Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Prospettive del diritto societario europeo (di Paolo Santella)


  
SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. Gli anni '60: la via del mutuo riconoscimento - 3. La prima armonizzazione - 4. Dall'armonizzazione alla concorrenza tra ordinamenti - 5. Le iniziative dell'ultimo decennio - 6. La via dell'armonizzazione dal basso: la proposta di statuto SPE - 7. Altre iniziative comunitarie in corso per il diritto societario - 8. Provvedimenti adottati e in corso di adozione per rispondere alle conseguenze della recente crisi finanziaria - 9. Ostacoli fiscali alla mobilità delle società - 10. Altri ostacoli alla mobilità delle società - 11. L'interesse per una piena libertà di stabilimento - 12. Conclusione - NOTE


1. Introduzione

 Il Trattato delle Comunità europee (artt. 43 e 48) [[2]] riconosce il diritto di stabilimento alle società [[3]] costituite in uno degli Stati membri e aventi la sede sociale (o sede legale), l’amministrazione centrale o il centro di attività principale (o sede effettiva) all’interno della Comunità. Il diritto di stabilimento comprende il diritto dell’impresa di insediarsi in uno Stato membro per una durata indeterminata al fine di esercitarvi un’attività economica. Esso si articola sia nella possibilità di stabilire la propria sede legale in uno Stato membro diverso da quello di origine, sia nella possibilità di aprire agenzie, filiali o succursali in un altro Stato membro rispetto a quello della sede legale secondo la legislazione dello Stato membro di destinazione [[4]]. Il Trattato in sostanza tende ad equiparare le società alle persone fisiche cittadine degli Stati membri per quanto riguarda la libertà di stabilimento [[5]]. Tuttavia, poiché per il Trattato la società [[6]] non esiste se non in forza dell’ordinamento nazionale che ne prevede la costituzione, il relativo stabilimento nel territorio di uno Stato diverso presuppone il mutuo riconoscimento delle società tra i vari Stati membri [[7]]. Alla sua entrata in vigore nel 1958 il Trattato di Roma non assicurava quindi la piena libertà di stabilimento per le società, non consentendone la piena mobilità, in particolare la possibilità di trasferire la sede legale in un altro stato membro senza il previo scioglimento dell’impresa [[8]]. Un secondo ostacolo era rappresentato dalla mancanza di una previsione che permettesse di trasferire la sede effettiva senza previo scioglimento della società nel caso in cui lo Stato membro di costituzione richiedesse che anche la sede effettiva si trovasse nel territorio dello Stato [[9]]. Un terzo ostacolo riguardava la mancanza di una previsione che permettesse fusioni di società soggette a legislazioni nazionali diverse. Alla nascita delle Comunità europee, un quarto e ulteriore ostacolo alla mobilità delle società e alla libertà di stabilimento era rappresentato dalle diverse previsioni del diritto societario dei vari Stati membri, quali fra le altre le modalità di costituzione delle società, i [continua ..]


2. Gli anni '60: la via del mutuo riconoscimento

 La prima strada intrapresa per garantire il pieno diritto di stabilimento delle società consistette nel tentativo, nel corso degli anni ’60, di rendere compatibili i modelli societari nazionali attraverso un’apposita convenzione tra gli Stati membri stipulata sulla base dell’art. 293 del Trattato. Tale convenzione, stipulata il 29 febbraio 1968 a Bruxelles [[13]], non è però mai stata ratificata da tutti gli Stati membri. Essa introduceva una soluzione di compromesso tra il criterio della sede legale e quello della sede effettiva [[14]], non permetteva il trasferimento della sede legale e assoggettava le società alle regole concorrenti del paese di costituzione della società e quello della sede effettiva. La Convenzione rendeva possibile il trasferimento della sede effettiva soltanto attraverso una duplicazione del regime legale applicabile alla società, quello dello Stato di costituzione e quello della sede effettiva. In particolare, il progetto di convenzione europea accoglieva in linea di principio la teoria dell’incorporazione, ma conteneva una clausola di riserva che consentiva a ciascuno Stato di applicare alle società di altri Stati membri con sede effettiva nel proprio territorio le proprie norme giuridiche. Per questo motivo il progetto non venne ratificato dai Paesi Bassi, fautori in quel momento di un’applicazione integrale della teoria dell’incorporazione [[15]].    


