Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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L'efficacia e la natura della cancellazione della società di persone dal registro delle imprese: l''apparente' orientamento innovativo delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (nota a Cass., Sez. Un., 22 febbraio 2010, n. 4060) (di Alberto Piantelli)


(Artt. 2312. 2495 c.c.; 10 legge fall)

In tema di società, una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2495, 2° comma, c.c., come modificato dall’art. 4 del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, nella parte in cui ricollega alla cancellazione dal registro delle imprese l’estinzione immediata delle società di capitali, impone un ripen­samento della disciplina relativa alle società commerciali di persone, in virtù del quale la cancellazione, pur avendo natura dichiarativa, consente di presumere il venire meno della loro capacità e soggettività limitata, negli stessi termini in cui analogo effetto si produce per le società di capitali, rendendo opponibile ai terzi tale evento, contestualmente alla pubblicità nell’ipotesi in cui essa sia stata effettuata successivamente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 6 del 2003, e con decorrenza dal 1° gennaio 2004 nel caso in cui abbia avuto luogo in data anteriore (massima non ufficiale) (1).

(Omissis).

 

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Sassari, con la sentenza di cui in epigrafe, ha rigettato la opposizione agli atti esecutivi di P.C.S., proposta con atto notificato l’8 marzo 2001 ed ha dichiarato il diritto della S.S. e N.A. s.n.c. di procedere all’esecuzione per il pagamento di una somma di danaro dovuta a causa di sentenza del giudice di pace di Alghero, condannando l’opponente alle spese di causa.

Ritenuta irrilevante la nullità della notificazione del titolo esecutivo costituito dalla sentenza sopra richiamata e del precetto, notifica nella cui relata non si era dato atto della irreperibilità o del rifiuto del destinatario di ricevere l’atto, perché l’opposizione agli atti esecutivi proposta negli otto giorni successivi comunque evidenziava il raggiungimento dello scopo dell’atto, il Tribunale, con sentenza emessa ai sensi dell’art. 281-sexies, ha ritenuto infondata la tesi del­l’opponente della avvenuta estinzione della società opposta, a seguito dell’atto di scioglimento della stessa per notar Lojacono in Sassari del 22 dicembre 1992, che l’aveva posta in liquidazione, e per effetto dell’ap­pro­vazione del bilancio liquidatorio in data 26 luglio 1993, cui era seguito il provvedimento del giudice delegato che aveva disposto la cancellazione della società dal registro delle imprese, depositato nella cancelleria del Tribunale in data 21 febbraio 1994, ai sensi dell’art. 2312 c.c.

Ad avviso dell’opposta, invece, la cancellazione non aveva prodotto l’effetto estintivo della società e il Tribunale ha accolto tale deduzione, richiamando la unanime giurisprudenza di legittimità, per la quale la cancellazione della società dal registro delle imprese non determina la estinzione di essa, quando siano ancora pendenti rapporti giuridici o contestazioni giudiziali (in sentenza si citano Cass. 24.9.2003 n. 14147, Cass. 28.5.2004 n. 10314), né fa venir meno la legittimazione processuale della società (Cass. 1.7.2000 n. 8842), permanendo la rappresentanza sostanziale e processuale di essa, per i rapporti in sospeso e non definiti, a mezzo degli stessi organi che la rappresentavano prima della cancellazione (Cass. 12.6.2000 n. 7972).

Ritenuta sussistente la capacità giuridica e la legittimazione processuale della società opposta, si è quindi respinta la connessa eccezione di nullità della procura come effetto dell’estinzione della società, in realtà non ancora avvenuta, per non essersi dedotto che essa non era stata conferita per la fase di esecuzione, ma solo che era venuta meno per l’estinzione denegata della società commerciale.

Per la cassazione di tale sentenza, del 17 febbraio 2005, notificata al difensore domiciliatario della società in data 1 giugno 2005, lo S. ha proposto ricorso straordinario ai sensi dell’art. 111 Cost., articolato in tre motivi e notificato il 1 luglio 2005, e la società in nome collettivo opposta non s’è difesa in questa sede.

 

Motivi della decisione

 

1.1. Il primo motivo di ricorso dello S. denuncia violazione degli artt. 140, 156 e 160 c.p.c., per avere il tribunale erroneamente ritenuto nulla, invece che inesistente, la notificazione in cui non era stato dato atto della irreperibilità del destinatario o del rifiuto di questo di ricevere la co­pia del titolo esecutivo, costituito dalla sentenza n. 145/00 del giudice di pace di Alghero, e del precetto, né s’era dato atto del compimento delle formalità di cui al citato art. 140.

Erronea è stata quindi anche l’affermazione che l’op­po­sizione agli atti esecutivi intervenuta solo otto giorni dopo la predetta notifica provasse il raggiungimento dello scopo della stessa con effetti sananti, non essendo legittima la sanatoria di atti inesistenti: la relata di notificazione non contiene il motivo per cui s’è proceduto ai sensi dell’art. 140 c.p.c., non essendosi dato atto della irreperibilità o del rifiuto di ricevere la copia del titolo e del precetto, né dell’affissione dell’avviso di notifica sulla porta del destinatario né del deposito dell’atto presso la casa comunale e dell’avviso di deposito con lettera raccomandata.

Data l’inesistenza della notificazione, la costituzione dello S. non poteva avere effetti sananti; in ogni caso erroneamente si afferma in sentenza che l’opposizione è stata notificata entro otto giorni dalla notifica del titolo e del precetto del 3 marzo 2001, essendosi avuta in data 8 marzo 2001, cioè entro cinque giorni dalla notificazione.

1.2. Con il secondo motivo lo S. lamenta violazione del­l’art. 83 c.p.c. per avere il Tribunale respinto l’ec­ce­zione sul­la nullità e mancanza di procura sull’assunto che l’op­po­nente non aveva eccepito che la procura non era stata conferita per la fase di esecuzione.

Il giudice di merito avrebbe dovuto dichiarare la mancanza della procura ad intimare il precetto perché l’op­posta non ha prodotto l’atto di citazione del 24 novembre 1992, pur prevedendo l’art. 83 c.p.c., che la procura stessa sia conferita in calce o a margine di que­st’ultimo o con atto pubblico o scrittura privata autenticata ad substantiam.

1.3. Si deduce infine violazione degli artt. 2272, 2274, 2275, 2278, 2310 e 2312 c.c., e artt. 83 e 480 c.p.c., perché il tribunale ha rigettato l’opposizione affermando che la società in nome collettivo S.S. e N.A. aveva conservato capacità processuale e giuridica dopo la iscrizione nel registro delle imprese della sua cancellazione, conservando quindi la legittimazione processuale nella presente causa e che la rappresentanza sostanziale e processuale di essa permanesse nei rapporti pendenti e non definiti per gli stes­si organi che la rappresentavano prima della cancellazio­ne.

Il giudice avrebbe dovuto accogliere l’opposizione perché con atto per notar Lojacono del 22 dicembre 1992, registrato l’8 gennaio 1993, i due soci avevano deliberato lo scioglimento e la messa in liquidazione della società, che, dopo l’approvazione del bilancio della gestione liquidatoria in data 26 luglio 1993 e il riparto del patrimonio e degli utili e delle perdite tra i soci, era stata cancellata dal registro delle imprese con provvedimento del giudice delegato allo stesso del Tribunale di Sassari del 21 febbraio 1994.

