Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
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L'azione di responsabilità nei confronti della capogruppo per l'esercizio abusivo dell'attività di direzione e coordinamento di società (nota a Trib. Milano, 15 aprile 2008) (di Angelo Borselli)


TRIBUNALE DI MILANO, 15 aprile 2008 – Perozziello Presidente e Relatore – Cuden Enterprises LLC (avv. Rigano e Speranzin) c. Bayer s.p.a. e altri (avv. Origoni della Croce, Zaccà, Vecchi)

Società – Società per azioni – Gruppo di società – Responsabilità della capogruppo da attività di direzione e coordinamento – Prova – Amministratori

(Artt. 1218, 2043, 2497 c.c.)

Al fine di far valere la responsabilità della capogruppo per l’esercizio abusivo dell’attività di direzione e coordinamento, configurandosi tale responsabilità, sia nel sistema precedente l’entrata in vigore della riforma ex d.lgs. n. 6/2003 che secondo la disciplina di cui all’attuale art. 2497 c.c., in conseguenza di specifiche condotte addebitabili ai suoi amministratori, l’attore deve provare il danno che pretende risarcito e, relativamente al profilo soggettivo dell’illecito, il dolo o la colpa degli amministratori della società capogruppo e degli amministratori della società diretta e coordinata (1).

Con la domanda proposta in giudizio l’attore, in qualità di socio al 10% di BAYER SHEET EUROPE s.p.a., propone “azione di responsabilità nei confronti della capogruppo per esercizio abusivo della direzione e coordinamento” in relazione a vicende che, in tesi, prendono le mosse già a partire dagli anni 2000/2001 (e dunque già prima del­l’entrata in vigore del d.lgs. 5/03) per essere poi tuttora in corso di svolgimento.

Negli atti di parte si ricostruiscono innanzitutto le principali vicende societarie, a partire dalla seconda metà degli anni ‘90, quando il controllo della attuale BSE s.p.a. (all’epoca CARBOLUX s.p.a.) viene assunto dal gruppo BAYER (già fornitore della stessa CARBOLUX), con una partecipazione al capitale sociale che nel ‘98 raggiunge ormai il 90% delle azioni e la presenza dunque di un unico socio di minoranza rappresentato appunto dall’attuale attore CUDEN; si segnala quindi che nel giugno 2000 il nuovo gruppo di controllo (BAYER) “annuncia la nascita del gruppo MAKROFORM”, costituito da una pluralità di società strettamente correlate tra cui appunto la ex CARBOLUX, tutte operanti in un settore omogeneo di produzione di policarbonato, con l’assunzione della relativa denominazione comune MAKROFORM, successivamente mutata in quella attuale di BAYER.

In tale contesto si lamentano in particolare due distinte e specifiche vicende:

a) la predisposizione e concreta esecuzione di un progetto di riorganizzazione unitario dell’intero sistema di commercializzazione dei prodotti delle diverse società del gruppo che sarebbe tale da penalizzare ingiustificatamente BSE s.p.a. a favore di altre società del gruppo controllate totalitariamente dall’azionista di riferimento;

b) l’omesso pagamento di royalties che sarebbero dovute a BSE s.p.a. in conseguenza di un asserito trasferimento di know-how di pertinenza della menzionata BSE in favore di una neo costituita società operante in Messico e denominata BAYER-IMSA.

In relazione a tali vicende viene quindi proposta azione di responsabilità ai sensi degli artt. 2043 e 2497 cc nei confronti di diverse società del gruppo BAYER e in particolare di:

BAYER SHEET EUROPE GmbH, controllante diretta di BSE s.p.a. fino al novembre 2005, comunque individuata come diretta responsabile delle funzioni di direzione e controllo su BSE s.p.a. anche in epoca successiva alla data menzionata sulla base di espressa illustrazione nelle risultanze ufficiali;

BAYER MATERIAL SCIENCE AG, controllante diretta e totalitaria di BAYER GmbH, espressamente in qualità di “capogruppo del settore merceologico” in cui opera BSE s.p.a.;

BAYER SHEET EUROPE N.V., società belga individuata come diretta beneficiaria della politica di riorganizzazione della struttura distributiva di cui al capo a),

BAYER s.p.a., quale società che nel novembre 2005 acquisisce da BSE GmbH il controllo su BSE s.p.a.;

BAYER AG, in qualità di controllante totalitaria di BAYER s.p.a.

(secondo le indicazioni espressamente formulate dall’at­tore nell’atto introduttivo del giudizio e nelle memorie successive).

Nei confronti di tutte quante le sopra menzionate società viene quindi richiesta “condanna, in solido tra loro, al risarcimento o alla restituzione dell’importo corrispondente al pregiudizio arrecato alla redditività e al valore della partecipazione sociale dell’attrice …”, pregiudizio espressamente commisurato al 10% (pari alla percentuale della partecipazione CUDEN) del danno complessivo asseritamente subito da BSE in relazione alle condotte contestate.

Viene inoltre citata a comparire la stessa BSE s.p.a. (espressamente individuata come “società oggetto, danneggiata dall’illecita politica di gruppo”), in virtù del rapporto di “solidarietà passiva della controllata insieme alla controllante” previsto ex art. 2497 comma 3° cc (“BSE s.p.a. deve necessariamente essere parte del giudizio, anche se contro di essa non sono state avanzate domande. Il gruppo potrebbe infatti fornire a BSE s.p.a. il ristoro dei danni arrecati, così facendo venir meno anche la presente causa, con sicura soddisfazione di CUDEN”).

