Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Profili dell'opposizione alla fusione (di Francesco Terrusi  )


   
SOMMARIO:

1. Il quadro d'insieme - 2. Il fondamento dell'opposizione - 3. La natura giudiziale del'’atto - 4. La forma del procedimento - 5. I soggetti legittimati - 6. L'effetto sospensivo dell'opposizione - 7. Le fattispecie preclusive - 8. L'autorizzazione giudiziale in pendenza di opposizione - 9. (Segue). La valutazione del tribunale ai fini dell'autorizzazione - 10. La tutela degli obbligazionisti in generale - 11. I possessori di obbligazioni convertibili - 12. (Segue). Gli adempimenti preliminari - 13. (Segue). Le conseguenze della alternativa in tema di conversione. I cd. diritti equivalenti - NOTE


1. Il quadro d'insieme

La disposizione ex art. 2503 c.c. rappresenta un punto di contemperamento fra la tutela degli interessi dei terzi creditori anteriori alla pubblicità del progetto di fusione, preservata dal diritto di opposizione, e l’esigenza di giungere alla fusione in tempi brevi, ove la situazione economico-finanziaria delle società partecipanti sia tale da esorcizzare ogni rischio per la garanzia patrimoniale. La disposizione, a seguito della riforma di diritto societario, contiene talune importanti novità. Limitandoci per un momento all’essenziale, può essere utilmente rammentato che, fermo restando il nucleo dell’opposizione dei creditori anteriori, risultano ridefiniti gli eventi legittimanti l’attuazione anticipata della fusione mediante introduzione della nuova fattispecie della relazione asseverata della società unica di revisione, la quale attesti la non necessità di garanzie a tutela dei creditori siccome desunta dalla situazione patrimoniale e finanziaria. Nella medesima prospettiva, l’attuale versione della norma pone rimedio alla lacuna caratterizzante il testo originario, non previdente il deposito di somme, in alternativa al pagamento o al consenso dei creditori. E contiene, inoltre, mediante il rinvio all’art. 2445 c.c., un ampliamento dei casi nei quali è possibile autorizzare l’attuazione della fusione in pendenza dell’op­posizione, aggiungendo alla eventualità in cui risulti prestata idonea garanzia altresì il fatto che, in concreto, possa ritenersi infondato ogni pericolo di pregiudizio. Infine la disciplina è completata dalle previsioni della disposizione seguente, di cui all’art. 2503-bis, c.c., in ordine alla tutela, rispetto alla decisione di fusione, dei possessori di obbligazioni (convertibili o meno). L’attuale propensione legislativa verso il fenomeno della fusione [1], che nitidamente traspare dalla riforma organica del diritto delle società di cui al d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, attuativo della legge delega 3 ottobre 2001, n. 366, induce a un approfondimento dei temi correlati, tentandosene – di seguito – una ricostruzione alla luce dei nessi di più rilevante problematicità.


2. Il fondamento dell'opposizione

Secondo la tesi tuttora dominante, l’interesse tutelato dall’art. 2503 c.c. riposa nella conservazione della garanzia patrimoniale dei creditori anteriori all’iscrizione del progetto di fusione nel registro delle imprese [2]. La più compiuta espressione dottrinale di questa tesi è anteriore alla riforma del diritto delle società, e risale alla considerazione della potenziale incidenza negativa (sulla garanzia patrimoniale) di quel peculiare effetto dell’istituto della fusione che è rappresentato dalla cd. confusione dei creditori [3]. La disposizione in commento serve giustappunto al creditore per evitare la realizzazione di questo effetto, e dunque, di fronte al rischio dell’insufficienza patrimoniale della società rinveniente dalla fusione, presidia l’interesse a mantenere l’integrità della garanzia patrimoniale offerta dalla società debitrice [4]. Una variante di questa tesi – sostenuta in dottrina in termini, per vero, non sempre lineari rispetto alle affermate conseguenze – reputa invece rilevante il pregiudizio alla cd. garanzia commerciale, mediante valorizzazione di quello che viene definito essere l’aspetto reddituale proprio del diritto dell’impresa, cui corrisponderebbe la necessità di tutelare coloro che nel­l’impresa hanno investito, sia pure a titolo diverso dal capitale di rischio. Ma una simile variante appare alimentata da tensioni estranee alla costruzione unitaria del diritto delle obbligazioni, che sola rileva a livello di diritto positivo dinanzi a predisposte forme di tutela del credito. Tali invero appaiono essere quelle di cui all’art. 2503 c.c., siccome commisurate all’esposizione al rischio, e al danno, delle ragioni del creditore opponente. Né la suddetta variante sembra trovare spazio nell’interpretazione in funzione applicativa, le posizioni della giurisprudenza essendo stabilmente collocate all’interno delle categorie tradizionali [5]. Giova nondimeno rammentare che, tradizionalmente, alla tesi in discorso si è contrapposto un altro minoritario orientamento, inteso a inquadrare la fusione all’interno delle vicende successorie potenzialmente incidenti sulla sorte dei rapporti pendenti. Sicché la ratio dell’oppo­sizione del creditore è stata coerentemente enucleata – da questo orientamento [continua ..]