Con la cancellazione si era determinata la estinzione della società ed erano venute meno la capacità processuale e giuridica di essa; sin dalla fase di liquidazione, non vi era più la rappresentanza dei suoi organi ordinari, potendo solo il liquidatore nominato S.S. esercitare i poteri di questi ultimi, mentre nel caso il precetto del 26 febbraio 2001 con notifica presunta del 3 marzo 2001, è stato notificato in base alla procura conferita il 24 novembre 1992 dagli organi della società prima dello stato di liquidazione per la causa svoltasi dinanzi al giudice di pace, che aveva emesso la sentenza del 14 dicembre 2000 fonte dell’obbligo di pagamento dello S. Alla data della notifica del precetto (3 marzo 2001) pertanto, solo il liquidatore avrebbe potuto rappresentare la società stessa e per effetto dell’estinzione doveva ritenersi venuto meno ogni potere conferito all’avv. Dore nel 1992.

Anche ad affermare l’ultrattività della procura, questa non poteva comunque avere effetto dopo la sentenza del 2000 sopra citata e la mancata notifica del precetto a cura del liquidatore, cui non si fa cenno nell’atto notificato così come nell’atto di costituzione nella presente causa nella quale il S. si è costituito come socio amministratore e liquidatore.

2. Su detto ricorso, la terza sezione civile di questa Corte, con ordinanza n. 8665 del 5 febbraio – 9 aprile 2009, premesse le circostanze di fatto sopra richiamate, ha rilevato l’esistente contrasto di giurisprudenza.

Infatti, “secondo un indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, l’atto formale di cancellazione di una società dal registro delle imprese, così come il suo scioglimento, con l’instaurazione della fase di liquidazione, non determina l’estinzione della società ove non siano esauriti tutti i rapporti giuridici ad essa facenti capo a seguito della procedura di liquidazione, ovvero non siano definite tutte le controversie giudiziarie in corso con i terzi, e non determina, conseguentemente, in relazione a detti rapporti rimasti in sospeso e non definiti la perdita della legittimazione processuale della società e un mutamento nella rappresentanza sostanziale e processuale della stessa, che permane in capo ai medesimi organi che la rappresentavano prima della cancellazione (Cass. 15 gennaio 2007 n. 646, 23 maggio 2006 n. 12114, 12 giugno 2000 n. 7972, 2 aprile 1999 n. 3221)”.

È quindi riportato il diverso indirizzo giurisprudenziale per il quale “a seguito della modifica apportata all’art. 2945 c.c., comma 2, dall’art. 4 del d.lgs. n. 6 del 17 gennaio 2003, entrato in vigore il primo gennaio 2004, la cancellazione dal registro delle imprese produce l’effetto costitutivo dell’estinzione irreversibile della società, anche in presenza di rapporti non definiti ed anche se è intervenuta in epoca anteriore all’entrata in vigore della nuova disciplina, ed ha riguardato una società di persone con conseguente perdita della capacità processuale della società e passaggio della rappresentanza dagli organi che la rappresentavano prima della cancellazione (Cass. 15 ottobre 2008 n. 25192, 18 settembre 2007 n. 19347, 28 agosto 2006 n. 18618)”.

Su tale contrasto gli atti sono stati rimessi al primo presidente per assegnare alle sezioni unite la risoluzione dello stesso, per il quale anche la I sezione civile con ordinanza del 15 settembre 2009 n. 19804, ha chiesto di assegnare altra causa a questa Corte a sezioni unite.

3. Il terzo motivo di ricorso dello S., che censura la decisione di merito che ha adottato la prima delle due indicate soluzioni, chiedendo di applicare il nuovo orientamento favorevole all’efficacia estintiva anche delle società di persone il cui atto costitutivo sia stato depositato nella cancelleria del tribunale ai sensi dell’art. 2296 c.c., oggi ufficio del registro delle imprese istituito con la legge n. 580 del 1993, va trattato per primo, perché logicamente preliminare agli altri.

3.1. Come si è detto, fino alla riforma organica della disciplina delle società di capitali e cooperative di cui al d.lgs. 17 gennaio 2003 n. 6, era stata unanime la scelta ermeneutica dei giudici di legittimità di ritenere la cancellazione dal registro delle imprese della iscrizione di una società commerciale, di persone o di capitali, mera pubblicità dichiarativa, che non produceva l’estinzione della società stessa, in difetto dell’esaurimento di tutti i rapporti giuridici pendenti facenti capo ad essa, per cui permaneva la legittimazione processuale di essa e il processo già iniziato proseguiva nei confronti o su iniziativa delle persone che già la rappresentavano in giudizio o dei soci, anche con riferimento alle fasi di impugnazione (con le già citate Cass. n. 646/07, 12114/06, 7972/00, 3221/99, cfr. pure Cass. 21 agosto 2004 n. 16500, 28 maggio 2004 n. 10324, 20 ottobre 2003 n. 15691, 2 agosto 2001 n. 10555, 1 luglio 2000 n. 8842, 15 giugno 1999 n. 5941, 20 ottobre 1998 n. 10380, 16 novembre 1996 n. 10065, tra altre) ovvero negli eventuali procedimenti di esecuzione, relativi ai medesimi rapporti accertati con sentenza costituente titolo esecutivo a base dei crediti da esigere (Cass. 8 agosto 1964 n. 2273).

Dal punto di vista formale, la Relazione al libro del lavoro del codice civile, sul neo istituito registro delle imprese (n.ri 98 e ss.), afferma che lo stesso (art. 2188 e ss. c.c., modificati dalla citata legge 29 dicembre 1993 n. 580 istitutiva del registro di cui sopra presso le Camere di commercio, sotto la vigilanza del giudice delegato) ha avuto lo scopo “di attuare un sistema completo ed organico di pubblicità legale, idoneo a portare a conoscenza del pubblico l’organizzazione dell’impresa, le sue vicende e le sue trasformazioni” (n. 99).

Chiarisce la relazione che l’”iscrizione ha normalmente efficacia dichiarativa. Eccezionalmente, e solo in quanto la legge espressamente lo dichiari, come avviene ad es. per la costituzione delle società per azioni, delle società in accomandita per azioni, delle società a responsabilità limitata e delle cooperative, la iscrizione ha efficacia costitutiva" (n. 100)”, e “crea la presunzione juris et de jure che i fatti iscritti siano noti a tutti” (n. 100).

Il rilievo di regola solo dichiarativo della pubblicità attuata con l’iscrizione nel registro delle imprese è riaffermato nell’art. 2193 c.c. per il quale le iscrizioni delle vicende societarie rendono opponibili le stesse ai terzi; il regime speciale di pubblicità vuole tutelare la esigenza dei terzi, in specie dei creditori sociali, di conoscere le vicende del­l’im­presa collettiva e accertare da esse sia la capienza del patrimonio sociale per la responsabilità della società per i de­biti di essa che la eventuale estensione di essa ai soci, con riferimento alle società che svolgono attività di impresa e si qualificano in genere commerciali, di cui ai capi III e ss. del Titolo V del Libro V del c.c. (art. 2200), siano esse di perso­ne e prive di personalità giuridica (s.n.c. e s.a.s.) o persone giuridiche (s.p.a., società in accomandita p.a. e cooperative ex art. 2325, art. 2518 e ss. c.c.).

