Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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La Cassazione riconosce (per la prima volta) il fantasma dell'insider di sé stesso (nota a Cassazione civile, Sezione II, 16 ottobre 2017, n. 24310) (di Pier Paolo Pirani)


(Art. 2325 bis c.c.; artt. 106, 114, 181, 184 TUF)

 

In tema di abuso di informazioni privilegiate, il termine “informazione” non presuppone il trasferimento di materiale conoscitivo da un soggetto “informatore” ad un soggetto “informato”, dovendo essere inteso semplicemente come “conoscenza”, con la conseguenza che è punibile anche la condotta del c.d. “insider di sé stesso”, cioè di chi utilizzi un’informazione da lui stesso creata. (1)

 

(Omissis).

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La società Cremofin s.r.l. e i signori C.L., C.V. e I.A. ricorrono contro la CONSOB per la cassazione della sentenza con cui la Corte di appello di Bologna ha rigettato la loro opposizione D.Lgs. n. 58 del 1998, ex art. 187 septies, (in prosieguo: T.U.F.) avverso la delibera CONSOB n. 17777 del 15.5.11.

In detta delibera – premesso che il gruppo di controllo della società quotata in borsa C. s.p.a. aveva deciso di cancellare quest’ultima dal listino di borsa (c.d. delisting) e che a tal fine, in data 31 marzo 2008, il signor C.L., la Cremofin s.r.l. E la Ci-erre Lux s.a. avevano comunicato al mercato la decisione di promuovere un’offerta pubblica di acquisto totalitaria e volontaria (OPA) – la CONSOB accertava che circa due mesi prima dell’annuncio di detta OPA (e, precisamente, nell’arco di tempo tra il 9 gennaio ed il 20 febbraio 2008) Cremofin s.r.l. aveva acquistato – tramite il suo amministratore unico I.A. e in attuazione di una decisione di C.L. (presidente ed azionista di controllo di C. s.p.a.) e C.V. (figlio di Luigi e amministratore delegato di C. s.p.a.) – n. 1.875.350 azioni C. spa, per un controvalore di Euro 4.950.090. Sulla scorta di tali risultanze di fatto la CONSOB riteneva i sigg. C.L., C.V. e I.A. responsabili, in concorso tra loro, dell’illecito di cui all’art. 187 bis, comma 1, lett. a), T.U.F., per avere effettuato acquisti di azioni della società C. s.p.a. utilizzando l’informazione privilegiata del lancio dell’OPA prima che la stessa venisse resa nota al mercato; conseguentemente la CONSOB applicava a Vincenzo e C.L. la sanzione pecuniaria di Euro 600.000, ad I.A., in solido con Cremofin s.r.I., la sanzione pecuniaria di Euro 100.000, a tutte e tre le suddette persone fisiche la sanzione interdittiva accessoria di cui all’art. 187 quater, comma 1, T.U.F. ed alla società Cremofin s.r.l. la sanzione pecuniaria di cui all’articolo 187 quinquies T.U.F.

Il ricorso si articola su sei motivi.

La CONSOB ha depositato controricorso.

La causa è stata discussa alla pubblica udienza del 13.4.17, per la quale tanto i ricorrenti quanto la controricorrente hanno depositato memorie illustrative e nella quale il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo mezzo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 187 septies T.U.F., e L. n. 262 del 2005, art. 24, derivante dal mancato rispetto, nell’ambito del procedimento sanzionatorio svoltosi davanti alla CONSOB, dei principi del contraddittorio, della conoscenza degli atti istruttori e dalla distinzione tra funzioni istruttorie e decisorie; nonché dal mancato rispetto, nell’ambito della fase giurisdizionale di impugnazione del provvedimento sanzionatorio, svoltasi davanti alla corte d’appello, della garanzia della pubblicità dell’udienza.

Al riguardo è opportuno, in primo luogo, ribadire il principio, elaborato da questa Corte proprio con riferimento al procedimento amministrativo previsto dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187 septies, secondo cui – in tema di sanzioni che, pur qualificate come amministrative, abbiano natura sostanzialmente penale – la garanzia del giusto processo ex art. 6, CEDU può essere realizzata, alternativamente, o nella fase amministrativa (nel qual caso, una successiva fase giurisdizionale non sarebbe necessaria) o mediante l’assoggettamento del provvedimento sanzionatorio (adottato in assenza di tali garanzie) ad un sindacato giurisdizionale pieno, di natura tendenzialmente sostitutiva ed attuato attraverso un procedimento conforme alle richiamate prescrizioni della Convenzione; procedimento che, è stato puntualizzato, non ha l’effetto di sanare alcuna illegittimità originaria della fase amministrativa, in quanto la stessa, sebbene non connotata dalle garanzie di cui al citato art. 6, è comunque rispettosa delle relative prescrizioni, per essere destinata a concludersi con un provvedimento suscettibile di controllo giurisdizionale (Cass. n. 8210/16, Cass. n. 770/17).

Tanto premesso il Collegio rileva che dai verbali allegati al ricorso per cassazione come doc. 7) emerge che i ricorrenti comparirono, per il tramite dei loro difensori, davanti alla corte d’appello di Bologna; in quella sede, quindi, essi avrebbero potuto dedurre non soltanto l’ille­git­timità, per contrasto con il disposto dell’articolo 6 CEDU, della fase amministrativa del procedimento sanzionatorio, svoltasi davanti alla CONSOB, ma anche l’illegittimità, sempre per contrasto con il disposto dell’articolo 6 CEDU (sotto il profilo della mancanza di pubblicità dell’udien­za) della fase giurisdizionale del medesimo procedimento, ancora in corso di svolgimento. Le relative questioni – non proposte, ancorché proponibili, in sede di merito – vanno dunque giudicate inammissibili in questa sede, per essere state dedotte per la prima volta con il ricorso per cassazione.

Può peraltro aggiungersi, solo per completezza, che il motivo in esame, oltre che inammissibile, risulta anche infondato. Le dedotte difformità del procedimento sanzionatorio CONSOB dal paradigma del giusto processo non determinano, alla luce del principio espresso nei condivisi precedenti già citati, alcun contrasto con i precetti di cui all’art. 6 CEDU. Il provvedimento sanzionatorio irrogato dalla CONSOB è, infatti, impugnabile in sede giurisdizionale e, d’altra parte, in tale sede la garanzia della pubblicità dell’udienza risulta rispettata, perché proprio dall’esame dei verbali sopra menzionati si evince che la corte bolognese trattò la causa in udienza e non in adunanza di camera di consiglio (si veda l’epi­grafe di detti verbali: “all’udienza collegiale del giorno... chiamata la causa...”); a nulla rilevando, ovviamente, che la decisione (peraltro coerentemente adottata in forma di sentenze e non di ordinanza) sia stata deliberata dalla corte di appello dopo che la stessa, come annotato nell’epi­grafe della sentenza gravata, si era “riunita in camera di consiglio”.

