1. Premessa - 2. La 'relatività' del principio di competenza gestionale esclusiva degli amministratori - 3. Controllo, potere d'influenza dominante e responsabilità da eterodirezione - 4. Doveri e 'compiti' del socio di controllo correlati all'assetto fattuale o normativo del gruppo - 5. La responsabilità 'esterna' della controllante e i diritti risarcitori della società 'dominata' - 6. La condizione del 'mancato soddisfacimento' del danneggiato (art. 2497, 3° comma, c.c.) - 7. L'applicazione della responsabilità da eterodirezione alla holding-persona fisica - NOTE
Affrontare il tema dei «compiti» del socio di controllo (e delle relative responsabilità), nell’ambito della disciplina del «gruppo», assumendo quindi che ad esso debbano ascriversi – insieme ai diritti e ai poteri derivanti dalla partecipazione qualificata – dei doveri o degli obblighi, impone alcune riflessioni preliminari di ordine generale sulla tipologia legale della società per azioni e, specialmente, sulla sua organizzazione corporativa [[1]]. Per le società a responsabilità limitata, infatti, il discorso può apparire, tutto sommato, più semplice – se pure per nulla scontato –, ove si considerino l’impronta «personalistica» del tipo e la previsione esplicita di una responsabilità «da concorso intenzionale» del socio nell’illecito degli amministratori (art. 2467, 7° comma, c.c.) [[2]]. Per le società azionarie, invece, il problema della definizione dei poteri e del ruolo del socio, in specie del c.d. azionista-imprenditore è tradizionalmente più difficile e controverso. Conviene, allora, prendere le mosse da quello che appare – per lo meno a me – come un «mito» della riforma delle società: quello, cioè, della competenza gestionale esclusiva degli amministratori e della neutralità della proprietà azionaria rispetto alla «direzione» in senso lato dell’impresa sociale, nel sistema tradizionale di amministrazione e controllo delle s.p.a. Un mito o, se si preferisce, un proclama teorico-dogmatico, che però – a mio modo di vedere – sia la realtà normativa, sia la prassi societaria si incaricano di smentire.
Si è avuto modo, altrove, di criticare le distorsioni prodotte dalla concezione rigidamente «oggettivistica» e «procedimentalizzata» della partecipazione dell’azionista al processo decisionale della s.p.a. e la sua derivazione dalle visuali organicistiche, tendenti a ravvisare nell’assemblea un’entità deliberante e ad eclissare totalmente la soggettività degli «autori» delle scelte d’impresa [[3]]; e di argomentare come la «rilevanza unitaria» che la partecipazione in società di capitali – anche azionaria – assume nel codice civile e nelle leggi speciali (in materia di società quotate, banche, intermediari finanziari, società pubbliche) consenta di delineare uno «statuto» della partecipazione di controllo. Vale a dire un regime peculiare della posizione del socio di comando, basato su regole di «trasparenza» e governato dal principio di «correttezza» [[4]], volto a controbilanciare il rischio di abuso del potere d’influenza, con pregiudizio della società controllata, dei soci di minoranza e dei creditori sociali. In questa sede, tuttavia, interessa maggiormente sottolineare i molteplici e gravi profili di criticità che questo modello teorico di s.p.a. «a proprietà neutrale» (o «ininfluente») presenta, a ben vedere, sia con riferimento alla fenomenologia della società «indipendente», ove esso si realizza in maniera alquanto sporadica (si pensi alla public company, alla società «chiusa» con compagine frammentata, alla società consortile); sia, a maggior ragione, con riferimento alla società «di gruppo». E sotto questo profilo vengono in rilievo, anzitutto, le incongruenze e i limiti dell’interpretazione corrente dell’art. 2380-bis, 1° comma, c.c., su cui si fonda la predicata «esclusività» della competenza gestionale degli amministratori. Nel senso che si tratti di una regola di portata tendenziale e necessariamente relativa, anziché di un criterio organizzativo rigido e inconculcabile, depongono in verità molteplici indici normativi. Una sommaria ricognizione sistematica consente, infatti, di rilevare che la possibilità di partecipazione degli [continua ..]