3. La prima armonizzazione

 Fallito l’obiettivo di assicurare il reciproco riconoscimento degli ordinamenti societari nazionali su base convenzionale, il legislatore comunitario [[16]] decise di perseguire l’obbiettivo del ravvicinamento dei diritti societari degli Stati membri sul presupposto che tale forma di armonizzazione avrebbe comunque favorito il mutuo riconoscimento delle società e pertanto la loro circolazione nel mercato interno [[17]]. Si trattava di un programma di armonizzazione sistematica destinato a uniformare il diritto societario dei vari Stati della Comunità secondo contenuti comuni, impedendo che la libertà di stabilimento venisse utilizzata come strumento di arbitraggio normativo [[18]]. In esecuzione di questo programma, negli anni ’70 e ’80 vengono adottate una serie di direttive indirizzate a introdurre contenuti minimi del diritto societario europeo, sia pure rispettando le specificità dei vari ordinamenti giuridici nazionali. Come si può vedere dalla Tabella 1, nello spazio di un ventennio questo processo ha portato gli ordinamenti societari nazionali a condividere un nucleo comune di previsioni riguardo tra l’altro a livelli minimi di pubblicità degli atti societari, regime del capitale, regime contabile, modalità di fusione e scissione di società dello stesso paese. Le forme societarie interessate sono state soprattutto quelle la cui operatività supera più spesso i confini dei singoli Stati membri: per l’Italia le società per azioni, le società in accomandita per azioni e le società a responsabilità limitata. Le direttive di armonizzazione hanno prodotto degli effetti considerevoli sul diritto societario degli Stati membri, inducendo questi ultimi in diversi casi ad estenderne la portata anche a forme societarie non toccate dagli strumenti legislativi comunitari [[19]]. In parallelo all’avvicinamento degli ordinamenti societari nazionali si svolge il tentativo di superare gli ostacoli alla libertà di stabilimento attraverso l’introduzione di modelli societari europei alternativi ai modelli nazionali. In particolare, la prima proposta di statuto per la Società europea (SE), un modello alternativo agli statuti nazionali delle società per azioni, risale al 1970, seguita da una seconda nel 1975. Entrambe le versioni rappresentano il tentativo di introdurre uno [continua ..]


4. Dall'armonizzazione alla concorrenza tra ordinamenti

Alla fine degli anni ’80 il negoziato SE prende una direzione nuova: se la strada dell’armonizzazione progressiva degli ordinamenti nazionali si arresta, il maggiore grado di armonizzazione della legislazione societaria che intanto era stato raggiunto permette di operare ampi rinvii alla legislazione nazionale [[29]]. Nel 1989 la Commissione presenta una terza versione della proposta di statuto SE [[30]], caratterizzata da ampi riferimenti alle legislazioni dei Stati membri, nel tentativo di trovare una soluzione al fallimento di uno statuto uniforme [[31]]. Il punto di riferimento del diritto societario europeo passa da un processo di armonizzazione progressiva degli ordinamenti nazionali ad un processo nel quale gli strumenti societari comunitari rinviano largamente alla legislazione degli Stati di costituzione. Tale direzione si era delineata già nel 1985 con il Gruppo europeo di interesse economico (GEIE), la cui disciplina rinvia ampiamente alla legislazione del paese di costituzione [[32]]. Non senza che fossero necessarie altre due versioni, lo statuto SE è stato infine approvato nel 2001 [[33]], con un’ulteriore restrizione delle materie disciplinate direttamente (formazione, sede, governo societario, partecipazione dei lavoratori alla gestione della SE) e un largo rinvio per tutti gli altri aspetti sia all’autonomia statutaria, sia, soprattutto, alla legislazione nazionale dello Stato membro della sede. Previsioni sulla partecipazione obbligatoria dei lavoratori alla gestione della SE si applicano non solo a quelle SE che abbiano la propria sede in uno Stato membro la cui legislazione così preveda, ma anche nei casi di formazione di una SE attraverso fusione o scissione se almeno una delle forme societarie di provenienza (o di destinazione in caso di scissione) abbiano la propria sede in uno di questi Stati. Infine, anche la mobilità di una SE assoggettata al regime di codeterminazione nello Stato di provenienza viene condizionata al mantenimento di tale regime [[34]]. Tali previsioni di fatto introducono due diverse tipologie di SE in considerazione dell’applicabilità dell’istituto della codeterminazione limitando quindi il diritto di stabilimento – a causa dell’impopolarità della codeterminazione in quegli Stati nei quali questa non è prevista in via obbligatoria – principalmente agli Stati “omogenei”. [continua ..]


