amministrazione della società” non sono attribuiti soltanto al “mero socio”, diviene necessario regolare il rapporto fra l’esercizio del privilegio amministrativo del socio e lo scopo lucrativo. Il fatto che ai soci è attribuita una maggiore autonomia negoziale, e che una clausola statutaria istituisce privilegi amministrativi finalizzati al raggiungimento di profitti personali, non impedisce, ma impone alla legge di creare meccanismi volti a coordinare gli interessi personali dei soci, che sono ormai interessi endosocietari, e l’interesse comune a tutti i soci. Si è già detto nel § 2. che le decisioni amministrative che il socio privilegiato imputa alla società possono essere, di volta in volta, idonee a conseguire il suo interesse personale e a soddisfare nel contempo anche quello collettivo lucrativo; o atte a soddisfare il suo interesse personale senza (giovare, ma anche senza) pregiudicare quello comune; o capaci di soddisfare il suo interesse personale, ma pregiudizievoli di quello comune: pregiudizievoli in termini di occasioni di profitto perdute o di minori incassi o di maggiori spese. Con riguardo alla fattispecie del conflitto, e in relazione ai “particolari diritti”, il codice assume due posizioni ben distinte. Le norme ordinarie sul conflitto di interessi negli organi della s.r.l. sono applicabili anche in presenza di privilegi amministrativi. Esse pertanto disciplinano le delibere dei soci anche quando uno di loro è munito di un voto in assemblea più che proporzionale rispetto alla sua quota. Regolano le decisioni degli amministratori anche quando uno di loro è amministratore in forza del suo privilegio.


8. La determinazione dell’interesse personale

Viceversa, le norme ordinarie sul conflitto di interessi non operano quando il privilegio amministrativo è esercitato al di fuori del procedimento decisionale degli organi societari. Così, ad esempio, quando il socio privilegiato ha il diritto di indicare agli amministratori i fornitori della società per l’acquisto di talune materie prime 14. La legge avrebbe potuto dettare una disciplina ad hoc, forse adattando quella del conflitto d’interessi all’interno degli organi societari. Ma ciò non è avvenuto, e questa inerzia ha alimentato un’interpretazione restrittiva dei “particolari diritti” amministrativi, a mente della quale essi non sarebbero configurabili dagli statuti se non in modo da operare all’interno degli organi societari, nei quali il conflitto è combattuto. Questa posizione è prevalente nella dottrina perché è profondamente radicata nella cultura giuridica la convinzione che l’“autonomia statutaria ha un vincolo, sul piano dell’agire, che risiede nel conflitto di interessi”, onde giammai la libertà del socio “può sfociare nel conflitto di interessi”, né “può mai essere permesso che nella divergenza dell’interesse personale del socio rispetto a quello sociale, questi, portatore di un duplice interesse, lecitamente realizzi il primo e così sacrifichi il secondo”. E questa convinzione si fonda anche sul timore che, ove non operasse la disciplina del conflitto di interessi, la gestione della società diverrebbe “un vero e proprio far west” 15. Un “far west”, in effetti, si verrebbe a creare se il socio potesse usare il suo privilegio amministrativo per perseguire ogni interesse extralucrativo secondo termini e modalità imprecisate e quindi imprevedibili. Ma quel pericolo non si avvera se, affinché il contratto sociale sia determinato, è necessario che risultino dalla clausola statutaria l’interesse a servizio del quale si pone il privilegio e i termini entro i quali lo scopo lucrativo può essere legittimamente posposto a quello egoistico. Ove ciò non avvenga la clausola va interpretata nel senso che il privilegio è attribuito soltanto per addivenire alle decisioni con le quali perseguire nel modo più efficace lo scopo lucrativo. E di conseguenza, in questo caso, [continua ..]


9. Il meccanismo della modificabilità e del recesso

La prevalenza dell’interesse extralucrativo non soltanto è circoscritta dalla clausola statutaria. È anche di volta in volta avversabile dai soci, dal momento che il legislatore della riforma non ha realmente ignorato il problema del conflitto, ma ha adottato un approccio non tradizionale, costruendo un meccanismo capace di far sì che il coordinamento delle due cause si svolga in concreto, sia affidato ad un giudizio di merito dei soci e non ad un giudizio di legittimità del giudice, e non intralci l’esercizio dell’impresa. L’art. 2468, 4° comma, c.c. stabilisce che i diritti amministrativi del socio privilegiato «possono essere modificati solo con il consenso di tutti i soci». Tuttavia, l’art. 2479, 1° comma, n. 5, c.c. prevede che l’assemblea della s.r.l. deliberi di compiere operazioni che comportano «una rilevante modificazione dei diritti dei soci» 16. E infine l’art. 2473, 1° comma, c.c. attribuisce il diritto di recesso ai soci che non hanno consentito al compimento di operazioni che comportano «una rilevante modificazione dei diritti attribuiti ai soci a norma dell’art. 2468 quarto comma». Facendo uso di questi tre componenti (immodificabilità a maggioranza, disapplicabilità a maggioranza, recesso) la legge mira a risolvere il conflitto fra le due cause con una valutazione in concreto di merito. Spetta ai soci, nel corso della vita della società, stabilire se l’interesse egoistico del socio privilegiato, descritto nell’atto costitutivo, prevalga sullo scopo lucrativo. A tal riguardo le decisioni dell’assemblea non sono assunte con una unanimità che avrebbe dato uno spropositato potere di veto al socio privilegiato, ma a maggioranza; e tuttavia la maggioranza non decide liberamente perché, se così fosse, il socio privilegiato potrebbe essere sconfitto sistematicamente, e nel corso dell’impresa il suo privilegio statutario sarebbe impunemente svuotato. La legge ha quindi introdotto la norma che consente all’assemblea di deliberare a maggioranza il compimento di operazioni che comportano una “rilevante modificazione dei diritti dei soci” (art. 2479, 2° comma, n. 5, c.c.), e nel contempo ha attribuito ai soci privilegiati, ma ormai di minoranza, e quindi sconfitti, il diritto di recedere di rimando. In tal modo il raccordo fra le due [continua ..]


