Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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La prelazione statutaria (note a Trib. Roma, 6 ottobre 2008; Trib. Tivoli, 17 luglio 2009) (di Benedetta Sirgiovanni)


TRIBUNALE DI ROMA, 6 ottobre 2008 – Monsurrò Presidente – Zannella Relatore – S.U., S.G.B., S.H., S.M., S.A. (Avv.ti Briguglio, Vaccarella) – Z.S.G., S.G. (Avv.ti Guerra, Szemere)

Società in accomandita per azioni – Cessione di partecipazioni sociali – Clausola di prelazione statutaria – Esecuzione in forma specifica

 

(Art. 2932 c.c.)

Il contratto avente ad oggetto il trasferimento delle partecipazioni sociali, stipulato in violazione della clausola di prelazione prevista nello statuto, è inefficace nei confronti dei soci, della società e della terza acquirente.

Il socio prelazionario, che abbia univocamente manifestato la volontà di acquistare le azioni alle medesime condizioni pattuite nel contratto perfezionato con il terzo in violazione della clausola di prelazione prevista nello statuto, può chiedere l’esecuzione in forma specifica, ai sensi dell’art. 2932 c.c. e acquistare, così, il diritto di proprietà sulle azioni (1).

Omissis

Al fine di esaminare se sia stato o meno violato il diritto di prelazione vantato dagli attori in riferimento alla cessione delle azioni rappresentative del 30% del capitale sociale, avvenuta il 26.10.2005 tra i coniugi S., occorre prendere le mosse dall’art. 6 dello Statuto sociale, quale era in vigore al tempo della cessione litigiosa. Esso, al terzo comma, dispone: «Le azioni non possono essere alienate con effetto verso la società a soggetti diversi dai discendenti consanguinei del loro possessore e/o degli altri possessori di azioni, se non sono state preventivamente offerte in opzione con diritto di accrescimento fra loro.

Si precisa che la definizione: “discendenti consanguinei” esclude i figli adottati sotto qualsiasi forma».

Segue poi la disciplina delle modalità della comunicazione ai fini dell’esercizio della prelazione ed altre previsioni a ciò correlate.

Dal chiaro tenore letterale della clausola si trae, ad avviso del collegio, che con essa si è inteso stabilire il diritto di prelazione in favore dei discendenti consanguinei (esclusi i figli adottati) del cedente e/o degli altri soci, nel caso in cui il titolare delle azioni intenda cederle a soggetti diversi dai discendenti consanguinei propri o degli altri soci.

La prelazione, cioè, mentre non opera nel caso di cessione a favore di consanguinei (del cedente o degli altro soci), opera se si vuole cedere la partecipazione azionaria a favore di non consanguinei (in essi compresi i figli adottati).

L’art. 6, 3° comma, inoltre, attribuisce la prelazione ai consanguinei, siano o meno essi soci.

Invece, la prelazione spettante agli altri soci (anche non consanguinei) è disciplinata dall’art. 6, 4° comma.

Che la prelazione sia assicurata ad entrambe queste categorie si trae inoltre dall’art. 6, 8° comma, il quale ribadisce che sono «salve ed impregiudicate le disposizioni dei precedenti commi per il trasferimento delle azioni a soggetti diversi dai discendenti consanguinei dei possessori e dagli altri possessori di azioni….».

Entrambe le categorie di prelazionari, discendenti consanguinei ed altri possessori di azioni, sono infine garantite persino nel caso in cui le azioni pervengano a soggetti estranei a tali “gruppi” per successione o per donazione: ai sensi dell’art. 6, 9° comma, i beneficiari di azioni per successione o donazione devono offrirle in opzione ai discendenti consanguinei “dell’azionista” ed agli altri possessori di azioni e, fin quando non risulti che l’offerta sia stata rifiutata, i loro titolari non sono iscritti nel libro soci né possono esercitare i diritti attribuiti dalla partecipazione azionaria.

Le clausole contrattuali si interpretano, invero, le une per mezzo delle altre: art. 1363 c.c.

Pertanto, gli attori erano titolari della prelazione quali figli e così consanguinei del socio cedente, G.S.

Inoltre, erano effettivamente “possessori di azioni” della predetta società, in virtù della cessione azionaria in loro favore del 5.10.2005, ed è quindi irrilevante la questione se essi, al tempo della cessione del 26.10.2005, fossero o meno iscritti nel libro soci, contrariamente a quanto asserito dalla convenuta.

Nel caso di specie, la cessione da G.S. è avvenuta in favore della sua attuale moglie, che evidentemente non è sua consanguinea.

Ne segue che il cedente avrebbe dovuto consentire ai propri figli, consanguinei, l’esercizio della prelazione.

È invece pacifico che ciò non sia in alcun modo avvenuto.

La clausola di prelazione tutela sia l’interesse del socio a mantenere inalterata la percentuale di partecipazione al capitale sociale, sia quello, proprio anche della società, a conservare l’omogeneità della compagine sociale, evitare l’ingresso in società di soggetti sgraditi nonché conservare gli equilibri già esistenti.