A fronte di richieste di tal fatta le parti convenute propongono innanzitutto diverse eccezioni preliminari che, a parere del Collegio, devono ritenersi solo parzialmente fondate – come di seguito.

° Inesistenza dell’atto introduttivo del giudizio per difetto di procura nei confronti di BAYER AG e BAYER S.P.A.: la questione proposta appare indiscutibilmente fondata in fatto.

La procura alle liti rilasciata da CUDEN in favore dei propri procuratori per l’avvio del presente giudizio in data 10.11.05 individua espressamente le singole società nei cui confronti il rappresentato intende agire e tra le società in parola non sono menzionate BAYER AG e BAYER S.P.A.; la condotta degli attuali procuratori risulta poi espressamente “ratificata” da CUDEN stessa con atto 3.11.06 ma, al di là di ogni diversa possibile valutazione in diritto in ordine alla effettiva rilevanza ai fini di causa di un tale intervento successivo, va sottolineato che pure tale secondo atto espressamente si limita a fare riferimento alla “azione già proposta nei confronti di BAYER MATERIAL SCIENCE AG e BAYER SHEET EUROPE S.p.a.” senza invece minimamente far cenno alla azione pure avviata verso le distinte BAYER AG e BAYER S.p.a., cui appunto l’eccezione si riferisce: deve dunque senz’altro prendersi atto qui della mancanza, nei confronti delle due menzionate società, di un presupposto per la regolare instaurazione del giudizio.

° Nullità per discordanza tra la copia e l’originale dell’at­to di citazione notificato a BAYER AG: la questione riguarda esclusivamente la citazione in giudizio di BAYER AG ed è dunque da ritenersi evidentemente superata dalle valutazioni espresse al precedente cpv.

° Nullità per assegnazione alle convenute di un termine per comparire inferiore a quello stabilito dalla legge: concordando con la replica proposta sul punto da parte attrice, qui si osserva che proprio la specifica previsione di un termine ex lege induce ad escludere la fondatezza della eccezione sollevata, dovendosi piuttosto ritenere (secondo giurisprudenza consolidata di questo Tribunale) semplicemente senza effetto l’eventuale indicazione erronea del termine di replica, da intendersi sostituito automaticamente da quello normativamente previsto.

° Nullità per indeterminatezza del contenuto della citazione.

Si lamenta in particolare, per questa parte, una mancata o comunque insufficiente precisazione delle contestazioni rivolte a ciascuna delle singole società chiamate in giudizio in ordine alla vicenda della riorganizzazione del sistema di distribuzione: sul punto si ritiene qui di dover senz’altro dare atto di una formulazione abbastanza confusa e generica dell’atto introduttivo del giudizio, per quanto attiene in particolare ad una precisa e completa individuazione di fatti e di responsabilità asseritamente cagionativi di danno; va tuttavia nel contempo osservato che tali carenze sono rilevabili soprattutto in riferimento a presunte condotte che, in tesi di parte, andrebbero collocate negli anni 2000-01; per contro la concreta richiesta di danni formulata da parte attrice, già in sede di atto di citazione, è stata di fatto essenzialmente commisurata a valutazioni relative alle risultanze dei successivi esercizi sociali 2002-2005 e, almeno in un tale arco di tempo, trova a parere del Collegio sufficiente precisazione nella prima memoria di replica dell’attore, in risposta alle argomentazioni proposte dai convenuti – in tal senso e nei limiti così individuati si ritiene qui che il giudizio sulla adeguatezza o meno di tali indicazioni attenga in realtà al merito stretto della causa piuttosto che ad una deliberazione di carattere meramente preliminare.

° Carenza di giurisdizione del giudice adito-impro­po­ni­bilità e/o improcedibilità della domanda per effetto di clausola compromissoria.

In questo caso l’eccezione ha riguardo alla vicenda dell’omesso pagamento di royalties evidenziata sub b) e intende fare riferimento all’accordo negoziale raggiunto tra le società BAYER AG e l’allora CARBOLUX volto a regolare appunto la gestione del know-how CARBOLUX, accordo che prevede appunto il deferimento ad arbitri di qualunque controversia tra le parti in ordine all’esecuzione del­l’accordo:

a parere del Collegio l’eccezione così sollevata dai convenuti sottende in realtà una questione di estrema delicatezza che attiene tuttavia ad una adeguata interpretazione della domanda avanzata da parte attrice (intesa dai convenuti come azione surrogatoria per inadempimento contrattuale) e dunque al merito vero e proprio della iniziativa assunta dalla parte, su cui si dovrà necessariamente tornare più avanti – al momento invece, nei termini letterali di azione propria del socio di minoranza ex art. 2497 cc esposti dall’attore, non rimane che prendere atto della inopponibilità della clausola arbitrale ad un soggetto (il socio di minoranza CUDEN) che deve evidentemente reputarsi terzo (non vincolato) rispetto all’accordo negoziale sottoscritto tra BAYER AG e l’allora CARBOLUX (oggi BSE s.p.a.).

° Necessità di sospensione del giudizio in pendenza di distinta azione avviata da CUDEN per contestare la legittimità dell’intervenuto trasferimento delle azioni BSE s.p.a. da BSE GmbH a BAYER s.p.a.: a parere del Collegio la questione così sollevata deve ritenersi manifestamente irrilevante ai fini di causa, giacché il titolo di responsabilità fatto valere attiene al concreto esercizio “dannoso” di un potere e come tale è necessariamente da reputarsi condizionato, nei suoi presupposti, alla circostanza della effettività di tale esercizio, non certo alla sua astratta legittimità.

