Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
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Amministratore di fatto persona giuridica vs. attività di direzione e coordinamento (nota a Trib. Milano, 27 febbraio 2012) (di Tommaso Marsili)


TRIBUNALE DI MILANO, 27 febbraio 2012 – Mambriani Giudice Unico

Società di capitali – Persona giuridica amministratrice – Condizioni – Amministratore di fatto – Inammissibilità

(Art. 2383 c.c.)

 Una società può assumere la carica di amministratore di un’altra società a condizione che: a) sia designato dalla persona giuridica amministrante un “rappresentante persona fisica” che eserciti le funzioni di amministratore della società amministrata; b) la persona fisica designata sia assoggettata a tutti gli obblighi e responsabilità dell’amministratore persona fisica, in solido con la società amministratrice designante; c) siano assoggettate a formalità pubblicitarie sia la società amministratrice designante sia la persona fisica designata. Poiché queste condizioni non possono essere soddisfatte per comportamento concludente, una persona giuridica non può essere qualificata come amministratore di fatto. (1)

 

Attività di direzione e coordinamento di società – Legittimazione attiva all’esercizio dell’azione di responsabilità – Società controllata – Sussiste

(Art. 2497 c.c.)

La società soggetta ad attività di direzione e coordinamento è legittimata ad esercitare l’azione di responsabilità ai sensi dell’art. 2497 c.c. nei confronti della società controllante. (2)

 

Attività di direzione e coordinamento di società – Azione di responsabilità – Obbligo di preventiva escussione della società controllata – Non sussiste

(Art. 2497 c.c.)

Non sussiste alcun obbligo di preventiva escussione della società controllata a carico del socio che eserciti l’azione di responsabilità nei confronti della società controllante ai sensi dell’art. 2497 c.c. (3)

 

Attività di direzione e coordinamento di società – Rapporto di controllo contrattuale ai sensi dell’art. 2359 n. 3 c.c. – Unico cliente – Non sussiste

(Art. 2497 c.c.)

In difetto di altre circostanze di fatto l’unico cliente della società non può essere qualificato come soggetto controllante ai sensi dell’art. 2359, n. 3, c.c. (4)

 

Attività di direzione e coordinamento di società – Azione di responsabilità ex art. 2497 c.c. – Presupposti

(Art. 2497 c.c.)

 Ai fini della sussistenza della responsabilità ex art. 2497 c.c. occorre la prova: a) dell’esercizio da parte di una società di attività di direzione e coordinamento nei confronti di altre; b) dell’an­tigiuridicità della condotta, cioè dell’esercizio di quell’attività nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui, dunque estraneo a quello della società soggetta alla sua direzione e coordinamento e in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società sottoposte ad essa; c) dell’evento dannoso, ovvero del pregiudizio arrecato al valore o alla redditività della partecipazione; d) del nesso di causalità tra condotta ed evento. (5)

 

REPUBBLICA ITALIANA

TRIBUNALE DI MILANO

VIII SEZIONE CIVILE

Il Tribunale di Milano, Sezione VIII Civile, costituito in composizione monocratica in persona del Giudice dott. Angelo Manbriani, ha emesso, in nome del Popolo Italiano, la seguente

SENTENZA

nella causa civile di primo grado di cui in epigrafe promossa:

A.L.B. e O. S.r.l. in liquidazione, elettivamente domiciliati in Milano, via Bandello n. 5 presso lo studio dell’Avv. Matteo Ponti, che li rappresenta e difende come da delega a margine dell’atto di citazione.

ATTORE/I

 

contro

 

  1. S.p.A.elettivamente domiciliata in Milano, Via Fantoli n. 6/11, presso lo studio dell’Avv. Andrea Saccardi, che con l’Avv. Anna Maria Bertini del Foro di Genova la rappresenta e la difende come da delega alla comparsa di costituzione e risposta.

CONVENUTO/I

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

 

Con atto di citazione notificato in data 9 settembre 2009, la Società O. S.r.l. (di seguito: O.) in liquidazione e il Sig. A.L.B., in qualità di liquidatore e quindi legale rappresentante della società stessa, convenivano avanti a questo Tribunale la società S. S.p.A. (di seguito: S.), perché fosse:

a) accertato l’esercizio, da parte di S. nel corso degli anni 2007/2009, dell’amministrazione di fatto/attività di controllo e direzione e coordinamento di O. e condannare parte convenuta al relativo risarcimento del danno patito sia da O. che da parte del B., socio della società medesima;

b) pronunciata ordinanza di ingiunzioneex 186 ter c.p.c. per la somma di € 107.462,21 portata dalle fatture n. 35 – 43 del 2008 oltre interessi.

Con comparsa di costituzione e risposta depositata il 17 dicembre 2009, la società S. S.p.A. si costituiva opponendosi a tutto quanto ex adverso dedotto ed eccepito, in particolare evidenziando l’infondatezza della domanda di parte attrice di cui al punto sub a) in forza dell’inap­plicabilità al caso di specie degli articoli 2359 c.c. e 2497 c.c., implicitamente richiamati da parte attrice.

Infine, sul punto S., rilevava l’omessa allegazione da parte di O. del nesso causale esistente tra condotta (l’ipo­tizzata attività di amministrazione di fatto/attività di controllo e direzione e coordinamento) e il danno asseritamente patito.

Per quanto attiene l’emissione, richiesta da parte attrice, dell’ordinanza ex art. 186 ter c.p.c., S. rilevava l’ini­doneità, al fine di provare la sussistenza di un credito, della produzione in giudizio di sole fatture in quanto le stesse, formate unicamente da una parte, non possono assurgere a prova del contratto ma al più rappresentare un mero indizio della stipulazione dello stesso.

Infine parte convenuta formulava domanda riconvenzionale per il pagamento di € 167.438,38 derivante dai contratti di noleggio stipulati tra le parti o in subordine, il pagamento, immediatamente esecutivo ex art. 186 ter, della somma di € 59.976,17 risultante dalla differenza tra le opposte ragioni di credito vantate dalle parti.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

 

La domanda di parte attrice è infondata e dunque non può essere accolta.

 

  1. L’asserita attività di gestione e amministrazione di fatto/direzione e coordinamento: premesse

* Anzitutto, deve porsi mente alla domanda proposta da parte attrice in merito all’asserita “attività di gestione e amministrazione di fatto/attività di direzione e coordinamento operata da S. S.p.A. su O. S.r.l.”.

Sul punto, pare doveroso mettere in evidenza la distinzione esistentee non adeguatamente identificata da parte attrice, tra la nozione di amministratore di fatto e di attività di direzione e coordinamento.

La prima, invero, presuppone un’ingerenza completa e sistematica nella gestione sociale (direttive impartite, condizionamento delle scelte operative dell’ente) da parte di un soggetto privo, nell’ambito della società stessa, di una investitura formale. Tale ingerenza deve peraltro consistere nell’esercizio dei poteri tipici dell’amministra­tore di diritto.

La nozione di direzione e coordinamento, invece, attiene ad un’attività volta a coordinare la politica economica e le linee essenziali dell’attività delle società collegate, imprimendo una identità o conformità di indirizzi operativi a una pluralità di soggetti formalmente distinti, di modo che il “gruppo” venga gestito in modo unitario.

In base al primo comma dell’art. 2497-sexies c.c. si presume che l’attività di direzione e coordinamento di società sia esercitata in uno dei seguenti casi:

1) la società controllante è tenuta al consolidamento dei bilanci;

2) la società esercita un ruolo di controllo su un’altra società, ai sensi dell’art. 2359 c.c., in quanto:

a) dispone della maggioranza dei voti esercitabili nel­l’as­semblea ordinaria;

b) dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria;

c) esercita un’influenza dominante in virtù di particolari vincoli contrattuali;

3) la società esercita un’attività di direzione e controllo sulla base di un contratto o di clausole contenute negli statuti delle società controllate (2497 septies c.c.).