Dal patto di prelazione volontario, quale è quello di specie, originano due obblighi diversi: il primo, a carattere positivo, di rendere nota al prelazionario l’intenzione di concludere il contratto a certe condizioni; il secondo, a carattere negativo, di non stipulare il contratto stesso con terzi prima o in pendenza della denuntiatio (Cass., 12 aprile 1999, n. 3571 [Riv. not., 1999, 1283]).

La clausola comporta, quindi, da un lato, in capo al socio che intende alienare in tutto o in parte la sua partecipazione, il sorgere dell’obbligo di comunicare l’intenzione di alienare la stessa e di offrirla in vendita ai titolari della prelazione; dall’altro lato, in capo a costoro, il diritto di ricevere tale comunicazione e di essere preferiti nell’acqui­sto, a parità di condizioni e nella proporzione stabilita dallo statuto.

In ogni modo, la domanda del socio pretermesso, fondata sulla violazione del patto di prelazione può condurre, secondo la tesi che il Collegio condivide (Trib., Roma, 18 marzo 1998 e id., 4 maggio 1998, Società, 1998, 1187), alla dichiarazione di inefficacia assoluta del contratto di vendita all’acquirente, sia nei confronti dei titolari della prelazione che della società.

Inappropriata è, invece, la nozione di nullità, in quanto questa non è sanzione disponibile dalle parti, ma consegue per legge alla violazione di norme imperative ai sensi dell’art. 1418 c.c., insussistente nel caso in questione (Trib., Roma 22.5.1989, Impresa, 1989, 2752).

Pertanto, l’effetto dell’esercizio dell’azione giudiziale volta alla declaratoria di inefficacia del contratto di trasferimento delle partecipazioni sociali è quello di ricostituire, in capo al soggetto pretermesso, la situazione precedente alla cessione inefficace.

Alla luce di quanto sin qui osservato, va accolta la domanda di dichiarazione della inefficacia – nei confronti degli attori – della cessione azionaria più volta richiamata, conclusa il 26.10.2005 tra i convenuti.

Detta cessione, poiché conclusa in violazione della prelazione statutariamente prevista, che ha nella specie efficacia reale, è inefficace anche nei confronti della società e della terza acquirente.

Evidentemente, osserva il Collegio, l’inefficacia è riferita unicamente al bene per il quale il prelazionario aveva il potere di esercitare la prelazione e così, nella specie, le azioni pari al 17,14% del capitale, per le quali gli attori hanno agito, conformemente al loro diritto.

Occorre a questo punto esaminare la domanda attrice ex art. 2932 c.c.

Essa va dapprima interpretata in modo logicamente e giuridicamente connesso alla precedente domanda di dichiarazione di inefficacia della cessione e così, nel senso di ottenere pronuncia che tenga luogo del contratto non concluso con il cedente (e non già con la cessionaria).

Essa è fondata e merita accoglimento.

Una volta che il cedente, obbligato a preferire il titolare del diritto di prelazione quando intenda vendere i propri titoli, abbia manifestato la propria volontà di trasferire gli stessi, esprime la propria proposta di cessione.

Nella misura in cui, ciò fatto, ceda a terzi le azioni senza consentire l’esercizio della prelazione in favore del prelazionario, il quale tuttavia manifesti l’intenzione di acquistare, il cedente viola l’obbligo di preferire il prelazionario e, così, di concludere il contratto con quest’ultimo.

Gli obblighi assunti con la clausola di prelazione si saldano invero con la proposta di cessione, sorgendo in tal modo l’obbligo del cedente di trasferire i titoli in favore del prelazionario che abbia manifestato la propria volontà di acquistare.

Tale obbligo di preferire non è stato adempiuto dal socio alienante, poiché è mancata trasmissione della denuntiatio all’avente diritto alla prelazione.

Gli attori hanno manifestato la loro scelta, nel senso di avvalersi della prelazione e di rendersi cessionari dei titoli, ciascuno in proporzione alla quota dell’8% già posseduta dietro pagamento del relativo prezzo.

La tutela apprestata al prelazionario pretermesso, che abbia univocamente manifestato la volontà di acquistare la quota alle medesime condizioni pattuite nel contratto perfezionato in violazione della clausola di prelazione, è l’esecuzione in forma specifica (art. 2932 c.c.); ciò anche dopo l’alienazione al terzo, inefficace per quanto testè evidenziato (cfr., in questo senso, Cass., 26 febbraio 1988, n. 2045 [“cit. in nota”] ed anche l’orientamento già espresso dal Tribunale di Roma in precedenti pronunce).

Pertanto, si trasferiscono da G.S. in favore degli attori n. 34.280 azioni, pari complessivamente al 17,14% del capitale sociale, poiché per tale quota essi avevano esercitato il diritto di prelazione; ciò previo pagamento della complessiva somma di euro 22.857,14 entro il termine del 31.12.2008.

Così si trasferiscono da G.S. a favore di ciascuno degli attori 6.856 azioni pari al 3,428% del capitale previo pagamento a carico di ciascuno del prezzo rispettivo di euro 4.571,43 entro il termine del 31.12.2008.