2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia la violazione falsa applicazione degli artt. 181 e 187 bis T.U.F., in cui la corte territoriale sarebbe incorsa ascrivendo ai ricorrenti l’illecito in contestazione nonostante che gli acquisti loro imputati siano iniziati il 9 gennaio 2008 e la stessa sentenza gravata collochi nella seconda metà del gennaio 2008 il momento in cui il progetto di OPA aveva assunto caratteristiche di concretezza tali da poter costituire oggetto di una informazione di carattere privilegiato.

Il motivo non può trovare accoglimento. La denuncia di violazione di legge si fonda su un travisamento, da parte dei ricorrenti, delle affermazioni svolte nella sentenza gravata. La corte d’appello ha infatti dato atto dell’assunto dei ricorrenti secondo cui, alla data in cui iniziarono i contestati acquisti di azioni C. s.p.a. (9 gennaio 2008) il progetto di OPA sarebbe stato in fase del tutto embrionale e, conseguentemente, non sarebbe sussistita alcuna informazione connotata del carattere della precisione in ordine ad un progetto di OPA sufficientemente delineato nei suoi elementi essenziali (cfr. pag. 26, primo capoverso, della sentenza) e tale assunto ha disatteso (“la tesi non appare fondata”, cfr. pag. 30, primo capoverso, della sentenza) con un giudizio di fatto di cui non è necessario analizzare la motivazione, giacché nel presente mezzo di gravame si deduce esclusivamente un vizio di violazione di legge.

L’enfasi portata dai ricorrenti sui riferimenti cronologici alla “seconda metà di gennaio 2008” contenuti nel quartultimo rigo di pagina 27 e nel nono rigo di pagina 29 della sentenza è fuorviante. Infatti, quanto al periodo posto alla fine di pag. 27, è sufficiente osservare che ivi si legge che “il reperimento del finanziamento per l’at­tuazione del progetto” di OPA era certo già in epoca precedente a quella (seconda metà di gennaio 2008) in cui esso era concretamente ini­ziato. Quanto, poi, al primo capoverso di pagina 29 – ove si legge che la circostanza che l’accordo con gli istituti di credito per il finanziamento dell’OPA si sia chiuso definitivamente solo nel marzo 2008 non esclude che una informazione di carattere privilegiato esistesse già nella seconda metà del gennaio 2008 – va evidenziato come quest’ultimo riferimento cronologico non sia ancorato ad una data precisa e, pertanto, risulti di genericità tale (a fronte, si noti, della ben più precisa affermazione che si legge a pagina 32 della stessa sentenza, laddove si limita al 4 gennaio 2008 il tempo in cui la notizia relativa al prossimo lancio dell’OPA poteva ancora ritenersi priva di precisione) da non porsi contraddizione con il giudizio di fatto (non specificamente censurato nel mezzo di impugnazione in esame) che proprio gli acquisti effettuati a partire dal 9 gennaio (data antecedente di soli sei giorni l’inizio della “seconda metà di gennaio”) finivano con il risultare dimostrativi (non essendo giustificabili in base alla convenienza per gli investitori) del fatto che già a quella data esistesse un’informazione precisa relativa al progetto di OPA.

3. Con il terzo motivo si denuncia il vizio di contraddittoria, omessa e/o insufficiente motivazione circa il fatto decisivo per il giudizio concernente la reperibilità del finanziamento funzionale al lancio dell’Opa; in particolare i ricorrenti censurano l’errore in cui la corte territoriale sarebbe incorsa ritenendo che fin dal gennaio 2008 il gruppo C. potesse contare sugli affidamenti bancari necessari al finanziamento del­l’Opa senza considerare che l’evoluzione delle trattative intercorse con gli istituti bancari avrebbe dimostrato che tale gruppo non era disponibile ad accettare un qualsiasi finanziamento, ma solo un finanziamento a condizioni ritenute accettabili in termini di garanzie e di commissioni. Il motivo va giudicato inammissibile in quanto la sua formulazione non è conforme al paradigma con cui il sindacato della Corte di cassazione sull’accertamento di fatto del giudice di merito viene limitato dall’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo modificato dal D.L. n. 83 del 2012 (applicabile nel presente giudizio perché la sentenza impugnata è stata pubblicata dopo l’11 settembre 2012). Il motivo in esame, infatti, si risolve in una critica di contraddittorietà o insufficienza del ragionamento motivazionale della corte territoriale ma non denuncia l’omesso esame di alcun fatto storico decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti; là dove, come questa Corte ha avuto già modo di chiarire, nel vigore del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), non è più configurabile il vizio di contraddittoria motivazione della sentenza (Cass. n. 13928/15) e, d’altra parte, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, perché il nuovo art. 360 c.p.c., com­ma 1, n. 5, attribuisce rilievo soltanto all’o­mes­so esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio (Cass. 1892/16).

4. Con il quarto motivo si denuncia il vizio di violazione e/o falsa applicazione degli artt. 181 e 187 bis T.U.F.; i ricorrenti, muovendo dal presupposto che tanto gli obblighi di disclosure (informativa del mercato ex art. 114 T.U.F.) quanto il divieto di insider trading sorgano nel momento in cui venga ad esistenza un’informazione di carattere privilegiato, censurano la sentenza gravata per avere ammesso la possibilità di uno spazio temporale, definito nel ricorso “zona grigia”, durante il quale un evento di natura potenzialmente price sensitive debba essere tutelato da possibili illeciti di insider trading pur non essendo ancora maturo per la comunicazione al pubblico.

Il motivo va giudicato inammissibile perché è privo di pertinenza alla motivazione della sentenza gravata. Tale motivo si risolve, in sostanza, in una critica dell’assunto sviluppato nella comunicazione della CONSOB del 28 marzo 2006, secondo cui il dettato dell’art. 66, comma 1, del Regolamento emittenti adottato con delibera n. 11971 del 14 maggio 1999 (“Gli obblighi di comunicazione previsti dall’articolo 114, comma 1, del Testo unico sono ottemperati quando, al verificarsi di un complesso di circostanze o di un evento, sebbene non ancora formalizzati, il pubblico sia stato informato senza indugio mediante apposito comunicato diffuso con le modalità indicate nel Capo I.”) legittimerebbe la possibilità che, rispetto allo stesso evento, possa esservi una significativa divaricazione temporale tra il momento in cui sorge l’obbligo della sua comunicazione al pubblico e il precedente momento in cui sorge il divieto di usare della relativa informazione. Ma di tale questione la corte bolognese non si è occupata minimamente, né avrebbe potuto occuparsene, non riguardando l’impugnato provvedimento sanzionatorio la violazione, da parte degli odierni ricorrenti, di obblighi di comunicazione al pubblico dell’OPA su C. s.p.a., cosicché la censura sviluppata nel mezzo di impugnazione in esame risulta irrimediabilmente carente di specificità.