3. La natura giudiziale del'’atto

Nella esposta, preliminare, considerazione di diritto sostantivo, a proposito dell’individuazione del fondamento dell’opposizione nel pericolo di pregiudizio per la garanzia patrimoniale, sembra trovare conferma altresì la conclusione circa la natura giudiziale dell’atto di opposizione. Il quale necessita di assumere la veste di atto introduttivo di un apposito rimedio, predisposto nella forma giurisdizionale, per l’accertamento della qualità di creditore dell’opponente e per la consequenziale tutela del suo diritto [8]. Il profilo è stato oggetto, in passato, di una vivace disputa, della quale è opportuno dare brevemente conto. E giova al riguardo sottolineare che, anche nel vigore delle vecchie norme, l’indirizzo dominante, sia in dottrina che in giurisprudenza, si è collocato nell’ottica più sopra sostenuta, vale a dire che i creditori, opponenti alla fusione, hanno l’onere di agire esclusivamente in sede giudiziale, e, più precisamente, per il tramite di un giudizio di cognizione introdotto da atto di citazione innanzi al tribunale del luogo in cui ha sede la società debitrice [9]. Questo perché – si assumeva –, l’opposizione essendo prevista a tutela degli specifici interessi dei creditori, la relativa decisione, come pure gli eventuali provvedimenti incidentali, evocano i poteri dell’autorità giudiziaria, e non possono ammettere forme di tutela diverse dal processo di cognizione. E ancora, essendo l’autorità giudiziaria chiamata a stabilire la definitiva inefficacia della deliberazione di fusione, l’opposizione si configura come un rimedio esperito nei confronti di un atto societario; apparendo in tal senso più coerente con il sistema esigere che il creditore debba convenire in giudizio la società, a mezzo della forma più rigorosa qual è quella della domanda giudiziale. A queste argomentazioni, un secondo orientamento ha replicato che, ai fini dell’opposizione alla fusione, non soccorrerebbe la forma giudiziale, né tanto meno l’atto di citazione, eccessivamente oneroso per i creditori (nel cui esclusivo interesse pur l’istituto è predisposto dal legislatore); essendo invece sufficiente una qualsiasi dichiarazione, anche informale, da parte del creditore, alla stregua di comunicazione stragiudiziale del proprio [continua ..]


4. La forma del procedimento

Il procedimento di opposizione alla fusione risulta espressamente contemplato, dal legislatore, soltanto nell’art. 33 del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, di riforma del processo societario, il quale estende (tra l’altro, e per quanto di interesse) alle istanze di cui agli artt. 2445, 4° comma, e 2503, 2° comma, c.c. le norme della sezione II del capo II del titolo IV, relative al procedimento camerale plurisoggettivo. La scarsa chiarezza della previsione, per vero letteralmente riferita alle «istanze», ha diviso gli interpreti, essendosi manifestati orientamenti discordanti a proposito del modello processuale di riferimento. Le considerazioni esposte a chiusura del paragrafo precedente inducono a rigettare innanzi tutto l’interpretazione che lega il disposto ex art. 33 cit. alla natura stragiudiziale dell’atto. Interpretazione incentrata sul rilievo che, appunto, l’opposizione dovrebbe avvenire in forma stragiudiziale, con onere della società, che intenda attuare la decisione di fusione, di proporre istanza camerale [18]. Confutata la premessa di codesta interpretazione, cade, evidentemente, anche la conclusione. Nondimeno può aggiungersi che la tesi non appare persuasiva in sé, per la limitazione di tutela che ne deriva quanto al diritto soggettivo sottostante. Difatti, l’istanza della società, di autorizzazione a eseguire la fusione nonostante l’opposizione, verrebbe a configurarsi come unico momento di controllo giurisdizionale in materia, salvo il ricorso al procedimento in forma ordinaria nei limiti di una esplicita domanda di definizione, con efficacia di giudicato, di una questione pregiudiziale (art. 32, 1° comma, d.lgs. n. 5/2003). Laddove è risolutivo osservare che, rispetto all’opposizione alla fusione, l’accertamento del pregiudizio del creditore opponente non è questione pregiudiziale, ma oggetto stesso del processo [19]. Di contro, la tesi prevalente assume che l’art. 33, d.lgs. n. 5/2003 necessita di interpretazione sistematica. E in tal senso reputa che, in ciascuna delle fattispecie di opposizione, cui la norma rinvia (artt. 2437-quater, ultimo comma, c.c.; 2445, 4° comma, c.c.; 2447-quater, 2° comma, c.c.; 2482, 3° comma, c.c.; 2487-ter, 2° comma, c.c.; 2500-novies, 2° comma, c.c.; 2503, 2° comma, c.c.), viene in questione uno schema unitario. Quello per cui [continua ..]