Omissis

PQM

Omissis

– dichiara inefficace, relativamente alle azioni rappresentative del 17,14% del capitale sociale della società nei confronti degli attori, della società e della cessionaria, la cessione in data 26.10.2005 delle azioni rappresentative del 30% del capitale della predetta società, conclusa tra G.S. quale cedente e G.Z.S. quale cessionaria al prezzo di euro 40.000;

– trasferisce da G.S. in favore rispettivamente degli attori azioni pari al 3,428% del capitale, ciascuno, previo pagamento del prezzo di euro 4.561,43 a carico, rispettivamente di ciascuno degli attori in favore del cedente entro il 31.12.2008;

– omissis

 

TRIBUNALE TIVOLI, ord. 17 luglio 2009 – Scarafoni Giudice – N.C. – M.C., G.C., A.C., A.C., A.R.

 

Società a responsabilità limitata – Cessione di quote sociali – Clausola di prelazione statutaria – Sequestro giudiziario delle quote sociali

 

(Artt. 2469, 2470, 2471 c.c., art. 670 c.p.c.)

 

In caso di violazione della clausola statutaria di prelazione, il socio prelazionario può chiedere il sequestro giudiziario delle quote sociali alienate a qualsiasi titolo a terzi, essendo in corso una controversia sulla proprietà ed il possesso delle quote sociali, quanto meno sotto il profilo dello ius ad rem (2).

 

Omissis

il ricorrente avanza ricorso chiedendo l’emissione di distinti provvedimenti ex art. 670 c.p.c. (sequestro giudiziario) ed ex art. 700 c.p.c. (provvedimento d’urgenza);

lamenta il ricorrente, allegando e provando la sua qualità di socio della Accomandita R. s.r.l., che sia stato violato il suo diritto statutariamente previsto ad esercitare la prelazione in caso di alienazione a qualsiasi titolo, oneroso o gratuito, delle quote sociali da parte di altri soci;

i dati di fatto che emergono dagli atti, a sostegno della domanda di parte ricorrente, sono i seguenti: a)l’articolo 10 dello statuto della società prevede che il socio che intenda effettuare il trasferimento a soggetti estranei alla compagine sociale debba comunicare la propria intenzione all’organo amministrativo; qualora l’organo amministrativo abbia dato il suo gradimento al trasferimento, compete agli altri soci il diritto di prelazione e la richiesta di gradimento avanzata all’organo amministrativo si intende come proposta agli altri soci di esercitare il loro diritto di prelazione; b) il consiglio d’amministrazione di Accomandita R. s.r.l. ha espresso, nella seduta del 27.5.2009 (doc. 7 del fascicolo di parte resistente) il proprio gradimento alla proposta di alienazione, da parte dei soci A.C., M.C., A.C., G.C. ed A.R., delle rispettive quote di partecipazione sociale alla Accomandita TSE s.p.a. per il rispettivo prezzo simbolico di euro 7,00, euro 7,00, euro 6,00, euro 20,00, euro 10,00; c)la proposta di trasferimento delle quote è stata portata a conoscenza del ricorrente con nota del Consiglio d’amministrazione datata 27.5.2009 che è stata trasmessa all’odierno ricorrente, a mezzo fax, in data 11.6.2009, con nota d’accompagnamento recante la medesima data (doc. 3 del fascicolo di parte ricorrente); d)nella nota del c.d.a. datata 27.5.2009 si legge: «se entro 30 gg. dalla data di ricevimento della presente, nessuno dei soci avrà esercitato il proprio diritto di prelazione, i soci offerenti, avendo già ottenuto il gradimento da parte del Consiglio d’Amministrazione, saranno liberi di cedere le quote sopra indicate all’acquirente predetto»; e)con atto del 22.6.2009, depositato al registro delle imprese il 23.6.2009, M.C., G.C., A.C., A.C., R.A., hanno ceduto le quote di loro proprietà della Accomandita R. s.r.l. alla Accomandita TSE s.p.a. (doc. 1 del fascicolo di parte ricorrente); f)con nota del 25.6.2009, che i resistenti assumono ricevuta in data 29.6.2009, il ricorrente N.C. ha esercitato il diritto di prelazione per l’acquisto delle quote sociali;

