1. Il caso in esame - 2. La 'fattispecie' - 3. Il 'procedimento': a) il consenso unanime dei soci e le sue diverse modalità di espressione - 4. (Segue). I due progetti autonomi e collegati - 5. Gli 'effetti patrimoniali' - NOTE
Una cooperativa operante nel settore della trasformazione dei prodotti agricoli, con alcune migliaia di soci cooperatori, ha organizzato la sua attività di impresa articolandola in una pluralità di rami di azienda in relazione al tipo di prodotto agricolo alla base della lavorazione. I soci cooperatori sono agricoltori che conferiscono alla cooperativa i loro prodotti, in funzione della trasformazione e/o distribuzione degli stessi; ogni socio cooperatore conferisce esclusivamente i frutti prodotti dal suo fondo e pertanto, dal punto di vista dell’organizzazione aziendale interna, i soci sono identificati e raggruppati in ragione della natura dei prodotti agricoli conferiti. Nell’ambito di un progetto di riorganizzazione produttiva di più ampio respiro si intende procedere alla scissione parziale della società mediante assegnazione di un ramo di azienda (esattamente quello avente ad oggetto la cantina vinicola) ad una società beneficiaria di nuova costituzione, in forma di società cooperativa. In piena coerenza con l’attuale organizzazione aziendale sopra descritta, si vorrebbe che soci della società beneficiaria di nuova costituzione fossero i soli soci della scissa che conferiscono uva, poiché tutti gli altri non sarebbero aziendalmente interessati a partecipare alla nuova entità. Coloro che si vedessero assegnate le partecipazioni della beneficiaria dovrebbero, per coerenza, cessare di essere soci della scissa, in quanto non aventi i requisiti produttivi per partecipare come cooperatori a quest’ultima. A tal fine si immagina un progetto di scissione che preveda, fra l’altro, l’assegnazione alla beneficiaria della parte del capitale sociale della scissa rappresentato dalle sole quote di partecipazione dei soci conferenti il prodotto di riferimento (uva). La scissa vedrebbe così ridotto il suo capitale, senza necessità di procedere al contestuale aumento. Sperimentato e dato atto che l’elevato numero di soci rende praticamente impossibile ottenere la partecipazione, diretta o per delega, di tutti gli aventi diritto di voto all’assemblea, anche alla luce della vastità del territorio di riferimento della cooperativa che rende necessario il ricorso alle assemblee separate, si chiede se sia possibile conseguire tale risultato, e, in caso di risposta affermativa, con quali modalità. Si precisa altresì che, [continua ..]
La scissione, a seguito della recente riforma del diritto societario, ha ampliato, sul piano testuale, il proprio ambito operativo. Infatti, essa non è più soltanto l’operazione mediante la quale «una società assegna l’intero suo patrimonio a più società, preesistenti o di nuova costituzione, o parte del suo patrimonio, in tal caso anche ad una sola società, e le relative azioni o quote ai suoi soci» (art. 2506, 1° comma, c.c.), ma anche l’operazione con la quale «per consenso unanime, ad alcuni soci non vengano distribuite azioni o quote di una delle società beneficiarie della scissione, ma azioni o quote della società scissa» (art. 2506, 2° comma, secondo periodo, c.c.). La nuova norma, applicabile soltanto alla scissione c.d. parziale, all’esito della quale sopravvive la società scindenda, rende testualmente ammissibile una modalità della scissione che, nel vigore della precedente normativa, aveva diviso dottrina e giurisprudenza, ed aveva comunque sollevato perplessità e resistenze nella prassi notarile [1]. Il tenore della disposizione non sembra, quanto alla fattispecie, sollevare dubbi di sorta, rendendo possibile che, in ogni tipo di scissione parziale, alcuni soci della scindenda non partecipino ad una delle società beneficiarie. Non vi può essere alcun dubbio, pertanto, che tale modalità della scissione trovi applicazione anche in presenza di un’unica società beneficiaria. Qualche riflessione richiede invece l’ipotesi, alla quale è riconducibile l’operazione di scissione al vaglio, in cui quei soci che non ricevono alcuna azione o quota nella società beneficiaria (o in alcuna delle più società beneficiarie) possano altresì prescindere dal ricevere nuove azioni o quote della società scindenda. In termini generali giova osservare: – che pare risultato interpretativo ormai acquisito e condivisibile, a dispetto del tenore letterale delle norme, che la ricorrenza della fattispecie scissione prescinda dall’assegnazione di quote o azioni e si fondi piuttosto sull’elemento della prosecuzione della partecipazione originaria del singolo socio in una qualsiasi delle società partecipanti all’operazione [2]; – che «la prosecuzione di rapporti di partecipazione implica la [continua ..]