5. Le iniziative dell'ultimo decennio

Rispetto al cambiamento di direzione avvenuto negli anni ’80 illustrato nel capitolo precedente si distinguono alcuni recenti strumenti legislativi e non legislativi volti a rimuovere alcuni degli ostacoli al diritto di stabilimento e alla libertà di circolazione dei capitali, in un contesto caratterizzato da un lato dal permanere di differenze sostanziali tra i modelli societari nazionali e dall’altro dalla crescente integrazione dei mercati dei capitali [[54]]. Nel suo piano di azione adottato nel 2003 [[55]] la Commissione illustrava una serie di priorità per il miglioramento del diritto delle società e delle pratiche di governo societario nel­l’Unione europea [[56]]. Tra le priorità che hanno trovato seguito negli anni successivi si segnalano l’adozione di direttive e regolamenti concernenti: la semplificazione della seconda direttiva in tema di capitale delle società; la rimozione degli ostacoli al voto degli azionisti delle società quotate; la fusione transfrontaliera di società; l’inclusione di una dichiarazione annuale sul governo societario nei documenti di bilancio annuali delle società quotate e lo statuto della Società cooperativa europea (vedi Tabella 1). Viceversa, non hanno trovato seguito le iniziative annunciate in tema di: introduzione di un regime alternativo a quello del capitale minimo previsto dalla seconda direttiva [[57]]; misure volte a garantire il rispetto del principio “un’azione un voto” nelle società quotate [[58]]; introduzione di un regime europeo della responsabilità degli amministratori delle società quotate e l’introduzione di una disciplina europea dei gruppi di società [[59]]; obblighi di trasparenza da parte degli investitori istituzionali quanto alle loro politiche e concreto esercizio del diritto di voto nelle società nelle quali investono [[60]]; gli statuti della mutua europea e dell’associazione europea [[61]]; il trasferimento della sede delle società [[62]]. La direttiva fusioni transfrontaliere (decima direttiva) [[63]] prevede la possibilità di porre in essere la fusione di società di capitali stabilite nell’UE (cfr. Tabella 1) senza il previo scioglimento di nessuna delle entità coinvolte attraverso l’applicazione delle previsioni nazionali sulle [continua ..]


6. La via dell'armonizzazione dal basso: la proposta di statuto SPE

Un altro progetto legislativo preannunciato dal piano d’azione del 2003 riguarda l’introduzione di uno statuto della Società privata europea (SPE), una nuova forma giuridica a livello comunitario destinata a rispondere in primo luogo alle esigenze delle PMI che operano in più di uno Stato membro. Nel giugno 2008 la Commissione europea ha adottato una proposta di regolamento del Consiglio avente ad oggetto lo statuto della Società privata europea [[82]]. L’obiettivo della proposta è di favorire la competitività delle piccole e medie società (PMI) [[83]] facilitandone lo stabilimento e l’operatività nel Mercato unico, in particolare attraverso la rimozione di alcuni ostacoli allo sviluppo della loro operatività transfrontaliera [[84]]. La proposta è caratterizzata dalla scelta di operare un rinvio il più possibile limitato alle legislazioni nazionali al fine di assicurare uniformità statutaria a prescindere dall’ubicazione della sede. La proposta contiene previsioni su alcuni aspetti fondamentali quali la formazione della società e i suoi rapporti con i terzi (registrazione, rappresentanza rispetto ai terzi, protezione dei creditori). La proposta stabilisce il contenuto minimo dell’atto costitutivo e dello statuto lasciando la sostanza di questi punti alla decisione dei fondatori (diritti patrimoniali e non patrimoniali degli azionisti, processo decisionale e poteri degli organi sociali). Altri aspetti, come la responsabilità limitata degli azionisti, il capitale sociale, la denominazione sociale avrebbero invece un trattamento uniforme in tutti gli Stati UE, così come gli aspetti di rilievo per i terzi come la procedura di costituzione, la trasparenza degli atti societari, la distribuzione dei dividendi e la protezione degli azionisti di minoranza. Quanto alla legislazione nazionale, alla SPE si applicherebbero soltanto le norme relative alla legislazione del lavoro, fiscale, contabile e fallimentare, e in generale quelle previsioni per le quali vi sia un rinvio esplicito nel Regolamento [[85]]. Secondo i termini della proposta i soci fondatori avrebbero piena discrezionalità nello scegliere l’organizzazione interna della società. Una tale flessibilità ha lo scopo di permettere a gruppi societari transfrontalieri l’accesso a economie di scala, permettendo [continua ..]