deducono i resistenti: a) il presente procedimento dovrebbe essere sospeso per permettere il tentativo di conciliazione ai sensi dell’articolo 40, 6° comma, d.lgs. n. 5/2003, non travolto dalla recente abrogazione effettuata dalla legge n. 69/2009 (peraltro nemmeno applicabile ratione temporis); sul punto è sufficiente rilevare che la sospensione del giudizio prevista dalla disposizione invocata, per permettere il tentativo di conciliazione, è applicabile ai soli giudizi di merito, come già previsto in altri settori del­l’or­dinamento processuale (ad es. processo del lavoro), mentre è del tutto inconciliabile con il procedimento cautelare; diversa interpretazione dovrebbe necessariamente condurre a sollevare questione di costituzionalità della norma invocata per violazione dell’articolo 24 Cost. sul diritto d’azione in giudizio; b) il ricorrente avrebbe tacitamente e per fatti concludenti rinunciato al suo diritto di prelazione perché, come socio della Accomandita R. s.r.l. e della Accomandita TSE s.p.a., sarebbe stato perfettamente a conoscenza della decisione assunta di acquisto delle quote del capitale sociale della prima da parte della seconda; tale decisione sarebbe stata determinata dal notevole indebitamento della Accomandita R. s.r.l., in gran parte proprio nei confronti della Accomandita TSE s.p.a. e dalla decisione di quest’ultima di evitare la liquidazione della prima per tutelare il nome ed il prestigio commerciale del Gruppo Accomandita; sul punto è sufficiente rilevare che una cosa è essere a conoscenza – circostanza che certamente sembra presumibile –, altra cosa è rinunciare ad un proprio diritto; seppure si possa configurare una rinuncia per fatti concludenti, tuttavia questi, proprio perché concludenti, debbono risultare da elementi certi che non possano dare luogo ad interpretazione equivoca; la mera conoscenza, sotto questo aspetto, si presta certamente ad un’interpretazione equivoca, perché il socio può essere a conoscenza delle intenzioni altrui, ma riservare al momento opportuno l’esercizio dei propri diritti; né parte resistente ha dato alcuna prova degli asseriti accordi, cui avrebbe partecipato anche il N. C., in cui si sarebbe deciso il trasferimento delle quote dell’intero capitale sociale della Accomandita R. s.r.l. alla Accomandita TSE s.p.a.; né, sul punto, ha rilievo dirimente la lettera del 4.4.2009 (doc. 14 del fascicolo di parte resistente) riguardante la volontà del ricorrente di dismettere le partecipazioni nel capitale sociale del “Gruppo Accomandita”, atteso che tale dismissione non è successivamente avvenuta e ciò fa presupporre un cambiamento di volontà del ricorrente; in proposito, appare invece rilevante come il ricorrente sia stato l’unico a non proporre la cessione della propria quota alla Accomandita TSE, in tal modo smentendo l’allegazione dell’esistenza di un accordo di tutti i soci per la cessione dell’intero capitale della s.r.l. alla s.p.a., o quantomeno dimostrando che ad un accordo, del tutto generico e di massima, il ricorrente non ha voluto dare concreto seguito contrattuale; c) l’esercizio del diritto di prelazione rientrerebbe in una strategia di conflitto che il N.C. avrebbe avviato all’interno del gruppo dal momento della cessazione del suo rapporto di agenzia con la Accomandita TSE s.p.a. ed in relazione a sue spropositate richieste economiche avanzate in tale occasione che non sarebbero state accolte; in merito, si deve rilevare che i fini del ricorrente, se non si traducono in un abuso del suo diritto di socio, sono completamente irrilevanti ai fini del giudizio sulla fondatezza del diritto alla prelazione, e francamente non emerge quale possa essere l’abuso che possa perpetrare un socio titolare del 5,03% nel momento in cui esercita il diritto di prelazione a fronte di proposta di cessione proveniente dagli altri soci; d) l’esercizio del diritto di prelazione sarebbe stato tardivamente esercitato perché il N. C. avrebbe avuto informale notizia della proposta di cessione alla data del 27.5.2009 e la comunicazione dell’esercizio del diritto di prelazione sarebbe pervenuta solo in data 29.6.2009; anche tale asserzione non è provata, né certamente vale, in merito, la deposizione scritta della dr.ssa L. M. (doc. 11 del fascicolo di parte resistente); in proposito, è sufficiente osservare che tale deposizione scritta sarebbe irrilevante anche alla luce della novella n. 69/2009 (peraltro, non applicabile al procedimento ratione temporis), perché la possibilità di rendere la testimonianza per iscritto con dichiarazione sottoscritta e trasmessa al difensore della parte nel cui interesse la prova è ammessa riguarda solo i casi che la deposizione abbia ad oggetto documenti di spesa già depositati dalle parti; né appaiono convincenti le argomentazioni che nella nota del 22.6.2009 (doc. 17 del fascicolo di parte resistente) il legale del N.C. abbia affermato “come da vostra comunicazione del 27.5.2009”, atteso che – con tutta evidenza – si riferiva alla data della nota del c.d.a., non alla data della sua trasmissione, come chiaramente si evince dalla nota della stesso legale di pari data (doc. 16 del fascicolo di parte resistente) in cui si afferma l’avvenuta ricezione in data 11.6.2009; la medesima interpretazione deve essere data all’indicazione del 27.5.2009, contenuta nella comunicazione del 25.6.2009, a firma personale del ricorrente N. C., per l’esercizio del diritto di prelazione;

ne consegue, quindi, che la domanda di parte ricorrente sia assistita dal fumus boni iuris, avendo il N. C. ricevuto la comunicazione della proposta di vendita in data 11.6.2009 ed avendo esercitato la prelazione in data 25.6.2009 (anche se la comunicazione, come sostengono i resistenti, sarebbe stata ricevuta in data 29.6.2009); né si può ritenere che il ricorrente si sia determinato ad esercitare il diritto di prelazione in considerazione della rinuncia di Accomandita TSE alla riscossione del credito, che dovrebbe essere trasformato in finanziamento soci, perché tale decisione della società acquirente è subordinata all’acqui­sto delle quote sociali e, quindi, verrebbe meno in caso di vittorioso esercizio della prelazione;