Le iscrizioni nel citato registro riguardano vicende della impresa collettiva, dalla nascita alla cessazione delle sue attività d’impresa che determina l’estinzione della società, fino alla quale è esclusa ogni responsabilità dei soci per le società persone giuridiche, il cui patrimonio è totalmente autonomo rispetto a quelli dei soci, costituendo la personalità il limite e la misura della capacità di essere titolare e di gestire i beni conferiti all’impresa collettiva, sussistendo comunque per essi una capacità giuridica delle società iscritte ritenute “soggetti” di diritto, diversi e distinti dai soci, anche quando non vi sia la personalità giuridica.

Iscritta la cancellazione dell’iscrizione delle società (art. 2191 e 2192 c.c.), su istanza dei liquidatori o di uffici, viene comunque meno la opponibilità delle vicende del­l’im­presa collettiva ai terzi, anche se questa può conservare una soggettività ancora più limitata e per singoli atti, non diversa da quella delle società semplici o di fatto (art. 2297 c.c.).

In tale contesto normativo anteriore alla riforma del 2003 delle società di capitali e cooperative, pienamente giu­stificato era l’indirizzo ermeneutico giurisprudenziale, sostanzialmente unanime in sede di legittimità, favorevole alla prosecuzione della capacità giuridica e della soggettività delle società commerciali, anche dopo la cancellazione della iscrizione nel registro delle imprese e dopo il loro scioglimento e la liquidazione del patrimonio sociale.

Tale posizione, oltre a rispettare la natura dichiarativa della pubblicità, garantiva il ceto creditorio con l’affer­ma­zione del permanere di una soggettività attenuata e di una limitata prosecuzione della capacità processuale della società la cui iscrizione era stata cancellata (su tale tipo di soggettività cfr., in particolare, Cass. 15 giugno 1999 n. 5941 e 13 luglio 1995 n. 7650), consentendosi l’as­sog­gettamento di tale società alla procedura fallimentare anche successivamente all’anno dalla c.d. “formalità” della cancellazione dell’iscrizione a sua volta iscritta, delle società commerciali di persone (art. 2312) e di quelle per azioni (art. 2456), così semplificando il recupero dei crediti, senza costringere i loro titolari ad agire contro una pluralità di soci, con le incertezze conseguenti, già in rapporto alla loro individuazione, pur a riconoscere loro una posizione poziore rispetto a quella dei creditori particolari dei soci.

Mentre di regola i creditori della società, per il principio di responsabilità patrimoniale (art. 2740 c.c.), possono rifarsi sul patrimonio di essa finché è in vita, essi, dopo l’e­stinzione, non possono che soddisfarsi sui singoli soci, con prelazione sui creditori personali dei soci stessi (art. 2280 c.c. applicabile ai sensi del previgente art. 2452 c.c., 1 comma, anche alle società di capitali e per l’art. 2297 a quelle commerciali di persone, per le quali è prevista la previa escussione del patrimonio sociale ex art. 2268), essendo comunque meno garantiti per la soddisfazione dei loro diritti.

La posizione giurisprudenziale esposta, costituente jus receptum, era stata criticata da quasi tutta la dottrina, in base alla lettera del combinato disposto dei già vigenti artt. 2312, 2324 e 2456 del codice civile, norme per le quali, “dopo la cancellazione” delle iscrizioni, sia delle società di persone che di quelle di capitali, “i creditori sociali possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci” delle società in nome collettivo e di quelli accomandatari delle s.a.s., illimitatamente, e nei confronti dei soci delle persone giuridiche in proporzione alla rispettiva quota di riparto per questa parte come con l’attuale art. 2495 (giacché la novella del 2003 per le società con personalità giuridica ha lasciato in sostanza immutata la precedente disciplina).

Peraltro la mancata espressa previsione, nella previgente normativa, di una estinzione della società con personalità giuridica e di una perdita della capacità giuridica e della soggettività delle società commerciali di persone, quale effetto della cancellazione della iscrizione della società, e la previsione dell’azione dei creditori sociali anche contro i liquidatori se vi è loro colpa nell’inadempimento e non quali successori dell’impresa collettiva estinta ma per responsabilità extracontrattuale, sono state circostanze che, in diritto, hanno concorso a formare il richiamato indirizzo ermeneutico dei giudici di legittimità, che, in rapporto al previgente art. 2456, per la natura dichiarativa della pubblicità anche in ordine agli atti di scioglimento e di messa in liquidazione della società, affermavano correttamente che, nella scansione degli eventi relativi alla vita della società resi pubblici, non la cancellazione ma solo la cessazione di ogni attività imprenditoriale (art. 2195 c.c.) ne de­ter­minava la estinzione. Quest’ultima non era una vicenda resa opponibile ai terzi con la pubblicità della cancellazione, da sola inidonea a produrre l’effetto estintivo, per cui, in caso di sopravvenienze attive o passive della società stessa e di pendenza sussistente di processi nei quali essa era parte, alla stessa doveva riconoscersi una li­mitata soggettività e capacità come società semplice o di fatto (art. 2268 c.c.) per proseguire la causa.

3.2. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 319 del 21 luglio 2000, ha rilevato come la lettura delle norme sugli effetti della pubblicità della cancellazione delle società espressione dell’allora diritto vivente comportasse una chiara disparità di trattamento tra imprese individuali e imprese collettive ai fini della dichiarazione di fallimento, in quanto per l’imprenditore persona fisica la stessa era consentita entro un anno dalla cancellazione mentre per le imprese collettive, rimaneva sempre incerto il momento della loro fine o estinzione, da cui far decorrere il termine di un anno entro cui, ai sensi dell’art. 10 previgente della legge fallimentare poteva essere dichiarato il loro stato di insolvenza.

Per i giudici della legge l’approccio ermeneutico della Corte di cassazione era irrazionale, perché poteva escludere in fatto la stessa possibilità dello stato d’insolvenza del­l’imprenditore collettivo, da accertare in rapporto ad un soggetto non operativo per il quale quindi non potevano sussistere la pluralità di inadempienze che dà luogo a detto stato; così come per l’imprenditore individuale la cancellazione costituiva il momento finale dell’attività d’impresa e quello di decorrenza del termine di un anno di cui all’art. 10 allora vigente del R.d. 16 marzo 1942, n. 267, anche per le società commerciali, con o senza personalità giuridica, la stessa vicenda doveva determinare l’inizio del termine di decadenza, non potendo avere rilevanza le sopravvenienze attive e passive e la pendenza di processi per escludere ai fini del fallimento la loro estinzione.