7. Altre iniziative comunitarie in corso per il diritto societario

Pure in corso sono una serie di iniziative sono in corso riguardanti: l’adeguamento del regime di pubblicità societaria posto in essere dalla prima direttiva alla crescente operatività transfrontaliera all’interno dell’Unione; il riesame della regolamentazione contabile introdotta dalla quarta e settima direttiva, dello statuto della Società europea e della direttiva OPA e una possibile iniziativa della Commissione concernente l’introduzione di uno statuto europeo della fondazione. Si tratta di misure che possono essere definite di consolidamento della libertà di stabilimento e di circolazione dei capitali (vedi sopra Capitolo 5). 7.1. Interconnessione dei registri delle società europei. – Uno degli obiettivi principali della Prima direttiva societaria (cfr. Tabella 1) è quello di garantire l’accesso pubblico all’in­formazione societaria. A questo riguardo, i registri delle società europei hanno il compito di custodire le informazioni previste dalla prima direttiva e di renderle disponibili al pubblico [[90]]. L’emendamento alla Prima direttiva adottato nel 2003 [[91]] richiede che tutti gli Stati membri abbiano registri delle società elettronici a partire dal 2007. Da ultimo, la direttiva fusioni transfrontaliere (vedi sopra al Capitolo 5) e l’undicesima direttiva sulla pubblicità delle succursali aperte in un altro Stato membro (89/666/EEC) [[92]] hanno reso la cooperazione tra i registri delle società dei vari paesi una necessità. Tuttavia, al momento la cooperazione tra registri resta su base volontaria e non sembra sufficiente secondo la Commissione a garantire che l’accesso pubblico da tutti gli Stati membri non sia ostacolato da barriere tecniche o linguistiche. In particolare, l’iniziativa detta European Business Register (EBR) ha realizzato un network telematico tra i registri delle società di 18 Stati membri e 6 paesi extra UE che permette di consultare on-line i dati ufficiali di oltre 20 milioni d’società [[93]] nonché (progetto BRITE, finanziato sin dal 2006 dalla Commissione europea) la possibilità di scambiare informazioni e documenti tra i registri in caso di trasferimento di sede all’interno dell’Unione e nel caso di altri eventi che riguardano società con localizzazioni in [continua ..]