5. I soggetti legittimati

 In netta consonanza rispetto alla disciplina anteriore, l’art. 2503 c.c. continua ad attribuire la legittimazione all’opposizione, in linea generale, ai creditori il cui diritto è sorto prima dell’iscrizione del progetto di fusione nel registro delle imprese del luogo ove hanno sede le società partecipanti (cfr. art. 2501-ter, 3° comma, c.c.). Una simile scelta si giustifica con la considerazione che i creditori successivi possono conoscere, appunto in ragione dell’avvenuta pubblicazione del progetto, la situazione della società risultante dalla fusione, e conseguentemente sono in condizioni di determinarsi consapevolmente circa la convenienza a contrarre. Il che si suole esprimere dicendo che i creditori divenuti tali successivamente al verificarsi degli adempimenti pubblicitari relativi al progetto erano o potevano essere, nel momento in cui il credito è sorto, già a conoscenza dell’intenzione della società di procedere alla fusione; sicché non possono dolersi di aver subito un pregiudizio in dipendenza dell’operazione [23]. Una simile giustificazione può essere accettata, anche se la relativa solidità non va esente da dubbio rispetto ai cd. creditori involontari della società, come i titolari di crediti risarcitori da fatto illecito. Devesi altresì convenire che la stessa non vale in termini di logica assoluta, dal momento che esiste pur sempre uno scarto temporale tra il momento di pubblicità commerciale relativo al progetto di fusione e il momento di pubblicità commerciale relativo alla decisione di fusione, durante il quale, per effetto della speciale previsione di cui all’art. 2502-bis c.c., chi decide di far credito a una delle società partecipanti non ha accesso diretto alle situazioni patrimoniali aggiornate delle altre [24]; così da doversi necessariamente determinare sulla base di dati non sempre indicativi di un effettivo merito di credito (tali sono, nella sostanza, quelli rappresentati dal fatto che la società ha in corso un procedimento di fusione, attese le meno aggiornate informazioni eventualmente desunte dai bilanci, da ciascuna delle partecipanti a suo tempo depositati presso i diversi uffici del registro delle imprese). Ciò fermo stante, l’indirizzo interpretativo prevalente attribuisce, ai fini della legittimazione, significato assai ampio [continua ..]