Esclusa così la fondatezza delle eccezioni proposte da parte convenuta in ordine alla concreta procedibilità del­l’azione, occorre venire ora ad affrontare il merito delle domande all’esame.

a) sulle politiche di riorganizzazione della struttura di commercializzazione del gruppo

Nell’originario atto di citazione parte attrice, facendo anche riferimento ad una denuncia ex art. 2408 cc presentata al Coll. Sind. di BSE s.p.a. già in data 15.10.01, lamenta una politica di gruppo che avrebbe portato “alla sottrazione di aree di mercato” in danno della società.

Assume in particolare che BSE s.p.a., società produttrice di lastre in policarbonato di particolare pregio, pur mantenendo intatta la propria produzione, avrebbe tuttavia ingiustificatamente rinunciato alla propria rete di vendita nei paesi del Centro e Nord Europa, risolvendo anzi con pesanti costi i contratti in essere con i tradizionali agenti, per cedere i propri prodotti non più ai clienti finali ma alle consociate BSE GmbH (tedesca) e BSE N.V. (belga) “a prezzi di favore”; la parte riconosce che altrettanto avrebbero fatto, in relazione alla propria produzione, le menzionate GmbH e N.V. in relazione ai rispettivi clienti nell’area Sud Europa, contestualmente “trasferiti” a BSE s.p.a., ma in uno “scambio” che, in tesi di parte, sarebbe da reputare non conveniente per la società italiana, in ragione di una asserita minore quantità e peggiore qualità dei prodotti GmbH e N.V. In conseguenza di tale iniziativa viene lamentata quindi una grave riduzione del fatturato di BSE s.p.a., osservando che “da un lato tale meccanismo realizza una cessione di clienti priva di corrispettivo, dal­l’altro la cessione dei clienti e la decisione di non avere più agenti fanno ritenere che gli amministratori abbiano surrettiziamente effettuato un trasferimento di ramo d’azienda”.

A sostegno di una tale prospettazione l’attore richiama essenzialmente le stesse risultanze ufficiali di bilancio, secondo cui, pur a fronti di risultati d’esercizio complessivamente in utile, sarebbe rilevabile una diminuzione nelle voci di “ricavi vendite”, laddove un progressivo aumento della medesima voce di conto economico sarebbe stato invece conseguito da GmbH e N.V.; per il resto, risultando pacifico il rapporto di controllo tra GmbH e BSE s.p.a., ha formulato richieste di prova in ordine alla dedotta risoluzione del rapporto con gli agenti nei primi mesi dell’anno 2001 ed alla commisurazione del costo di una tale condotta, al fatto storico della rinuncia di BSE s.p.a. a vendere direttamente ai clienti finali i propri prodotti nelle aree del Centronord Europa, alla peculiare rilevanza del mercato francese per le vendite precedenti della società.

Nella propria comparsa di costituzione le parti convenute hanno diffusamente contestato la ricostruzione proposta dalla parte attrice, soffermandosi innanzitutto ad illustrare dettagliatamente la strategia di riorganizzazione della attività di commercializzazione seguita, quale formalizzata in uno specifico contratto sottoscritto da BSE s.p.a., GmbH e N.V. con efficacia dall’1.1.02: al riguardo hanno in via generale rivendicato la riferibilità di tale progetto ad ordinarie valutazioni di opportunità di mercato e a conseguenti scelte imprenditoriali non sindacabili in sede giudiziaria, nel merito hanno rivendicato il carattere pienamente equilibrato dell’accordo raggiunto fra le società partecipanti al contratto.

Più in dettaglio le parti hanno contestato, in fatto, la veridicità dei principali rilievi su cui si fonda la domanda attorea: in particolare i convenuti hanno denunciato la pura e semplice falsità dell’assunto di controparte secondo cui le vendite infragruppo verrebbero realizzate “a prezzo di favore”, evidenziando al contrario come, sulla base degli accordi sottoscritti, tutte le operazioni in parola siano programmaticamente ed in fatto effettuate al medesimo prezzo praticato al cliente finale, secondo uno schema in cui ciascuna delle società partecipi dell’accordo trova il proprio margine di profitto, in relazione al suddetto settore di attività, nell’incasso delle commissioni di mediazione pagate dalle società produttrici (con la conseguente eliminazione dei pagamenti in favore di mediatori terzi su cui si reggeva in precedenza il sistema delle vendite); sotto diverso ma correlato profilo hanno evidenziato come la flessione dei “ricavi” emergente dai bilanci depositati trovi puntuale riscontro in una parallela diminuzione dei “costi d’acqui­sto”, spiegando quindi il fenomeno con la diversa modalità di contabilizzazione delle operazioni infragruppo sopra menzionate, adottata da BSE s.p.a. a partire dall’esercizio 2002 (come ritualmente illustrato in nota integrativa al bilancio), per cui da tale momento “le vendite effettuate in qualità di commissionaria partecipano al giro d’affari esclusivamente per la provvigione e non per l’intero importo”.

Nessuno dei summenzionati rilievi è stato contestato da parte attrice, per cui tali fatti devono ritenersi senz’altro ammessi.

Nella prima memoria di replica l’attore ha al contrario “preso atto” dei termini del “contratto di commissione” in questione, ha lamentato in particolare che tale contratto non fosse mai stato sottoposto all’approvazione dell’assem­blea (pretendendo anzi di individuare in tale omissione una ulteriore “fonte di danno”), ha quindi riformulato le proprie domande alla stregua proprio dei dati e delle argomentazioni di controparte, così come evidenziato nella “sintesi” a pg 14 dell’atto, assumendo così, testualmente, che:

“1) le vendite sono cresciute, ma non è specificato quale sia l’effetto delle vendite di lastre qualitativamente diverse a parità di commissione;

2) le vendite sono cresciute ma sono anche di molto cresciute le commissioni pagate alle altre società del gruppo rispetto a quelle dei precedenti agenti (e inoltre sono state pagate a caro prezzo le risoluzioni dei contratti con i precedenti agenti);

3) a fronte della cessione dei clienti del centro-nord Europa è vero che sono stati ceduti i clienti del sud ma questi sono più di frequente insolventi e in ritardo nei pagamenti;

4) le spese amministrative sono cresciute, mentre gli utili non sono cresciuti”.