quanto all’esistenza del fumus rispetto alla domanda di merito prospettata (nullità od inefficacia della vendita) si deve rilevare che la pubblicità degli accordi che regolano la vita sociale (atto costitutivo e statuto) e delle successive vicende sociali, attuata per il tramite del registro delle imprese, rende opponibile ai terzi acquirenti la clausola di prelazione, come chiaramente desumibile dalla disposizione dell’articolo 2471, 3° comma, c.c., come sostituito dal d.lgs. n. 6/2003 (il cui tenore, peraltro, è identico rispetto alla precedente disciplina dell’articolo 2480, 3° comma, c.c.), che accorda efficacia alla stessa anche nel caso di espropriazione forzata della partecipazione sociale; in proposito si rammenta la giurisprudenza della Corte di Cassazione che ha affermato che le disposizioni dell’art. 2480, 3° e 4° commi, c.c. relative alla vendita forzata di quota non liberamente trasferibile di s.r.l., si applicano anche allorché la non libera trasferibilità della quota derivi dall’esistenza di clausola statutaria di prelazione. La disposizione in oggetto fa generico riferimento alla quota non liberamente trasferibile e non offre, quindi, nella sua formulazione testuale, elementi per distinguere le clausole di prelazione dalle altre che, nella prassi statutaria, variamente condizionano la circolazione delle partecipazioni sociali (Cass., 14 gennaio 2005, n. 691 [Foro it., 2005, I, 2068]); nella giurisprudenza di merito si ricorda Trib., Milano 9 novembre 2005, che ha affermato che la cessione di quote sociali, attuata in violazione della clausola di prelazione, contenuta nello statuto in favore dei soci di una società di capitali, non è affetta da nullità bensì da inefficacia, ne deriva che tale negozio non può essere opposto alla società e non costituisce titolo idoneo a dare al terzo cessionario la legittimazione a richiedere l’iscrizione al libro dei soci; proprio in tema di provvedimenti cautelari, Trib., Trieste 14 agosto 1998, ha ritenuto sussistere il “fumus boni iuris” in relazione ad una prospettata azione di nullità di un atto di costituzione in pegno di quote sociali di s.r.l. stipulato senza rispettare le condizioni di una clausola statutaria di prelazione che utilizza il termine “trasferimento di quote per atto tra vivi”, atteso che quest’ultima espressione non può rivestire valenza ermeneutica determinante stante la sua estrema genericità che non consente di individuare con precisione le specifiche fattispecie traslative sulle quali la clausola deve spiegare i propri effetti. Deve dunque essere senz’altro accertata quale fosse stata al momento della redazione dello statuto la comune intenzione delle parti che, nella specie, induce decisamente a ritenere che, nella generica espressione “trasferimento”, i soci intendessero ricomprendere non soltanto la cessione della titolarità delle quote, ma anche la costituzione di diritti reali minori quali il pegno e l’usufrutto. Le quote sociali conferite in pegno sono quindi sequestrabili;

sussiste, altresì, il periculum in mora, perché nel tempo occorrente per il giudizio di merito la terza acquirente ha il potere di gestire le quote acquistate in violazione del diritto di prelazione, tenuto conto che la vendita è efficace nei confronti della società Accomandita R. s.r.l. in virtù dell’avvenuta iscrizione della vendita al registro delle imprese, secondo quanto previsto dalla disposizione dell’art. 2470, 1° comma, c.c. come modificata dall’art. 16, 12°-quater comma, del d.l. 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni nella legge 28 gennaio 2009, n. 2; infatti, come allegato da parte ricorrente, proprio per il giorno 20.7.2009 è stata convocata l’assemblea dei soci per l’approvazione del bilancio;

in ordine alle richieste cautelari, è fondata la domanda di sequestro giudiziario, essendo in corso controversia sulla proprietà ed il possesso delle quote sociali, quanto meno sotto il profilo dello ius ad rem che la giurisprudenza considera pacificamente equiparabile, quanto alla possibilità di concedere il sequestro, alle controversie sullo ius in re;

quanto alle richieste ex art. 700 c.p.c., si deve rilevare: a)la richiesta di inibire alla società Accomandita TSE di partecipare alla prossima ed alle successive assemblee è assorbita dalla disposizione dell’articolo 2352 c.c. che prevede che, nel caso di sequestro, il diritto di voto sia esercitato dal custode; b) la richiesta di sospensione dell’efficacia dell’iscrizione al registro delle imprese o la cancellazione dell’iscrizione medesima non possono essere accolte perché, trattandosi di pubblicità notizia, l’avvenuta iscrizione ha già determinato compiutamente i suoi effetti, mentre la cancellazione non può essere disposta perché atto di competenza del giudice del registro e perché l’iscrizione non è avvenuta illegittimamente;

perché il provvedimento di sequestro giudiziario abbia effettiva efficacia, tenuto conto dell’avvenuta abolizione del libro soci, è necessario provvedere all’iscrizione del provvedimento al registro delle imprese, perché la tutela del diritto del ricorrente non sia resa vana o più difficile da successivi trasferimenti di proprietà;

trattandosi di provvedimento cautelare di carattere conservativo, che postula la necessaria instaurazione del giudizio di merito, le spese del presente procedimento saranno liquidate con la sentenza che definirà detto giudizio.