6. L'effetto sospensivo dell'opposizione

La giurisprudenza costruisce la mancata opposizione come condicio iuris di efficacia della decisione di fusione [31]. In realtà, al fondo del concetto non si dubita che l’effetto principe dell’opposizione alla fusione è semmai di tipo impeditivo: quello, cioè, di impedire, alla società, nei cui confronti l’op­posizione è proposta, di dare attuazione alla decisione [32]. Al punto che è prevista, in tal caso, la facoltà della società medesima di richiedere al tribunale, con la già vista distinta forma del processo camerale plurisoggettivo, l’autorizzazione a eseguire la decisione lite pendente. Ciò equivale a dire che l’opposizione possiede – essa – un automatico effetto sospensivo della efficacia della decisione di fusione, quale elemento fondamentale e non fungibile del procedimento che, innestato dalla redazione del progetto (art. 2501-ter c.c.), sarebbe altrimenti destinato a concludersi con l’atto pubblico di cui all’art. 2504 c.c. Invero, la decisione di fusione, al pari di qualsivoglia deliberato della società commerciale avente valore organizzativo, assume efficacia fin dal completamento del suo iter formativo [33], né la successiva iscrizione, né tanto meno il fatto negativo della mancata opposizione potendo essere considerati alla stregua di elementi della fattispecie deliberativa (o decisoria) in quanto tale. Semplicemente, nel quadro della serie procedimentale che presidia gli effetti di cui all’art. 2504-bis c.c., una tale decisione non è attuabile se non dopo il decorso del termine di sessanta giorni espressamente dal legislatore stabilito a tutela dell’altrui diritto di opposizione. Messo a partito l’accenno dogmatico, il profilo che rimane in discussione attiene all’in­terro­gativo se l’anzidetto effetto sospensivo, suscettibile di consolidamento in caso di accoglimento dell’opposizione, debba rilevare per tutte le società partecipanti alla fusione, ovvero nei confronti della sola società convenuta. Conclude in questo secondo senso l’opinione che fa leva sulla natura dell’opposizione quale azione individuale [34], nonché sulla considerazione che la sospensione dell’intera operazione di fusione, per ragioni in realtà riferibili a una [continua ..]


7. Le fattispecie preclusive

Riproducendo la scelta collaudata nel corso del sistema anteriore, l’art. 2503 c.c. ribadisce la possibilità di dare attuazione anticipata alla decisione di fusione rispetto al termine bimestrale, in presenza, congiuntamente o anche alternativamente, (a) del consenso dei creditori potenzialmente legittimati a opporsi; (b) del pagamento di quelli dissenzienti; (c) del deposito delle corrispondenti somme presso una banca. A tanto aggiunge una ulteriore ipotesi avente eguale funzione, tale essendo quella nella quale (d) la relazione sulla congruità del rapporto di cambio, di cui all’art. 2501-sexies c.c., sia redatta, per tutte le società partecipanti alla fusione, da un’unica società di revisione, mediante asseverazione, sotto propria responsabilità, che la situazione patrimoniale e finanziaria delle società fondende non rende necessarie garanzie a tutela dei creditori. In tutti questi casi – comunemente definiti di fusione anticipata – il dato essenziale è costituito dalla correlata preclusione alla facoltà di opposizione [41], trattandosi di mezzi a disposizione della società per superare il rischio di una prolungata sospensione di efficacia della decisione di fusione giustappunto conseguente al promovimento di una opposizione purchessia. Se ne può dedurre che, in tanto è possibile la fusione anticipata, in quanto, a cagione delle fattispecie sopra enumerate, è precluso il diritto di opposizione. Conclusione – questa – non da tutti condivisa [42], ma che risulta chiaramente confermata dal dato normativo, posto che il 2° comma della disposizione in commento espressamente prevede che i creditori possono fare opposizione «solo se non ricorre alcuna di tali eccezioni». In ordine alle singole fattispecie, dottrina e giurisprudenza concordano nell’affermare che il consenso dei creditori può essere rilasciato senza particolari formalità, purché consti in modo inequivoco e documentabile [43]. Né può ignorarsi che, secondo un certo orientamento, viene inquadrata nello schema del­l’atto negoziale illecito, perché in frode alla legge, l’iscrizione anticipata della fusione nel registro delle imprese in base a dichiarazione di avvenuta prestazione del consenso da parte dei creditori, che risulti contraria alla [continua ..]


