Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
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L'esclusione del socio per giusta causa nella nuova disciplina della s.r.l.: natura giuridica e modalità di liquidazione della quota (nota a Trib. Milano, 10 giugno 2008) (di Antonio Maria Lo Schiavo)


TRIBUNALE DI MILANO, 10 giugno 2008 – Perozziello Presidente – Consolandi Relatore – Giuseppina Ziveri (Avv. Cereda) c. Food ingredients Service s.r.l. (Avv. Santa­relli)

 

Società – Società a responsabilità limitata – Divieto di concorrenza – Esclusione per giusta causa

 

(Art. 2473-bis c.c.)

L’introduzione nello statuto della clausola di esclusione dei soci per il caso di concorrenza, rientra nella piena discrezionalità della maggioranza dei soci, i quali possono liberamente scegliere di poter non proseguire la società con chi abbia interessi contrastanti con l’attività economica sociale, a prescindere dalla correttezza o meno del modo in cui tali interessi sono perseguiti: si tratta di un elemento intuitus personae pienamente compatibile con l’ottica economica e personalistica tipica della nuova srl. (1).

L’esclusione per giusta causa dalla srl, non è una spoliazione della quota, ma una sua liquidazione, perché è prevista esplicitamente dallo statuto la sua liquidazione, con i modi di calcolo del corrispettivo (2).

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Per lo svolgimento fino all’udienza collegiale si fa riferimento al decreto di fissazione. Quindi successivamente:

– rimasto senza frutti il tentativo di conciliazione svolto dal Presidente del collegio giudicante sono state ammesse prove orali e Ctu per la valutazione della somma da liquidarsi;

– esperita la istruttoria le parti sono state rimesse al collegio, con facoltà di deposito memorie sull’istruttoria espletata;

– il collegio, dopo breve discussione ha rinviato a successiva udienza per la lettura dei provvedimenti.

A questa successiva udienza, si è provveduto alla lettura della presente sentenza ex art. 16 d.lg. 5/03 e 281 sexies

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’attrice ha impugnato la delibera con la quale è stata esclusa dalla società convenuta, per avere svolto attività concorrenziale con quella della società stessa, la quale si occupava del commercio di prodotti alimentari, in special modo di zuccheri per dolciumi.

L’attrice è stata amministratrice della società, che contro di lei aveva svolto azione di responsabilità innanzi al Tribunale di Monza per i danni cagionati con l’avere svolto tale attività concorrenziale e in particolare aver sviato dei fornitori e clienti che ella precedentemente trattava nella sua qualità di amministratrice: nelle more del presente giu­dizio il tribunale di Monza ha deciso e respinto l’azione di responsabilità proposta, per non avere trovato piena prova che tale attività concorrenziale fosse stata nel periodo in cui la Ziveri rivestiva la carica sociale.

Con la medesima sentenza, sulla base della prove assunte, peraltro si afferma che tale attività è stata svolta successivamente.

Sostiene in primo luogo l’attrice che la sua esclusione sarebbe illegittima per essere altrettanto illegittima la clausola che prevedeva l’esclusione nel caso di attività concorrenziale svolta dal socio e che comunque la delibera sarebbe illegittima perché aveva trasferito al figlio le quote della società, quanto all’usufrutto, se pur dopo l’esclusione, restando così priva del potere di voto e che comunque non aveva compiuto alcun atto di concorrenza sleale.

La clausola relativa all’esclusione per il caso di concorrenza è stata introdotta dall’assemblea il primo giugno 2004, con la quale è stato adottato un nuovo modello di statuto in applicazione della riforma del diritto societario. La clausola in questione è l’articolo 9 bis dello statuto che recita “ sarà escluso dalla società il socio che svolge attività di concorrenza con la società sia in proprio che per interposta persona, ovvero a mezzo di società controllata o a lui comunque collegata”.

Dalla semplice lettura della clausola si trae che i soci hanno inteso potere escludere dalla società, non tanto chi facesse concorrenza di tipo sleale, ma qualunque dei soci svolgesse una qualsiasi concorrenza e si osserva che ciò rientra nella piena discrezionalità della maggioranza dei soci, i quali possono liberamente scegliere di potere non proseguire la società con chi abbia interessi contrastanti con l’attività economica sociale, a prescindere dalla correttezza o meno del modo in cui tali interessi sono perseguiti: si tratta di un elemento intuitus personae pienamente compatibile con l’ottica economica e personalistica tipica della nuova srl.