La sentenza della Corte costituzionale è da leggere in collegamento con la precedente decisione n. 66 del 12 marzo 1999, che aveva invano sollecitato i giudici di legittimità a dare una interpretazione del sistema normativo di riferimento costituzionalmente orientata, fissando per ogni impresa una data certa, cioè quella della cancellazione dell’iscrizione della società dal registro delle imprese, quale dies a quo di decorrenza del termine annuale per dichiarare il fallimento del citato art. 10 della legge fallimentare, oggi sostituito dall’art. 9 della riforma delle procedure concorsuali (d.lgs. 9 gennaio 2006 n. 5). Proprio il permanere dell’interpretazione prevalente di cui sopra ha determinato la Corte costituzionale a dichiarare illegittimo, perché in contrasto con l’art. 3 della carta fondamentale e con il principio della certezza dei rapporti giuridici, l’art. 10 sopra citato, “nella parte in cui prevede(va) che il termine di un anno dalla cessazione dell’impresa, entro il quale può intervenire la dichiarazione di fallimento, decorra, per l’impresa collettiva, dalla liquidazione effettiva dei rapporti facenti capo alla società invece che dalla cancellazione della società stessa dal registro delle imprese”.

Affermare la irrilevanza di tale pronuncia sulla questione, così come sembra dirsi nell’ordinanza interlocutoria citata n. 8665/2009 della prima sezione civile, per essere essa relativa solo alla disparità di trattamento dell’impresa individuale rispetto a quella collettiva in ordine ai tempi per dichiararne il fallimento, non è condivisibile, se si tiene conto del citato dispositivo della sentenza del giudice delle leggi, da cui appare chiaro il rilievo che per essa ha la disciplina della cancellazione della società, da equiparare alla liquidazione di tutti i rapporti facenti capo alla stessa, alla fine della sua capacità giuridica e alla estinzione della sua soggettività o personalità, così equiparando impresa individuale e collettiva ai fini del loro fallimento dopo la cancellazione.

Per la Corte costituzionale, nel sistema, così come la cessazione dell’impresa commerciale individuale si presume assolutamente per l’iscrizione della cancellazione di essa dal registro delle imprese (art. 2196 c.c.), per non lasciare indefinito il termine entro cui chiedere il fallimento del­l’im­prenditore collettivo con ogni conseguenza in rapporto ai singoli soci, è indispensabile individuare l’identico dies a quo del termine annuale di cui all’art. 10 della legge fallimentare per dichiarare il fallimento, facendolo decorrere dalla cancellazione della iscrizione della società nel registro delle imprese, al fine di garantire la certezza dei rapporti e la tutela dell’affidamento dei terzi e riconoscendo la rilevanza di tale pubblicità ai fini dell’estinzione non riconosciuta invece in sede giurisdizionale, in caso di permanenza delle attività d’impresa.

Pur potendo il legislatore regolare diversamente l’im­pre­sa collettiva e quella individuale, per la eguaglianza dei terzi creditori nelle due fattispecie, la Corte costituzionale è quindi intervenuta sul previgente art. 10 della legge fallimentare, per il quale la cessazione dell’impresa consentiva di dichiarare il fallimento entro un anno da essa solamente “se la insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l’anno successivo”, rilevando che, come per l’imprenditore individuale, la norma comporta che il termine di cui sopra decorra dalla iscrizione della cancellazione dal registro delle imprese che rende nota ai terzi la cessazione dell’attività, altrettanto è a dirsi per le società commerciali, per le quali la cancellazione deve produrre il medesimo effetto.

Il giudice delle leggi, pur non qualificando la iscrizione della cancellazione delle società costitutiva della estinzione, ha chiarito che, ai fini del fallimento, la qualifica di impresa dei soggetti operanti in forma societaria, deve presumersi venuta meno con la cancellazione, la quale, per le imprese collettive, comportava anche la fine della loro personalità o soggettività coincidente con la misura della capacità giuridica delle società non persone giuridiche, per cui, solo entro un anno da tale pubblicità, anche sussistendo rapporti pendenti, della società poteva dichiararsi lo stato di insolvenza.

3.3. L’anno successivo alla detta sentenza della Corte Costituzionale c’è stata la legge di delega per la riforma del diritto societario n. 366 del 2001, che all’art. 8, relativo allo scioglimento e alla liquidazione della società, al comma 1, lett. a, prevede che la legge delegata semplifichi le procedure di accertamento delle cause di scioglimento e dei procedimenti di nomina dei liquidatori, dando mandato al legislatore delegato di provvedere a “disciplinare gli effetti della cancellazione della società dal registro delle imprese”.

All’art. 9 della stessa legge relativo alla ”cancellazione” della iscrizione della società dal registro delle imprese, si dispone che il futuro decreto legislativo semplifichi e precisi le circostanze in presenza delle quali devono cancellarsi le società di capitali dal registro delle imprese, prevedendo pure “forme di pubblicità della cancellazione dal registro” che, nella legge di delega, è considerata vicenda societaria da iscrivere nel registro, con gli effetti sostanziali e processuali di cui all’art. 2495 c.c. tra i quali, per la prima volta, espressamente si prevede la estinzione della personalità delle società di capitali e di quelle cooperative.

La riforma delle società di capitali e cooperative di cui al d.lgs. 17 gennaio 2003 n. 6, entra in vigore il 1° gennaio 2004 e in essa vi è l’art. 2495 c.c., novellato con l’art. 4 del d.lgs. 17 gennaio 2003 n. 6 e sostitutivo del previgente art. 2456, il cui contenuto è rimasto immutato nella previsione del primo comma delle condizioni e presupposti della can­cellazione, costituiti dallo scioglimento della società e dalla procedura di liquidazione, essendosi modificato il solo seco­ndo comma, con l’inserimento in esso dell’inciso preliminare “ferma restando l’estinzione della società” dopo la cancellazione e la nuova previsione della notifica, entro un anno da detto effetto estintivo, presso la sede della società estinta, delle domande dei creditori sociali nei confronti dei soci di essa, che risponderanno di tali debiti nei limiti della parte di capitale a ciascuno di loro ripartito o dei liquidatori in colpa per l’inadempimento, con disciplina analoga a quella della notificazione dell’atto riassuntivo della causa ai successori, in caso di morte della parte del processo.

La riforma introdotta tiene conto della cancellazione della iscrizione della società come istituto sostanziale da pubblicizzare, di cui alla legge di delega, e prevede che resta “ferma ... la estinzione della società, dopo la cancellazione”, considerando quindi la prima effetto della seconda, secondo la lettera della legge, che è in palese contrasto con il diritto vivente elaborato da questa Corte, ritenuto emendabile dal giudice delle leggi, con una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 10 previgente della legge fallimentare, denegata in assenza di una norma che prevedesse la natura estintiva della cancellazione sulla società.

Nessun eccesso vi è stato dai limiti della delega della riforma societaria per la quale erano da disciplinare, come detto, “gli effetti della cancellazione della società dal registro delle imprese”, non precisandosi se l’evento indicato da pubblicizzare dovesse essersi avuta prima o dopo l’entrata in vigore della legge delegata che, per i dati testuali dell’art. 2495 c.c. è ultrattiva e produce i suoi effetti, tra cui quello estintivo della società per cancellazione, solo dal 1° gennaio 2004, data d’entrata in vigore della novella (in tal senso sembra pure l’art. 223-bis disp. att. c.c.).