8. L'autorizzazione giudiziale in pendenza di opposizione

A mezzo del rinvio all’art. 2445, ultimo comma, c.c. è stata, altresì, nella sostanza confermata, dalla riforma del 2003, la scelta previgente in ordine alla necessità dell’autorizzazione giudiziale allorché la società richieda di poter attuare la fusione nonostante la pendenza dell’opposizione. Ciò nondimeno, è stata radicalmente innovata – come si è avuto occasione di osservare fin dall’esordio della presente esposizione – la forma processuale di riferimento, essendo oggi pacifico che una simile domanda di autorizzazione presuppone, sebbene ai limitati effetti (e in esito all’interpretazione sistematica prospettata supra, § 3), il rispetto delle previsioni del processo camerale societario plurisoggettivo [53]. Il tribunale quindi, in pendenza del giudizio di merito, può disporre, con decreto adottato a conclusione dell’apposito procedimento camerale, reclamabile secondo la speciale disciplina di cui all’art. 27, d.lgs. n. 5/2003, che l’operazione di fusione abbia luogo nonostante l’opposi­zione, quando ritenga infondato il pericolo di pregiudizio per i creditori ovvero quando la società abbia prestato idonea garanzia. A margine della disciplina vanno peraltro affrontate talune questioni di non secondaria importanza, suscettibili di condizionarne la corretta applicazione. La prima è quella della natura del provvedimento. Può considerarsi sostanzialmente superato, sul piano concettuale, l’accostamento dell’isti­tuto alla tipologia dei provvedimenti cautelari. Il profilo non appare essere stato considerato con sufficiente attenzione nei primi commenti della riforma del diritto delle società, ma è essenziale agli effetti che ne conseguono. Giova ricordare che l’indirizzo giurisprudenziale prevalente, formatosi nel vigore del testo anteriore dell’art. 2503 c.c. (peraltro facente leva sulla sola valutazione di idoneità della prestata garanzia), era saldamente orientato nel senso di riconoscere, allo speciale procedimento di autorizzazione, natura propriamente cautelare, con funzione anticipatoria rispetto alla decisione di merito [54]. Se ne inferiva l’applicabilità delle disposizioni disciplinanti il procedimento cautelare uniforme, secondo il disposto di cui all’art. 669-quaterdecies c.p.c., salvo il limite [continua ..]


9. (Segue). La valutazione del tribunale ai fini dell'autorizzazione

La ratio dell’istituto, di semplificare il procedimento di fusione legittimando la stipula dell’atto nonostante l’opposizione dei creditori, in caso di ritenuta non alterazione del rischio di credito, consente di risolvere le ambiguità anteriormente manifestatesi, in giurisprudenza, a proposito della valutazione alla quale è chiamato il giudice ai fini della decisione sull’istanza. Giova precisare che, in passato, si sono in proposito confrontati due orientamenti: il primo, inteso a sostenere che l’istanza imporrebbe al giudice una preventiva, ancorché sommaria, valutazione sul merito dei motivi di opposizione [61]; il secondo invece attestato sul rilievo che l’esame del tribunale deve vertere non già sul fondamento dell’opposizione, sebbene sulla mera questione della congruità della garanzia [62]. L’attuale formulazione normativa, per effetto del richiamo fatto dall’art. 2503 c.c. all’art. 2445, ultimo comma, c.c., contempla l’autorizzazione della fusione, nonostante l’opposizione, al cospetto di entrambe le situazioni alternativamente disciplinate: la ritenuta infondatezza del pericolo di pregiudizio e la prestazione, da parte della società, di idonea garanzia. Così avvalorando l’impressione di una scelta diretta a tener conto di entrambe le tesi sopra ricordate a proposito del possibile oggetto dell’accertamento – seppur sommario – all’uopo richiesto. Giustamente è stato notato che una simile scelta, unitamente alle specifiche eccezioni in presenza delle quali l’opposizione è preclusa (art. 2503, 1° comma, c.c.), dovrebbe, all’atto pratico, contribuire a realizzare il primario obiettivo di rendere la decisione di fusione maggiormente stabile. La prevista possibilità di dedurre, a fondamento dell’istanza di autorizzazione, l’una o l’altra delle situazioni sopra dette, condiziona, nondimeno, l’ambito della cognizione rispetto al caso concreto. Nel senso che la valutazione circa l’insussistenza del pericolo di pregiudizio si impone al tribunale nel solo caso in cui tale sia la causa petendi del ricorso camerale. Mentre, ove il ricorso sia basato sulla avvenuta prestazione di garanzia idonea a eliminare il rischio di credito, nessuna ulteriore valutazione appare demandata al giudice con riguardo al verosimile [continua ..]