In sostanza, dunque, sebbene ciò non sia stato messo in evidenza da parte attrice, le due nozioni sono concettualmente e ontologicamente distinte.

Ora, poste le nozioni di amministrazione di fatto e di attività di direzione e coordinamento suindicate deve valutarsi se, come asserito da parti attrici, le stesse si siano realizzate nel caso di specie.

 

  1. L’asserito esercizio di un’amministrazione di fatto.

Anzitutto deve rilevarsi che la prospettazione attorea suppone l’esercizio di un’amministrazione di fatto da parte di una società (S., nel caso di specie) nei confronti di altra società, O.

Come noto, viceversa, l’istituto in parola prevede, almeno nella sua interpretazione ed applicazione decisamente più diffusa ed accreditata, che non sia una società bensì una persona fisica ad esercitare, in assenza di qualsivoglia investitura formale, l’attività di gestione della società.

Si deve perciò sottoporre a vaglio critico l’ipotesi che anche una società sia legittimata ad assumere tale posizione.

Occorre muovere dall’osservazione che è ammissibile, in astratto, che una società possa assumere la veste formale di amministratore di altra società.

Vari sono, infatti, gli argomenti a favore dell’ammis­sibilità sia di una clausola statutaria che preveda la possibilità di nomina ad amministratore di una persona giuridica, sia della sua nomina diretta da parte dell’assemblea, pur in assenza di clausola esplicita. In particolare depongono univocamente nel senso dell’ammissibilità, i seguenti indici ermeneutici: a) l’ammissibilità è prevista esplicitamente od implicitamente ma chiaramente per una serie di enti collettivi: – il Gruppo Europeo di Interesse Economico (art. 5 d.lgs. n. 240 del 1991); – le società di persone (art. 2361 comma 2 c.c. e 111 duodecies disp. Att. c.c.); – la Società Europea (art. 47.1 reg. CEE 2157/2001; b) il superamento della regola “societas delinquere non potest” con l’in­tro­duzione della responsabilità amministrativa della società per reati commessi dai suoi amministratori e dipendenti (d.lgs. n. 231 del 2001); c) l’art. 2475 comma 1 c.c. che prevede che l’amministrazione sia affidata ai soci, sicché, potendo essere i soci tutti persone giuridiche, ammette che anche una di esse possa essere amministratore; d) L’art. 2455 comma 2 c.c., che, per le s.a.p.a., prevede che i soci accomandatari sono di diritto amministratori, sicché potendo essere i soci tutti persone giuridiche, ammette che una di esse possa essere amministratore; e) l’esame comparatistico, che conferma l’ammissibilità anche in paesi appartenenti all’Unione Europea.

Tuttavia, affermata la legittimità della nomina di persona giuridica ad amministratore di s.p.a. (e di s.r.l.), la disciplina applicabile non può che essere mutuata per analogia dalle espresse disposizioni che prevedono tale possibilità, cioè le citate disposizioni in materia di GEIE e di Società Europea. Esiste infatti una evidente eadem ratio tra le diverse situazioni, dovendosi in ogni caso, consentendo l’esercizio della funzione gestoria da parte della persona giuridica, comunque soddisfare le medesime esigenze di garanzia per la società, per i soci e per i terzi previste dalla disciplina concernente gli amministratori-persone fisiche. Quella disciplina prevede: a) la designazione, da parte della persona giuridica amministrante, di un “rappresentante persona fisica” che esercita le funzioni di amministratore della società amministrata; b) l’assoggettamento della persona fisica designata a tutti gli obblighi e responsabilità dell’amministratore persona fisica, in solido con la società amministratrice designante; c) l’applicazione delle formalità pubblicitarie sia nei confronti della società amministratrice designante che nei confronti della persona fisica designata.

Ammesso dunque che una società può assumere, con i limiti e le forme sopra indicate, la carica di amministratore di diritto, non pare viceversa consentito che una società possa in via di mero fatto, assumere la veste di amministratore di altra società. In quest’ultimo caso, infatti, delle due l’una: o non è individuabile in alcun modo il soggetto-persona fisica designato dalla società amministrante come amministratore della società amministrata, ed allora manca un elemento essenziale dell’ammissibilità dell’assunzione dell’attività gestoria di una società da parte di altra società –; oppure il soggetto persona fisica collegato in qualche modo alla società presunta amministrante (es.: suo legale rappresentante) ha svolto di fatto la funzione di amministratore della società amministrata ed allora non v’è bisogno di ricorrere alla figura della società amministrante di fatto, già essendovi un altro soggetto – cioè la persona fisica che ha esercitato di fatto i poteri amministrativi – che assume appunto la qualifica di amministratore di fatto.

È appena il caso di aggiungere che l’ordinamento ha formalizzato in modo ben diverso il rapporto di tipo gestorio tra società, introducendo, come noto e sopra illustrato, le nozioni di rapporto di controllo e di attività di direzione e coordinamento. Non sembra che, al di là di tali tipologie di rapporto, ne siano utilmente configurabili di ulteriori.

Nel caso di specie, comunque, l’allegazione di parte attrice è del tutto contraddittoria poiché da un lato assume che S. abbia assunto la qualifica di amministratore di fatto di O., e, dall’altra, fonda tale allegazione sul fatto che la sig.ra Marta Malvezzi da un lato è socia di S. e, dall’altro, sarebbe stata consigliere di amministrazione di O. nonché soggetto “preposto”, sul piano amministrativo, all’attività di vettore svolta da O. stessa.

La circostanza che la Sig.ra Malvezzi sia stata amministratore di O. è contestata da S. e non trova riscontro alcuno nella visura in atti (doc. 3 att.).

In ogni caso, qualora la sig.ra Malvezzi fosse stata amministratore di diritto di O., ella avrebbe assunto, rispetto a tale società tutti i relativi obblighi e doveri, tra i quali in primis quello di non agire in conflitto di interessi. Ciò significa per un verso che O. ed i suoi soci sarebbero legittimati ad agire in responsabilità nei suoi confronti, cosa che, in questo processo essi non hanno fatto, e, per altro verso, che non si ravviserebbe alcuna ragione per affermare che, in forza dell’assunzione della carica formale di Malvezzi in O., S. abbia assunto la qualità di amministratore di fatto di O.: si tratta di situazioni che non hanno alcun rapporto l’una con l’altra.

Qualora invece la Sig.ra Malvezzi non sia stata componente del c.d.a. di O., rimane che parti attrici non hanno nemmeno allegato che essa abbia assunto la qualifica di amministratore di fatto di O. medesima e che la circostanza che essa abbia assunto la qualifica di preposto all’attività di O. essendo socia di S. non assume di per sé alcun rilievo rispetto all’assunzione da parte di S. della qualifica di amministratore di fatto di O.

In ogni caso, ad abundantiam, si deve considerare che non sussistono, nel caso di specie, elementi sufficienti per asserire che S. abbia di fatto esercitato i poteri amministrativi della società attrice.

Le circostanze fatte valere dall’attrice a sostegno di tale ipotesi, infatti, riguardano la tipologia dei rapporti contrattuali tra le due società e la loro esecuzione.