Non può non rilevarsi che, ai sensi dell’art. 2193 c.c. e della richiamata relazione al codice civile in materia di pubblicità nel registro delle imprese, soltanto la previsione “espressa” per legge può provocare l’effetto estintivo, cioè costitutivo, della cancellazione dell’iscrizione delle società di capitali e cooperative, e tale previsione si è avuta per la prima volta con l’art. 2495 novellato; ciò comporta che l’estinzione può aversi, per le cancellazioni precedenti alla data di entrata in vigore del 1° gennaio 2004, del d.lgs. n. 6 del 2003, solo a detta data, dovendosi ritenere contestuale per l’avvenire con ciascuna cancellazione successiva, per il principio di ultrattività delle norme, di cui agli artt. 10 e 11 preleggi e dall’art. 73 della Cost., che consentono deroghe espresse a tale regola per cui ogni legge e anche l’art. 2495 opera solo per l’avvenire, salvo a volere riconoscere una natura “interpretativa” che non sembra giustificarsi sulla base della lettera della delega e del dato normativo novellato, che, anzi, con gli artt. 218 e 223-bis, ultimo comma, disp. att. di cui alla novella, conferma l’ultrattività della disciplina non contestabile per i profili processuali dell’articolo, regolati dal principio “tempus regit actum”.

Resta dunque l’interrogativo se – fermo restando che anche le società cancellate prima di tale data, a partire dal 1° gennaio 2004 debbono considerarsi estinte a causa del­l’en­trata in vigore della nuova legge – gli effetti di tale estinzione debbano essere fatti risalire a tale data o a quella della precedente cancellazione.

In quest’ultimo senso appare orientata la sentenza n. 18618 del 2006 che, per la prima volta, dà rilevanza ermeneutica generale, nella disciplina dei rapporti tra creditori e società, alla previsione dell’art. 2495 c.c., in rapporto alla pubblicità delle cancellazioni precedenti e anche ai fini del fallimento delle imprese collettive, cui avevano fatto riferimento le sentenze citate della Corte Costituzionale, per rilevare l’incidenza della nuova disciplina della pubblicità nel registro con effetti su altri tipi di società sia pure su un piano meramente processuale. Si afferma infatti, in tale sentenza, che, nell’applicare l’art. 10 della legge fallimentare in rapporto ad una società di fatto venuta meno con il trasferimento dell’azienda di questa ad una società di capitali, operato con atto notarile avente data certa e pubblicizzato nel registro delle imprese in cui era iscritta detta società, il termine annuale per la dichiarazione di insolvenza della società di fatto, non poteva che decorrere da tale richiamata pubblicità, pur essa estintiva della limitata soggettività della società dante causa, a garanzia delle esigenze di certezza nei rapporti con i terzi sottostanti la disciplina legale, cui si era dato rilievo con la sentenza della Corte costituzionale n. 319/2000, tenuto pure conto delle sentenze della stessa Consulta n. 361 del 7 novembre 2001 e 131 dell’11 aprile 2002.

Tali interventi del giudice delle leggi avevano dato identico rilievo alla pubblicità della cessazione della attività delle imprese individuali e di quelle collettive, più che alla prosecuzione di questa in fatto, per escludere la violazione di norme costituzionali e del principio di eguaglianza tra i loro creditori e quelli delle società, dopo la riforma del registro delle imprese di cui alla legge n. 580 del 1993.

Per la prima volta si afferma dalla Corte di legittimità che il carattere dichiarativo della pubblicità non comporta che la cessazione di fatto dell’attività di impresa possa prevalere sulla cancellazione iscritta nel registro, che rende certa e opponibile ai terzi la diversa data di detta cessazione del­l’at­tività d’impresa, producendo l’opponibilità del venir meno della capacità giuridica della società, anche ai fini della decorrenza del termine annuale per la declaratoria di insolvenza, facendo presumere detto adempimento pubblicitario la conclusione dell’attività imprenditoriale, a garanzia dei terzi che, dalle iscrizioni degli eventi relativi alle imprese, hanno conoscenza “legale” di essi, con ogni riflesso anche processuale di tale affermazione.

3.4. Tuttavia la citata sentenza del 2006 della Cassazione afferma che il nuovo art. 2495 c.c. “non disciplinando le condizioni per la cancellazione ma gli effetti della stessa, cioè la estinzione della società cancellata, si applica anche alle cancellazioni intervenute in epoca anteriore alla sua entrata in vigore”, senza nulla osservare in ordine alla retroattività o ultrattività degli effetti della legge.

Appare evidente l’incidenza sui giudici di questa Corte della legge di delega che tali effetti aveva espressamente chiesto di disciplinare, senza precisare se gli stessi potessero retroagire, ma non escludendo che la legge delegata potesse riferirsi anche a cancellazioni già avvenute, con la conseguenza che, per le cancellazioni anteriori all’entrata in vigore della riforma, l’effetto dell’estinzione non poteva che riconoscersi e “restare fermo” alla data del 1° gennaio 2004.

Lo stesso novello art. 2495 è scritto in modo da regolare i soli effetti estintivi a decorrere dall’entrata in vigore della riforma del diritto societario anche in rapporto alle cancellazioni precedenti, avendo carattere di jus superveniens ultrattivo e produttivo di effetti estintivi nuovi, anche per le pregresse cancellazioni, in rapporto a quanto previsto nelle preleggi e in Costituzione (cfr. sul tema Cass. 5 marzo 2007 n. 5048) e non emergendo, dal suo contenuto letterale della norma, una pretesa natura meramente interpretativa e ricognitiva di essa, che ne avrebbe comportato la retroattività e il superamento per il passato del diritto vivente superato dalla novella.

Non può quindi configurarsi l’art. 2495 c.c. introdotto dall’art. 4 del d.lgs. n. 6 del 2003, che ha sostituito il previgente art. 2456, come norma interpretativa della pregressa disciplina e retroattiva, espressione di una lettura in consapevole contrasto con il precedente ius receptum, che negava natura costitutiva alla cancellazione della iscrizione della società dal registro delle imprese, come afferma invece la citata sentenza di questa Corte n. 25192 del 2008, per la quale la novella costituirebbe solo una lettura orientata costituzionalmente del sistema normativo precedente.

Anche la tutela dell’affidamento dei cittadini in rapporto agli effetti della loro conoscenza dell’iscrizione della cancellazione che, all’epoca in cui la stessa avvenne, non poteva escludere la continuazione dell’esistenza in vita della società e l’effetto estintivo previsto poi dalla novella, induce a ritenere, la irretroattività delle norme, non prevista testualmente dalla legge nei sensi indicati, in conformità alle Preleggi e alle norme costituzionali.

La citata pronuncia del 2008 deve invece condividersi per la parte in cui afferma che, se per le società con personalità giuridica si riconosce dalla nuova norma la erroneità del pregresso indirizzo giurisprudenziale prevalente, nel sistema è logico riconoscere al novellato art. 2495 c.c. un effetto espansivo che impone un ripensamento della pregressa giurisprudenza anche per le società commerciali di persone, in adesione ad una lettura costituzionale della norma.

Le società in nome collettivo e in accomandita semplice non hanno personalità giuridica ma solo una limitata capacità per singoli atti di impresa e, con la cancellazione della loro iscrizione dal registro, come si estingue per l’art. 2495 la misura massima di detta capacità, cioè la personalità delle società che di essa sono dotate, deve logicamente presumersi che venga meno anche detta ridotta capacità delle società di persone, rendendola opponibile ai terzi con una pubblicità solo dichiarativa della fine della vita di essa, della stessa natura cioè di quella della loro iscrizione nel registro a decorrere dal 1° gennaio 2004 e per l’av­venire, come sopra già precisato.