10. La tutela degli obbligazionisti in generale

 Un accenno, infine, è opportuno fare al profilo della tutela dei possessori di obbligazioni. Il modulo normativo – che la riforma del 2003 ha sostanzialmente confermato nel testo già risultante dal d.lgs. 16 gennaio 1991, n. 22 (salva la ininfluente scelta di esprimere a giorni, anziché a mesi, il termine per l’esercizio della facoltà di conversione anticipata prevista nel 2° comma) – contiene una disciplina differenziata. L’elemento di differenziazione è invero costituito dal fatto che si verta, o meno, in fattispecie di possesso di obbligazioni convertibili. Per quanto attiene alla tutela degli obbligazionisti in quanto tali – id est, dei titolari di obbligazioni non convertibili – l’art. 2503-bis, 1° comma, c.c. risponde alla necessità di armonizzare il carattere individuale del diritto di opposizione, di cui al già visto art. 2503, con la regolamentazione desumibile dagli artt. 2415 e 2419 c.c. Dai quali invero si trae il principio generale per cui le decisioni su oggetti di interesse comune, prese nel contesto organizzativo del gruppo degli obbligazionisti, e quindi nella relativa assemblea, sono vincolanti per il singolo, sebbene non precludano azioni individuali non incompatibili con le deliberazioni dell’assemblea. Da qui la conseguenza che, non essendo consentito, al singolo obbligazionista, esercitare azioni individuali precluse, appunto, da una difforme deliberazione ex art. 2415 c.c., il diritto di opposizione alla fusione può essere dai singoli obbligazionisti esercitato nel solo caso in cui la fusione non sia stata approvata dalla loro speciale assemblea. E dunque, nella sostanza, allorché l’assemblea speciale nulla abbia deciso a proposito della fusione, ovvero nel caso in cui abbia rimesso alla discrezionalità dei singoli obbligazionisti la decisione di proporre, o meno, opposizione. Si conviene che trattasi di soluzione di compromesso, dal legislatore prescelta fin dalla modifica risultante dal d.lgs. 16 gennaio 1991, n. 22, di attuazione della terza e della sesta direttiva comunitaria in materia di società, nel tentativo di dirimere l’anteriore dubbio se legittimato all’esercizio del diritto di opposizione dovesse in generale ritenersi il singolo obbligazionista oppure il rappresentante comune previa deliberazione dell’assemblea degli [continua ..]


11. I possessori di obbligazioni convertibili

Più articolato discorso necessita la predisposta disciplina a tutela dei possessori di obbligazioni convertibili, cui sono dedicati i commi 2° e 3° della disposizione in esame. Giova sottolineare che l’art. 2503-bis c.c. vale a parzialmente modificare il sistema desumibile dall’art. 2420-bis c.c. in ordine alle conseguenze della emissione del prestito convertibile. A fronte della generale previsione dettata dall’allora 5° (e oggi 4°) comma di codesta disposizione, e nel tentativo di trovare un modello di soluzione equilibrato dei principali problemi un tempo dibattuti, l’attuale quadro normativo risulta incentrato su due generali uniformità. Nell’art. 2503-bis è innanzi tutto stabilito (i) che, fintanto che non siano scaduti i termini fissati per la conversione, la società non può deliberare la fusione con altre società salvo che ai possessori di obbligazioni convertibili sia data facoltà, mediante avviso pubblicato in Gazzetta Ufficiale della Repubblica almeno novanta giorni prima della iscrizione del progetto di fusione nel registro delle imprese, di esercitare il diritto di conversione nel termine di trenta giorni dalla pubblicazione dell’avviso stesso. È inoltre previsto (ii) che, a coloro che non abbiano esercitato tale facoltà, debbono essere comunque riconosciuti diritti equivalenti a quelli spettanti prima della fusione (salvo naturalmente – in ossequio alla già vista regola generale di cui al 1° comma – che la modifica di tali diritti non sia stata legittimamente approvata dall’assemblea degli obbligazionisti nell’ambito della competenza prevista dall’art. 2415 c.c.). Sul piano procedimentale, viene pertanto assicurata ai possessori di obbligazioni convertibili una tutela rafforzata dall’adempimento preliminare (l’avviso) e dalla prevista successiva protezione dell’interesse individuale sottostante. Resta tuttavia dibattuta, in dottrina, la specifica finalità del mentovato prioritario diritto di conversione anticipata. Una parte della dottrina assume che la facoltà di conversione anticipata abbia come fine quello di mantenere inalterato il valore economico del relativo diritto dell’obbligazionista [68]. In diversa prospettiva, altri autori pongono l’accento sulla concorrente finalizzazione della disciplina a tutela di un [continua ..]