10. La “rilevante” modificazione

L’art. 2479 c.c. prevede che la delibera dell’assemblea apporti una “rilevante modificazione” al diritto particolare del socio: la formula normativa va intesa nel senso che il diritto del socio non è rimosso, ma subisce una disapplicazione occasionale o, si potrebbe dire, una sospensione. La legge parla di una «modificazione», ma il termine è impreciso, se non fuor­viante, perché l’assemblea non può deliberare a maggioranza non soltanto (come è ovvio) di rimuovere del tutto il diritto amministrativo del socio privilegiato, ma nemmeno di ridurlo, o comunque modificarlo definitivamente. Questa delibera sarebbe contraria all’art. 2468, 4° comma, c.c. L’assemblea può soltanto “interrompere” l’esercizio del particolare diritto am­ministrativo decidendo di compiere una specifica operazione, solo nei limiti della quale l’in­teresse del socio cede all’interesse collettivo. La lettera dell’art. 2479, 1° comma, n. 5, c.c. è ingannevole giacché anche l’art. 2468, 4° comma, c.c., parla di modificazione dei diritti dei soci privilegiati. Si potrebbe quindi concludere che non impropriamente e non a caso l’art. 2479 c.c. usa il medesimo termine «modificazione». Tuttavia, se davvero l’assemblea potesse modificare a maggioranza il particolare diritto amministrativo del socio, vi sarebbe un’interpretazione abrogatrice della regola di unanimità fissata nell’art. 2468, 4° comma, c.c. e questa conclusione pare inaccettabile 21. Vi è da ritenere, piuttosto, che, a maggioranza, il diritto del socio non possa essere modificato, ma soltanto disapplicato in relazione ad una determinata operazione societaria. Quello costruito dalla riforma è un equilibrio di poteri e di contropoteri nuovo, alquanto intricato, ma non irragionevole, giacché – salvo patto contrario – i particolari diritti di alcuni soci possono essere modificati solo con il consenso di tutta la compagine sociale (art. 2468, 4° comma, c.c.), e però la maggioranza può in concreto disattenderli, deliberando il compimento di specifiche operazioni 22; e per contro il socio può recedere.


11. Alcuni corollari

Da queste premesse discendono alcune deduzioni interpretative. a) La sequenza esercizio del privilegio/sospensione/recesso opera quando legittimamente il socio fa valere il particolare diritto per perseguire il suo interesse con danno dell’interesse sociale. Così non è, però, se il socio esercita il potere per perseguire un interesse egoistico diverso da quello recepito nella clausola statutaria, o se la clausola dell’atto costitutivo prevede che egli possa coltivare il suo interesse soltanto quando è sinergico o compatibile con l’interesse comune ai soci. Se quindi il socio fa un uso illegittimo del suo particolare diritto operano sanzioni diverse dal congegno istituito per coordinare le due cause23. b) Si è detto che la legge rimette all’assemblea dei soci il compito di coordinare in concreto le due cause. Ciò comporta che la delibera assembleare che “sospende” il diritto del socio privilegiato non è valida se sacrifica il diritto del socio senza che ciò sia necessario per il raggiungimento dello scopo lucrativo, e quindi sia quando l’esercizio del privilegio avrebbe consentito di soddisfare ambo le cause, sia quando avrebbe soddisfatto l’interesse del socio senza mettere in pericolo quello comune a tutti i soci. Così, ad esempio, non vi è una delibera conforme alla legge se l’assemblea decide di acquistare al medesimo prezzo una materia prima da un fornitore e non dal socio privilegiato, senza che ciò giovi alla redditività dell’impresa. Perché la delibera sia conforme alla legge è necessario che, mediante l’operazione disposta dai soci, la società faccia prevalere l’interesse sociale lucrativo sul contrapposto interesse egoistico del socio privilegiato 24. È valida se l’esercizio del privilegio del socio si oppone allo scopo comune lucrativo. Anzi, in analogia con la disciplina del conflitto di interessi, la delibera con cui l’assemblea sospende il privilegio del socio, è valida anche se il danno per la società è soltanto potenziale. In questi casi gli altri soci possono legittimamente intervenire facendo riemergere l’interesse comune e quindi sostituendosi al socio nella decisione con­flittuale. c) Il meccanismo della sospensione del privilegio e del conseguente diritto di recesso può essere applicato [continua ..]