 

5. Con il quinto motivo si denuncia il vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 187 T.U.F. e della direttiva 2003/06/CE in cui la corte distrettuale sarebbe incorsa ritenendo sussistente, nella specie, il collegamento causale tra il possesso dell’informazione privilegiata e lo status di insider; i ricorrenti argomentano che, essendo gli incolpati gli stessi ideatori del progetto di OPA sulle azioni C. s.p.a., l’informazione privilegiata dell’esistenza di tale progetto era in loro possesso non in ragione dei ruoli da loro svolti nella stessa C. s.p.a. e nella Cremofin s.r.l. ma semplicemente perché tale progetto era stato da loro ideato. Il motivo di ricorso pone, in sostanza, la questione del c.d. “insider di se stesso”, sviluppando le argomentazioni che di seguito si sintetizzano.

In primo luogo si argomenta che il termine “informazione” postulerebbe il trasferimento di materiale conoscitivo da un soggetto informatore ad un soggetto informato, cosicché non ogni tipologia di dato conoscitivo sarebbe sussumibile nella nozione di informazione, ma solo il materiale conoscitivo che abbia formato oggetto di una trasmissione tra soggetti diversi. Al riguardo, nel motivo di ricorso si critica l’enfasi data della corte territoriale alla diversità di tenore letterale tra il testo della L. n. 157 del 1991, art. 2, comma 1, (ove si vieta l’acquisto o la vendita di valori mobiliari “qualora si posseggano informazioni riservate ottenute in virtù della...n ed il testo dell’art. 187 bis, comma 1, T.U.F. (ove il destinatario dei divieti di condotta previsti da tale disposizione viene individuato in “chiunque, essendo in possesso di informazioni privilegiate in ragione della sua qualità di...”). I ricorrenti sottolineano che, anche dopo che dal testo delle norme regolatrici della materia è stato rimosso l’aggettivo “ottenute”, egualmente, ai fini della configurabilità della nozione di “informazione” rilevante ex art. 187 bis, comma 1, T.U.F., continuerebbe ad essere necessario un trasferimento di conoscenza da uno ad altro soggetto.

In secondo luogo si afferma che la locuzione “in ragione della sua qualità di...”, contenuta nel testo dell’art. 187 bis T.U.F., postulerebbe che la condotta sanzionata sia quella di colui (insider) che sfrutti un’informazione acquisita nell’ambito (ed a causa) di un rapporto fiduciario in essere con l’emittente.

In terzo luogo si contesta l’affermazione della sentenza gravata secondo cui il 300 “considerando” della direttiva 2003/06/CEE (“Poiché l’ac­quisizione o la cessione di strumenti finanziari implica necessariamente una decisione preliminare di acquisire o di cedere da parte della persona che procede ad una di queste operazioni, non si dovrebbe considerare che il fatto di effettuare questo acquisto o cessione costituisca di per sé un’utilizzazione di un’informazione privilegiata.”) si applicherebbe alle OPA con finalità di scalata ma non alle OPA che, come quella che ha dato origine alla vicenda per cui è causa, abbiano finalità di delisting (vale a dire le OPA in cui il socio di maggioranza tende ad acquistare tutte le azioni della società per poi cancellare la stessa dal listino di borsa).

Da ultimo i ricorrenti sollecitano questa Corte a sollevare davanti alla Corte di Giustizia del­l’Unione Europea la questione pregiudiziale relativa alla possibilità di interpretare gli artt. 1 e 2, della direttiva 2003/06/CEE, anche alla luce del 300 considerando, nel senso che essi escludano l’abuso di informazione privilegiata per il solo fatto di acquisto di azioni dell’emittente effettuato precedentemente al lancio di un’OPA finalizzata al delisting. Il motivo non può trovare accoglimento, né ricorrono le condizioni per disporre il richiesto rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

La prima argomentazione dei ricorrenti non è condivisibile. Nel contesto dell’articolo 187 bis T.U.F. la parola “informazione” non è accompagnata da alcun riferimento alla relativa provenienza e viene usata in senso meramente oggettivo e statico, come sinonimo di “conoscenza” o “notizia” oggetto di possesso. La circolazione che l’informazione possa avere avuto prima di entrare nel possesso dell’agente non trova alcuna eco semantica (quale poteva essere, nel testo della L. n. 157 del 1991, art. 2, comma 1, l’aggettivo “ottenute”) né nel testo dell’art. 187 bis T.U.F., né nel testo dell’art. 1, n. 1, della Direttiva 2003//CE (che così definisce la nozione di “informazione privilegiata”: “un’informazione che ha un carattere preciso, che non è stata resa pub­blica e che concerne, direttamente o indirettamente, uno o più emittenti di strumenti finanziari o uno o più strumenti finanziari, che, se resa pubblica, potrebbe influire in modo sensibile sui prezzi di tali strumenti finanziari ovvero sui prezzi di strumenti finanziari derivati connessi”); può aggiungersi che nemmeno nella direttiva 2003/ 124/CE, recante modalità di esecuzione della direttiva 2003/6/CE per quanto riguarda, tra l’altro, la definizione delle informazioni privilegiate, può rinvenirsi un qualche riferimento che induca a ritenere che la nozione di “informazione” rilevante ai fini della disciplina Europea degli abusi di mercato postuli la trasmissione di materiale conoscitivo da uno ad altro soggetto.

In definitiva va quindi affermato che nel testo dell’articolo 187 bis T.U.F. l’espressione “informazione” va intesa quale “conoscenza”, indipendentemente dal fatto che tale conoscenza sia stata o meno trasmessa da altri all’agente.

Nemmeno appare persuasiva la seconda argomentazione sviluppata dai ricorrenti, relativa all’assenza, nella ipotesi dell’“insider di se stesso”, di un nesso causale tra il possesso dell’infor­mazione e la qualità di insider. Essa si risolve, infatti, in un corollario del postulato che la nozione di informazione si identifichi in quella di conoscenza trasferita da un soggetto ad un altro; risulta infatti coerente con tale postulato affermare che i ricorrenti – che non hanno ricevuto da nessuno l’informazione sul progetto di OPA, essendo essi stessi gli ideatori di tale progetto – non sarebbero in possesso dell’informazione relativa all’esistenza di tale progetto in ragione delle loro partecipazioni o cariche societarie (bensì in ragione della loro qualità, appunto, di ideatori del progetto stesso).