Anche sotto l’altro profilo, distinto, ma strettamente connesso, dell’imputazione o propagazione della responsabilità risarcitoria al socio autore o compartecipe dell’atto illecito e/o abusivo, sembra registrarsi, d’altronde, una sorta di «accerchiamento» del predetto modello teorico di s.p.a. «a proprietà neutrale», che postulerebbe l’assoluta irresponsabilità dell’azionista, in coerenza alla sua partecipazione «mediata» e «limitata» all’attività sociale. Sul piano ermeneutico e sistematico, dall’elaborazione dogmatica successiva alla riforma societaria sembra emergere infatti una tendenza abbastanza netta alla generalizzazione del binomio: potere d’influenza – responsabilità da eterodirezione. In tale prospettiva, la responsabilità che incombe al soggetto controllante verso i soci di minoranza e i creditori per l’abuso del potere di direzione e coordinamento (art. 2497 c.c.), peraltro estensibile agli altri soggetti concorrenti nel (o beneficiari del)l’illecito (2° comma), deve coordinarsi anzitutto con la responsabilità solidale, ai sensi dell’art. 2476, 7° comma, c.c., prevista a carico dei soci di s.r.l., i quali – sia pure episodicamente, e senza sconfinare in una vera e propria gestione «di fatto» [[13]] – autorizzino o approvino gli atti pregiudizievoli degli amministratori. Si tratta di una forma di responsabilità ispirata al principio generale della solidarietà passiva dei soggetti concorrenti nell’illecito (art. 2055 c.c.) [[14]] e basata su una norma di portata sicuramente inderogabile [[15]], che la dottrina prevalente reputa giustamente applicabile, per analogia, anche alle società per azioni «a proprietà concentrata» o, se si preferisce, «personalizzata» [[16]]. Ma occorre pur tenere conto, per altro verso, di alcune ardite interpretazioni «espansive» dell’art. 2497-septies c.c. che, facendo leva sulla possibilità di regolare per contratto o per statuto (della società controllata) l’attività «esterna» di direzione del soggetto controllante, asseriscono la perfetta legittimità di un’opzione statutaria volta a riattribuire ai [continua ..]
E veniamo al punto: quid juris dei «doveri» e delle responsabilità del socio o (dei componenti) della coalizione di controllo, che dispone effettivamente del potere d’influenza dominante, così da determinare, da sé soltanto, l’indirizzo imprenditoriale o addirittura l’assetto organizzativo-patrimoniale-finanziario della società «dominata»? L’odierna formulazione dell’art. 2497 c.c. consente senz’altro di affermare l’insorgere, dal fatto stesso dell’attività di direzione e coordinamento, di un vero e proprio dovere dotato di «riflessi esterni» – operante, cioè, anche nei rapporti con i soci esterni e con i creditori – ed incentrato sul principio (rectius: clausola generale), di «corretta gestione societaria e imprenditoriale» [[22]]. Ma resta aperto il problema cruciale di stabilire se esso riguardi soltanto la modalità di un’attività, di per sé, eventuale e facoltativa; ovvero se esso coinvolga dall’interno il contenuto dell’attività di eterodirezione, al punto da addossare al soggetto controllante l’«obbligo» di elaborare adeguati programmi e strategie [[23]]. E a tale questione non sembra potersi dare se non una risposta «articolata», in ragione dell’origine convenzionale o fattuale del rapporto di direzione unitaria; e, nel caso di faktische Konzern, anche delle circostanze concrete con cui esso si è svolto. Premessa, dunque, l’«auto-rilevanza» del rapporto di dominio, quand’anche instauratosi in via di mero fatto, il principio di «corretta gestione societaria e imprenditoriale» sembra assolvere, in realtà, due funzioni diverse: (i) una funzione «valutativa», quando esso fornisce essenzialmente un criterio idoneo a sindacare il contenuto e le conseguenze di una data operazione o, in un’ottica più ampia, di un segmento dell’attività in cui si traduce l’esercizio di quel potere [[24]]; (ii) una funzione «precettiva» e «integrativa», quando esso vale a fondare – il che è sostenibile, beninteso, solo in presenza di certe condizioni [continua ..]
A questo punto, occorre soffermarsi sulla portata sistematica della speciale responsabilità da eterodirezione dell’ente capogruppo verso i soci di minoranza ed i creditori sociali (art. 2497 c.c.), ponendola in rapporto, sia con la disciplina generale della responsabilità da atto illecito (art. 2043 c.c.) e della responsabilità (contrattuale) da «abuso del potere privato» [[29]], sia con la disciplina concorsuale speciale della responsabilità da direzione unitaria degli amministratori della capogruppo (art. 90, d.lgs. n. 270/1999). Proprio di recente è stata, infatti, riproposta autorevolmente l’interpretazione secondo cui la disciplina dell’attività di direzione e coordinamento – poiché ispirata a una logica del tutto diversa dal passato e volta a rispecchiare la peculiare struttura dell’impresa «di gruppo» – non consentirebbe più una ricostruzione dell’istituto imperniata sulla responsabilità primaria degli organi della società controllante (e di questa stessa) verso la società controllata [[30]]. In realtà, le due responsabilità – quella esterna (diretta) e quella interna – mostrano a ben guardare identica «natura» contrattuale, malgrado la diversità del meccanismo giuridico di attuazione [[31]], cioè del congegno attraverso cui la responsabilità del soggetto esercente la direzione unitaria opera la reintegrazione degli interessi pregiudicati: quelli dei soci di minoranza e quelli dei creditori sociali. Non può dubitarsi, infatti, che l’abuso del potere d’influenza dominante colpisca, in primo luogo, la sfera degli interessi collettivi, e quindi la società, e soltanto «di riflesso» gli interessi specificamente tutelati dall’art. 2497 c.c. [[32]]. Chi esercita il potere di direzione e coordinamento agisce, cioè, «dall’interno» della società ed attraverso i suoi meccanismi organizzativi, sicché il danno subìto dai creditori e dai soci non potrebbe considerarsi diretto, dal punto di vista fattuale ed eziologico. Diretta è, piuttosto, la relazione giuridica di responsabilità che viene ad instaurarsi per effetto della norma fra il soggetto controllante e i danneggiati, sulla quale si fonda [continua ..]