Ebbene, tale situazione concerne i rapporti giuridici ed economici tra due soggetti distinti, ciascuno dotato di personalità giuridica proprie, rapporti nei quali ciascuna delle parti fa valere la propria soggettività giuridica. Del resto nessuno ha messo in dubbio che O. fosse dotata dei suoi propri organi amministrativi perfettamente funzionanti ed abilitati ad assumere autonomamente le proprie decisioni. L’attrice, in sostanza, non assume che vi sia stata una sostituzione od aggiunta di S. nell’esercizio del potere amministrativo degli amministratori di O., ma che l’autonomia decisionale di questi ultimi sia stata condizionata fortemente in ragione dei rapporti economici-con­trattuali tra le due società.

Si tratta, dunque, semmai, come sin diceva, di una allegazione concernente un rapporto di controllo esterno rilevante ex artt. 2359, comma 1, n. 3 e 2497 sexies c.c., non invece di una allegazione che possa riferirsi alla assunzione della posizione di amministratore di fatto da parte di S.

A riprova di quanto appena affermato sta la articolazione attorea dell’allegazione più significativa nella sua prospettazione: S. avrebbe minacciato di interrompere i rapporti contrattuali e di chiedere la restituzione dei veicoli noleggiati ad O. qualora quest’ultima avesse effettuato trasporti per conto di terzi diversi da S. stessa. A prescindere dalla fondatezza della prospettazione, invero, è evidente come il rapporto prospettato si muova appunto sul piano puramente contrattuale tra soggetti distinti, senza che possa ravvisarsi una sostituzione da parte di S. nell’esercizio dei poteri spettanti agli organi amministrativi di O.

Tutto quanto fin qui osservato conduce ad escludere la configurabilità dei rapporti tra la società attrice O. e quella convenuta S. in termini di esercizio di amministrazione di fatto da parte della seconda nei confronti della prima.

È poi il caso di sottolineare che, in ogni caso, gli attori non hanno allegato né quale sarebbe stato il comportamento antidoveroso ed inadempiente di S. quale asserito amministratore di fatto né quale sarebbe stato il danno provocato da tale comportamento, né hanno prefigurato un nesso causale tra tali due elementi essenziali della fattispecie di responsabilità dell’amministratore, anche di fatto.

 

  1. L’asserita attività di direzione e coordinamento

Come già rilevato, parti attrici sembrano richiamare anche la disciplina di cui agli artt. 2497 e ss. cc.

*In proposito parte convenuta ha anzitutto preliminarmente eccepito il difetto di legittimazione della società controllata (qui, in ipotesi attorea, O.) ad agire nei confronti della controllante ex art. 2497 bis c.c., sul presupposto che questa norma prevede la legittimazione solo dei soci e dei creditori della controllata.

L’eccezione non può essere accolta.

Una volta che l’art. 2497 c.c. ha stabilito che la società controllante è responsabile nei confronti dei soci e dei creditori della società controllata anche per i danni loro indirettamente provocati dall’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento in violazione dei principi di corretta gestione imprenditoriale e societaria, la responsabilità verso la società controllata per i danni direttamente provocati al suo patrimonio si pone in modo bensì implicito, ma necessario ed incontrovertibile.

Un chiarissimo indice ermeneutico che depone in tal senso è dato dal disposto del comma 3 dello stesso art. 2497 c.c.: se la società etero diretta direttamente danneggiata dall’esercizio dell’attività direttiva può essere chiamata a rispondere dal socio indirettamente danneggiato, deve essere ammesso che essa possa rivolgersi alla controllante danneggiante, altrimenti il danno già subito risulterebbe irragionevolmente duplicato dal risarcimento dato ai soci, con indebita esenzione della stessa controllante autrice dell’illecito.

Ulteriore conferma della legittimazione ad agire della società eterodiretta nei confronti della dirigente è data dal ruolo conferito ai vantaggi compensativi nel sistema della responsabilità ex art. 2497 c.c.: se l’esistenza di quei vantaggi è capace di scriminare la responsabilità verso i soci indirettamente lesi e se è vero – ed altrimenti non potrebbe essere – che i vantaggi compensativi ineriscono e possono inerire anzitutto e direttamente solo al patrimonio della società eterodiretta, è ovvio che, in assenza di quei vantaggi, la società dirigente è responsabile prima di tutto e direttamente nei confronti della società diretta.

Il sistema del resto, prevede una clausola che evita il depauperamento senza causa della capogruppo, in astratto chiamata a risarcire sia la controllata che i suoi soci, quando stabilisce che “Non vi è responsabilità quando il danno risulta … integralmente eliminato anche a seguito di operazioni a ciò dirette”. Tra queste operazioni ben vi può essere l’adeguato risarcimento alla società controllata del danno subito dal suo patrimonio per effetto dell’il­legittimo esercizio dell’attività di direzione e coordinamento.

Da ultimo non si può sottacere che l’interpretazione che vuole la società danneggiata non legittimata ad agire verso la dirigente danneggiante per il danno direttamente subito, si tradurrebbe in una violazione del disposto dell’art. 24, comma 1, Cost., che riconosce a tutti il potere di agire a tutela dei propri diritti.

Parte convenuta ha altresì eccepito che, giusta il disposto del comma 3 dell’art. 2497 c.c., al B., in quanto socio di O., sarebbe precluso di agire verso la controllante S. senza prima avere escusso la controllata, dovendo l’escussione essere considerata “condizione dell’a­zione” stessa.

L’eccezione è infondata.

Questo Tribunale ha già avuto occasione di affermare, in proposito:

“Questa norma, a parere del Collegio, non sottende alcun tipo di responsabilità della società eterodiretta nei confronti dei suoi soci, in ipotesi per avere subito senza opporsi o senza opporsi efficacemente ad una diminuzione patrimoniale causata dall’altrui illegittima attività di direzione/coordinamento ed a sua volta causativa di una diminuzione del valore delle partecipazioni (diverso forse sarebbe se fosse dedotta una diminuzione della redditività delle partecipazioni, il che qui non è).

E ciò sia perché quelle condotte non sono ascrivibili alla società ma, semmai, ai suoi amministratori, contro i quali essa ben potrà rivalersi ex artt. 2393 e 2476 c.c., sia perché il danno riflesso subito dai soci trova origine proprio nel danno subito in prima battuta dalla società eterodiretta, sia soprattutto perché – almeno con riferimento al danno indirettamente provocato al valore della partecipazione – ai soci, proprio in quanto portatori di partecipazioni rappresentative di conferimento di capitale di rischio ed elementi costitutivi di un ente che gode di autonomia patrimoniale, non è mai consentito di chiedere all’ente ristoro per la diminuzione del valore della partecipazione che derivi dalla diminuzione del valore del patrimonio sociale. Ai soci è bensì consentito, al massimo, agire per conto della società nei confronti degli amministratori per i danni che questi le abbiano arrecato (artt. 2393 bis, 2476, comma 3, c.c.) e per ottenerne il risarcimento in favore della società, mai invece l’azione risarcitoria diretta nei confronti della società.

Si deve aggiungere che l’ipotesi di un diritto al risarcimento dei soci della società eterodiretta nei confronti della medesima finirebbe anche per contrastare con il principio di postergazione delle ragioni dei soci rispetto a quelle dei creditori sociali, risolvendosi in forme incontrollate di restituzione (almeno parziale) di conferimenti prima che siano estinti tutti i debiti sociali verso i terzi.