Se, però, si respinga il postulato – come il Collegio, per le ragioni sopra enunciate, ritiene di dover fare – cade anche il corollario. È evidente, infatti, che C.L., C.V. e I.A. non hanno ricevuto l’informazione relativa al progetto di OPA da altri soggetti con i quali essi erano in contatto professionale in ragione delle loro partecipazioni o cariche societarie; ma è altrettanto evidente che gli stessi in tanto hanno ideato il progetto di OPA, acquisendo conseguentemente il possesso della relativa informazione, in quanto C.L. e V. erano titolari di cariche (e, il primo, anche di partecipazioni) nella società emittente C. s.p.a. e I.A. esercitava la funzione di amministratore della Cremofin s.r.l..

In buona sostanza, se C.L. non fosse stato azionista di controllo e presidente di C. s.p.a., se suo figlio Vincenzo non fosse stato amministratore delegato di C. s.p.a. e se I.A. non fosse stato amministratore unico di Cremofin s.r.l., essi non avrebbero ideato il progetto di OPA e, quindi, l’oggetto stesso della informazione da loro posseduta non sarebbe venuto ad esistenza. Essi erano dunque in possesso dell’informazione relativa al progetto di OPA in ragione delle loro partecipazioni, cariche e funzioni, perché in ragione di tali partecipazioni, cariche e funzioni essi avevano ideato il progetto di cui possedevano l’in­formazione. La situazione dei ricorrenti è dunque perfettamente inquadrabile nello schema dell’insider primario.

D’altra parte, né nell’articolo 187 bis T.U.F., né nella direttiva 2003/6/CE è operata alcuna distinzione tra chi utilizzi una informazione da lui stesso creata (vale a dire, l’informazione relativa ad un evento futuro da lui stesso ideato) e chi utilizzi un’informazione ricevuta da altri. Va quindi giudicato privo di supporti normativi l’as­sun­to dei ricorrenti secondo cui la ratio della norma andrebbe cercata “nella riprovazione generata dalla condotta di chi viene a disporre dell’informazione privilegiata in ragione della sua peculiare e fisiologica prossimità alla notizia derivante dal ruolo questi ricopre” cosicché il disvalore andrebbe rinvenuto “nello sfruttamento di informazioni privilegiate acquisite mediante una posizione di insider, quando tale abuso si traduce in un profitto parassitario da parte di chi non abbia nessun merito nella elaborazione del contenuto della notizia stessa”. La ratio del divieto di utilizzare informazioni privilegiate consiste, invece, come chiarito dalla Corte di Giustizia del­l’Unione Europea, “nel tutelare l’integrità dei mercati finanziari e nel rafforzare la fiducia degli investitori che riposa, in particolare, sulla garanzia che questi ultimi saranno posti su un piano di parità e tutelati contro l’utilizzazione illecita delle informazioni privilegiate” (sentenza in causa C-45/08 Spector p. 62).

Va infine giudicata infondata anche la terza argomentazione sviluppata nel motivo di ricorso in esame, con la quale si invoca il 300 “considerando” della direttiva 2003/6/CE e si censura la sentenza gravata per avere distinto, senza fondamento normativo, OPA finalizzata alla scalata dalli OPA finalizzata al delisting. Al riguardo va in primo luogo evidenziato che l’assunto dei ricorrenti secondo cui le condotte loro,(scritte sarebbero da giudicare legittime alla luce del 300 “considerando” della direttiva 2003/6/CE non trova riscontro nel tenore letterale di tale “considerando”, giacché esso, quando afferma che il fatto di effettuare acquisti o cessioni non può essere considerato una utilizzazione dell’in­for­mazione privilegiata relativa alla decisione del­l’agente (necessariamente antecedente) di effettuare tali operazioni, postula l’identità tra le operazioni oggetto della previa decisione e le operazioni successivamente poste in essere dal­l’ope­ratore in esecuzione della stessa. Nella specie, quindi, il disposto del 300 “considerando” imporrebbe di non considerare utilizzazione del­l’informazione privilegiata l’effettuazione degli acquisti conseguenti al lancio dell’OPA (ossia, appunto, gli acquisti costituenti oggetto della decisione previamente assunta e costituente oggetto di informazione privilegiata – di dare corso ad un’OPA), ma non offre alcuna indicazione sulla possibilità di considerare, o meno, utilizzazione del­l’informazione privilegiata del prossimo lancio di un’OPA le operazioni di acquisto e vendita di titoli effettuate non in esecuzione dell’OPA ma prima del relativo lancio.

Né a diverse conclusioni potrebbe pervenirsi sulla base del tenore letterale dell’art. 9, comma 5, del Regolamento n. 596/2014 (Market Abuse Regulation, in sigla MAR), che ha ora sostituito la direttiva 2003/6/CE nella disciplina la materia. Pur a prescindere dal rilievo che la fattispecie in esame è interamente disciplinata, ratione temporis, da quest’ultima direttiva, è decisiva la considerazione che anche la nuova disposizione (“Ai fini degli artt. 8 e 14, il semplice fatto che una persona utilizzi la propria cognizione di aver deciso di acquisire o cedere strumenti finanziari per l’acquisizione o la cessione di tali strumenti finanziari non costituisce di per sé utilizzo di informazioni privilegiate”) postula una relazione biunivoca tra le operazioni oggetto di previa decisione e le operazioni effettuate in attuazione di tale decisione. Nella specie in esame, per contro, le operazioni contestate sono diverse dall’opera­zione oggetto della previa decisione degli operatori, giacché tale decisione aveva ad oggetto il lancio di un’OPA (e, quindi, l’acquisto di titoli in esecuzione dell’OPA) mentre le operazioni in relazione alle quali si contesta l’abuso di informazione privilegiata consistono in acquisti di titoli effettuati prima del lancio dell’OPA e, quindi, diversi dagli acquisti costituenti attuazione della decisione oggetto della decisione oggetto di informazione privilegiata (lancio dell’OPA).