Ed è del resto congruente con la nuova impostazione “personalistica” che la collaborazione tra i soci sia particolarmente qualificata e disciplinata: è esplicitamente previsto dall’articolo 2473 bis c.c. che sia prevista l’esclusione per giusta causa, laddove deve ritenersi sicuramente giusto che si possa preferire non essere in società con chi svolge attività concorrente.

Si deve per altro ricordare che l’esclusione non è una spoliazione della quota, ma una sua liquidazione, perché è prevista esplicitamente dallo statuto la sua liquidazione, con i modi di calcolo del corrispettivo.

La cessione del corrispettivo dell’usufrutto dalla Ziveri al figlio è fatto successivo all’esclusione che come tale non può comunque avere riflessi sulla delibera, che era stata presa prima e ciò si dice al di là del fatto che una cessione al figlio non è fatto tale da escludere l’applicazione dell’art. 9 bis dello statuto, poiché non elimina il potenziale conflitto di interessi.

Si trae la prova della concorrenza svolta dalla parte attrice tanto nella sua partecipazione a società di persone avente oggetto analogo, quanto dal fatto che è provato nel processo di Monza, ma anche dalle testimonianze qua assunte, che questa società, fondata dalla Ziveri, è divenuta agente di produttori che prima vendevano attraverso la società qui convenuta.

La delibera impugnata e dunque priva dei vizi, perché è provato che l’attrice ha svolto attività concorrente.

Quanto alla successiva domanda di annullamento per tardiva comunicazione della delibera di esclusione si osserva che è vero che la clausola statutaria prevede che l’organo amministrativo comunichi entro dieci giorni dalla decisione l’esclusione, ma altrettanto vero è che tale termine appare del tutto ordinatorio e la sua eventuale – peraltro non provata nel processo – inosservanza non è idonea a ledere alcun diritto del socio escluso, che conserva il suo potere di opposizione anche nel caso di tardiva comunicazione, posto che lo stesso statuto prevede che l’esclu­sione “avrà affetto decorsi trenta giorni dalla data del ricevimento della comunicazioneSi tratta dunque di un termine previsto a tutela dell’interesse degli altri soci e non certo dell’escluso, che resta garantito sia per la possibilità di opporsi sia dell’inefficacia della delibera prima della co­municazione .

Resta da giudicare sulle domande poste da parte attrice in ordine all’importo da liquidarsi: le domande sono in parte configgenti con la precedente domanda di annullamento della delibera, poiché se la delibera fosse nulla chiaramente nulla spetterebbe a parte attrice, in parte anche configgenti tra loro, posto che si richiede da un lato di accertare che l’importo di 50 mila euro offerto dall’attrice è inferiore a quanto a lei spettante, dall’latro di stabilire quale questo importo sia e di condannare la società al pagamento: queste due domande devono leggersi in modo combinato e quindi ritenersi che si è chiesto di accertare che l’importo dovuto per l’esclusione sia superiore a cinquantamila e quindi sia chiesta la relativa condanna. Tale lettura ha importanza per stabilire la soccombenza, posto che la perizia svolta ha appurato un valore della quota spettante alla Ziveri inferiore a questi cinquantamila euro e dunque l’attrice deve ritenersi soccombente ai fini delle spese.

È da dirsi che la perizia è stata svolta sia sotto il profilo della stima del valore della società sia con riferimento all’immobile aziendale posseduto e che mai la parte attrice aveva azzardato, nemmeno nel processo, una valutazione, per cui il valore accertato deve ritenersi non contestato tanto prima che dopo l’espletamento della CTU: non contestato certo dalla parte convenuta che offriva una somma anche superiore e non contestato nel merito dalla parte attrice che prima della consulenza non aveva prospettato alcun tipo di valore e successivamente, nell’apposita memoria, non ha mosso critica alcuna, limitandosi a svolgere argomentazioni circa le testimonianze assunte.