Dunque la norma deve essere interpretata semplicemente in senso letterale: un onere di richiesta di soddisfazione, posto in capo al socio (e al creditore), che ben può essere assolto anche citando in giudizio la società controllata in chiave di denuntiatio litis volta a stimolarla all’azione verso la controllante, verso gli amministratori di quella e verso i propri amministratori; la mancata soddisfazione consente loro di agire verso la holding senza che sia previsto in alcun modo che essi debbano (né possano) agire previamente verso la loro società o, addirittura, escuterla infruttuosamente; la previa intervenuta soddisfazione dei soci danneggiati da parte della loro società preclude loro la possibilità di agire verso la holding.

E ciò è del tutto conforme ai principi generali, se si considera che i soci indirettamente lesi ben potranno essere indirettamente soddisfatti (eventualmente anche) attraverso appropriate iniezioni patrimoniali e/o finanziarie dalla controllante alla controllata che ripristinino valore e reddittività delle loro partecipazioni al livello ante atto lesivo e consentano di ristorarli dei danni subiti medio tempore.

Ciò significa che non è previsto a favore della holding e rispetto alla società soggetta alla sua direzione, alcun beneficium excussionis nel senso proprio del termine – in realtà, come si è detto, i soci della controllata non hanno azione verso la loro società –, né di alcun beneficium ordinis – in realtà, come si è detto, la società controllata, rispetto ai suoi soci, non è un debitore che si pone accanto alla holding –, ma solo la possibilità di inibire l’azione dei soci qualora, prima della sua proposizione o durante il suo corso, essa attui, agendo verso la controllata, quelle misure che consentono la soddisfazione dei soci della controllata stessa.

Del resto, previsioni del genere troverebbero ostacolo – oltre che nella ridetta carenza di azione dei soci verso la loro società a titolo di concorso con la holding nella causazione del danno al valore della loro partecipazione –, sia nell’evidente distonia rispetto ad una ratio legis intesa ad una intensa, pronta ed effettiva tutela delle ragioni dei soci della società eterodiretta, sia nel principio di ragionevole durata del processo.

Per converso, come detto, è anche evidente che la disposizione di cui all’art. 2497 comma 3 c.c. prevede la possibilità di una previa sollecitazione da parte dei soci alla società eterodiretta finalizzata a che essa ottenga dalla società dirigente i mezzi per risarcire il danno che essa abbia indirettamente provocato al valore delle loro partecipazioni, rimanendo escluso che tali mezzi possano provenire dal patrimonio della stessa società eterodiretta.

Soltanto quando, a seguito di tale sollecitazione (o per spontanea iniziativa della holding), i soci abbiano ottenuto soddisfazione prima o nel corso dell’azione, essi perderanno interesse ad agire nei confronti della holding.

Rimane perciò escluso che la sollecitazione di cui si tratta sia identificabile come condizione di procedibilità del­l’azione verso la società dirigente.

Tutto ciò, tuttavia, significa anche che i soci della controllata ben possono chiamare in giudizio la loro società in chiave di denuntiatio litis per consentirle di partecipare al giudizio e di prendere posizione rispetto alle domande rivolte alla holding e per stimolarla a richiedere alla stessa ed agli altri partecipi al fatto lesivo il risarcimento del danno subito per effetto dell’illegittima attività di direzione/coordinamento, affinché si creino i presupposti per l’a­do­zione delle misure che potrebbero soddisfarli.

In conclusione, il socio della società controllata non può proporre nei confronti di quella un’azione ex art. 2497c.c. volta ad ottenere dalla medesima il risarcimento del danno che egli abbia indirettamente subito al valore della sua partecipazione come riflesso di un danno provocato al patrimonio sociale dall’illegittimo esercizio dell’attività di direzione/coordinamento da parte della società controllante. Tuttavia, nel contempo, non pare potersi dubitare della possibilità che la società eterodiretta partecipi, nella veste che meglio ritenga assumere, al giudizio promosso dai suoi soci nei confronti della società dirigente” (Trib. Milano, sez. VIII civile, sent. n. 8247 del 17/6/2012, Pallich c. Hall 41 s.r.l. ed altri).

Ne deriva che, avendo il B. agito insieme ad O. ed essendone, oltre che socio anche il legale rappresentante, si suppone che egli – fatto peraltro incontestato – non abbia già ottenuto dalla controllata il risarcimento che chiede alla controllante, sicché nessun ostacolo si frappone all’eserci­zio dell’azione da lui proposta.

* Quanto alla prova della sussistenza di un’attività di direzione e coordinamento, nell’assoluta mancanza in proposito di alcuna dichiarazione formale da parte di O. ai sensi dell’art. 2497 bis c.c. e nella sicura insussistenza dei vincoli contrattuali o statutari di cui all’art. 2497 septies c.c., non si può che ricorrere alle presunzioni iuris tantum di cui agli artt. 2497 sexies e 2359 c.c.

Orbene, dev’essere immediatamente escluso che ricorrano qui ipotesi di c.d. “controllo interno” ex art. 2497 sexies comma 1 e 2359, comma 1, nn. 1) e 2) c.c.: parte convenuta S. non era certamente tenuta al consolidamento del bilancio di O. né disponeva della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria o dei voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nel­l’assemblea ordinaria.

Le allegazioni di parte attrice, del resto, sembrano richiamare piuttosto la fattispecie di controllo esterno ex art. 2359 n. 3 c.c.

In proposito la Corte di Cassazione ha affermato:

“La configurabilità del controllo esterno di una società su di un’altra (quale disciplina dal primo comma, n. 3 dell’art. 2359 cod. civ. nella formulazione risultante a seguito della modifica apportata dal D.Lgs. n. 127 del 1991 e consistente nella influenza dominante che la controllante esercita sulla controllata in virtù di particolari vincoli contrattuali), postula la esistenza di determinati rapporti contrattuali la cui costituzione ed il cui perdurare rappresentino la condizione di esistenza e di sopravvivenza della capacità di impresa della società controllata; l’accertamento della esistenza di tali rapporti, così come l’accertamento dell’esi­stenza di comportamenti nei quali possa ravvisarsi un abuso della posizione di controllo tale da convertire una situazione di per sé non illecita nel contesto della vigente disciplina codicistica in una condotta illecita causativa di danno risarcibile, costituisce indagine di fatto, rimessa, come tale, all’apprezzamento del giudice del merito e sindacabile in sede di legittimità solo per aspetti di contraddizione interna all’iter logico formale della decisione, ovvero per omissione di esame di elementi determinanti per la decisione stessa” (Cass., n. 12094 del 2001).

Orbene, O. ha dedotto a sostegno della sua domanda, i seguenti fatti:

– lo svolgimento, da parte di O., dell’attività di autotrasporto merci per conto terzi con utilizzo di beni strumentali di proprietà di S. (veicoli commerciali concessi con contratti di noleggio del giugno 2007 e gennaio 2008, carte carburante e carte autostradali, GPS, telepass, carte di credito);

– il divieto impartitole da S. di svolgere la propria attività lavorativa per conto di soggetti terzi;

– l’integrale assoggettamento a S. sotto il profilo organizzativo (quali e quanti trasporti eseguire nonché nei confronti di quali clienti);

– la gestione dei propri dipendenti (turni, ferie, attività da svolgere).

Tali prospettazioni non hanno trovato in atti un convincente e completo riscontro probatorio.

Tra le due società si è riscontrato un rapporto di sub-vettura, in base al quale O. utilizzava beni e macchinari (motrici e rimorchi) di S. in base a contratti di noleggio e riceveva da S. ordini relativi ai viaggi che la medesima le commissionava, avendoli ricevuti dai propri clienti.

È pacifico che O. utilizzava carte carburante e carte autostradali, GPS, telepass, carte di credito, rimborsando le relative somme a S.