Tanto premesso, osserva il Collegio che Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nella già citata sentenza C-45/08 Spector, ha chiarito che, in linea generale, “il divieto degli abusi di informazioni privilegiate si applica quando un insider primario che le detiene utilizza indebitamente il vantaggio che dette informazioni gli conferiscono effettuando un’operazione di mercato corrispondente a queste ultime” (p. 53) e che, conseguentemente, “il fatto che un insider primario, il quale detiene informazioni privilegiate, effettui un’o­perazione di mercato sugli strumenti finanziari cui esse si riferiscono comporta che tale persona ha “utilizzato tali informazioni” ai sensi del­l’art. 2, n. 1, della direttiva 2003/6, fatto salvo il rispetto dei diritti della difesa e, in particolare, del diritto di poter confutare tale presunzione.” (p. 54) La Corte di Giustizia ha poi indicato varie ipotesi, contemplate nel preambolo della direttiva 2003/6/CE, nelle quali l’effettuazione di un’ope­ra­zione di mercato da parte di un insider primario in possesso di informazioni privilegiate non dovrebbe di per sé costituire “uso di informazioni privilegiate” e, tra tali ipotesi, ha richiamato anche la previsione del 300 “considerando”, concludendo che “l’art. 2, n. 1, della direttiva 2003/6 deve essere interpretato nel senso che il fatto che una persona di cui al secondo comma di tale disposizione che detiene informazioni privilegiate acquisisca o ceda, o cerchi di acquisire o cedere, per conto proprio o per conto terzi, direttamente o indirettamente, gli strumenti finanziari cui le informazioni si riferiscono comporta che tale persona ha “utilizzato tali informazioni” ai sensi di detta disposizione, fatto salvo il rispetto dei diritti della difesa e, in particolare, del diritto di poter confutare tale presunzione. La questione se detta persona abbia violato il divieto degli abusi di informazioni privilegiate deve essere analizzata alla luce della finalità di tale direttiva, la quale consiste nel tutelare l’in­tegrità dei mercati finanziari e nel rafforzare la fiducia degli investitori, che riposa, in particolare, sulla garanzia che questi ultimi saranno posti su un piano di parità e tutelati contro l’utilizzazione il­lecita delle informazioni privilegiate.” (p. 62).

In sostanza, secondo l’interpretazione della disciplina Europea offerta dalla Corte di Giustizia, la questione della possibilità di escludere che l’insider che compia operazioni di mercato essendo in possesso di informazioni privilegiate incorra nel divieto di abuso di informazioni privilegiate va esaminata alla luce della ratio della disciplina sugli abusi di mercato; ratio che la Corte di Giustizia individua nell’esigenza di garantire che le operazioni di mercato si svolgano in condizioni di parità informativa tra gli operatori.

Alla luce di questi principi, per stabilire se integri la fattispecie di abuso di informazioni privilegiate la condotta dell’insider primario che compia operazioni di mercato essendo in possesso di informazioni privilegiate relative al prossimo lancio di un’OPA, non è irragionevole operare valutazioni differenziate a seconda della diversa finalità dell’OPA, in particolare distinguendo tra la finalità di scalata e la finalità di delisting. In ogni caso, l’analisi della compatibilità con la disciplina degli abusi di mercato di operazioni di acquisto o vendita di titoli effettuate dall’insider primario che sia in possesso di informazioni privilegiate relative al prossimo lancio di un’OPA finalizzata alla scalata è estranea all’oggetto del presente giudizio.

Per quanto riguarda l’OPA finalizzata al delisting, il Collegio ritiene che la ratio della disciplina sugli abusi di mercato, vale a dire, come sopra precisato, l’esigenza di garantire che le operazioni di mercato si svolgano in condizioni di parità informativa tra gli operatori, non faccia emergere alcuna ragione per derogare alla presunzione, a cui si fa riferimento nel p. 62, sopra trascritto, della sentenza Spector, che le operazioni di acquisto o vendita di strumenti finanziari poste in essere dall’insider che sia in possesso di informazioni privilegiate costituiscano utilizzazione di tali informazioni. Nell’OPA finalizzata al delisting, infatti, l’iniziativa parte non da un soggetto esterno alla società investita dall’OPA stessa, bensì dal socio di maggioranza di tale società, il quale, compiendo operazioni di acquisto di titoli nel periodo intercorrente tra la decisione e la comunicazione al pubblico del lancio dell’OPA, utilizza l’informazione privilegiata relativa al prossimo lancio dell’OPA proprio al fine di (ab)usare della disparità informativa esistente tra di lui, che è al corrente dell’imminente lancio dell’OPA, e gli altri azionisti della stessa società che, ignari di tale imminente lancio, sono disposti a cedergli le azioni in loro possesso a un prezzo minore di quello destinato ad essere offerto nella futura OPA (nella sentenza gravata si riferisce che il prezzo offerto nell’OPA era di Euro 3 per azione, mentre gli acquisti effettuati tra il 9 gennaio del 20 febbraio 2008, oggetto del presente procedimento, avvennero ad un prezzo medio di Euro 2,27 per azione).

Per quanto concerne la richiesta dei ricorrenti di sollevare davanti alla Corte di Giustizia del­l’Unione Europea, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’unione, la questione “se gli artt. 1 e 2 della direttiva 2003/06/CE, anche alla luce del “considerando” 30, escludono l’abuso di informazione privilegiata per il solo fatto di acquisto di azioni dell’emittente effettuato precedentemente al lancio di un’OPA finalizzata al delisting”, il Collegio preliminarmente osserva che, come chiarito dalla stessa Corte di Giustizia nella sentenza del 6 ottobre 1982 in causa C-283/81, Cilfit, l’obbligo dei giudici nazionali di ultima istanza di sottoporre alla Corte di Giustizia una questione d’interpretazione di norme Europee che sia stata sollevata dinanzi a loro non sussiste qualora il punto di diritto di cui si tratta sia stato risolto da precedenti pronunce della Corte di Giustizia medesima (cfr. anche Cass. S.S.U.U. n. 12067/07).

Tanto premesso, si osserva che il quesito interpretativo prospettato dai ricorrenti trova risposta nel paragrafo n. 62 della sentenza Spector, sopra trascritto Proprio alla luce dei principi espressi in quel paragrafo, infatti, per un verso deve affermarsi la presunzione che un insider primario che detenga informazioni privilegiate ed effettui un’o­pe­razione di mercato sugli strumenti finanziari cui tali informazioni si riferiscono abbia utilizzato tali informazioni e, per altro verso, deve affermarsi che il superamento di detta presunzione va vagliato alla luce della ratio della disciplina degli abusi di mercato, la quale consiste nel tutelare l’integrità dei mercati finanziari e nel rafforzare la fiducia degli investitori, che riposa, in particolare, sulla garanzia che questi ultimi saranno posti su un piano di parità e tutelati contro l’utilizzazione illecita delle informazioni privilegiate.

Alla luce della sentenza Spector, dunque, non residuano dubbi interpretativi sul significato degli artt. 1 e 2 e del 300 “considerando” della direttiva 2003/06/CE. Il dettato di tali disposizioni è chiaro e, alla luce di tale dettato, la questione da cui dipende la soluzione della presente causa si risolve nello stabilire se – in considerazione della ratio della disciplina degli abusi di mercato, e dunque della esigenza di tutelare l’integrità dei mercati finanziari e di rafforzare la fiducia degli investitori – la presunzione che un’insider primario che detiene informazioni privilegiate utilizzi tali informazioni qualora effettui operazioni di mercato sugli strumenti finanziari cui esse si riferiscono possa ritenersi superata ove l’operazione di mercato consista nell’acquisto di azioni di una società su cui l’insider, che della stessa detenga la maggioranza delle azioni, stia per lanciare un’OPA per delisting. Tale questione, tuttavia, non involge l’interpretazione generale ed astratta delle disposizioni dettate dalla direttiva 2003/06/ CE, bensì I’ applicabilità di tali disposizioni ad una determinata fattispecie e, pertanto, la sua soluzione compete al giudice nazionale (cfr. Cass. 15041/17).