Il valore della quota è dunque di euro 44833,00: poiché vi è domanda riconvenzionale del convenuto di accertamento e dichiarazione della conguità della somma di euro cinquantamila offerta per la quota, tale domanda va dichiarata fondata nei limiti della detta somma stabilita dalla CTU.

Resta da giudicare della riconvenzionale per danni svolta dalla parte convenuta: è questa parte stessa a ritenere che non si tratti della medesima domanda svolta innanzi al tribunale di Monza e ciò consente di affermare che non si tratta di una azione di responsabilità nei confronti dell’am­ministratore, bensì di domanda svolta nei confronti del socio. Si osserva che né per legge né per statuto può essere definito illegittimo che un socio non amministratore in una società a responsabilità limitata svolga attività concorrente, ovviamente non sleale: l’unica sanzione può essere quella, prevista appositamente dallo statuto, della esclusione dalla società, come in effetti è avvenuto.

A pagina 22 della comparsa conclusionale depositata il 5 aprile 2007 si leggono le ragioni di tale domanda riconvenzionale, che consisterebbero nel non aver voluto il socio cercare una soluzione della controversia e nell’aver questa posta in essere oggettivi comportamenti di disturbo, senza comunicare formalmente il prezzo della propria quota sociale, omettendo qualsiasi proposta e quantificazione alternativa. Tale azione di disturbo avrebbe cagionato un danno che la parte convenuta chiede di quantificare in via equitativa.

Questa formulazione è assai generica, non consente di identificare la condotta lesiva e soprattutto quale sia la diminuzione patrimoniale o il lucro cessante che si intende dover essere risarcito .

Anche questa domanda va dunque rigettata, mentre è la stessa parte attrice a precisare che la domanda per il risarcimento del danno portato come amministratore e comunque per concorrenza sleale è quella già giudicata – oltre che respinta – a Monza e pendente attualmente in grado di appello.

Va dunque accolta la domanda subordinata della parte convenuta e parte attrice va condannata a rimborsare integralmente le spese di lite della parte convenuta.

 

P.Q.M.

Definitivamente pronunciando, ogni altra domanda, istanza, deduzione ed eccezione respinta e assorbita, in accoglimento della domanda riconvenzionale di parte convenuta, respinte le domanda tutte di parte attrice, accerta e dichiara che il valore della quota di Giuseppina Ziveri, a lei dovuto a seguito della esclusione di cui alla delibera 16 febbraio 2005, era, a tale data, di euro 44833,00.

Condanna la detta attrice Giuseppina Ziveri a rimborsare alla società Food Ingredients Service Srl, le spese legali che liquida in euro 82,57 per spese, 1858,00 per diritti, euro 11.100,00 per onorari, oltre IVA e CPA e rimborso spese forfettarie 12,5 per cento.

Pone definitivamente a carico esclusivo della parte attrice le spese CTU.

Così deciso in data 10/06/2008 nella Camera di Consiglio della Ottava sezione dell’Ufficio del Tribunale ordinario di Milano.

 

IL PRESIDENTE dott. Vincenzo Perozziello

Il GIUDICE RELATORE dott. Enrico Consolandi

(1-2) L’esclusione del socio per giusta causa nella nuova disciplina della s.r.l.: natura giuridica e modalità di liquidazione della quota

SOMMARIO:

1. Il caso - 2. La normativa di riferimento - 3. Il divieto di concorrenza come giusta causa di esclusione - 4. L'art. 2473-bis: superamento del principio di tassatività delle cause di esclusione - 5. I limiti dell'autonomia statutaria nella s.r.l. in tema di esclusione per giusta causa - 6. Il procedimento di esclusione e le modalità di liquidazione del socio escluso - 7. Conclusioni: l'esclusione convenzionale come ulteriore espressione della mas­sima variabilità delle prerogative organizzative e patrimoniali della nuova s.r.l. -


1. Il caso

Con la sentenza in epigrafe, il Tribunale di Milano – Sezione VIII – ha respinto domanda di parte attrice relativa alla dichiarazione di nullità della clausola dello statuto sociale di una s.r.l., con la quale si prevedeva l’esclusione per giusta causa del socio che avesse compiuto attività concorrenziale. In particolare, l’attrice contestava la validità della delibera di esclusione dalla società, sia in relazione all’illegittimità della clausola introdotta nello statuto che prevedeva l’esclusione nel caso di attività concorrenziale svolta dal socio, sia in relazione alla circostanza che essa stessa aveva provveduto a trasferire al figlio le quote della società, se pur dopo l’esclusione, quanto all’usufrutto privandosi, quindi, del diritto di voto.