A sostegno di una domanda così riformulata la parte ha invocato, nella memoria in questione e poi ancora nella successiva istanza di fissazione d’udienza, le medesime richieste di prova già avanzate nell’atto di citazione.

In sede di memoria conclusionale ha quindi così precisato la propria richiesta di risarcimento danni (esattamente nei medesimi termini di cui all’originario atto di citazione): “Come provato dai bilanci depositati i mancati margini di guadagno per BSE s.p.a. relativi alla mancata vendita diretta di almeno 2000 tonnellate di lastre ogni anno deprimono i profitti aziendali lordi per un importo prossimo almeno a due milioni di euro all’anno. Per gli ultimi quattro anni quindi, dal 2002 al 2005 compreso, si può agevolmente stimare un danno complessivo alla società italiana superiore agli otto milioni di euro lordi. Per il socio di minoranza CUDEN, titolare del 10% del capitale sociale, ciò significa un danno emergente al valore della partecipazione di 800.000 euro”.

Sul punto pare il caso di segnalare come parte convenuta abbia eccepito l’inammissibilità come “nuove” delle doman­de così proposte: l’assunto è stato decisamente respinto dal­l’attore, che ha rivendicato la piena legittimità della operata precisazione e riformulazione delle proprie domande alla luce della produzione di controparte del “contratto di commissione” prima ignoto – e il Collegio ritiene di dover condividere tale valutazione (almeno nelle sue linee essenziali, con l’unica pur marginale limitazione che sarà più avanti evidenziata), assumendo quindi ad oggetto del proprio giudizio la domanda di parte attrice come espressamente “riformulata” in sede di prima memoria di replica.

In simili termini, a parere del Collegio, tale domanda deve ritenersi nel merito manifestamente infondata.

Venendo ad esaminare i diversi profili della vicenda proposta in giudizio, pare il caso di richiamare innanzitutto il dato (appena sopra evidenziato) della riproposizione conclusiva da parte dell’attore della medesima richiesta di risarcimento danni avanzata nell’originario atto di citazione.

Nell’atto introduttivo del giudizio quella richiesta era espressamente commisurata ad una lamentata perdita di fatturato e di conseguenti utili dovuta ad una presunta mancata vendita diretta di circa 2000 tonnellate di prodotto all’anno (asserita differenza algebrica tra lastre vendute ed acquisite da BSE s.p.a. “a prezzi di favore” nei rapporti infragruppo – cfr. pg 11 dell’atto di citazione). Come già sopra segnalato, parte convenuta ha tuttavia contestato e positivamente confutato nella sua comparsa di costituzione i dati fattuali così proposti dall’attore, in termini sia di quantitativi di prodotto scambiati sia di prezzi praticati tra le parti, secondo una ricostruzione dei rapporti infragruppo che l’attore ha certo (legittimamente) continuato a contestare ma secondo profili significativamente differenti (v. “sintesi” di cui sopra).

Alla stregua di tali osservazioni occorre allora innanzitutto prendere atto che l’originario assunto attoreo (individua­zione di specifici fatti lesivi e dei danni a tali fatti riconducibili) deve ritenersi non provato in fatto ed in realtà addirittura “abbandonato” dalla stessa parte richiedente a fronte della precisazione/riformulazione della domanda iniziale intervenuta nella prima memoria di replica; occorre altresì sottolineare che a fronte di tale significativo mutamento nella concreta individuazione dei fatti posti a fondamento della domanda sarebbe stato evidentemente onere dell’at­tore dedurre (e poi naturalmente provare) il danno asseritamente riconducibile alla nuova prospettazione, mentre risulta palesemente incongrua la pretesa di ripetere, puramente e semplicemente, la medesima richiesta di danni già avanzata in sede di citazione, che era stata commisurata come abbiamo visto a contestazioni in fatto sensibilmente differenti e poi di fatto “abbandonate-modificate” dallo stesso attore a fronte delle precisazioni di controparte.

In questo senso si ritiene qui di non poter rilevare nella domanda riformulata di parte attrice alcun nesso di congruità logica tra fatti asseritamente lesivi e danni di cui si richiede il ristoro – rilievo che qui si ritiene già di per sé sufficiente a fondare il rigetto della domanda dell’attore.

Procedendo a questo punto nella disamina analitica degli specifici fatti dedotti dalla parte come cagionativi di danno si deve peraltro ancora osservare, in relazione ai singoli punti sopra evidenziati:

punto sub 1) L’effetto eventualmente negativo sui conti sociali della “vendita di lastre qualitativamente diverse a parità di commissione” rappresenta all’evidenza il punto centrale della domanda dell’attore nella sua versione riformulata e pertanto con pari evidenza ci si attenderebbe dalla parte la precisa individuazione del profilo di danno ipotizzato e la sua conseguente prova in giudizio – nella specie l’attore si arresta invece ad una riformulazione meramente dubitativa, limitandosi addirittura, in maniera davvero singolare, ad osservare che i convenuti non avrebbero “specificato quale sia l’effetto …” conseguente al­l’ope­razione in discussione: siamo dunque manifestamente di fronte ad una pretesa dell’attore di inversione non solo dell’onere della prova (e certamente nessuna prova è stata prodotta e neppure richiesta in argomento) ma addirittura del proprio onere preliminare di deduzione, una pretesa che il Collegio reputa manifestamente inammissibile (su una tale valutazione dell’impostazione seguita dalla parte si ritornerà peraltro subito appresso).

punto sub 2) Nella propria esposizione parte attrice rivendica che “gli agenti di BSE s.p.a. percepivano mediamente un compenso pari a circa il 3-5% delle vendite realizzate”, ciò fino alla risoluzione dei relativi contratti nei primi mesi del 2001, a fronte di commissioni al 9% poi corrisposte nella successiva fase di vendite infragruppo.