Su questo sfondo, si delinea anche la possibilità di spiegare e di inquadrare meglio l’art. 2497, 3° comma, c.c., là dove esige la «mancata soddisfazione» del socio di minoranza o del creditore sociale, da parte della stessa società eterodiretta (danneggiata o incapiente), quale condizione di esperibilità dell’azione «diretta» di responsabilità nei confronti della holding-capogruppo, così superando le difficoltà interpretative suscitate dalla disposizione. Al riguardo, la lettura più convincente della regola di «sussidiarietà» (della responsabilità esterna della società dominante rispetto a quella della società dominata), evocata dall’art. 2497, 3° comma, c.c., appare quella, per così dire, «divergente» suggerita dalla dottrina [[46]], avuto riguardo alle differenze che contraddistinguono la posizione giuridica e l’interesse economico dei soggetti legittimati (soci esterni, da una parte, creditori sociali, dall’altra), sebbene accomunati nel contesto di un’unica previsione normativa. Nel caso d’iniziativa del socio esterno, mirante alla reintegrazione del «danno riflesso», non può certamente ammettersi un «beneficio di escussione», sul modello dell’art. 2304 c.c., a favore della società controllante [[47]], a causa dell’impossibilità per il socio pregiudicato dall’abuso di agire contro la società eterodiretta cui appartiene. Mancherebbe, per ciò, sia un titolo legittimante, giacché la controllata è il soggetto primariamente danneggiato dall’abuso, sia un rapporto di solidarietà passiva (art. 1294 c.c.) idoneo a fondare il litisconsorzio fra le due società. Appare preferibile, al contrario, riconoscere alla circostanza negativa del mancato soddisfacimento – o, per meglio dire, del mancato ristoro del pregiudizio [[48]] – da parte della società eterodiretta, una rilevanza puramente oggettiva e neutrale (basta, cioè, che il socio-attore dimostri di non avere ricevuto dalla stessa alcun indennizzo). Ma, a tale scopo, è più che sufficiente una richiesta stragiudiziale «preventiva» [[49]], che miri a stimolare la riparazione del danno da [continua ..]
Posto, dunque, che la responsabilità «diretta» prevista dall’art. 2497 c.c. appartiene allo stesso «ceppo» di quella responsabilità da abuso della direzione unitaria, cui dottrina e giurisprudenza erano pervenute partendo dai principi generali, e costituisce un’evoluzione coerente allo sviluppo di una specifica disciplina del gruppo di società, si tratta di affrontare – in conclusione – il problema della configurabilità di una responsabilità da eterodirezione anche in capo alla holding individuale (titolare di altra impresa o socio-imprenditore). Come si è avuto, altrove, modo di argomentare più ampiamente, sembra ragionevole attribuire la qualità di «socio-imprenditore» a colui il quale, pur senza avere la titolarità dell’iniziativa o di altra impresa coordinata, acquisisca nella concreta organizzazione dei processi informativi e decisionali dell’impresa, un ruolo preponderante, che gli consenta di indirizzare nel senso da esso soltanto deciso la vita della società. A tale socio, il quale, a differenza del «socio-investitore» (anche se di maggioranza), è impegnato nella conduzione in senso lato dell’impresa sociale, non farebbero da schermo – nei casi in cui si prospetti una responsabilità da abuso del suo potere d’influenza verso la società stessa, gli altri soci, i creditori o i terzi – né il riparto organico delle competenze, né la procedimentalizzazione dell’attività, né i limiti soggettivi dell’art. 2497 c.c. E ciò in ragione dell’inderogabilità delle norme che governano l’imputazione, anche in concorso (art. 2055 c.c.), della responsabilità per i danni derivanti dalla violazione di obblighi contrattuali ed extra-contrattuali [[53]]. Il problema concernente l’ambito «soggettivo» della responsabilità ex art. 2497 c.c. deriva – com’è noto – dalla scelta del legislatore di modificare in senso restrittivo l’originaria formulazione della norma («chi, esercitando a qualunque titolo attività di direzione e coordinamento di società») [[54]] con il riferimento alla qualità di «società» o di «ente» del soggetto [continua ..]