Deve però rilevarsi l’inesistenza – fatto, questo, ammesso dalle stesse parti attrici (pag. 3 atto citazione) – di un contratto che vincolasse O. ad eseguire la propria attività lavorativa esclusivamente per S.

In secondo luogo, per quanto attiene lo svolgimento della propria attività con beni strumentali di S., si deve considerare che non è di per sé anomalo od eccezionale che una società operi utilizzando beni e/o macchinari di terzi di cui si sia procurata la disponibilità a vario titolo (locazione, noleggio, leasing, ecc.) ed è incontestato in giudizio che i contratti di noleggio avevano durata annuale e senza alcun impegno formale esistente in capo ad O. di rinnovare il contratto di noleggio delle motrici e dei semirimorchi de quo.

Si tratta dunque di contratti implicanti un vincolo assai limitato per O. che, alla scadenza, avrebbe dunque potuto liberamente determinarsi nello stipulare contratti di noleggio con una diversa società senza per questo violare alcun obbligo posto a suo carico.

Per amore di precisione, si deve ricordare che i contratti di noleggio prevedevano il rinnovo automatico per l’anno successivo solo alla condizione che nel periodo di locazioneannuale il veicolo locato avesse percorso “almeno 80.000 chilometri per eseguire trasporti affidatigli da S. ...” (art. 10). Se ne desume anzitutto che, a norma di contratto, O. avrebbe potuto utilizzare il mezzo per effettuare trasporti non commissionati da S. e, in secondo luogo, che avrebbe potuto liberarsi del contratto non accettando ordini di S. che comportassero percorrenze pari o superiori a 80.000 km/anno.

Si tratta dunque di una clausola contrattuale che si pone in contraddizione con l’asserito obbligo imposto ad O. di accettare gli ordini di trasporto provenienti da S., talché, per quel che risulta contrattualmente, la prima era invece libera di sviluppare rapporti di fornitura di trasporti anche con altri clienti, rimanendo nella sua piena disponibilità la decisione se farlo o no.

Sempre in ordine all’asserito divieto impartito da S. ad O. di ampliare il proprio portafolio-clienti, deve an­che evidenziarsi che parte attrice ha dedotto prove contraddittorie, laddove, al capitolo 14) di cui alla memoria ex art. 183 comma 6 n. 2 c.p.c. si allega che esponenti di S. avrebbero acconsentito a che O. effettuasse trasporti per altri clienti e, al capitolo 16), si allega che S. avrebbe acconsentito a che O. effettuasse attività commerciali per la Cooperativa Ciclat Ausiliari.

In ogni caso vale sottolineare che, nel momento in cui tale divieto non si è tradotto in vincolo contrattuale, la eventuale decisione di O. di aderire o no ad esso, soppesandone costi e benefici, costituisce pieno esercizio della sua autonomia privata.

Deve poi ritenersi evidentemente riconducibile alla normale fisiologia dell’attività svolta dalle parti sia il fatto che S. – nella sua veste di cliente di O. – le indicasse quotidianamente i trasporti da eseguire, sia il fatto che, in relazione all’esigenza di garantire alla propria clientela il normale svolgimento del servizio, essa chiedesse ad O. notizie circa la disponibilità ei vettori e del personale O. ad eseguire i trasporti stessi, in particolare nel periodo festivo (v. mail 27.7.2008 doc. 4 att.).

Infine si deve notare che, dagli scambi di comunicazioni risultanti dalle mail prodotte da parte attrice, non emerge lo stato di presunta soggezione di O., ma semmai le sollecitazioni, le contestazioni, le rimostranze, le richieste, il rifiuto di recepire determinati ordini (mail 19.2.2008 doc. 5 att.), le trattative circa i trasporti (es.: mail 13.6.2008 doc. 5 att) indirizzate da O. stessa alla sua committente.

Si può dunque seriamente dubitare in ordine all’esi­stenza, nel caso di specie, di un rapporto di controllo ex art. 2359, n. 3, c.c., nel senso che ciò che ha influito sulla gestione di O. non sono stati particolari o determinati rapporti contrattuali, ma il fatto che essa avesse di fatto strutturato la sua attività avendo come unico cliente S..

È appena il caso di aggiungere che, non ritenuta la soggezione di O. alla presunta attività di direzione e coordinamento di S., non risulta nemmeno integrato il presupposto che legittima il socio della società controllata ad agire nei confronti della società controllante per il danno eventualmente subito in via indiretta al valore od alla redditività della sua partecipazione.

 

  1. Insussistenza degli altri presupposti della responsabilità della società dirigente ex art. 2497 c.c.

A prescindere dalla sussistenza, tra S. ed O., in un rapporto di controllo esterno e, quindi, di direzione e coordinamento, in ogni caso risultano insussistenti gli altri elementi la cui integrazione è necessaria per affermare una responsabilità ex art 2497 c.c.

Questo Tribunale ha già avuto modo di individuare quegli elementi:

“In questo quadro assumono rilevanza:

– la condotta, cioè l’esercizio, da parte di una società, di attività di direzione e coordinamento nei confronti di altre;

– l’antigiuridicità della condotta, cioè l’esercizio di quel­l’attività nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui, dun­que estraneo a quello della società soggetta alla sua direzionecoordinamento, e in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società sottoposte ad essa;

– l’evento dannoso, ovvero il pregiudizio arrecato al valore od alla redditività della partecipazione;

– il nesso di causalità tra condotta ed evento” (Trib. Milano, sez. VIII civile, sent. n. 8247 del 17.06.2010, cit.; Trib. Milano, sez. VIII civile, sent. n. 2085 del 2012, Gavazzi e Averla s.r.l. c. Policlinico S. Donato s.p.a. ed altri).

Orbene, nel caso di specie si registra una totale ed assoluta carenza non solo di prova, ma addirittura di allegazione in ordine all’antigiuridicità della condotta tenuta dalla (asserita) controllante.

O., cioè, non spiega nemmeno se ed eventualmente in che cosa la condotta di S. sia stata improntata a perseguire l’interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale.

Non solo, risultano totalmente carenti anche le allegazioni concernenti gli altri due elementi essenziali della fattispecie dedotta come causa petendi, poiché l’attrice non ha affatto individuato con la necessaria precisione il danno in ipotesi subito – limitandosi a fare generico riferimento alla proprio situazione di dissesto finanziario – né ha articolato alcunché in tema di nesso di causalità tra l’asserito comportamento illegittimo di S. ed il danno medesimo.

In particolare parte attrice, oltre ad omettere – come detto – ogni prospettazione circa un comportamento inadempiente e perciò illegittimo di S. che avrebbe determinato il suo dissesto, si è anche astenuta dal dedurre quale avrebbe dovuto essere il comportamento doveroso e legittimo di S. che quel dissesto avrebbe evitato.

In questo contesto assumono particolare pregnanza le affermazioni di parte convenuta, secondo la quale il dissesto di O. sarebbe dovuto semplicemente alla circostanza che, in ragione della crisi generale che dall’anno 2008 ha colpito il settore dei trasporti, gli ordini che le venivano inoltrati dalla sua clientela erano calati di percentuali molto rilevanti, sicché essa stessa aveva a sua volta dovuto inoltrare ad O. un numero decrescente di ordini e la contrazione del suo fatturato si era ripercosso su quello di O. senza alcuna sua colpa.

È appena il caso di aggiungere che parti attrici si sono riservate la quantificazione del danno in corso di causa e che, tuttavia, tale quantificazione non è mai avvenuta nemmeno a livello di allegazione.

 

5) I debiti reciproci.