Pertanto, anche per le società di persone, può presumersi, che la cancellazione della loro iscrizione nel registro delle imprese comporti la fine della loro capacità e soggettività limitata, negli stessi termini in cui analogo effetto si produce per le società di capitali e le cooperative, anche se in precedenza per esse si era esattamente negata la estinzione della società e della capacità giuridica e di agire di essa, fino al momento della liquidazione totale dei rapporti facenti ad essa capo, in difetto di una espressa previsione dell’effetto estintivo per le società di capitali della pubblicità della cancellazione.

Tale soluzione ermeneutica, oltre che nelle indicate ragioni logiche e sistematiche che inducono a uniformare la disciplina dei diversi tipi di società, trova giustificazione an­che nell’art. 10 della legge fallimentare, come novellato con il citato art. 9 del d.lgs. n. 5 del 2006, il cui primo comma consente, per gli imprenditori individuali e collettivi, come già detto, la dichiarazione di fallimento “entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, se la insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l’anno successivo”, con chiaro identico rilievo del­l’i­scrizione della cancellazione per ogni tipo di società commerciale, sia di persone che di capitali.

Non si viola in tal modo l’art. 2193 c.c. né il rigido formalismo della relazione al codice sul carattere assoluto della presunzione di conoscenza delle vicende societarie iscritte nel registro, facendo salvo il secondo comma del citato art. 10 della legge fallimentare, la facoltà di dimostrare “il momento dell’effettiva cessazione dell’attività” imprenditoriale, “da cui decorre il termine del primo comma” per la declaratoria del fallimento, per entrambi i tipi di società, solo nel caso la cancellazione sia stata ordinata di ufficio e non sia quindi dovuta a richiesta dei liquidatori, potendo le società, in tale condizione peculiare, considerarsi cessate ed estinte anche in un momento diverso dalla cancellazione stessa se si dimostri che il provvedimento si fondava su dati di fatto errati.

Il riconoscimento alla cancellazione delle società di persone di un effetto solo dichiarativo della estinzione della stesse da riconoscere al primo gennaio 2004 o successivamente, resta confermato dalla disciplina delle azioni dei creditori sociali nei confronti dei soci per debiti della società di persone, riconosciuta dall’art. 2312 c.c., come accade per quelle con personalità giuridica cancellate ed era già previsto dal previgente art. 2456 c.c. e risulta confermato dall’attuale art. 2495, con una chiara differenza delle due discipline delle azioni nei due casi, connessa alla natura dei due tipi societari.

Differenti sono infatti i limiti della responsabilità dei soci, nelle società di persone di regola illimitata, dopo l’escus­sione del capitale sociale, ai sensi dell’art. 2304 e 2324 c.c. (cfr. pure artt. 2267 e 2268 c.c. per le società semplici), e invece, in quelle di capitali e nelle cooperative, coerentemente con il sistema, limitata fino alla concorrenza di quanto riscosso nel riparto del capitale sociale, dal socio chiamato a rispondere dei crediti sociali, in ragione del­l’accentuata e totale autonomia del patrimonio delle società aventi personalità giuridica, che non consente una soddisfazione che superi quanto di esso è stato ripartito tra i soci e resta comunque destinato a soddisfare i creditori della società, nei limiti della sua capienza anche dopo la ripartizione.

Consegue quindi che l’inciso “ferma restando la estinzione della società”, che la novella ha inserito con riferimento espresso alle società di capitali e alle cooperative, integra comunque il presupposto logico, nel sistema, per una lettura della cancellazione delle iscrizioni di società di persone dichiarativa della cessazione della loro attività dal momento dell’entrata in vigore della legge, anche per le cancellazioni precedenti e dalla data della cancellazione dell’iscrizione per quelle successive al 1° gennaio 2004, consentendo quella interpretazione costituzionalmente orientata delle norme da sempre sollecitata dal giudice delle leggi e favorevole ad un identico trattamento di tutti i creditori delle imprese individuali e collettive di qualsiasi tipo, oggi possibile in ragione della riforma del 2003. Infatti il venir meno della società costituisce il medesimo presupposto della analoga disciplina delle azioni dei creditori delle società contro i soci di cui all’art. 2312, secondo comma, e dell’art. 2324 c.c., soggetti che rispondono per l’e­ventuale inadempimento, in solido e illimitatamente, previa escussione del patrimonio sociale, ove sia cessata la vita della società.

Per le società di persone, sembra logico ritenere che l’e­spres­sa disciplina della responsabilità dei soci subentrati alla società verso i creditori sociali per effetto della cancellazione ha come presupposto, il venir meno della soggettività e della capacità giuridica limitata di esse, parallelo all’effetto costitutivo-estintivo della cancellazione dell’iscri­zione delle società di capitali di cui all’art. 2495 (così le cit. Cass. n. 19347/07, relativa a società consorziate e 29242/08), riaffermandosi, per le società commerciali senza personalità giuridica, la natura dichiarativa dell’effetto al 1° gennaio 2004 per le cancellazioni precedenti l’entrata in vigore della novella e quella contestuale alla pubblicità per quelle future.

3.5. Deve quindi affermarsi il seguente principio di diritto: “L’art. 2495, secondo comma, c.c., come modificato dall’art. 4 del d.lgs. 17 gennaio 2003 n. 6, è norma innovativa e ultrattiva, che, in attuazione della legge di delega, disciplina gli effetti delle cancellazioni delle iscrizioni di società di capitali e cooperative intervenute anche precedentemente alla sua entrata in vigore (1° gennaio 2004), prevedendo a tale data la loro estinzione in conseguenza dell’indicata pubblicità e quella contestuale alle iscrizioni delle stesse cancellazioni per l’avvenire e riconoscendo, come in passato, le azioni dei creditori sociali nei confronti dei soci dopo l’entrata in vigore della norma, con le novità previste agli effetti processuali per le notifiche intrannuali delle citazioni, in applicazione degli artt. 10 e 11 preleggi e dell’art. 73, ult. comma, Cost.

Il citato articolo, incidendo nel sistema, impone una modifica del diverso e unanime pregresso orientamento della giurisprudenza di legittimità, fondato sulla natura al­l’epoca non costitutiva della iscrizione della cancellazione che, invece, dal 1° gennaio 2004 estingue le società di capitali nei sensi indicati.

Dalla stessa data, per le società di persone, esclusa l’ef­ficacia costitutiva della cancellazione iscritta nel registro impossibile in difetto di analoga efficacia della loro iscrizione, per ragioni logiche e di sistema, può affermarsi la efficacia dichiarativa della pubblicità della cessazione del­l’attività dell’impresa collettiva, opponibile dal 1° gennaio 2004 ai creditori che agiscano contro i soci ai sensi degli artt. 2312 e 2324 c.c., in base ai quali si giunge alla presunzione del venir meno della capacità e legittimazione di esse operante negli stessi limiti temporali già indicati, anche se perdurino rapporti o azioni in cui le esse sono parti, in attuazione di una lettura costituzionalmente orientata delle norme relative a tale tipo di società, da leggere in parallelo ai nuovi effetti costitutivi della cancellazione delle società di capitali per la novella.