Il quinto motivo di ricorso va dunque, conclusivamente, rigettato.

6. Con il sesto motivo di ricorso i ricorrenti denunciano il vizio di contraddittoria, omessa e/o insufficiente motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ossia l’ascrivibilità dell’illecito ai ricorrenti in proprio, ovvero a titolo di concorso. In particolare i ricorrenti attingono l’affermazione che si legge a pagina 39, primo capoverso, della sentenza gravata, là dove si afferma che tutti i tre odierni ricorrenti “rivestivano in proprio ruolo di insider primario ai quali l’illecito poteva essere contestato in proprio, oltre che a titolo di concorso, per cui è sufficiente che uno solo dei soggetti abbia la qualifica di insider perché gli altri soggetti che risultino aver contribuito alla realizzazione di illecito rispondono del medesimo fatto titolo di concorso”. Nel mezzo di ricorso si argomenta che la sentenza risulterebbe, per un verso, contraddittoria (non chiarendo se l’illecito addebitato ai ricorrenti venga loro ascritto in proprio o a titolo di concorso) e, per altro verso, carente nella individuazione dei ruoli e nella qualificazione dei comportamenti integrativi del­l’ipotetico concorso.

Osserva al riguardo il Collegio che la censura si risolve in una critica di contraddittorietà o insufficienza del ragionamento motivazionale della corte territoriale, ma non denuncia l’omesso esame di alcun fatto storico, principale o secondario, decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti.

Il motivo è dunque inammissibile, perché la sua formulazione non è conforme al disposto dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nuovo testo, dovendosi al riguardo richiamare le osservazioni già svolte per motivare la statuizione di inammissibilità del terzo mezzo di gravame.

7. In definitiva il ricorso va rigettato in relazione a tutti i motivi nei quali esso si articola.

Le spese del giudizio di cassazione si compensano, trattandosi della prima volta che la questione dell’“insider di sé stesso” viene esaminata da questa Suprema Corte.

Deve peraltro darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento del doppio contributo unificato da parte dei ricorrenti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione

 

(1) La Cassazione riconosce (per la prima volta) il fantasma dell’insider di sé stesso

(1) Supreme Court addresses (for the first time) the question of the configurability of the “insider of himself”

Con la sentenza n. 24310/2017, la Cassazione risolve la questione della configurabilità dell’insider di sé stesso non ritendendo l’alterità soggettiva tra il soggetto creatore dell’informazione privilegiata e l’utilizzatore elemento costitutivo della fattispecie di insider trading.

Se la decisione della Suprema Corte non sembra del tutto condivisibile alla luce della disciplina applicabile ratione temporis, a una diversa conclusione si potrebbe (forse) pervenire valorizzando l’attuale quadro normativo.

With the decision no. 24310/2017, the Supreme Court addresses the question of the configurability of the “insider of himself” by not considering the subjective alterity between the creator of the privileged information and its user as constitutive element of the insider trading’s model fact situation.

If the decision of the Supreme Court does not seem entirely acceptable in the light of the applicable ratione temporis discipline, a different conclusion could (perhaps) be achieved by enhancing the current regulatory framework.

SOMMARIO:

1. Il caso. La vicenda storica - 2. La sentenza della Corte di Cassazione e le questioni affrontate - 3. Il quadro normativo di riferimento: la nozione di informazione privilegiata - 4. La fattispecie penale prevista all’art. 184 TUF - 5. L'insider di sé stesso nella giurisprudenza di merito - 6. Il commento. La sentenza della Corte di Cassazione n. 24310 del 16 ottobre 2017: una lettura critica - 7. Conclusioni - NOTE


1. Il caso. La vicenda storica

Il gruppo Cremonini è uno dei leader mondiali nel settore della produzione, distribuzione di prodotti alimentari e ristorazione. Holding del gruppo Cremonini è la Cremonini s.p.a., la quale controlla tre subholding operative: 1) Inalca s.p.a. (al 71%), Chef Express s.p.a. (al 100%) e Marr s.p.a. (al 50,4%). Nel dicembre del 1998 la Cremonini s.p.a. viene quotata alla Borsa Valori di Milano [1]. Tra il 9 gennaio 2008 e il 20 febbraio 2008 Cremofin s.r.l. ha acquistato 1.875.350 azioni della Cremonini s.p.a., circa l’1,3% del capitale sociale, per un controvalore di € 4.250.090 (€ 2,27 per azione). Il 31 marzo 2008 Cremofin s.r.l., Ci-Erre Lux s.a. (due società riconducibili al gruppo Cremonini) e L.C. hanno comunicato al mercato la volontà di lanciare un’offerta pubblica di acquisto volontaria e totalitaria (ex art. 102 e 106 TUF) al prezzo di € 3,00 per azione sulle restanti 43.969.838 azioni della Cremoni s.p.a. (pari al 31% del capitale sociale) [2]. L’operazione era finalizzata al delisting della Società emittente per il tramite della Cremonini Investimenti s.r.l., società veicolo interamente posseduta da Cremofin s.r.l. Alla scadenza del periodo di offerta i proponenti hanno raggiunto il loro obiettivo: il gruppo Cremonini disponeva del 95% del capitale sociale della Cremonini s.p.a. L’operazione era perfezionata con il successivo acquisto da parte della Cremonini Investimenti s.r.l. delle azioni residue della Società emittente (ex art. 108 TUF) e, come previsto nel documento d’offerta, con il delisting della Cremonini s.p.a. [3]. Nel 2010 la Consob ha disposto una verifica sullo svolgimento dell’OPA lanciata nei confronti della Cremonini s.p.a. L’Autorità di vigilanza, all’esito di una complessa attività istruttoria, ha contestato a L.C., V.C. e I.A. la violazione dell’art. 187-bis, 1° comma, TUF per aver acquistato 1.875.350 azioni della Cremonini s.p.a. sfruttando l’informazione privilegiata relativa alla promozione della successiva OPA totalitaria di cui erano in possesso grazie alla loro qualità di presidente e azionista di controllo di Cremonini s.p.a. (L.C.), amministratore delegato di Cremonini s.p.a. (V.C.) e amministratore unico di Cremofin s.r.l. (I.A.). Con delibera n. 17777/2011, la Consob ha condannato ex artt. 187-bis, 1° comma, e 187-quater, 1° comma, TUF i [continua ..]