Resta ora da affrontare la questione concernente le reciproche richieste di condanna al pagamento, per quanto riguarda O., delle fatture nn. 35-43 del 2008 emesse nei confronti di S. per un importo totale di € 107.462,21 e, per quanto riguarda S., dell’importo di € 167.438,38 derivante dai contratti di noleggio stipulati dalle parti.

Ritiene questo Giudice che il credito di O. verso S. è stato sufficientemente provato, considerando che è pacifico tra le parti che O. svolgeva attività di sub-vettore su commissione di S. e quest’ultima non ha contestato in modo 
specifico che i viaggi fatturati siano stati realmente effettuati né di avere pagato le fatture di cui si discute, né ha sollevato altre specifiche eccezioni, limitandosi ad affermare del tutto genericamente che il credito avversario non sarebbe stato provato.

Allo stesso modo si deve ritenere provato il credito di S. verso O., in base non solo alle fatture emesse e prodotte in atti, ma anche e soprattutto ai contratti di noleggio di automezzi prodotti in atti, nonché dalla circostanza pacificamente ammessa dalla stessa O. di essersi avvalsa dei mezzi noleggiati da S., senza che, anche in questo caso, sia stato eccepito il pagamento.

Peraltro, ad ulteriore conferma della fisiologica creazione, nei rapporti tra le parti, di reciproche partite di debito/credito, si apprezza il fatto pacifico che esse regolavano tali partite mediante compensazione.

Ciò posto, e considerato che O. risulta creditrice di S. per € 107.462,21 e che S. risulta creditrice di O. per 167.438,38, va accolta la domanda subordinata di S. volta ad ottenere la compensazione delle reciproche partite.

In conclusione, operata tale compensazione, O. deve essere condannata a pagare a S. la somma di € 59.976,17, oltre interessi legali computati con riferimento ai momenti di estinzione parziale delle reciproche partite di debitocredito ed alle somme via via residuate sino al saldo.

***

La soccombenza degli attori ne giustifica la condanna in solido alla rifusione in favore della convenuta delle spese legali, che vengono liquidate in € 30,00 per spese, € 1.706 per diritti ed € 7.700,00 per onorari, oltre spese processuali forfettarie (12,5%), IVA e Cpa.

 

P.Q.M.

 

Il Tribunale di Milano, sezione VIII civile, in composizione monocratica in persona del Giudice dott. Angelo Mambriani, pronunciando nella causa civile di cui in epigrafe, respinta o assorbita ogni diversa istanza, eccezione, deduzione, così decide:

 

I) RIGETTA le domande di parti attrici.

II) In accoglimento della domanda subordinata di compensazione formulata da parte convenuta, CONDANNA O. S.r.l. in liquidazione a pagare a S. S.p.A., la somma di€976,17 oltre interessi legali determinati secondi il criterio indicato in motivazione;

III) CONDANNA O. S.r.l. in liquidazione a rifondere a S. S.p.A. le spese di lite, che si liquidano in € 30,00 per spese, € 1.706 per diritti ed € 7.700,00 per onorari, oltre spese processuali forfettarie (12,5%), IVA e Cpa.

 

Così deciso in Milano il 27 febbraio 2012

SOMMARIO:

1. Il caso - 2. La normativa di riferimento e gli orientamenti della dottrina e della giurisprudenza - 2.1. Amministrazione di fatto - 2.2. Attività di direzione e coordinamento - 2.3. Società-amministratore di diritto - 2.4. La legittimazione attiva della società eterodiretta ex art. 2497 c.c. - 2.5. La “condizione dell’azione” di cui al 3° comma dell’art. 2497 c.c. - 2.6. La nozione di controllo esterno contrattuale ex art. 2359, n. 3, c.c. - 2.7. Gli elementi costitutivi della responsabilità ex art. 2497 c.c. - 3. Il commento - NOTE


1. Il caso

Nella controversia oggetto del provvedimento soprariportato il Tribunale di Milano è stato chia­mato a pronunciarsi sulla responsabilità di una s.p.a. per i presunti danni arrecati a una s.r.l. e a un socio di questa (agente anche in qualità di liquidatore-legale rappresentante della medesima) dall’asserita amministrazione di fatto e/o attività di direzione e coordinamento esercitata dalla prima nei confronti della seconda. La s.r.l. chiedeva altresì la pronuncia di un’or­dinanza di ingiunzione ex art. 186-ter c.p.c. per il pagamento, oltre agli interessi, delle somme risultanti dalle fatture prodotte e relative al contratto di sub-vettura intercorso con la convenuta. Quest’ultima, costituendosi, si opponeva a tutte le richieste delle parti attrici, rimarcando in particolare l’infondatezza delle domande relative alla responsabilità per esercizio illegittimo dell’attività di direzione e coordinamento, stante l’affermata inapplicabilità al caso di specie degli artt. 2359 e 2497 c.c., implicitamente richiamati dalla s.r.l. attrice, e, comunque, l’omessa allegazione da parte della stessa del nesso causale esistente tra i danni asseritamente sofferti e la presunta attività di amministrazione di fatto e/o attività di direzione e coordinamento; eccependo altresì la carenza di legittimazione attiva in capo alla società presunta eterodiretta e, in riferimento alla domanda formulata dal socio di questa, l’onere di preventiva escussione della società medesima. La società convenuta, inoltre, affermata l’ini­doneità, ai fine della prova del credito, della produzione di sole fatture, in quanto documenti unilateralmente creati, si opponeva all’istanza d’in­giunzione richiesta dalla società attrice e proponeva domanda riconvenzionale per il pagamento delle somme derivanti dai contratti di noleggio tra le stesse intercorsi, ovvero, in subordine, per il pagamento, immediatamente esecutivo ex art. 186-ter c.p.c., della somma risultante dalla parziale compensazione dei crediti reciprocamente vantati dalle parti. Il Tribunale ha respinto le domande risarcitorie formulate dalle parti attrici, tanto in riferimento all’asserita amministrazione di fatto, quanto in ri­ferimento all’asserita attività di direzione e [continua ..]


2. La normativa di riferimento e gli orientamenti della dottrina e della giurisprudenza

2.1. Amministrazione di fatto

Il Tribunale si interroga in primo luogo sull’am­missibilità della fattispecie società-amministra­tore di fatto, preliminarmente esaminando le fattispecie amministrazione di fatto, attività di direzione e coordinamento e società-amministratore di diritto. Secondo la sentenza in commento, amministrazione di fatto e attività di direzione e coordinamento costituiscono due nozioni «concettualmente e ontologicamente distinte». L’amministrazione di fatto presupporrebbe «un’ingerenza completa e sistematica nella gestio­ne sociale (direttive impartite, condizionamento delle scelte operative dell’ente) da parte di un soggetto privo, nell’ambito della società stessa, di un’investitura formale», la cui ingerenza consista «nell’esercizio dei poteri tipici dell’amministra­tore di diritto». Il provvedimento in esame sembra quindi porsi nell’alveo dell’orientamento giurisprudenziale, af­fermatosi alla fine del secolo scorso e consolidatosi nella decade successiva, favorevole a una nozione “sostanziale e funzionale” di amministratore di fatto, fondata sul concreto esercizio, in via sistematica e continuativa, delle funzioni amministrative [1]. Come noto, in passato la giurisprudenza civile, diversamente da quella penale, adottava invece una nozione “formalistica” di amministratore di fatto, richiedendo, ai fini dell’applicazione della relativa disciplina, un’investitura formale da parte dell’assemblea, ancorché invalida, irregolare o implicita [2]. Il nuovo filone giurisprudenziale [3], inaugurato dalla giurisprudenza di merito ed affermatosi a seguito del revirement attuato dalla Cassazione civile con le note Cass. 6 marzo 1999, n. 1295, e Cass. 14 settembre 1999, n. 9795 [4], si mostra in linea con l’elaborazione dottrinaria della concezione “sostanziale e funzionale” dell’am­mini­stra­tore di fatto [5]; la quale, per giunta, sembra tro­vare conferma anche a livello comparatistico [6]. Autorevole dottrina, tuttavia, criticando l’attua­le orientamento della giurisprudenza, ha auspicato il ritorno a quello precedente [7].


