Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Partecipazioni e capitale nelle società cooperative (di Emanuele Cusa  )


  
SOMMARIO:

1. La forma delle partecipazioni sociali - 2. Il valore nominale delle azioni - 3. Il capitale sociale - NOTE


1. La forma delle partecipazioni sociali

1.1. Il quadro normativo. – Fino all’entrata in vigore del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, anche sulla scorta del previgente art. 2514, 1° comma, c.c. [[1]], era pacifico che il diritto comune della società cooperativa consentiva di rappresentare le partecipazioni sociali dei cooperatori (d’ora innanzi partecipazioni di cooperazione) come azioni o quote [[2]]. Dunque, il tipo normativo «società cooperativa», diversamente da quello «società per azioni» o da quello «società a responsabilità limitata», non aveva tra i propri elementi essenziali uno specifico modo di rappresentare le partecipazioni di cooperazione. Sulla base invece del diritto comune della società cooperativa attualmente vigente, la dottrina è divisa circa i modi di rappresentare le partecipazioni di cooperazione (diverse da quelle quotate in mercati regolamentati o diffuse fra il pubblico in misura rilevante [[3]]) nelle cooperative cui si applicano le norme sulla società per azioni (d’ora innanzi coop-s.p.a) o in quelle cui si applicano le norme sulla società a responsabilità limitata (d’ora innanzi coop-s.r.l.) [[4]]. La sopravvenuta disparità di vedute dipende principalmente dall’art. 2519 c.c., il quale prevede che la disciplina propria della cooperativa sia da integrare o con quella della società per azioni (s.p.a.) o con quella della società a responsabilità limitata (s.r.l.). Detta bipartizione non è certo paragonabile a quella, molto meno significativa, che vi era tra la cooperativa a responsabilità illimitata e la cooperativa a responsabilità limitata di cui ai previgenti artt. 2513 e 2514 c.c. Con la riforma societaria si è infatti passati da un unico modello organizzativo essenzialmente mutuato dalla disciplina della s.p.a. a due modelli organizzativi – coop-s.p.a. e coop-s.r.l. – che, nella loro massima divaricazione, possono avvicinare la cooperativa, da un lato, ad una s.p.a. facente ricorso al mercato del capitale di rischio e, dall’altro, ad una società in nome collettivo. Si potrebbe allora sostenere, proprio sulla base dell’art. 2519 c.c. [[5]], che il richiamo alternativo alla disciplina della s.p.a. o a quella della s.r.l. operato da tale disposizione non possa prescindere dall’osservanza di uno [continua ..]


2. Il valore nominale delle azioni

2.1. Premessa. – Nell’organizzazione societaria di una cooperativa rileva sia il modo di rappresentare le partecipazioni sociali, sia il valore nominale di queste ultime. Da questo valore, infatti, non solo possono misurarsi alcuni diritti sociali (dal diritto al dividendo ad alcuni diritti riconosciuti alla minoranza dei soci, come quello di cui all’art. 2545-quinquiesdecies, 1° comma, c.c.), ma si determina anche, sommando tutti i valori nominali delle partecipazioni, il valore del capitale sociale della cooperativa, il quale, pur variabile, è conoscibile esaminando il bilancio d’esercizio della cooperativa. Il valore nominale delle partecipazioni (di cooperazione o di finanziamento) è un tema assai controverso, anche in ragione del fatto che nella realtà detto valore è statutariamente disciplinato in molteplici modi. Partendo dalla situazione più semplice, ossia dalla partecipazione di cooperazione rappresentata mediante una quota, il relativo valore nominale – variabile al mutare della percentuale di partecipazione del socio al capitale sociale – non deve risultare né sull’eventuale documento rappresentativo della quota né nell’atto costitutivo. Più precisamente, relativamente a quest’ul­timo documento, il valore nominale della quota può esservi iscritto al momento della costituzione della società ai sensi dell’art. 2531, 3° comma, n. 4, c.c. [[23]], ma le successive variazioni di detto valore non costituiscono mai (diversamente da una s.r.l. indicante il valore nominale delle partecipazioni non in percentuale) una modificazione dell’atto costitutivo, stante il carattere variabile del capitale sociale delle cooperative. 2.2. Valore unitario. – Affrontando ora il problema del valore nominale delle azioni (di cooperazione o di finanziamento) emesse da una cooperativa, ritengo che una coop-s.p.a. debba innanzitutto prevedere un loro valore nominale unitario. Il che discende dalla stessa nozione di azione ricavabile dall’intero ordinamento societario; in effetti, elemento indefettibile di questa nozione è non tanto la sua incorporazione in un quid (titolo o strumento dematerializzato) che ne facilita la circolazione (cfr. infatti gli artt. 2346, 1° comma, e 2355, 1° comma, c.c.) o la sua potenziale libera trasferibilità (cfr. [continua ..]


3. Il capitale sociale

3.1. La sua variabilità. – Già accennavo che il valore del capitale sociale di qualsiasi cooperativa è variabile. Il che significa che la cooperativa non deve indicare il valore complessivo del capitale sociale o di sue porzioni né nell’atto costitutivo né nello statuto, né al momento della sua costituzione né durante la sua esistenza. La necessaria variabilità vale dunque non solo per l’intero capitale sociale, ma anche per le sue due componenti: il necessario capitale di cooperazione, costituito dalla somma dei valori nominali delle partecipazioni di cooperazione, e l’even­tuale [[52]] capitale di finanziamento, costituito dalla somma dei valori nominali delle partecipazioni (rectius, azioni) di finanziamento [[53]]. La cooperativa, inoltre, non è nemmeno legittimata a renderlo fisso statutariamente, prevedendo un plafond all’intero capitale sociale o a singole sue componenti. La correttezza di queste due asserzioni può essere dimostrata sulla base degli artt. 2511, 2521 e 2524 c.c. Il legislatore, esplicitando quanto si poteva già dedurre dal previgente ordinamento cooperativo [[54]], definisce le società cooperative non solo sul piano funzionale – attraverso il dovere di perseguire lo scopo mutualistico – ma anche su quello strutturale – attraverso la necessaria variabilità del capitale sociale (art. 2511 c.c.) [[55]]. Il carattere variabile del capitale sociale è poi ribadito sia nei primi tre commi dell’art. 2524 c.c., sia nell’art. 2521, 3° comma, n. 4, c.c., laddove si prescrive di indicare nell’atto costitutivo la sola «quota di capitale sottoscritta da ciascun socio» e non anche – come è imposto alle società di capitali (artt. 2328, 2° comma, n. 4, e 2463, 2° comma, n. 4, c.c.) – «l’ammontare del capitale sottoscritto e di quello versato». Se la variabilità del capitale sociale è uno dei presupposti strutturali del tipo normativo «società cooperativa», non condivido l’opinione secondo la quale detta variabilità caratterizzerebbe soltanto il capitale di cooperazione nei casi di ingresso o di uscita di cooperatori, in quanto solo per costoro varrebbe il principio solidaristico sottostante alla regola della porta aperta [continua ..]


NOTE
Fascicolo 3 - 2009