12. (Continua)

d) Detto meccanismo è inapplicabile quando il socio privilegiato è munito di particolari diritti amministrativi non suscettibili di essere modificati mediante il compimento di un’opera­zione. Così, ad esempio, se il socio privilegiato ha il potere di proporre una rosa di nomi nel cui ambito l’assemblea designa gli amministratori; o se il socio privilegiato ha il potere di porre il veto sulla nomina di un amministratore, i soci non possono contestare le sue decisioni, e sarebbe invalida la delibera della maggioranza lesiva del particolare diritto amministrativo spettante al socio privilegiato. In questo caso non vi è ragione di assegnare una tutela debole al diritto del socio privilegiato perché non sorge il problema di raccordare in concreto i due scopi del contratto di società. Né sarebbe convincente obiettare che, esercitando il suo diritto, il socio non trae immediatamente alcun beneficio personale, ma pone le premesse per farlo in futuro (è quel che avviene, ad esempio, quando il socio compila una lista nel cui ambito l’assemblea delibera la nomina degli amministratori). Manca in questo caso la necessità di risolvere un conflitto di interessi attuale. e) Il socio privilegiato può recedere soltanto se la “modificazione” impostagli è “rilevante”25. Il requisito della rilevanza non va inteso in modo letterale, giacché una modificazione irrilevante non giustificherebbe alcuna reazione. Intenderemmo, quindi, la norma nel senso che si richiede una “modificazione” tanto grave da giustificare, da se stessa, la reazione del recesso. E per giudicare di questa gravità si può fare riferimento all’incidenza del privilegio sulla decisione di investimento assunta dal socio privilegiato in sede di redazione dell’atto costitutivo. Una modificazione è quindi rilevante se comprime la redditività ”lorda”26 del conferimento del socio privilegiato in misura tale che egli non avrebbe deciso di effettuare quell’in­ve­stimento. Quando i soci a maggioranza gli impongono modificazioni meno gravi, o se si preferisce “irrilevanti”, il socio privilegiato non può reagire recedendo e nemmeno in sede risarcitoria, giacché non vi è né una delibera invalida, né un atto illecito. Non può reagire nemmeno con un recesso [continua ..]


13. Il recesso dei soci non privilegiati

Alle delibere assembleari che “sospendono” il privilegio di un socio può reagire esercitando il diritto di recesso non soltanto il socio privilegiato, ma anche ad ogni altro socio dissenziente 27. Questa norma presuppone che possano esistere legami fra il socio privilegiato ed altri soci. Nel momento in cui i soci decidono di modificare (di disapplicare, diremmo) il particolare diritto amministrativo di uno di loro, questi si difende soltanto con la minaccia del recesso, che può privare la società delle necessarie risorse. Il socio sotto attacco, anzi, rafforza la sua minaccia facendo valere il legame con altri soci, sia pure (divenuti) di minoranza, anch’essi pronti a recedere per reazione alla delibera lesiva del diritto amministrativo; anch’essi potrebbero essere muniti di altrettanti particolari diritti amministrativi, che la nuova maggioranza è in grado di violare.


14. I due modelli di privilegio amministrativo

Sono state espresse due opinioni: a) i particolari diritti riguardanti l’amministrazione della società non sono necessariamente strumentali al raggiungimento dello scopo comune lucrativo, ma possono essere istituiti per soddisfare un interesse economico personale del socio privilegiato. Se l’interesse personale del socio privilegiato è confliggente con quello comune ai soci sorge il problema del coordinamento. b) Il coordinamento ha luogo ora attraverso le consuete norme sul conflitto di interessi in assemblea e nei confronti degli amministratori, ora attraverso un congegno ad hoc, che si compone del potere dei soci maggioritari di “modificare” in modo rilevante il diritto del socio (art. 2479, 1° comma, n. 5, c.c.), e del conseguente diritto di recesso dei soci minoritari ai sensi dell’art. 2473, 1° comma, c.c. Questo assetto complessivo può apparire a taluno incongruo, giacché la legge usa due metri diversi per coordinare i due scopi. Peraltro, il privilegio amministrativo che il socio fa valere al­l’interno dell’assemblea e dell’organo amministrativo gli consente di coltivare il suo interesse personale soltanto nei limiti della disciplina ordinaria del conflitto di interessi; viceversa il privilegio amministrativo che egli esercita fuori dall’assemblea e dall’organo amministrativo conosce il diverso limite del controllo di merito di maggioranza. Vi sono quindi due metri diversi perché i soci hanno creato nell’atto costitutivo due privilegi amministrativi aventi valenza diversa.


NOTE
Fascicolo 4 - 2013