2.2. Attività di direzione e coordinamento

Secondo il Tribunale l’attività di direzione e coordinamento consisterebbe, invece, in «un’at­tività volta a coordinare la politica economica e le linee essenziali dell’attività delle società collegate, imprimendo una identità o conformità di indirizzi operativi a una pluralità di soggetti formalmente distinti, di modo che il “gruppo” venga gestito in modo unitario». Tale definizione risulta in linea con il “concetto” di attività di direzione e coordinamento elaborato dalla giurisprudenza teorico-pratica; infatti il legislatore della riforma del 2003, come noto, ha impiegato tale “nozione” senza fornirne una definizione. In particolare, secondo la dottrina prevalente, l’attività di direzione e coordinamento “consiste, nelle sue linee generali, nell’esercizio effettivo del potere di una società o di un ente di dirigere e coordinare altre società o enti secondo un progetto unitario: e questo mediante un coordinamento – e non necessariamente un accentramento – di una o più delle ‘funzioni’ essenziali dell’impresa c.d. dipendente, quali, in primo luogo, la finanza, le vendite, gli acquisti, la politica del personale, l’or­ganizzazione ecc.” [8]. Tale concezione dell’attività di direzione e coor­dinamento, come detto, pare accolta anche dalla giurisprudenza, la quale in alcuni recenti provvedimenti di merito ha avuto modo di affermare che «la direzione unitaria consiste nell’imposizione agli organi direttivi della società controllata di decisioni provenienti dalla società dominante e si traduce in direttive impartite dalla holding. Essa si sostanzia in un flusso costante di istruzioni che la holding impartisce alla controllata su modalità ge­stionali, sul reperimento di mezzi finanziari, su politiche di bilancio, sulla scelta dei contraenti ecc.» [9]. Merita del resto osservare come, dal raffronto delle definizioni di amministrazione di fatto e di attività di direzione e coordinamento contenute nel provvedimento qui commentato, sembrerebbe potersi ricavare che, nella concezione dell’organo giudicante, l’attività di direzione e coordinamento si identifichi sostanzialmente nella c.d. alta [continua ..]


2.3. Società-amministratore di diritto

Così tenute distinte l’amministrazione di fatto e l’attività di direzione e coordinamento, nell’af­frontare la questione concernente la configurabilità della fattispecie società-amministratore di fatto, il Tribunale, come ricordato, muove dalla questione relativa all’ammissibilità della fattispecie società-amministratore di diritto. Come noto, in passato la dottrina maggioritaria si era schierata contro l’ammissibilità della persona giuridica amministratore [10] e del resto, anche in tempi recenti, autorevole dottrina ha sollevato argomenti contrari alla compatibilità di tale fattispecie con l’ordinamento societario [11]. A diverse conclusioni, tuttavia, approdano le ricostruzioni sistematiche fornite dalla moderna elaborazione dottrinale [12], condivise anche da parte della giurisprudenza [13] e dalla prassi notarile [14]. Facendo proprie tali nuove ricostruzioni, il Tribunale ritiene implicitamente consentita dall’ordi­namento l’investitura formale di una società alla carica amministrativa di un’altra società, anche se di capitali; precisando, altresì, che in tal caso la disciplina applicabile «non può che essere mutuata per analogia dalle espresse disposizioni che prevedono tale possibilità», vale a dire le disposizioni in materia di g.e.i.e e di società europea [15], ritenendo sottese alle diverse ipotesi «le medesime esigenze di garanzia per la società, per i soci e per i terzi previste dalla disciplina concernente gli amministratori-persone fisiche». Viene pertanto affermato che condizioni per la nomina di una persona giuridica ad amministratore di s.p.a. e di s.r.l. sono, in particolare: «a) la designazione, da parte della persona giuridica am­ministratore, di un “rappresentante persona fisica” che eserciti la funzione di amministratore della società amministrata; b) l’assoggettamento della persona fisica designata a tutti gli obblighi e responsabilità dell’amministratore persona fisica, in solido con la società amministratrice designante; c) l’applicazione delle formalità pubblicitarie sia nei confronti della società amministratrice designante che nei confronti della persona fisica designata».


2.4. La legittimazione attiva della società eterodiretta ex art. 2497 c.c.

Il Tribunale, riconosciuta alle suddette condizioni l’ammissibilità della fattispecie società-am­ministratore di diritto, ma ritenuta non configurabile la fattispecie società-amministratore di fatto (v. infra, § 3), passa a trattare la questione relativa alla responsabilità della s.p.a. per esercizio illegittimo dell’attività di direzione e coordinamento nei confronti della s.r.l., adombrata nelle domande di quest’ultima. A tale riguardo, il provvedimento in commento, esaminando le eccezioni sollevate dalla società convenuta, muove da quella concernente la legittimazione della società eterodiretta ad agire nei confronti dell’ente dirigente ex art. 2497 c.c., negata dalla s.p.a. sul presupposto che tale norma prevedrebbe solamente la legittimazione dei scoi e dei creditori della società eterodiretta. Il Tribunale ambrosiano, respingendo tale eccezione, osserva come, dato «che l’art. 2497 c.c. ha stabilito che la società controllante è responsabile nei confronti dei soci e dei creditori della società controllata anche per i danni indirettamente provocati dall’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento in violazione dei principi di corretta gestione imprenditoriale e societaria, la responsabilità verso la società controllata per i danni direttamente provocati al suo patrimonio si pone in modo bensì implicito, ma necessario ed incontrovertibile». Come noto, invece, un riferimento esplicito alla legittimazione attiva della società eterodiretta compariva in una preliminare stesura della norma. Nella versione approvata dal Consiglio dei Ministri nella riunione del 30 settembre 2002 veniva infatti precisato che l’azione attribuita ai soci e ai creditori della società eterodiretta non pregiudicava «il diritto della società al risarcimento del danno ad essa cagionato». Argomentando anche dal mancato recepimento della suddetta precisazione nella versione finale dell’art. 2497 c.c., parte della dottrina ha escluso la legittimazione attiva della società eterodiretta ad agire verso l’ente dirigente [16]. Favorevole al riconoscimento della legittimazione attiva in capo alla società eterodiretta si mostra, tuttavia, la dottrina maggioritaria [17], i cui argomenti vengono in parte ripresi [continua ..]