Sul dato temporale della risoluzione dei contratti con gli agenti già nel 2001 e sulla sua peculiare rilevanza ai fini di causa occorrerà più avanti ritornare. Per il momento si osserva innanzitutto che l’assunto di partenza di una forbice così rilevante tra la prima e la seconda fase evidenziata trova una prima significativa ricalibratura, da parte dello stesso attore, già in sede di richiesta di prova: la parte chiede infatti di provare che “gli agenti percepivano nel­l’Italia del Nord una commissione pari al massimo al 5%” (nessuna traccia dunque di un rivendicato 3%; d’altro canto secondo il contratto di commissione in tutto il Nord Italia la BSE risulta chiamata a “riscuotere” non a “pagare” commissioni); sulle vendite all’estero sono invece menzionati due soli agenti, indicati come i principali, e la parte chiede di provare la corresponsione di commissioni pari rispettivamente al 5% e addirittura al 7% del prezzo di vendita. Al riguardo fin dalla sua comparsa di costituzione parte convenuta ha controdedotto e documentato (senza ricevere sul punto contestazioni da controparte) che in realtà, a differenza di quanto asserito dall’attore, le commissioni praticate nei rapporti infragruppo sono state del 6% negli anni 2002/03 e 8% negli anni 2004/05, arrivando quindi al 9% solo nel 2006; che soprattutto tali commissioni risultano comprensive di “costi per il marketing dei prodotti commercializzati, assistenza tecnica e rischio di credito” precedentemente a carico delle società venditrici e dunque da computarsi in aggiunta rispetto a quanto in precedenza pagato ai mediatori. Ma soprattutto parte convenuta ha sottolineato come in ogni caso, a seguito del nuovo piano di commercializzazione, BSE s.p.a. risulti a sua volta beneficiaria delle commissioni sulle vendite dei prodotti delle società estere nella propria area di competenza (per cui a fronte di costi per commissione in tesi non sostanzialmente dissimili da quelli pagati in precedenza a mediatori terzi avrebbe in realtà acquisito una fonte aggiuntiva di ricavi); sul punto parte convenuta ha richiamato anzi dati già offerti in corso di una assemblea 28.4.06 in cui era stato evidenziato ai soci che in corso d’esercizio BSE s.p.a. avrebbe in realtà “pagato” commissioni alle società correlate su circa 2000 tonnellate di prodotto e a sua volta “conseguito” commissioni su circa 3.700 tonnellate.

Solo su quest’ultimo dato l’obiezione di parte attrice menzionata sub 1), ma come abbiamo visto proposta in termini meramente dubitativi.

In realtà, occorre qui prendere atto che dalle opposte deduzioni all’esame (nei limiti di quanto non oggetto di specifiche contestazioni reciproche) emerge una situazione in cui per BSE s.p.a. (ma in realtà per ciascuna delle società coinvolte nell’operazione) ad un incremento progressivo ma comunque limitato delle commissioni di vendita pagate (di circa 2-3 punti percentuali nell’arco di cinque anni) fa da contraltare un risparmio su altre voci di costo prima separatamente conteggiate e soprattutto il conseguimento di una fonte “nuova” di ricavi rappresentata dalle commissioni incassate – con l’ulteriore risultato di indiscutibile “razionalizzazione” dei rapporti di mantenere all’interno del gruppo i proventi da commissione, in precedenza girati a favore di mediatori terzi.

Evidente pure che a fronte della realizzazione di un simile modello di rapporti, destinato a produrre effetti perduranti nel tempo, perde inevitabilmente rilievo anche il dato lamentato da parte attrice relativo al costo subito per la risoluzione dei rapporti con i vecchi agenti: si tratta di un costo stimato da parte attrice nell’importo complessivo di 950 mln; i convenuti hanno chiaramente rimarcato (ancora una volta senza essere contraddetti) come tale importo sia in realtà comprensivo anche della risoluzione transattiva di pendenze del tutto differenti; in ogni caso si tratta di un costo una tantum da valutare in relazione ad una modifica profonda e duratura nei modelli di commercializzazione; soprattutto va sottolineato che, nel quadro delineato, il pagamento delle somme a titolo di transazione con gli agenti per la società rappresenta (di per sé) un “costo” e non un “danno”, potendo essere inteso come “danno” solo ove fosse effettivamente provata (e prima adeguatamente dedotta) l’inopportunità e svantaggiosità dell’intera operazione qui in esame.

Sul punto va ancora una volta ribadito che invece parte attrice lamenta (e si offre di provare) alcuni costi sostenuti da BSE s.p.a. (il costo da transazioni, la minore percentuale in precedenza corrisposta ai propri agenti tradizionali), ma non argomenta minimamente e tanto meno prova o chiede di provare che la nuova politica in materia di commissioni di vendita si sia effettivamente risolta in danno per BSE s.p.a., nel necessario raffronto e bilanciamento tra le diverse voci di costo e di ricavo che vengono qui in rilievo.