P.Q.M.

Autorizza il sequestro giudiziario delle quote di partecipazione al capitale sociale di R. s.r.l., attualmente di proprietà di TSE s.p.a., a quest’ultima trasferite con atto del 22.6.2009 da M.C., G.C., A.C., A.C., A.R.

Nomina custode giudiziario il dr. M.D.S. di T., con studio in viale T.

Il custode eserciterà i poteri di cui all’articolo 2352 c.c. con la diligenza del buon padre di famiglia e renderà trimestralmente il conto della propria gestione.

Omissis

 

(1) (2) La prelazione statutaria

SOMMARIO:

1. Il caso. Il percorso logico di cui alla pronunce in esame. Le questioni - 2. L'interpretazione della clausola statutaria della Società X s.a.p.a. (Trib. Roma, 6 ottobre n. 19459) - 3. L'efficacia della clausola di prelazione statutaria: gli orientamenti della dottrina e della giurisprudenza - 4. Il commento. 'Efficacia obbligatoria', 'efficacia reale' - 5. Il rimedio esercitabile dal prelazionario secondo la sentenza del Tribunale di Roma: l'esecuzione in forma specifica - 6. Il provvedimento cautelare esperibile dal prelazionario secondo il Tribunale di Tivoli: il sequestro giudiziario - NOTE


1. Il caso. Il percorso logico di cui alla pronunce in esame. Le questioni

Il caso esaminato dal Tribunale di Roma può essere così succintamente descritto. Tizio, senza interpellare preventivamente i suoi figli, trasferisce a Caia (non consanguinea) alcune azioni. I figli di Tizio lamentano la violazione del loro diritto di prelazione, in virtù dell’art. 6 dello Statuto della società X s.a.p.a, il quale prevede che «Le azioni non possono essere alienate con effetto verso la società a soggetti diversi dai discendenti consanguinei del loro possessore e/o degli altri possessori di azioni, se non sono state preventivamente offerte in opzione con diritto di accrescimento fra loro». Pertanto, i figli di Tizio convengono in giudizio Caia e Tizio perché sentano dichiarare l’inefficacia ovvero la nullità del contratto di cessione e pronunciare condanna, ai sensi dell’art. 2932 c.c., alla retrocessione delle azioni. Il Tribunale di Roma, accogliendo la domanda attorea, dichiara inefficace il contratto di cessione e, quindi, ai sensi dell’art. 2932 c.c., trasferisce le azioni da Tizio ai figli di quest’ultimo. La pronuncia muove dal presupposto che il diritto di cui all’art. 6 dello Statuto della società X si configuri quale prelazione volontaria. Pertanto, il Tribunale adito sostiene che, qualora si decida di alienare azioni, l’obbligo (assunto con la clausola di prelazione) di preferire i consanguinei rispetto ai terzi «si salda con la proposta di cessione diretta al terzo, sorgendo in tal modo l’obbligo del cedente di trasferire i titoli in favore del prelazionario che abbia manifestato la propria volontà di acquistare». Il caso sottoposto al Tribunale di Tivoli può essere così succintamente descritto. I soci A, B e C della Società Z s.r.l. trasferiscono alla società Y s.p.a la proprietà delle rispettive quote sociali. Il socio D chiede in via cautelare il sequestro giudiziario delle suddette quote, in quanto eccepisce la violazione del diritto di prelazione contemplato dal­l’art. 10 dello statuto. Quest’ultimo prevede che «il socio che intenda effettuare il trasferimento a soggetti estranei alla compagine sociale debba comunicare la propria intenzione all’organo amministrativo; qualora l’organo amministrativo abbia dato il suo gradimento al trasferimento, compete agli altri soci il diritto di prelazione e la richiesta di [continua ..]


2. L'interpretazione della clausola statutaria della Società X s.a.p.a. (Trib. Roma, 6 ottobre n. 19459)

In primo luogo, occorre compiere qualche riflessione sulla clausola presente nello statuto della Società X. Nella pronuncia si legge che «Dal chiaro tenore letterale della clausola si trae che con essa si è inteso stabilire il diritto di prelazione in favore dei discendenti consanguinei del cedente e/o degli altri soci, nel caso in cui il titolare delle azioni intenda cederle a soggetti diversi dai discendenti consanguinei propri o degli altri soci». Tuttavia, deve osservarsi che, proprio stando al richiamato «tenore letterale della clausola», l’art. 6 dello statuto fa espresso riferimento al diritto di opzione piuttosto che a quello di prelazione. In relazione a ciò, si reputa opportuno verificare preliminarmente se la clausola statutaria intenda attribuire ai soci un diritto di prelazione ovvero di opzione. Il lemma “prelazione” ha nel linguaggio giuridico due significati: la prelazione è il diritto attribuito dalla legge ai creditori di essere preferiti nella ripartizione dell’attivo qualora siano titolari di un diritto di pegno, ipoteca o privilegio; nel contempo, la prelazione è il diritto, attribuito dalla legge (prelazione legale) o dalla volontà delle parti (prelazione volontaria), di essere preferiti nella stipulazione del contratto al terzo alle medesime condizioni, qualora il prelazionante decida di stipulare il contratto. Nel caso di specie si fa riferimento al secondo dei richiamati significati ascrivibili al lemma prelazione [1]. Pur nella consapevolezza delle profonde differenze esistenti tra la prelazione legale e la prelazione volontaria [2], sembra possibile rinvenire in entrambe due elementi costanti: la libertà sul se contrarre e la parità di condizioni [3]. La prelazione conferisce al prelazionario il diritto di essere preferito se e quando il prelazionante si determini autonomamente all’alie­nazione e alle medesime condizioni presenti nel progetto di contratto con il terzo. In mancanza di tali presupposti, la prelazione non è operante [4]. L’opzione è, invece, il diritto attribuito dalla legge o dalle parti di stipulare il contratto. L’opzionario ha il diritto di concludere il contratto, senza che l’op­zio­nante possa o debba fare alcunché perché l’opzio­nario possa realizzare il suo interesse. L’opzionante, in altri termini, [continua ..]