12. (Segue). Gli adempimenti preliminari

 Il discorso va tuttavia portato a più compiuto sviluppo a mezzo delle seguente considerazioni. Come sopra accennato, l’attuale modello normativo predispone, ai fini indicati, una tutela dei possessori di obbligazioni convertibili rafforzata dalla necessitata diffusione, almeno novanta giorni prima dell’iscrizione del progetto di fusione, di un avviso finalizzato a consentire l’esercizio della facoltà di conversione. Il termine di novanta giorni, stabilito ai fini di codesto adempimento, viene tuttavia generalmente ritenuto di mero interesse sociale per la parte eccedente i trenta giorni posti, dall’ul­timo periodo del precetto di cui al 2° comma, in funzione protettiva del diritto di conversione. In sostanza, l’opinione dottrinale pressoché consolidata – da ritenersi unicamente rilevante a scopo di generale orientamento, essendo la disposizione praticamente priva di riscontro giurisprudenziale – è nel senso della preminenza, nella disciplina dei termini, dell’interesse della società di operare disponendo di maggior «certezza dei calcoli», necessari per predeterminare il concambio (nonché il capitale della società incorporante o risultante dalla fusione) e le ulteriori modalità dell’operazione [73]. In tal modo risulta essenzialmente privilegiato l’interesse di conoscere con certo anticipo l’esatta consistenza delle obbligazioni che saranno oggetto di conversione anticipata. Dacché la conseguenza che, mentre non è ovviamente in alcun modo comprimibile il margine temporale (di trenta giorni) dalla legge prefissato per assicurare il diritto degli obbligazionisti di determinarsi in ordine alla possibilità di anticipata conversione, devesi considerare, invece, suscettibile di abbreviazione, da parte della società, il restante margine di giorni sessanta. Ciò in quanto codesto ulteriore segmento cronologico è posto, giustappunto, a favore della sola società [74]. Può ulteriormente osservarsi che la circostanza che l’avviso sia posto, dalla disposizione in commento, in senso funzionale all’esercizio della conversione è alla base dell’ulteriore logica affermazione che non è possibile, prima della chiusura del periodo di conversione, alcuna oggettiva determinazione delle specifiche condizioni dell’annunciata [continua ..]


13. (Segue). Le conseguenze della alternativa in tema di conversione. I cd. diritti equivalenti

Si è detto che il modello di tutela approntato, per i possessori di obbligazioni convertibili, dall’art. 2503-bis, 2° e 3° comma, c.c. si traduce nella facoltà di scegliere, nello spatium deliberandi all’uopo dalla disposizione assicurato, se esercitare, o meno, il diritto di anticipata conversione. Rispetto alla facoltà di scelta, vanno adesso illustrate le conseguenze. (a) In caso affermativo, l’esercizio del diritto suppone l’acquisizione della qualità di socio, e, conseguentemente, l’acquisizione del diritto di partecipare, come azionista, all’assemblea che dovrà deliberare la fusione. Codesta situazione, che si trae dalla conversione, è chiaramente irrevocabile; e come tale non è inficiata dall’eventualità che la fusione non abbia luogo [79]. Tanto si suole esprimere dicendo che l’esercente la facoltà di conversione si assume, quanto alla decisione di fusione, il rischio tipico dell’azionista, ivi compreso quello della mancata approvazione o della mancata attuazione dell’operazione programmata. Sicché questa non può mai essere elevata a condizione risolutiva del perfezionato negozio di sottoscrizione delle azioni. (b) In caso negativo, la tutela degli obbligazionisti, che non si sono avvalsi della facoltà di conversione, postula che a questi vengano assicurati (art. 2503-bis, 3° comma) diritti equivalenti a quelli di cui erano titolari prima della fusione, salvo che la modifica di tali diritti sia approvata dall’assemblea di cui all’art. 2415 c.c. Il significato specifico della formulazione normativa si trae in modo planare dalla relazione ministeriale di accompagnamento al d.lgs. n. 22/1991. Secondo la quale, invero, la disposizione, già allora congegnata (per quanto rileva) in testo corrispondente all’attuale, risponde al­l’in­tento di risolvere in senso positivo la dibattuta questione se il possessore di obbligazioni convertibili, che non abbia esercitato il diritto di conversione prima della fusione, conservi tali diritto anche dopo che la fusione è avvenuta. Non appare dunque revocabile in dubbio che, per effetto della speciale previsione – e forse già in base ai principi generali [80] –, gli obbligazionisti presi in considerazione dall’art. 2503-bis, 3° comma, c.c. mantengono il loro [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2009