Come già evidenziato sopra (nell’esame della contestazione di cui al “punto1”) l’attore insiste qui nella pretesa di addossare alla propria controparte l’onore di dedurre e provare effetti comparativi eventualmente non svantaggiosi del nuovo piano di commercializzazione varato e allora pare il caso di eliminare in radice ogni possibile fonte di equivoco: nei termini fin qui esaminati non si discute affatto di eventuali “vantaggi compensativi” (la cui prova legittimamente potrebbe ritenersi onere dei convenuti), ma piuttosto dell’effet­tivo equilibrio costi/ricavi inerente proprio al nuovo modello di commercializzazione varato all’interno del gruppo che è qui in discussione, dunque della adeguata individuazione del (presunto) fatto lesivo da cui la parte pretende di far derivare la propria legittimazione ad agire in giudizio – come tale pare indiscutibile che spetti al medesimo attore la prova non solo dell’eventuale aumento di singole voci di costo ma del carattere complessivamente svantaggioso per BSE s.p.a. dell’intera operazione.

punto sub 3) I clienti dell’area Europa-Sud riservata a BSE s.p.a. “sono più frequentemente insolventi e in ritardo nei pagamenti”.

L’assunto viene proposto da parte attrice come “fatto notorio” e semplicemente corredato dal “sospetto” che tale risultanza possa essere fraudolentemente occultata nelle pieghe di alcune voci di bilancio: parte convenuta non ha ammesso tuttavia tale circostanza e, in mancanza (ancora una volta) di ogni prova o richiesta di prova da parte dell’attore, l’assunto deve essere necessariamente respinto in questa sede.

punto sub 4) “Le spese amministrative sono cresciute, mentre gli utili non sono cresciuti”.

Il dato testuale così proposto parrebbe far pensare ad una stretta correlazione (in tesi di parte) fra le due proposizioni all’esame.

Sul punto, muovendo dal tema degli utili di esercizio, il Collegio ritiene di non poter fare altro che limitarsi ad osservare che la somma algebrica dei risultati degli esercizi 2002-2004 richiamati dalla stessa parte attrice è senz’altro positiva (e lo stesso in realtà dovrebbe dirsi ricomprendendo nel computo il biennio precedente); osservare in particolare che i risultati dell’ultimo bilancio 2004 risultano nettamente come i più favorevoli nell’arco di tempo 1999-2004 documentato sempre da parte attrice.

Quanto invece al tema di una denunciata crescita delle spese amministrative si deve sottolineare che (ancora una volta) dalla stessa prospettazione di parte attrice risulta in realtà che i costi per “servizi amministrativi”, dopo una effettiva impennata negli anni 2000/01, sono invece sensibilmente diminuiti a partire proprio dall’esercizio 2002 in cui è entrato pienamente in vigore il “contratto di commissione” di cui qui si discute. In verità in sede di memoria di replica l’attore ha mostrato di volersi far carico di tale contestazione subito sollevata dai convenuti ed ha allora innanzitutto preteso di addebitare a condotta illecita delle controllanti l’impennata dei “costi per servizi” registrata nel precedente biennio 2000/01: anche in questo caso occorre tuttavia rilevare, in fatto, che l’assunto di parte non risulta minimamente suffragato da prova o richiesta di prova.

Più in generale si deve tuttavia osservare che la specifica prospettazione di una condotta illecita volta a gravare indebitamente la controllata BSE s.p.a. di oneri amministrativi indebitamente pagati alla controllante GmbH, è stata proposta dall’attore solo in sede di memoria di replica, non anche nell’originario atto di citazione, come subito eccepito da controparte: come detto, il Collegio ha ritenuto di respingere la relativa eccezione in riferimento alla complessiva riformulazione della domanda dell’attore ma, almeno limitatamente allo specifico tema da ultimo evidenziato, va senz’altro riconosciuto che si tratta qui della “nuova” deduzione di un (presunto) fatto lesivo che non dipende affatto dai termini di quel “contratto di commissione” asseritamente ignoti prima della costituzione dei convenuti – si tratta addirittura di un fatto precedente e del tutto autonomo da detto contratto e per di più, nei termini evidenziati dalla parte, emergente già dalle risultanze dei bilanci ritualmente depositati ed approvati.

Dunque una domanda “nuova” che non dipende affatto dalla difesa dei convenuti e che come tale va necessariamente considerata già in radice inammissibile.

In simili termini pare dunque evidente come il Collegio ritenga per questa parte della domanda del tutto sfornito di prova l’evento di danno dedotto dall’attore.

La peculiare delicatezza della materia del contendere induce peraltro a proporre, pur succintamente, alcune con­si­de­razioni ulteriori su certe modalità di costruzione della domanda di parte che potranno fare anche da opportuna premessa all’esame della seconda questione sollevata (in materia di omesso pagamento di royalty in favore di BSE s.p.a.).

Come già anticipato in avvio, la questione concerne innanzitutto l’esigenza di una opportuna riflessione sui profili di diritto intertemporale (ma in realtà anche di una convergente ed adeguata interpretazione delle nuove disposizioni ex artt. 2497 e segg. cc) a fronte di una domanda che investe condotte e (lamentati) eventi di danno già realizzati in epoca sicuramente precedente l’entrata in vigore della riforma del 2003 e tuttavia con effetti indiscutibilmente protrattisi anche in epoca successiva.