2. La normativa di riferimento

A fondamento delle statuizioni della pronuncia in commento con la quale si è rigettata la domanda attrice, il Tribunale di Milano ha richiamato l’art. 2473-bis c.c., come modificato dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 di riforma del diritto societario. Il decreto di riforma, al fine di affrancare la società a responsabilità limitata dal suo tradizionale ruolo di “sorella minore” della s.p.a., ne ha profondamente innovato la struttura, predisponendo una disciplina più aderente alle rinnovate esigenze del settore delle piccole e medie imprese. L’attività riformatrice del legislatore del 2003 ha reso la nuova s.r.l. una struttura societaria flessibile e adattabile a diverse esigenze dei soci. In particolare, con la riforma societaria, la s.r.l. può consentire la valorizzazione di elementi legati all’in­tuitus personae, in maniera coerente con la scelta del­l’opzione personalistica tipica della nuova s.r.l. Al riguardo, stante la previsione dell’art. 2473 c.c. con la quale è reso possibile, per i soci, prevedere casi di esclusione per giusta causa dalla società, deve quindi ritenersi legittima la previsione di non mantenere in società chi svolga attività concorrente allo stessa.


3. Il divieto di concorrenza come giusta causa di esclusione

La decisione del Tribunale di Milano assume particolare importanza perché offre l’occasione di riflettere sull’ambito di operatività e sui limiti che l’auto­nomia statutaria incontra nella previsione di cause convenzionali di esclusione. In riferimento alla questione, il primo aspetto che necessita di un’approfondita indagine riguarda la possibilità di prevedere nella s.r.l. clausole che consentano l’esclusione per i soci che svolgano attività di concorrenza con quella della società in cui partecipano. Nell’affrontare la problematica, va preliminarmente ricordato come, a differenza dal sistema delle società di persone dove è espressamente stabilito che i soci non possano, senza il consenso, compiere attività di concorrenza con quella della società [1], un’ana­lo­ga disposizione non è invece prevista nella società a responsabilità limitata. Nella nuova s.r.l., dovrà essere quindi, l’autono­mia negoziale dei soci ad intervenire sul punto: l’at­to costitutivo potrà introdurre il divieto di concorrenza e potrà prevedere grazie all’art. 2473-bis, l’esclu­sione del socio che violi tale obbligo. Le problematiche poste con il caso in esame hanno, quindi, una valenza ampia e sistematica: il Tribunale di Milano affronta, indirettamente, la questione relativa all’introduzione di ulteriori obblighi a carico dei soci e si interroga se il nuovo quadro nor­mativo in tema di s.r.l. legittimi l’autonomia statutaria ad incidere sugli stessi, introducendone ulteriori rispetto a quelli che discendono naturaliter dal negozio genetico del rapporto sociale. Nel caso di specie, la problematica induce a riflettere se l’introduzione dell’obbligo per i soci di non compiere attività concorrenziale con quella della società, sanzionata con l’esclusione dalla società, possa condurre ad una detipizzazione del modello della società a responsabilità limitata. La decisione del Tribunale di Milano prende, implicitamente, posizione sul punto ritenendo che l’in­tro­duzione dell’obbligo di non concorrenza, e la relativa esclusione del socio che violi tale disposizione, non hanno alcun rilievo sulla tipicità della s.r.l., ma anzi l’introduzione di tale ulteriore [continua ..]