La natura costitutiva riconosciuta per legge, a decorrere dal 1° gennaio 2004, degli effetti delle cancellazioni già iscritte e di quelle future per le società di capitali e le cooperative, che con esse si estinguono, comporta, anche per quelle di persone, che, a garanzia della parità di trattamento dei terzi creditori di entrambi i tipi di società, si abbia una vicenda estintiva analoga con la loro estinzione contestuale alla pubblicità, che resta dichiarativa degli effetti da desumere dall’insieme delle norme pregresse e di quelle novellate che, per analogia juris determinano una interpretazione nuova della disciplina pregressa. Per le società di persone, come la loro iscrizione nel registro delle imprese ha natura dichiarativa, anche la fine della loro legittimazione e capacità è soggetta a pubblicità della stessa natura, desumendosi l’estinzione di esse dagli effetti della novella dell’art. 2495 sull’intero titolo V del Libro quinto del codice civile dopo la riforma parziale di esso, ed è evento sostanziale che la cancellazione rende opponibile ai terzi (art. 2193 c.c.) negli stessi limiti temporali indicati per la perdita della personalità delle società oggetto di riforma.”

L’enunciato principio relativo agli effetti della cancellazione dell’iscrizione del registro dell’impresa delle società garantisce una soluzione unitaria al problema degli effetti della iscrizione della cancellazione di tutti i tipi di società o imprese collettive ed è coerente anche con l’art. 10 della legge fallimentare novellata, facendo comunque decorrere dalla data della iscrizione della cancellazione stessa, l’anno per la dichiarazione di fallimento ed evitando incertezze su tale punto.

4. Fissato il punto che, per effetto della sua cancellazione avvenuta in data anteriore al 1° gennaio 2004, la società convenuta è da considerare estinta da tale data, la Corte sarebbe chiamata ad affrontare il problema, se sia valida la notifica che del ricorso per cassazione le è stata fatta, presso il difensore costituito nel giudizio di appello, indirizzandola a S.S., già amministratore e poi liquidatore della società, ma anche suo socio.

E questo sotto l’aspetto del poterle essere la notifica eseguita presso il difensore e non presso il socio personalmente, una volta cessata l’esistenza della società nel corso del giudizio di merito, senza che il difensore l’avesse dichiarato.

Ritengono peraltro queste sezioni unite di poter prescindere da tale esame, perché, anche alla stregua dei principi di diritto prima enunciati, i motivi di ricorso si rilevano infondati.

Il terzo motivo di ricorso è infatti infondato per il principio enunciato per la risoluzione del contrasto e la riconosciuta estensione dell’effetto estintivo della società intimata in conseguenza della pubblicità data alla cancellazione solo a decorrere da 1° gennaio 2004, per cui fino a tale data le vicende processuali si erano regolarmente svolte nei confronti dalla società ancora in vita.

Pertanto la s.n.c. S.S. e N.A., sciolta con atto per notar Lojacono di Sassari del 22 dicembre 1992 e posta in liquidazione con tale atto, a seguito dell’approvazione del bilancio liquidatorio del 26 luglio 1993, era stata cancellata con provvedimento del giudice delegato al registro del 21 febbraio 1994 e, a causa di tale cancellazione, era da ritenere estinta solo in data 1° gennaio 2004, dopo che la sentenza costituente il titolo e il precetto a base della procedura esecutiva, erano state depositate il 26 febbraio 2001 e che, in data 8 marzo 2001, era stata notificata l’oppo­si­zione del ricorrente in questa sede a detta società ritenuta correttamente ancora non estinta, in base alla previgente disciplina e al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, che consentiva il permanere della legittimazione di ogni società anche dopo la cancellazione della iscrizione stessa della società.

5.Anche il primo motivo di ricorso è infondato, perché la notificazione del precetto, contenente mere omissioni formali nella relata, in quanto nel caso non era specificato se la mancata consegna dell’atto fosse dovuta alla irreperibilità o al rifiuto di esso da parte del destinatario, ai sensi dell’art. 140 c.p.c., determina comunque che la notificazione sia ritenuta affetta da nullità sanabile e non da inesistenza, che si avrebbe allorché la notifica non fosse riconoscibile come tale né potesse raggiungere il suo scopo (Cass. 24 ottobre 2008 n. 2573, 16 aprile 2008 n. 9988, 12 febbraio 2003 n. 2079, e 3 agosto 1988 n. 4806).

Il secondo motivo di ricorso è inammissibile perché, deducendo violazione dell’art. 83 c.p.c., per la prima volta denuncia, in sede di legittimità, la mancata produzione nel merito dell’atto contenente la procura valevole anche per l’azione esecutiva, nella citazione introduttiva del giudizio concluso dalla sentenza costituente il titolo esecutivo a base del presente procedimento, con conseguente inammissibilità della questione nuova prospettata in questa sede per la prima volta della mancata produzione in atti di detto atto, essendosi invece nel merito dedotta solo la nullità della procura e non l’inadempimento da parte della società di persone intimata in questa sede, dell’onere di depositare il detto documento contenente il conferimento dei poteri al difensore, denunciando solo una pretesa invalidità e nullità della procura nella fattispecie.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e non essendosi la s.n.c. intimata difesa in questa sede, le spese di questa fase di legittimità devono porsi a carico della ricorrente che le ha anticipate, in difetto di ogni difesa del­l’intimata.

P.Q.M

La Corte rigetta il ricorso.

 

(1) L’efficacia e la natura della cancellazione della società di persone dal registro delle imprese: l’“apparente” orientamento innovativo delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione

SOMMARIO:

1. Il caso. - 2. La normativa di riferimento e gli orientamenti giusdottrinali ante riforma - 3. Segue. La sentenza della Corte costituzionale, 21 luglio 2000, n. 319 e la riforma di diritto societario - 4. Il commento. - NOTE


1. Il caso.

La sentenza in commento costituisce la prima di una triade di decisioni coeve, pubblicate il giorno 22 febbraio 2010, recanti i numeri 4060, 4061 e 4062, mediante la quale le Sezioni Unite della Corte di Cassazione tentano di comporre, con funzione deliberatamente nomofilattica, il contrasto maturato tra i precedenti indirizzi giurisprudenziali formatisi riguardo all’individuazione del momento estintivo delle società di persone e di capitali, nonché riguardo all’efficacia e alla natura della loro cancellazione dal registro delle imprese [1]. Con essa, quella delle tre riguardante specificatamente una società di persone [2], la Suprema Corte asserisce, tanto per le società di capitali quanto per le società di persone, il realizzarsi, probabilmente definitivo [3], dell’effetto estintivo in coincidenza della cancellazione dell’ente dal registro delle imprese, con l’assai rilevante precisazione, tuttavia, che l’a­dempimento pubblicitario per le prime ha natura costitutiva, mentre per le seconde, oggetto di specifica analisi in questa sede, ha natura dichiarativa. Dal non limpidissimo principio di diritto dettato dalla sentenza in epigrafe (si vedano, in particolare, i parr. 3.4 e 3.5 di essa) si evince che, con l’i­scri­zione della cancellazione nel registro delle imprese, come avviene per le società di capitali, si verifica l’estin­zione delle società di persone, col conseguente venir meno della loro capacità e legittimazione. Tuttavia, ben specificandosi che si tratta di una mera «presunzione» e ben evidenziandosi che l’a­dem­pimento pub­blicitario ha mera «efficacia dichiarativa», sembra consentirsi, ancora oggi, a coloro che ne abbiano interesse di fornire una prova volta a superare la mera «presunzione del venir meno della capacità e legittimazione»: in altre parole, secondo il principio espresso dalla Sezioni Unite, se la società personale deve, sì, presumersi estinta in quanto cancellata, sembra restare pur sempre salva la possibilità di affermare, fornendo la prova della continuazione del­l’attività di impresa e, probabilmente, anche della stessa esistenza di rapporti pendenti, il perdurarne del­l’esi­stenza, con la conseguenza che non sempre il momento in cui si estinguono le società personali [continua ..]