Sul punto parte attrice in sede di atto di citazione si limita sbrigativamente a postulare che tale forma di responsabilità sarebbe “da sempre ricavabile dalle regole della responsabilità civile”, limitandosi a fare rinvio alla previsione di cui all’art. 2043 cc ma senza alcun approfondimento in materia.

Di contro (per cominciare da alcune questioni di più marcata ed immediata evidenza) occorre dire che desta inevitabile perplessità la pretesa di individuare senz’altro il danno che si pretende astrattamente risarcibile in favore del socio di minoranza della controllata esattamente nei termini previsti dal nuovo art. 2497 cc anche in relazione all’arco temporale precedente l’entrata in vigore della disposizione in parola: in termini dunque di astratta “redditività” (secondo prospettazione che in verità non pare conoscere precedenti giurisprudenziali) nonché di “valore della partecipazione” anche al di fuori di ipotesi tradizionalmente prese in esame di intervenuta cessione sul mercato ovvero di cagionata insolvenza o comunque di azzeramento di valore della quota. Ma il limite profondo e manifestamente insuperabile di una tale impostazione risulta bene in evidenza, in via esemplificativa, soprattutto laddove viene richiesta la condanna della convenuta BSE N.V. in relazione ai danni dedotti in giudizio (dunque a partire da epoca già precedente la riforma del 2003) per essere stata tale società (in tesi) fin dall’origine “consapevole beneficiaria” delle iniziative della controllante GmbH: in tal caso l’attore viene di fatto ad invocare, puramente e semplicemente, una applicazione retroattiva della previsione di tutela di cui all’ultima parte del secondo comma dell’art. 2497 cc, secondo profili che (per questa parte certamente) appaiono invece manifestamente estranei ai moduli propri di quella responsabilità da fatto illecito ex art. 2043 cc su cui la stessa parte espressamente fonda le proprie pretese in relazione alle vicende pregresse (ma il risultato finale non sarebbe evidentemente diverso neppure ricostruendo, con una parte autorevole della dottrina, la responsabilità della capogruppo pre-2003 in termini di responsabilità contrattuale, giacché mancherebbe comunque un qualsivoglia inadempimento imputabile a BSE N.V. – pare d’altro canto appena il caso di segnalare la radicale diversità dei presupposti di una eventuale azione per “arricchimento senza causa”, comunque impercorribile nel caso di specie a fronte di una espressa regolamentazione negoziale degli impegni reciproci delle parti).

In tale contesto il punto davvero delicato della questione attiene tuttavia, più in generale, proprio alla adeguata individuazione degli elementi costitutivi del fatto illecito che viene proposto a fondamento della domanda.

Nella specie abbiamo già visto come l’attore concentri la sua iniziativa in materia di prova in ordine al dato obiettivo della denunciata individuazione di un pregiudizio economico conseguente alle iniziative della società controllante (il lancio di un nuovo piano industriale integrato) – nulla invece prova e neppure chiede di provare in ordine ai profili soggettivi dell’illecito ipotizzato, in termini di dolo o colpa degli amministratori riguardo al merito delle iniziative intraprese o anche ad un indebito “assoggettamento” degli amministratori della società controllata, in tesi danneggiata, alle condotte di mala gestio ispirate ed imposte dagli amministratori della controllante, tutti elementi che indiscutibilmente toccherebbe invece all’attore dedurre compiutamente e quindi provare in giudizio in relazione ad una fattispecie (asseritamente) cagionativa di danno comunque realizzata in epoca precedente la riforma del 2003 – una soluzione che appare evidentemente obbligata secondo gli schemi tipici di una responsabilità da fatto illecito ex art. 2043 cc, ma a cui dovrebbe in realtà comunque pervenirsi anche aderendo alla diversa ricostruzione dottrinale di una vera e propria “responsabilità contrattuale”, atteso che il fatto costitutivo dell’inadempimento così dedotto sarebbe comunque da individuarsi in una condotta soggettivamente qualificata in termini di “abuso” (con corrispondente estensione dello specifico onere di prova) piuttosto che nella violazione di obblighi specifici e predeterminati ex lege.

Al riguardo la parte si limita a fare riferimento alla “presunzione di controllo” introdotta ex art. 2497 sexies cc: anche per questa parte dunque viene innanzitutto ad invocare una applicazione retroattiva delle nuove disposizioni normative (sull’assunto, che parrebbe francamente del tutto immotivato, di una loro valenza meramente processuale); ma soprattutto mostra di volere, indebitamente, tradurre tale “presunzione di controllo” (che nello schema normativo attiene propriamente all’esercizio “fisiologico” di poteri di direzione e coordinamento all’interno di un gruppo – v. in particolare la formale previsione di un obbligo di motivazione ex art. 2497 ter) addirittura ed automaticamente in “presunzione d’abuso”.

Riprendendo a questo punto l’esame del caso concreto, va rimarcato come le considerazioni fin qui svolte debbano innanzitutto fare i conti con la profonda modifica della domanda di parte attrice (come già detto formalmente legittima a parere del Collegio, almeno nei suoi tratti essenziali) nel passaggio dall’iniziale atto di citazione alla prima memoria di replica alla comparsa di costituzione dei convenuti.

I fatti dedotti nell’originario atto introduttivo del giudizio (rinuncia senza corrispettivo a quote di mercato, cessione di merci a prezzi di favore …), a prescindere naturalmente dal loro fondamento o meno, presentavano caratteristiche di tale evidenza illecita da includere immediatamente, sia pure per implicito ma in maniera assolutamente inequivoca, la denuncia di condotte “colpevoli” da parte degli amministratori sia della società controllante che della controllata – e all’interno di un simile contesto anche il tema formalmente prospettato della “presunzione” di esercizio di una indebita attività di direzione poteva essere in realtà agevolmente declinato secondo ordinari paradigmi di carattere indiziario.