4. L'art. 2473-bis: superamento del principio di tassatività delle cause di esclusione

Nella disciplina delle società di capitali ante riforma, la prevalente dottrina e giurisprudenza ritenevano illegittima la clausola di esclusione convenzionale in società di capitali sul comune e condiviso assunto che ripugnava al sistema di tali enti un’ipo­tesi di riduzione del capitale al di fuori delle rigide regole previste dal legislatore per l’operazione [2]. Prima della riforma societaria, la disciplina delle società di capitali era caratterizzata dal principio di tassatività delle cause di riduzione del capitale sociale, dal quale veniva comunemente dedotta l’inam­mis­sibilità di cause di recesso o di esclusione ulteriori rispetto a quelle previste dalla legge. Il sistema era quindi ispirato più alla tutela del­l’integrità del capitale sociale che a quella delle posizioni individuali dei soci, ponendo in ciò un punto di radicale differenzazione con la disciplina delle società di persone. Il sistema che emerge dalla nuova riforma del diritto societario, muove su presupposti diametralmente opposti: il nuovo sistema normativo viene modellato sul principio della rilevanza centrale dei soci e dei rapporti contrattuali tra gli stessi. In relazione a tale mutamento di pensiero, si può comprendere come il legislatore conceda all’autono­mia privata la facoltà di introdurre “specifiche ipotesi di esclusione per giusta causa del socio”. La disciplina dell’esclusione si atteggia quindi in maniera analoga a quella del recesso: accanto alle ipotesi legali possono essere costruite, in virtù degli spazi concessi ai soci, ulteriori ipotesi convenzionali di recesso e esclusione. In questo secondo caso, vengono fissate le coordinate entro cui possono muoversi i soci avvalendosi dell’autonomia loro attribuita. Infatti l’esclusione convenzionale deve essere comunque riconducibile al presupposto della giusta causa. Prima di affrontare l’analisi della disciplina e ed i confini lasciati aperti dal legislatore nel procedimento di esclusione, è opportuno fare delle considerazioni preliminari. L’avversione del legislatore per l’esclusione convenzionale appare, in prima analisi, superata non per tutte le società di capitali, ma solo per la società a responsabilità limitata e ciò sulla base del rilievo “personalistico” che la figura del [continua ..]


5. I limiti dell'autonomia statutaria nella s.r.l. in tema di esclusione per giusta causa

Con una disposizione innovativa per il sistema delle società di capitali, il legislatore della riforma societaria ha introdotto la possibilità, prevista nel­l’art. 2473-bis c.c., che l’atto costitutivo possa indicare “specifiche ipotesi di esclusione per giusta causa”. Come si evince dalla lettura della disposizione, l’esclusione non rappresenta – a dispetto di quanto accade in tema di società personali – un elemento naturale del rapporto sociale, ma il suo ingresso, nel sistema disciplinare della società a responsabilità limitata, è subordinato ad un’apposita previsione statutaria la quale deve, altresì, esprimersi nell’indivi­duazione di «... specifiche ipotesi ... per giusta causa ...». L’esclusione, allora, oltre a dovere essere espressamente prevista, non assume la valenza di ipotesi generale di reazione all’inadempienza del socio, a differenza delle società di persone dove l’esclusione è collegata, in prima analisi, ad una grave inadempienza alle obbligazioni derivanti dalla legge e dal­l’atto costitutivo. In relazione al tenore letterale dell’art. 2473-bis c.c. – non si prevede nella s.r.l. uno strumento generale di reazione ad un qualsiasi e non predeterminato contegno del socio, in conflitto con gli interessi sociali, ma si lega l’esclusione a “specifiche ipotesi di esclusione per giusta causa” [6]. Se quindi l’esclusione sembrerebbe avere una valenza più limitata rispetto al sistema delle società di persone [7], in realtà, ad un’attenta analisi, lo scenario dell’esclusione del socio di s.r.l. conduce a prospettive ben più ampie di quelle pensate dal legislatore. Nella s.r.l. l’esclusione convenzionale deve contemperare due distinti e contrapposti interessi: da un lato l’interesse della società di escludere il socio che incorra in giusta causa di esclusione e dall’altro l’interesse del socio di non essere vittima di abusi preconfezionati in cause di esclusione. Per realizzare una mediazione tra questi interessi il legislatore introduce due limiti all’autonomia statuaria dei soci: l’atto costitutivo deve prevedere ipotesi di esclusione specifiche e le stesse devono essere riconducibili ad una giusta causa. L’atto costitutivo non [continua ..]