2.5. La “condizione dell’azione” di cui al 3° comma dell’art. 2497 c.c.

Proseguendo nell’esame delle difese formulate dalla convenuta, il provvedimento in commento affronta la questione relativa all’interpretazione del 3° comma dell’art. 2497 c.c., che, secondo l’eccezione sollevata dalla s.p.a, precluderebbe al socio c.d. “esterno” di agire avverso l’ente dirigente prima dell’escussione della società eterodiretta, costituendo tale escussione una “condizione dell’azione”. Il Giudice, respingendo anche tale eccezione, riporta integralmente le motivazioni del Tribunale Milano, 17 giugno 2011, n. 8247 [21]; nelle quali però viene negato quanto nel provvedimento in commento è stato considerato un “chiarissimo in­dice ermeneutico” per rigettare l’eccezione di parte convenuta esaminata in precedenza; vale a dire, la legittimazione passiva della società eterodiretta ai sensi dell’art. 2497, comma 3, c.c. Il precedente richiamato, infatti, al fine di affermare l’inesistenza in favore dell’ente dirigente, tanto di un bebeficium excussionis, quanto di un beneficium ordinis rispetto alla società eterodiretta, ribadisce più volte che l’art. 2497 c.c. «non sottende alcun tipo di responsabilità della società eterodiretta nei confronti dei suoi soci» [22]. «E ciò sia perché quelle condotte non sono a­scrivibili alla società eterodiretta ma, semmai, ai suoi amministratori, contro i quali essa ben potrà rivalersi ex artt. 2393 e 2476 c.c., sia perché il danno riflesso subito dai soci trova origine proprio nel danno subito in prima battuta dalla società eterodiretta, sia soprattutto perché – almeno con riferimento al danno indirettamente provocato al valore della partecipazione – ai soci, proprio in quanto portatori di partecipazioni rappresentative di conferimento di capitale di rischio ed elementi costitutivi di un ente che gode di autonomia patrimoniale, non è mai consentito di chiedere al­l’ente ristoro per la diminuzione del valore della partecipazione che derivi dalla diminuzione del valore del patrimonio sociale» [23]. Benché tale ricostruzione risulti conforme al­l’interpretazione fornita dalla dottrina maggioritaria [24], merita ricordare come recentemente alcuni autori abbiano [continua ..]


2.6. La nozione di controllo esterno contrattuale ex art. 2359, n. 3, c.c.

Successivamente, il provvedimento in commento, così sembrando invertire l’iter logico fattispecie-disciplina, suggerito anche dal “principio di economia processuale” sotteso al “criterio della ragione più liquida” [29], passa ad esaminare la questione relativa alla configurabilità nel caso de quo della fattispecie attività di direzione e coordinamento. Data la non rilevanza dell’assenza di una dichiarazione di soggezione all’altrui attività di direzione e coordinamento ex art. 2497-bis c.c., il Tribunale, accertata la mancanza di vincoli contrattuali o statutari ex art. 2497-septies c.c., rivolge il suo esame «alle presunzioni iuris tantum» di cui all’art. 2497-sexies c.c. Verificato che nel caso di specie non ricorrono le ipotesi di c.d. “controllo interno” ex art. 2359, nn. 1 e 2, c.c., o comunque i presupposti del consolidamento [30], viene rilevato che «[l]e allegazioni di parte attrice, del resto, sembrano richiamare piuttosto la fattispecie di controllo esterno» ex art. 2359, n. 3, c.c. [31]. Citando Cass. 27 settembre 2001, n. 12094 [32], il Tribunale afferma che il «controllo esterno di una società su di un’altra ([…] consistente nella influenza dominante che la controllante esercita sulla controllata in virtù di particolari vincoli contrattuali), postula la esistenza di determinati rapporti contrattuali la cui costituzione ed il cui perdurare rappresentano la condizione di esistenza e di sopravvivenza della capacità di impresa della società controllata». Rilevando come nella vicenda in esame «ciò che ha influito sulla gestione» della s.r.l. attrice «non sono stati particolari o determinati rapporti contrattuali, ma il fatto che essa avesse di fatto strutturato la sua attività avendo come unico cliente» la s.p.a convenuta, il Tribunale ritiene che si possa «seriamente dubitare in ordine al­l’esistenza, nel caso di specie, di un rapporto di controllo ex art. 2359 n. 3 c.c.» e, conseguentemente, di un rapporto di direzione e coordinamento [33]. La nozione di controllo esterno recepita dal Tribunale corrisponde alla definizione fornita da quella parte della dottrina che ritiene la relativa [continua ..]


2.7. Gli elementi costitutivi della responsabilità ex art. 2497 c.c.

Esclusa quindi la sussistenza tra la società convenuta e la società attrice di un qualsiasi rapporto di controllo, ed esclusa, conseguentemente, l’ope­ratività della presunzione di esercizio dell’attività di direzione e coordinamento di cui all’art. 2497-sexies c.c., il Tribunale precisa come, nel caso di specie, risultino comunque mancanti gli altri presupposti necessari al fine del configurarsi della re­sponsabilità ex art. 2497 c.c.; in riferimento alla quale, in base alla giurisprudenza dello stesso Tri­bunale di Milano, assumono rilevanza: «– la condotta, cioè l’esercizio, da parte di una società, di attività di direzione e coordinamento nei confronti di altre; – l’antigiuridicità della condotta, cioè l’eserci­zio di quell’attività nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui, dunque estraneo a quello della società soggetta alla sua direzione/coordinamento, e in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società sottoposte ad essa; – l’evento dannoso, ovvero il pregiudizio arrecato al valore od alla redditività della partecipazione; – il nesso di causalità tra condotta ed evento» [38]. In riferimento all’individuazione di tali presupposti, risulta attualmente ravvisabile una certa concordia nella giurisprudenza. Gli stessi infatti vengono indicati sia nei provvedimenti che, individuando in capo all’ente dirigente un dovere di protezione nei confronti della società eterodiretta e dei suoi soci, affermano la natura diretta e contrattuale della responsabilità ex art. 2497 c.c. [39]; sia nei provvedimenti che, diversamente, affermano la natura extracontrattuale della responsabilità da direzione e coordinamento [40]. Del resto, anche la dottrina, al fine di ritenere integrata la responsabilità dell’ente dirigente, richiede i medesimi presupposti [41].


3. Il commento

Riconosciuta, alle condizioni sopraricordate, l’am­mis­sibilità della fattispecie società-ammi­ni­stratore di diritto (v. retro, par. 2.3), il Tribunale, come anticipato, ritiene invece non configurabile la fattispecie società-amministratore di fatto, sostenendo che: «o non è individuabile in alcun modo il soggetto-persona fisica designato dalla società amministrante come amministratore della società amministrata», cosicché risulterebbe carente «un elemento essenziale dell’ammissibilità dell’assunzione dell’attività gestoria di una società da parte di altra società» [42]; «oppure il soggetto persona fisica collegato in qualche modo alla società presunta amministrante (es.: suo legale rappresentante) ha svolto di fatto la funzione di amministratore della società amministrata», e pertanto non vi sarebbe «bisogno di ricorrere alla figura della società amministratore di fatto, già essendovi un altro soggetto – cioè la persona fisica che ha esercitato di fatto i poteri amministrativi – che assume appunto la qualifica di amministratore di fatto». A chiosa di tali considerazioni viene osservato che «l’ordinamento ha formalizzato in modo ben diverso il rapporto di tipo gestorio tra società, introducendo […] le nozioni di rapporto di controllo e di attività di direzione e coordinamento», al di là delle quali non ne risulterebbero «utilmente configurabili di ulteriori». Nell’interpretazione fornita dal provvedimento qui commentato, l’ammissibilità della fattispecie società-amministratore di fatto parrebbe quindi dover essere esclusa sulla base di due argomenti, uno di coerenza logico-giuridica e l’altro di opportunità giuridico-normativa. In riferimento all’argomento che si è detto di coerenza logico-giuridica, il Tribunale, in particolare, ritiene che qualora sia individuabile un soggetto persona fisica che abbia di fatto esercitato funzioni amministrative all’interno di una società, la qualifica di amministratore di fatto debba comunque ricadere solamente in capo a tale soggetto, nonostante egli risulti «collegato in qualche modo» ad altra società, a prescindere dalla [continua ..]


NOTE