2. La sentenza della Corte di Cassazione e le questioni affrontate

La sentenza in commento si segnala per l’assoluta novità della questione giuridica affrontata in materia di abuso di informazio­ni privilegiate: viene riconosciuta, per la pri­ma volta, la possibilità che il soggetto attivo della fattispecie di insider trading sia l’au­tore stesso dell’informazione privilegiata [6]. Infatti tra i temi affrontati dalla Cassazione in sede di vaglio della pronuncia resa dalla Corte distrettuale assume particolare rilievo quanto dedotto dai ricorrenti con il quinto motivo di ricorso. Quest’ultimi hanno impugnato, tra l’altro [7], la decisione della Corte di Appello di Bologna nella parte in cui è stato riconosciuto un collegamento causale tra il possesso dell’informazione privilegiata e la qualità di insider. In particolare, i ricorrenti hanno evidenziato che erano loro stessi i creatori del progetto di OPA: l’informazione privilegiata deriverebbe, di conseguenza, da una idea dei ricorrenti e non da una notizia assunta grazie alle cariche sociali esercitate nella Cremonini s.p.a. o nella Cremofin s.r.l. Il 5° motivo di ricorso, che come anticipato rappresenta il fulcro della decisione della Corte di Cassazione, è articolato su tre diverse argomentazioni: (i) il termine “informazione” richiederebbe un trasferimento di conoscenza da un soggetto informatore a un soggetto informato; (ii) l’art. 187-bis TUF nella parte in cui sanziona la condotta del soggetto «in ragione della sua qualità di» postulerebbe lo sfruttamento abusivo di un’informazione acquisita nell’ambito di un rapporto fiduciario in essere con la società emittente; (iii) il 30° “considerando” della direttiva 2003/06/CE troverebbe applicazio­ne all’OPA sia con finalità di scalata, sia da delisting [8]. La Corte di Cassazione, sulla base di un ragionamento particolarmente articolato, non ritiene condivisibile le argomentazioni proposte dai ricorrenti [9]. Per anticipare le conclusioni, la Suprema Corte ha statuito che il termine “informazione” non è accompagnato da nessun riferimento all’eventuale provenienza della stessa: si tratta di un sostantivo utilizzato in “senso meramente oggettivo e statico” [10]. La seconda argomentazione esposta dai ricorrenti (l’assenza di un collegamento cau­sale tra [continua ..]


3. Il quadro normativo di riferimento: la nozione di informazione privilegiata

La vicenda che dà origine al caso in esame si inserisce all’interno della disciplina dell’insider trading: è quindi indispensabile chiarire cosa si intende per insider trading e come viene sanzionato l’abuso di informazioni privilegiate nell’ordinamento nazionale e comunitario. Anzi tutto, una precisazione metodologica: l’analisi della sentenza è svolta tenendo in considerazione la normativa applicabile ratione temporis, segnalando se necessario il testo attualmente vigente degli articoli di riferimento [11]. La disciplina nazionale in materia di manipolazione del mercato è contenuta all’in­terno del Titolo 1-bis del TUF, rubricato “Abuso di informazioni privilegiate e manipolazione del mercato” [12]. Si tratta di un complesso di norme dettagliate e variegate che spaziano dal diritto civile al diritto penale e si accomunano per una specifica finalità: garantire la tutela dei risparmiatori, l’appetibilità del mercato e la corretta allocazione dei prezzi degli strumenti finanziari negoziati all’interno dello stesso [13]. L’art. 181 TUF individuava la nozione di informazione privilegiata: una nor­ma fondamentale nella ricostruzione della disciplina dell’abuso di informazioni privilegiate, una sorta di presupposto delle fattispecie penali previste all’art. 184, lett. a), b) e c) TUF e sanzioni amministrative ex art. 187-bis TUF [14]. L’informazione per assumere il valore di privilegiata deve essere precisa, non di dominio pubblico, sensibile e relativa a strumenti finanziari (o emittenti di strumenti finanziari) [15]. Il termine “precisione” indica che l’infor­mazione deve riguardare un fatto storico accaduto, o che ragionevolmente accadrà, e il complesso delle circostanze fattuali oggetto della notizia deve essere in grado di produrre degli effetti sul prezzo degli strumenti finanziari [16]. Per espressa previsione normativa l’informazione non deve avere il carattere dell’assoluta certezza: affinché un’informazione possa essere ritenuta precisa è sufficiente la ragionevole probabilità del venire in esistenza dell’evento a cui la notizia si riferisce [17]. L’informazione precisa deve essere anche non di dominio pubblico. L’insider sfrutta il vantaggio competitivo dell’anticipata [continua ..]


4. La fattispecie penale prevista all’art. 184 TUF

Dopo aver analizzato la nozione di informazione privilegiata, anche con riguardo alle differenze rispetto alla definizione ex art. 114 TUF, è opportuno soffermarsi sulla fattispecie penale di insider trading. L’art. 184 TUF sanziona il rapporto “privilegiato” che si configura tra l’agente e l’in­­formazione medesima. La fattispecie delittuosa in esame non punisce ex se il possesso dell’informazione qualificata: sono sanzionate soltanto le condotte nelle quali il possesso dell’informazione privilegiata deriva dalla specifica posizione soggettiva che l’a­gente vanta all’interno della società. Il legislatore ha quindi delimitato l’area relativa alla responsabilità penale, restando escluse tutte le informazioni ottenute tramite canali alternativi a quelli specificati al­l’art. 184 TUF [35]. Analizzando i singoli obblighi, la lettera a) dell’art. 184, 1° comma TUF stabilisce il divieto di compiere qualsiasi operazione su strumenti finanziari rispetto ai quali l’infor­mazione privilegiata ha un determinato impatto. La lett. b), dell’art. 184, 1° comma, TUF sanziona la condotta dell’agente che comunica a terzi le informazioni privilegiate (c.d. tipping): viene punita la semplice comunicazione della notizia, senza necessità dello sfruttamento altrui dell’informazione trasmessa [36]. La lett. c), dell’art. 184, 1° comma, TUF punisce il soggetto che induce o raccomanda un terzo a compiere una delle operazioni indicate alla lett. a) del medesimo articolo [37]. 4.1. Segue: le sanzioni amministrative ex art. 187-bis TUF La disciplina in materia di informazioni privilegiate e manipolazione del mercato è completata dalle sanzioni amministrative previste dagli artt. 187-bis ss. TUF. Il legislatore italiano ha infatti delineato un sistema sanzionatorio a doppio binario – am­ministrativo e penale – applicabile alle medesime fattispecie e condotte [39]. Anche l’art. 187-bis, 1° comma, TUF, nella sua formulazione applicabile ratione temporis, prevedeva sanzioni (amministrative) a carico del soggetto che, in possesso della notizia privilegiata in ragione di specifiche situazioni nella quali lo stesso si trova rispetto all’emittente (c.d. primary insider), acquista, vende o compera strumenti finanziari (lett. a), comunica informazioni ad altri soggetti [continua ..]