6. Il procedimento di esclusione e le modalità di liquidazione del socio escluso

Dal punto di vista normativo l’ampia autonomia statutaria in materia di esclusione convenzionale nella s.r.l. è accentuata dalla scarna disposizione che ne regola la procedura e le modalità: la norma rimette alla regola creata dai soci. Il codice civile tace sulla competenza all’esclu­sione e più in generale sul procedimento, salvo a precisare che trova applicazione l’art. 2473 c.c. in materia di recesso, ad eccezione del caso in cui la quota del socio escluso vada liquidata con la riduzione del capitale sociale [15]. Nella fattispecie in esame, infatti, a differenza di quanto accade per il recesso – le esigenze di tutela dei terzi non consentono il rimborso della quota attraverso la riduzione del capitale sociale A seconda della natura della causa di esclusione si possono ipotizzare differenti modalità operative: da un lato vi possono essere cause di esclusione di diritto che non presuppongono alcuna deliberazione, in quanto oggettivamente desumibili senza dovere effettuare alcun giudizio di merito [16]. In altri casi l’esclusione presuppone valutazioni di merito; in tal caso sarà l’atto costitutivo a individuare l’organo competente all’adozione della delibera di esclusione, come si può desumere anche dalla disciplina delle cooperative, laddove è consentito che lo statuto attribuisca tale competenza agli amministratori ovvero all’assemblea (art. 2533 c.c.) [17]. Nel caso in cui l’esclusione presupponga valutazioni di merito e nulla disponga l’atto costitutivo, secondo alcuni autori dovrebbe trovare applicazione analogica l’art. 2287 c.c. in materia di società di persone, con conseguente attribuzione della competenza decisionale ai soci, non computandosi nella maggioranza necessaria per la delibera la quota del socio da escludere [18]. Al riguardo, l’orientamento maggioritario – maturato con riferimento alle società di persone – ritiene la decisione validamente adottata anche al di fuori di una delibera assembleare ed in ragione della maggioranza dei soci, da computarsi per teste, senza considerare il socio escluso [19]. In ogni caso, considerata l’incertezza in materia sarà opportuno che l’atto costitutivo preveda una disciplina sul punto attribuendo espressamente tale competenza agli amministratori ovvero anche [continua ..]


7. Conclusioni: l'esclusione convenzionale come ulteriore espressione della mas­sima variabilità delle prerogative organizzative e patrimoniali della nuova s.r.l.

Nella pronuncia in esame i giudici sottolineano come gli elementi relativi all’intuitus personae sono pienamente compatibili con l’ottica economica e personalistica tipica della nuova s.r.l. e possono trovare ampio spazio nella regolazione della struttura societaria. Anche l’introduzione dell’«esclusione» nella disciplina della s.r.l. rappresenta, almeno da una prima analisi, un elemento di personalizzazione in linea con la possibilità di strutturare la società «... almeno in termini organizzativi...» secondo un modello vicino alla società di persone, sì da dare rilievo centrale alla posizione dei soci. Sempre più la nuova s.r.l. viene vista come un codice organizzativo più vicino al sistema delle società di persone che a quello delle società di capitali. Tuttavia, come autorevole dottrina ha ribadito, cadere in eccessi e definire la nuova s.r.l. come «società di persone a responsabilità limitata» rischia di apparire solo uno slogan [29]. Nonostante la centralità delle persone dei soci nell’assetto organizzativo il modello corporativo è pur sempre elemento naturale della struttura della società a responsabilità limitata, al quale è possibile derogare, solo in ragione dell’esercizio dell’autono­mia concessa alle parti [30]. Inoltre la distinzione tra società di persone e società di capitali, nonostante le novità della riforma societaria, può essere ancora evidenziata sul piano legale e si coglie, tra l’altro, nella rilevanza o meno dell’identità dei soci per l’ente: nelle prime la compagine sociale varia solo se si modifica, con il consenso di tutti i contraenti, il contratto; nelle seconde l’uscita o l’ingresso di nuovi soci non comporta alcuna modifica dello stesso. Se quindi, deve essere mantenuta la distinzione tra i modelli societari, considerando ben radicata nelle società di capitali la “nuova s.r.l.”, non si può però negare l’enorme diversità della stessa a seguito della riforma. La versatilità della s.r.l., come innovata dalla riforma, offre all’iniziativa imprenditoriale un prezioso strumento di adeguamento alle mutevoli esigenze dei soci. Anche la possibilità di introdurre casi di esclusione convenzionale, [continua ..]