3. L'efficacia della clausola di prelazione statutaria: gli orientamenti della dottrina e della giurisprudenza

Sull’efficacia della prelazione statutaria emergono in dottrina e in giurisprudenza tre orientamenti: il primo che, fin dagli anni ’50, opta per l’efficacia reale [6], il secondo che afferma l’efficacia obbligatoria, argomentando dalla circostanza che la clausola statutaria di prelazione, non assurgendo a norma del regolamento interno, resta una pattuizione parasociale, anche se inserita materialmente nello statuto [7], il terzo che, sostenendo la doppia natura, sociale e parasociale, della clausola di prelazione [8], considera la clausola statutaria di prelazione uno strumento di tutela non dell’interesse dei soci, ma esclusivamente di quello della società al corretto svolgimento del procedimento di inserimento del terzo acquirente nell’organizzazione sociale, per cui reputa che la clausola sia opponibile al terzo soltanto da parte della società, legittimata a rifiutare l’iscrizione del terzo nel libro soci [9], e non dai soci [10], i quali avrebbero diritto al mero risarcimento del danno. Secondo questa terza prospettiva la tutela cautelare [11] è utilizzabile soltanto allorché si voglia impedire che l’acqui­rente eserciti i diritti sociali, chiedendo al giudice l’inibizione al terzo dell’iscrizione [12] al libro soci ovvero la sua cancellazione [13]. Tuttavia, si segnala che, pur muovendo da premesse diverse, tutti e tre i citati orientamenti pervengono alla medesima conclusione sotto il profilo della tutela del prelazionario, riconoscendo a quest’ultimo una tutela meramente risarcitoria. L’unica differenza sul piano degli effetti tra le ricostruzioni sembra risiedere nella mera circostanza che chi muove dalla efficacia reale reputa che si possa agire per il risarcimento del danno non soltanto nei confronti del socio alienante, ma anche verso il terzo [14]. Orbene, se appare logicamente consequenziale dedurre dall’efficacia obbligatoria una tutela risarcitoria, suscita, invece, qualche perplessità il far discendere anche dalla efficacia reale una tutela meramente risarcitoria. Appare, dunque, opportuno soffermarsi sul significato da attribuire alle espressioni “efficacia obbligatoria” ed “efficacia reale”.


4. Il commento. 'Efficacia obbligatoria', 'efficacia reale'

Questi concetti sembrano essere stati mutuati dalla dottrina germanica, che specifica effetti reali e effetti obbligatori movendo dalla distinzione propria del diritto germanico tra il contratto obbligatorio causale e il trasferimento del diritto reale [15]. Per “efficacia obbligatoria” sembra intendersi efficacia tra le parti e per “efficacia reale” [16] efficacia anche verso i terzi [17]. Come è stato, infatti, autorevolmente rilevato [18], «attribuire alla clausola statutaria un’efficacia obbligatoria, equivale a dire che il socio conserva il potere di trasferire liberamente la quota, ma è obbligato a non servirsene senza aver interpellato preventivamente i consoci. La stipulazione del contratto in difetto di tale interpello configura un atto valido ed efficace tra le parti e tra terzo e soci e società. Nei rapporti tra l’alienante e gli aventi diritto alla prelazione, l’atto configura, invece, un illecito contrattuale e dà luogo ad una responsabilità del primo verso gli ultimi per i danni da questi eventualmente sofferti. Nell’ambito di un rapporto obbligatorio, il terzo è, per definizione, un estraneo, cui l’esistenza del vincolo è indifferente. Ove, invece, si ammette il valore reale della prelazione statutaria, al vincolo è attribuita efficacia erga omnes, ed esso diviene pertanto opponibile al terzo. Postulare l’efficacia reale della prelazione statutaria significa limitare il potere del socio di disporre della quota. Tale limitazione incide sull’efficacia dell’atto di trasferimento posto in essere in violazione della clausola. Il terzo può reagire alla violazione della prelazione aggredendo il terzo». Nell’accogliere tali osservazioni, si rileva che, muo­vendo dall’efficacia reale della clausola di prela­zione statutaria, non appare coerente dedurre l’inef­­ficacia ovvero la nullità del trasferimento per poi riconoscere una tutela squisitamente risarcitoria, atteso che efficacia reale e mero risarcimento del danno sono concetti logicamente contraddittori [19]. Se si muove dalla premessa dell’efficacia reale e, quindi, del­l’opponibilità della clausola al terzo, è logica conseguenza concludere per una prevalenza del diritto del prelazionario sul diritto del terzo e, quindi, per una tutela [continua ..]