8. Provvedimenti adottati e in corso di adozione per rispondere alle conseguenze della recente crisi finanziaria

 La risposta delle istituzioni comunitarie alle conseguenze della crisi finanziaria [[121]] si articola anche in un capitolo riguardante il diritto societario. Nel 2009 la Commissione europea ha adottato una nuova raccomandazione sulla remunerazione degli amministratori delle società quotate, che dovrebbe essere seguita da iniziative legislative concernenti la stessa remunerazione e più in generale il governo societario delle società quotate. La Commissione prefigura un riesame della scelta operata nel 2003 di fare ricorso a strumenti non legislativi per il governo societario delle società quotate intervenendo per via legislativa soltanto nei casi in cui la diversità delle legislazioni nazionali in materia societaria costituisca un ostacolo alla libera circolazione dei capitali, come nel caso della Direttiva Shareholders’ Rights. Gli interventi legislativi ora prefigurati dalla Commissione – e sollecitati dal Parlamento europeo – sarebbero invece rivolti all’organizzazione interna delle società quotate, compreso il coinvolgimento di azionisti e stakeholders nella vita societaria, e di fatto riaprirebbero il capitolo dell’armonizzazione del diritto societario interrotto, come abbiamo visto sopra, nel corso degli anni ’80. 8.1. Remunerazione degli amministratori delle società quotate.– Il 30 aprile 2009 la Commissione ha pubblicato due raccomandazioni sulla remunerazione degli amministratori delle società quotate e sulle politiche di remunerazione nel settore dei servizi finanziari, accompagnate da una comunicazione nella stessa data [[122]]. Con particolare riferimento alla prima, essa rappresenta un’integrazione delle due raccomandazioni del 2004 e 2005 (vedi sopra, Capitolo 5). Come precisato nei considerando della raccomandazione, dalle esperienze effettuate negli ultimi anni, e recentemente per quanto concerne la crisi finanziaria, i meccanismi retributivi sono diventati sempre più complessi, troppo incentrati su obiettivi a breve termine e che in alcuni casi hanno dato luogo a remunerazioni eccessive, non giustificate dai risultati. La Commissione ritiene necessario stabilire principi supplementari applicabili alla struttura delle remunerazioni degli amministratori, quale stabilita nella politica in materia di remunerazione di una società, e nel processo di determinazione delle retribuzioni [continua ..]


9. Ostacoli fiscali alla mobilità delle società

 Lo spostamento della sede legale di una impresa incontra anche degli ostacoli di tipo fiscale. Se la direttiva 2008/7/CE del 12 febbraio 2008 obbliga gli Stati membri ad esonerare da ogni forma di imposizione indiretta lo spostamento della sede legale o della sede effettiva di una società di capitali, per quanto riguarda l’imposizione diretta, invece, lo spostamento della sede legale di una società permetterebbe tuttora allo stato membro di provenienza di considerare ai fini fiscali il trasferimento della sede equivalente ad una liquidazione (le cosiddette exit taxes) [[135]]. Questo ostacolo è stato superato al momento solo riguardo allo spostamento di sede realizzato da una Società europea o attraverso una fusione transfrontaliera, in applicazione della direttiva 90/434/CEE (modificata dalla direttiva 2005/19/CE) e solo riguardo alle attività e passività che non escono dalla giurisdizione fiscale dello stato di provenienza [[136]]. Anche accogliendo il punto di vista di quei commentatori secondo i quali la giurisprudenza più recente della Corte di giustizia sembra aver reso le exit taxes illegittime [[137]], il recepimento di questo principio giurisprudenziale da parte degli Stati membri potrebbe avere come conseguenza di permettere un esteso forum shopping fiscale, talmente esteso da ricadere nella sanzione pure pronunciata dalla Corte nella sua giurisprudenza recente [[138]]. Una soluzione potrebbe venire in un prossimo futuro da una definizione a livello comunitario di una “base impositiva societaria consolidata”, alla quale sta al momento lavorando la Commissione europea [[139]], che permetta di contemperare la necessità di rimuovere gli ostacoli fiscali alla libertà di stabilimento con il divieto che la libertà di stabilimento abbia esclusivamente contenuti di forum shopping fiscale [[140]].


10. Altri ostacoli alla mobilità delle società

Vi sono infine altri fattori che possono ostacolare la mobilità delle società anche qualora vengano superati gli ostacoli di natura legale e fiscale sopra accennati. Oltre all’ostacolo linguistico al quale si è pure fatto riferimento sopra, l’internazionalizzazione del mercato della consulenza legale in Europa non è ancora così avanzata come negli Stati Uniti, e i relativi costi non sempre sembrano aver raggiunto livelli tali da incoraggiare lo spostamento della sede di un’impresa. Le marcate differenze tra gli ordinamenti giuridici europei possono poi dissuadere un’impresa dall’abbandonare il proprio contesto giuridico, tanto più se si aggiunge un contesto politico-sindacale sfavorevole alla mobilità. Questi ostacoli sono più rilevanti per le piccole società rispetto alle più grandi già caratterizzate da operatività transfrontaliera [[141]].  