5. L'insider di sé stesso nella giurisprudenza di merito

Una volta inquadrata la fattispecie giuridica posta all’attenzione della Corte di Cassazione, è necessario verificare se la tra gli autori del reato di abuso di informazioni privilegiate possa ascriversi anche il soggetto ideatore della notizia privilegiata. La figura dell’insider di sé stesso, e la sua relativa punibilità, è stata esaminata in pochissimi casi dalla giurisprudenza civile, amministrativa e penale. La prima sentenza in materia di (non) punibilità dell’insider di sé stesso è stata pronunciata dal TAR Lazio [49]. Secondo il giudice amministrativo non costituisce abuso di informazioni privilegiate l’acquisto di azioni di un emittente da parte dell’azionista di controllo finalizzato al lancio di un’OPA diretta al delisting della società. Secondo il TAR Lazio, il soggetto che vuole lanciare l’OPA non è tenuto al rispetto della disciplina in materia di abuso di informazioni privilegiate proprio perché l’informazione relativa al lancio del­l’OPA non è considerata privilegiata, difettando quest’ultima del requisito dell’alterità e della trasmissione della notizia tra soggetti diversi. Il TAR ha annullato il provvedimento sanzionatorio della CONSOB perché i soggetti coinvolti erano l’unico “centro di imputazione” della vicenda storica oggetto del­­l’informazione privilegiata e, inoltre, non avevano “quel particolare rapporto con l’e­mit­tente che costituisce ex art. 187-bis il presupposto per punire la condotta”. Sulla questione giuridica decisa dal TAR Lazio è successivamente intervenuta, assumendo una decisione diametralmente opposta, la Corte di Appello di Bologna [50]. I giudici di secondo grado, dopo aver evidenziato che l’informazione relativa al­l’ac­quisto delle azioni della Cremonini s.p.a. era da considerarsi “precisa” e “price sensitive”, ammettono l’esistenza (e la relativa punibilità) dell’insider di sé stesso sulla base delle seguenti ragioni. La prima argomentazione è di carattere storico-letterale. L’insider trading è stato introdotto nel nostro ordinamento dall’art. 2, 1° comma, legge n. 157/1991, il quale distingueva tra il soggetto creatore dell’informazione e soggetto che in concreto [continua ..]


6. Il commento. La sentenza della Corte di Cassazione n. 24310 del 16 ottobre 2017: una lettura critica

La Corte di Cassazione con la sentenza in commento ha riconosciuto la rilevanza giuridica dell’insider di sé stesso in quanto: (i) la parola “informazione” è utilizzata dal legislatore come sinonimo di conoscenza, senza alcun riferimento alla sua provenienza; (ii) la normativa nazionale e comunitaria non compiono alcuna differenziazione tra chi utilizza l’informazione da lui stesso creata e chi utilizza l’informazione ricevuta da altri soggetti; (iii) il 30° Considerando della direttiva 2003/6/CE si riferirebbe alle sole operazioni finanziare successive alla pubblicizzazione dell’OPA. Anzi tutto, la pronuncia in esame richiama la distinzione semantica tra l’art. 2 della legge n. 157/1991 e gli artt. 184 e 187-bis TUF. In quest’ultime norme non è più inserito il verbo “ottenere” ma si fa riferimento al “possedere” un’informazione: il legislatore avrebbe quindi deciso di non distinguere più tra il soggetto autore dell’in­for­ma­zione e il soggetto che utilizza l’infor­ma­zione stessa. L’iter logico-giuridico della Corte non sembra condivisibile. L’informazione, come autorevolmente so­­­stenuto [56], evoca una trasmissione di conoscenza da un soggetto all’altro. In mancanza dell’alterità dell’informazione ci troviamo di fronte a una semplice elaborazione personale dell’agente, una non-informa­zione. Non convince, in particolare, l’afferma­zione della Corte laddove ritiene “la circolazione che l’informazione possa avere avuto prima di entrare nel possesso dell’agente non trova alcuna eco semantica (quale poteva essere, nel testo della l. n. 157 del 1991, art. 2, 1° comma, l’aggettivo ottenute) né nel testo dell’art. 187-bis TUF, né nel testo dell’art. 1, n. 1, della Direttiva 2003/CE”. Invero, è il lemma informazione che proprio da un punto di vista strettamente semantico richiama una trasmissione di dati/notizie/circostanze/fatti tra soggetti diversi, a nulla rilevando se l’informazione è associata al verbo “ottenere” o “possedere” [57]. L’argomento letterale utilizzato dai giudici di legittimità per ammettere l’esistenza dell’insider di sé stesso si basa, quindi, su un assunto errato: il [continua ..]


7. Conclusioni

La soluzione a cui è pervenuta la Corte di Cassazione lascia irrisolti molti dubbi. Si è cercato di chiarire come l’informa­zione – indipendentemente se associata al verbo “ottenere” o “possedere” – impone un fenomeno trasmissivo tra il soggetto autore e il soggetto che materialmente sfrutta l’in­formazione e, soprattutto, non deve essere con­siderata antigiuridica ogni forma di sfrut­tamento dei propositi personali all’in­terno del mercato. Sanzionare in maniera indiscriminata ope­razioni finanziarie lecite solo perché poste in essere dall’azionista di controllo potrebbe confermare “i rischi di una disciplina normativa che, per voler essere omnicomprensiva, conduce poi, in concreto, nel vicolo cieco costituito, a seconda dei casi, dalla sua applicazione a fattispecie lecite affatto differenti da quelle che si intendono reprimere, ovvero alla sua inattuazione in ragione della genericità della norma incriminatrice” [64]. La decisione della Corte di Cassazione non appare condivisibile proprio perché sanzionando l’insider di sé stesso non sembra tutelata l’integrità dei mercati e (non) si consolida la fiducia degli investitori: la ratio della disciplina in materia di insider trad­ing deve essere ricercata nell’efficienza e integrità del mercato, non nella parità di accesso all’informazione secondo una logica di market egalitarianism.   Inoltre, un intervento sanzionatorio generalizzato potrebbe condurre alla riduzione del numero delle transazioni sul mercato, delle possibilità di uscire dall’investimento eseguito e, in via più generale, a una diminuzione dei flussi di cassa [65]. Conseguenze che andrebbero a penalizzare il mercato, il bene che la Corte di Cassazione (avrebbe voluto) tutelare con l’odier­na sentenza. Infine, la pronuncia della Suprema Corte non sembra coerente nemmeno con i principi penali di tassatività e offensività. Per quanto riguarda il rispetto del principio di tassatività, è stato evidenziato come difetta nel caso di insider di sé stesso quel particolare rapporto tra l’autore e l’emit­tente che costituisce il presupposto per punire la condotta abusiva. Allo stesso modo, l’esecuzione materiale di un proposito personale elaborato [continua ..]


NOTE