2. La normativa di riferimento e gli orientamenti giusdottrinali ante riforma

Il tema dell’individuazione del momento estintivo delle società di persone, nonché dell’efficacia e della natura della loro cancellazione dal registro delle imprese, è da sempre fortemente dibattuto, tanto in giurisprudenza quanto in dottrina, posto che non esiste nessuna norma che espressamente sancisce il momento in cui si verifica l’estinzione delle società per­sonali. Invero, il codice civile non contiene alcuna disposizione al riguardo per quanto attiene alla società semplice, mentre per la società in nome collettivo la questione è solo parzialmente disciplinata dall’art. 2312 c.c. («Cancellazione della società»), secondo il quale: «Approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese» (1° comma); «Dalla cancellazione della società i creditori sociali che non sono stati soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci e, se il mancato pagamento è dipeso da colpa dei liquidatori, anche nei confronti di questi» (2° comma) [4]. Eppure, individuare con esattezza il momento in cui si realizza il fenomeno estintivo assume un’im­por­tanza fondamentale, attese le esigenze di certezza delle situazioni giuridiche e le istanze di tutela dei creditori sociali che in tali momenti conclusivi della vita sociale assumono tipicamente rilievo [5]. Ora, il problema dell’individuazione del momento in cui si verifica l’effetto estintivo si è posto storicamente in termini differenti per le società di persone registrate e per quelle non iscritte nel registro delle imprese. Per queste ultime, infatti, giurisprudenza e dottrina sono sempre state essenzialmente concordi nello spo­­sare un criterio sostanzialistico, ritenendosi che l’estinzione non si verificasse prima dell’integrale definizione di tutti i rapporti sociali: in altri termini, la chiusura del procedimento di liquidazione determina l’estinzione della società non registrata, sempreché la relativa disciplina sia rispettata e siano soddisfatti tutti i creditori sociali; in mancanza di ciò, la società non registrata, soprattutto a causa dell’assenza di un atto formale che segni chiaramente il momento finale della sua vita, deve considerarsi ancora [continua ..]


3. Segue. La sentenza della Corte costituzionale, 21 luglio 2000, n. 319 e la riforma di diritto societario

Ad avvalorare l’attendibilità di un orientamento dot­trinale che, sulla base di un’interpretazione rigorosa del dato normativo e della ratio effettivamente sottesa all’art. 2312 c.c., già ante riforma deponeva a favore del carattere costitutivo dell’adempimento pubblicitario presso il competente registro delle imprese, è intervenuta successivamente la nota pronuncia della Corte costituzionale, 21 luglio 2000, n. 319 [27], con la quale si è dichiarata l’illegittimità del­l’art. 10, legge fall. nella parte in cui non prevedeva che il termine di un anno dalla cessazione del­l’e­ser­cizio dell’im­pre­sa collettiva per la dichiarazione di fal­limento del­la società decorresse dalla cancellazione della me­­desima dal registro delle imprese. Con tale sentenza il Giudice delle leggi, censurando l’orientamento dominante che faceva decorrere il termine annuale per la declaratoria di fallimento dal compimento della fase liquidatoria (coincidente con la liquidazione effettiva dei rapporti facenti capo alla società), ha dato un contributo sicuramente contrario al­l’impostazione della consolidata giurisprudenza che individuava, come momento estintivo della soggettività giuridica dell’ente, l’effettivo esaurimento dei rapporti giuridici ad esso facenti capo, restituendo, così, sia pure implicitamente, al 2° comma del­l’art. 2312 c.c. la dignità di norma pienamente operativa [28]. Successivamente all’intervento della Corte costituzionale, un ulteriore elemento che, innestandosi nella querelle relativa all’individuazione del momento estintivo della società di persone, ha significativamente incrinato il monolitico diritto vivente instaurato dalla giurisprudenza, è rappresentato dalla modifica apportata, con l’art. 4, d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 (riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della legge 3 ottobre 2001, n. 366), all’art. 2495, 2° comma, c.c. In particolare, con l’inserimento dell’inciso «ferma restando l’estinzione della società» a que­st’ul­tima norma, il legislatore ha voluto chiarire, una volta per tutte, come evidenzia attenta Dottrina sul punto [29], che «la cancellazione [continua ..]


4. Il commento.

La sentenza in epigrafe, come le altre due pronunciate lo stesso giorno dalla Sezioni Unite (salvo piccole varianti), afferma, quale principio di diritto soprattutto teso a garantire la “parità di trattamento dei terzi creditori” di tutti i tipi sociali, il realizzarsi, per le società di persone, in conseguenza dell’adem­pimento pubblicitario della cancellazione dal registro delle imprese, di “una vicenda estintiva analoga” a quella delle società di capitali. Per le società personali, tuttavia, “così come la loro iscrizione nel registro delle imprese ha natura dichiarativa”, la natura dell’adempimento pubblicitario non è costitutiva, ma “resta dichiarativa”, e precisamente “dichiarativa della pubblicità della cessazione dell’attività dell’impresa collettiva, opponibile dal 1° gennaio 2004 ai creditori che agiscano contro i soci ai sensi degli artt. 2312 e 2324 c.c., in base ai quali si giunge alla presunzione del venir meno della [loro] capacità e legittimazione”, e ciò “anche se perdurino rapporti o azioni in cui le esse sono parti, in attuazione di una lettura costituzionalmente orientata delle norme relative a tale tipo di società, da leggere in parallelo ai nuovi effetti costitutivi della cancellazione delle società di capitali”. Dalla non limpidissima formulazione del principio di diritto della Suprema Corte, sembra evincersi che essa intenda applicare alle società di persone le medesime conclusioni a cui è essa pervenuta in relazione alle società di capitali, sancendo che con la formalità dell’iscrizione della cancellazione nel registro delle imprese se ne verifica l’estinzione, col conseguente venir meno della loro capacità e legittimazione; ma che, nel contempo, essa intenda mantenere ferma la natura dichiarativa dell’iscrizione della can­cellazione nel registro delle imprese, sposando il consolidato orientamento giurisprudenziale. Tali finalità che la Corte intende contemporaneamente perseguire non appaiono tuttavia perfettamente conciliabili, posto che, come autorevole Dottrina [49] storicamente insegna, l’estinzione dell’ente a seguito della cancellazione dal registro delle imprese colora di costitutività l’adempimento pubblicitario, mentre l’efficacia [continua ..]


NOTE
Fascicolo 4 - 2011