5. Il rimedio esercitabile dal prelazionario secondo la sentenza del Tribunale di Roma: l'esecuzione in forma specifica

La sentenza del Tribunale di Roma non si inserisce nel solco della giurisprudenza maggioritaria che accorda al prelazionario una mera tutela risarcitoria ma, dichiarando il contratto inefficace sia verso la società che nei confronti dei soci, legittima questi ultimi ad agire ai sensi dell’art. 2932 c.c. [29]. Del resto, la soluzione non è nuova nel panorama giurisprudenziale, ma risale ad una giurisprudenza che, configurando il patto di prelazione quale contratto preliminare unilaterale sottoposto a condizione sospensiva potestativa (che il promettente si decida a vendere) ovvero la denuntiatio, seguita da accettazione del prelazionario, contratto preliminare bilaterale [30], sostiene l’applicabilità dell’art. 2932 c.c. non solo limitatamente all’ipotesi di prelazione statutaria ma, in senso ampio, alla prelazione volontaria [31]. Il Tribunale di Roma giunge alla medesima soluzione, pur sulla base di una diversa seguente argomentazione: il contratto di cessione stipulato in violazione della clausola statutaria è inefficace anche nei confronti del prelazionario [32]. Quest’ultimo è legittimato ad esercitare l’azione di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere il contratto nei confronti del cedente, in quanto, stipulando il contratto con il terzo, ha manifestato la sua intenzione di stipulare il contratto [33] e, quindi, in virtù della clausola di prelazione, è obbligato, a parità di prezzo, a stipulare il contratto con i consanguinei, essendo venuta meno la sua libertà sul se contrarre. Il Tribunale può applicare il rimedio dell’esecu­zione in forma specifica, in quanto, attribuendo alla clausola di prelazione statutaria un’efficace reale e considerando opponibile quest’ultima anche al terzo acquirente, conclude che il contratto stipulato con il terzo è inefficace anche nei confronti del prelazionario [34]. Tuttavia, se il contratto stipulato con il terzo è inefficace, rectius inopponibile, al prelazionario [35], perché stipulato in violazione di un limite al potere dispositivo conoscibile al terzo [36], si potrebbe sostenere che il prelazionario che esercita il suo diritto acquista immediatamente il diritto sotteso. Dal punto di vista logico, se il contratto con il terzo è inopponibile al prelazionario, [continua ..]


6. Il provvedimento cautelare esperibile dal prelazionario secondo il Tribunale di Tivoli: il sequestro giudiziario

Per quanto attiene l’ordinanza del Tribunale di Tivoli, il provvedimento di sequestro giudiziario [40] delle quote di partecipazione al capitale sociale di una società a responsabilità limitata [41] sembrerebbe preludere ad un giudizio di merito con cui, qualora si accertasse la violazione del diritto di prelazione, non ci si limiterebbe a dichiarare la nullità ovvero l’inef­ficacia del contratto di compravendita stipulato con il terzo, ma si riconoscerebbe anche una tutela reale al socio leso nel suo diritto. Se, infatti, il giudice reputasse la violazione della prelazione statutaria fonte di una tutela esclusivamente risarcitoria, avrebbe di certo negato un provvedimento cautelare, quale il sequestro giudiziario, che presuppone una controversia sulla proprietà ed il possesso, quanto meno sotto il profilo dello ius ad rem [42]. Se il prelazionario, infatti, in caso di violazione del suo diritto, avesse diritto soltanto ad un risarcimento del danno non si porrebbe un problema tra due potenziali proprietari. Nella fattispecie in esame la controversia è tra il terzo, che assume di essere proprietario in ragione del contratto di compravendita, e uno dei soci che assume di essere proprietario in ragione del tempestivo esercizio del suo diritto di prelazione. Il giudice autorizza il provvedimento e, quindi, nomina il custode, in quanto reputa che il terzo acquirente, nel tempo occorrente per il giudizio di merito, avrebbe il potere di gestire le quote acquistate in violazione del diritto di prelazione [43], «tenuto conto che la vendita è efficace nei confronti della società a responsabilità limitata in virtù dell’avvenuta iscrizione della vendita al registro delle imprese, secondo quanto previsto dalla disposizione dell’art. 2470, 1° comma, c.c. come modificata dall’articolo 16, 12°-quater comma, del d.l. 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni nella legge 28 gennaio 2009, n. 2». Quest’ultimo recita: «il trasferimento delle partecipazioni ha effetto di fronte alla società dal momento del deposito» [44]. Il legislatore introduce una diversa modalità di legittimazione del titolare di quote dinanzi alla società: non più il libro soci, ma il deposito (rectius iscrizione [45]) nel registro delle imprese. Tuttavia, l’iscrizione del [continua ..]


NOTE