La norma di riferimento (art. 2506, 2° comma, secondo periodo, c.c.) richiede, come è noto, che l’operazione sia realizzata «per consenso unanime» dei soci della scindenda. È necessario innanzitutto precisare che, a nostro avviso ed in sintonia con parte della dottrina, l’unanimità dei consensi non è richiesta quale condizione societaria dell’operazione, valendo piuttosto come mero presupposto di efficacia della stessa [6]. Accogliendo tale ricostruzione strutturale, può ammettersi che il consenso sia acquisito anche al di fuori della deliberazione assembleare, prima o dopo l’adunanza, in conformità a quanto pacificamente ammesso rispetto alla trasformazione regressiva di società di capitali in società di persone rispetto ai soci che assumono la responsabilità illimitata [7]. Si tratta di una considerazione assai rilevante al fine di ipotizzare che la deliberazione assembleare possa spiegare i propri effetti secondo le regole maggioritarie sue proprie, così come fissate dalla legge e dallo statuto, anche in assenza di tale espresso consenso individuale del socio, laddove ciascun socio sia stato opportunamente sollecitato e messo in condizione di esprimersi ai fini del consenso individualmente richiesto dalla norma di legge circa la sorte della sua partecipazione. Il dato prospettico da cui muovere è il seguente: – è orientamento pacificamente condiviso che la scissione asimmetrica sia una particolare forma di scissione non proporzionale; – si differenzia, sul piano della disciplina, perché il particolare assetto delle partecipazioni deve essere accettato all’unanimità dai soci, soluzione di cui non si riesce a reperire la logica, dal momento che «i rischi per i soci della società scindente non sono maggiori di quelli che scaturiscono da qualunque altro modello di distribuzione non proporzionale» [8]; – prima della recente riforma del diritto societario tutti i criteri non proporzionali di distribuzione delle partecipazioni per effetto della scissione non potevano essere imposti al socio dissenziente; – pertanto, come rilevava la dottrina più autorevole, la scissione proporzionale, se rappresentava la fattispecie minima perché si potesse dire di essere in presenza di una scissione, rappresentava anche il limite massimo cui potesse [continua ..]
Si è già evidenziato che addivenire ad una scissione proporzionale costituirebbe una soluzione estremamente penalizzante per la società, chiamata, al termine della procedura, ad intraprendere una trattativa complessa e dall’esito incerto con i soci non interessati allo scambio mutualistico della società beneficiaria, con grave pregiudizio per l’operatività delle medesima. Si è altresì messo in luce, tuttavia, che la scissione proporzionale sarebbe comunque preferibile, seppure in ultima istanza, rispetto al fallimento definitivo della scissione, con conseguente necessità, per la società stessa, nonché per i suoi soci ed amministratori, di intraprendere a quel punto diverse strade (proprio quelle diverse strade che il legislatore ha voluto evitare dettando il nuovo art. 2506, 2° comma, secondo periodo, c.c.). Ne consegue, ad avviso di chi scrive, l’opportunità che la società porti avanti contestualmente due progetti di scissione parziale. Il primo di tali progetti (progetto A) si riferirà ad una scissione che sia non proporzionale, da attuarsi con le modalità sopra delineate. Il secondo di tali progetti (progetto B) si riferirà invece ad una scissione proporzionale, con applicazione senza correttivi del principio di conservazione del rango in capo a ciascun socio (l’utilità di tale progetto B contestuale deriva non soltanto dall’esigenza di non ricominciare il procedimento se, per qualche ragione, la strada tracciata con il progetto A risulterà in qualche modo sbarrata, o comunque gravemente ritardata, ma anche, come si vedrà nel prossimo paragrafo, dall’esigenza di tutelare l’adeguatezza dei due patrimoni risultanti dalla scissione, che sarebbe messa a repentaglio ove un numero elevato di soci optasse per la proporzionalità). I due progetti saranno tra loro alternativi, tali espressamente dichiarati, e sottoposti contestualmente, e sempre in via alternativa, all’approvazione assembleare. L’assemblea, prima separata, poi generale, sarà chiamata a deliberare l’approvazione di entrambi i progetti di scissione nella medesima seduta. Il collegamento tra progetto A e progetto B sarà costituito da un complesso meccanismo condizionale, che sarà in ultima istanza regolato dalle norme in tema di negozio sotto condizione poste dagli [continua ..]
Per effetto e a seguito della scissione asimmetrica prospettato potrebbero emergere una serie di problemi di natura patrimoniale, che veniamo ad elencare. PROBLEMA 1: ammissibilità di un conguaglio per le successive vicende di gestione del patrimonio scorporato. Si ipotizza che, per tenere conto delle variazioni del patrimonio aziendale scorporato tra la data di riferimento della situazione patrimoniale e la data di efficacia della scissione, si preveda, già nel progetto di scissione, la necessità di un conguaglio in denaro a favore o a carico della società scindenda. Tale soluzione, praticata nella prassi nei casi di conferimento di azienda o di ramo di azienda, viene talora estesa dalla dottrina aziendalistica all’ipotesi di scissione (anche se l’unica norma che per la scissione contempla un conguaglio è data dall’art. 2506, 2° comma, primo periodo, c.c., riferito al dare ed avere tra i soci e non estensibile ai conguagli previsti direttamente tra le società risultanti dall’operazione), al fine di mantenere inalterato il valore contabile del patrimonio netto assegnato alla beneficiaria. La prassi può non essere considerata illegittima, mirando a conservare il rapporto di proporzionalità originariamente fissato fra patrimonio netto assegnato alla beneficiaria e patrimonio netto rimasto nella scissa, ma al contempo non può essere stimato nemmeno come coessenziale all’operazione di scissione. Infatti la legge si limita a richiedere di isolare due patrimoni, quello scorporato e quello destinato a restare presso la scindenda, e, ne caso in oggetto, di porli, per così dire, tra loro in equilibrio. A tale fine pretende la fotografia del valore effettivo del patrimonio netto (vedi art. 2506-ter, 2° comma, c.c.: «la relazione dell’organo amministrativo ... deve indicare il valore effettivo del patrimonio netto assegnato alle società beneficiarie e di quello che eventualmente rimanga nella società scissa») in un certo momento (quello della data di riferimento della situazione patrimoniale sulla cui base è redatta la relazione dell’organo amministrativo). Il rapporto tra i due patrimoni (effettivi, non contabili) costituisce il punto di riferimento per l’attribuzione ai singoli soci delle partecipazioni sociali nell’una o nell’altra società. La regola base è [continua ..]