11. L'interesse per una piena libertà di stabilimento

 La piena libertà di stabilimento e in particolare la possibilità di trasferire la sede legale indipendentemente dalla sede effettiva permetterebbe alle società stabilite nell’Unione europea di approfittare di un ordinamento giuridico più efficiente. Negli Stati Uniti la possibilità di trasferire la sede legale separatamente dalla sede affettiva è ammessa sulla base della cosiddetta incorporation doctrine [[142]]. Lo Stato del Delaware è risultato come la giurisdizione di destinazione più popolare tra le corporations statunitensi [[143]] grazie principalmente al suo sistema di precedenti giurisprudenziali societari e alla disponibilità di una classe forense e legale altamente qualificata [[144]], con effetti positivi sulla capitalizzazione di Borsa delle corporations che trasferiscono la propria sede nel Delaware [[145]]. La dottrina è inoltre concorde nel segnalare l’importanza dell’indotto generato dal mercato delle costituzioni societarie per un piccolo Stato come il Delaware. Più in particolare, due fattori sono stati individuati come motori dell’innovazione in questo Stato: i proventi delle incorporation fees e l’interesse della professione legale locale per il mercato del diritto societario. Quest’ultimo punto sembra essere particolarmente pertinente per spiegare l’esistenza di una defensive competition da parte degli altri Stati, la cui classe legale viene così spinta a richiedere analoghe iniziative di riforma. Nel breve periodo il Delaware sembra essere anche la giurisdizione più sollecita a introdurre norme di diritto societario più efficienti. D’altra parte, nel lungo termine gli altri Stati sembrano seguire il Delaware. Il risultato è che la superiorità del Delaware è riconducibile nel breve periodo anche alla capacità di innovazione legislativa, oltre che di efficienza della classe legale e forense [[146]]. L’ordinamento giuridico statunitense, anche se diverso in molti aspetti da quello europeo, può servire come guida per avere delle indicazioni sulle prospettive della mobilità della sede legale nell’Unione europea, dove molte società potrebbero avere buone ragioni per trasferire la propria sede legale in uno Stato membro diverso da quello di originaria [continua ..]


12. Conclusione

 Il diritto di stabilimento veniva enunciato nel Trattato di Roma in linea di principio ma non realizzato completamente in quanto il Trattato stesso lasciava agli Stati membri di definire i criteri di individuazione della sede della società e le modalità con le quali la sede, come definita dallo Stato membro di origine e destinazione, può essere trasferita. Questo articolo illustra le varie strade intraprese per permettere la piena libertà di stabilimento delle società, e quindi la loro mobilità, dalle iniziative adottate nei primi anni delle Comunità europee alle ultime proposte legislative al momento all’esame del Consiglio e del Parlamento. Dapprima si tentò la strada di una convenzione tra gli Stati membri di coordinamento delle norme rispettive di diritto internazionale privato e delle norme sul conflitto di leggi, vale a dire di quelle norme con le quali gli Stati membri disciplinano l’uscita di una società dal proprio ordinamento giuridico e l’ingresso di una società nel proprio ordinamento giuridico [[153]]. Il passo in avanti che si realizzava era di fatto limitato alla rinuncia da parte degli Stati membri della possibilità di impedire l’uscita di una società che rispettasse la legislazione dello Stato di origine e destinazione. Questa convenzione non fu mai ratificata dai Paesi Bassi in quanto non permetteva una mobilità delle società condizionata soltanto alle norme giuridiche dello Stato membro di destinazione. I Paesi Bassi in quel periodo ritenevano di avere la normativa societaria più flessibile per le società e si ritenevano quindi potenzialmente beneficiari di un flusso migratorio verso il loro paese, flusso che non sarebbe stato pienamente consentito dalla convenzione che lasciava agli altri Stati membri la possibilità di porre limitazioni all’uscita di società dal proprio ordinamento giuridico, ad es. condizionando il trasferimento della sede legale al trasferimento anche della sede effettiva. All’emersione del pericolo del forum shopping come elemento ostativo al raggiungimento di un accordo sulla libertà di stabilimento societaria seguì una risposta da parte delle istituzioni comunitarie che, adottando alla fine degli anni ’60 un piano di armonizzazione sistematica del diritto societario, di fatto mirarono a ridurre al massimo gli [continua ..]


NOTE
Fascicolo 4 - 2010