Ma la situazione muta radicalmente di fronte ad una domanda che, a fronte delle contestazioni di controparte, viene espressamente precisata dalla parte con specifico riferimento al ben più sofisticato quadro rappresentato dalla molteplicità di impegni reciproci fissati dal commissionaire model, oggetto di formale sottoscrizione negoziale da una pluralità di parti.

È assolutamente evidente che a questo punto (a fronte di un piano industriale comunque dotato di una sua intrinseca razionalità, quale espressamente evidenziata già nella relazione ex art. 2408 cc presentata dai sindaci all’assem­blea 22.4.02 ed oggi prodotta in atti ad espresso fondamento delle più articolate valutazioni di cui alla comparsa di costituzione dei convenuti) all’attore non può affatto bastare di dedurre (e non basterebbe neppure provare – come peraltro non ha fatto), che dalla concreta esecuzione dell’accordo sottoscritto possa essere in qualche modo derivato un danno alla società controllata. L’attore dovrebbe piuttosto apertamente dedurre e quindi provare in fatto (e non con improprie presunzioni legali) i profili di dolo o colpa (e comunque di “abuso”) che ritenga in concreto di individuare nella condotta degli amministratori sia della controllante che della controllata nella fase innanzitutto di predisposizione e sottoscrizione dell’accordo negoziale formalmente in vigore dal gennaio 2002: dedurre e provare cioè che il pregiudizio subito da BSE s.p.a. (ove accertato in fatto) fosse stato, all’atto della sottoscrizione del com­missionaire model, intenzionalmente previsto e voluto o comunque indebitamente rovesciato in termini di rischio sulla società controllata su iniziativa degli amministratori della controllante passivamente (e quindi colpevolmente) condivisa dagli amministratori della stessa BSE s.p.a. – dunque una fattispecie articolata e complessa sui cui profili la domanda di parte attrice rimane semplicemente silente.

Proprio le evidenziate carenze di fondo nella deduzione e nella prova dei presupposti di merito per l’accoglimento della domanda in relazione alla fase di approvazione e concreta messa in opera del piano industriale in contestazione fanno escludere d’altro canto la rilevanza di ogni ulteriore e distinto esame di profili di eventuale “responsabilità da mancata compensazione” di eventuali risultati pregiudizievoli (o anche “meno felici” di quelli originariamente previsti ed auspicati) eventualmente conseguiti dalla controllata come solo successivamente (in ipotesi) accertato: in questo caso è proprio il fondamentale principio di autonomia patrimoniale e giuridica di ciascuna delle società appartenenti ad un gruppo (non intaccato neppure dalla riforma del 2003) a fare escludere, in assenza di un accertato fatto illecito presupposto, non solo l’obbligo ma addirittura la legittimità di una eventuale iniziativa della capogruppo BSE GmbH di rinegoziazione di un patto contrattuale (di per sé immune da vizi, come appunto deve ritenersi quello qui in esame alla stregua delle precedenti considerazioni), per di più sottoscritto non solo con BSE s.p.a. ma anche con BSE N.V., al solo fine di spostare margini di profitto da alcuni contraenti (BSE GmbH e BSE N.V., con i loro soci e creditori) ad altri (BSE s.p.a.) secondo quanto pretenderebbe qui parte attrice.

b) sulle contestazioni relative all’omesso pagamento di royalties

La domanda di parte risulta fondata sulla sottoscrizione in data 17.1.97 di un accordo negoziale tra la allora CARBOLUX s.p.a. (oggi BSE s.p.a.) e BAYER AG “con il quale la società tedesca si impegnava per 10 anni a pagare royalties alla società italiana per ogni nuova società che BAYER avesse costituito nel mondo – Europa esclusa – e che utilizzasse tecnologia CARBOLUX sia nell’impianto che nella produzione”. In fatto tale accordo sarebbe stato, in tesi di parte attrice, violato da BAYER AG, che (in data imprecisata ma approssimativamente indicata negli anni 2000/01) avrebbe proceduto a trasferire tecnologia CARBOLUX ad una neocostituita società messicana BAYER IMSA: questi (sia pure in rapida sintesi) i fatti espressamente indicati dall’attore a fondamento della domanda qui in esame.

Come visto in premessa i convenuti hanno fin da subito sollevato una serie di questioni pregiudiziali in ordine a questa parte della domanda, sul presupposto che dovesse essere intesa come azione contrattuale di inadempimento indebitamente proposta da soggetto non legittimato (il socio di minoranza) per di più in violazione di specifica clausola compromissoria.

Anche alla luce delle precisazioni ulteriori proposte sul punto dall’attore in sede di replica, il Collegio ha ritenuto di dovere invece attenersi strettamente ai termini in cui è stata formulata la domanda di parte: (asserito) danno subito dal socio di minoranza per omesso pagamento di royalties da parte di BAYER AG e riconducibilità di tale fattispecie all’ipotesi di “responsabilità della capogruppo per esercizio abusivo della direzione e coordinamento, oggi esplicitamente regolata dal codice civile, ma da sempre ricavabile dalle regole della responsabilità civile … ossia ipotesi nella quale la società capogruppo realizza operazioni che comportano un pregiudizio per una delle società che fanno parte del gruppo stesso a vantaggio di altre società di cui detiene il controllo” – così parte attrice in sede di atto di citazione.

A fronte di una tale costruzione è subito il caso di ricordare che tale domanda (come chiaramente evidenziato dall’attore e qui già rimarcato in premessa) risulta espressamente avanzata nei confronti del soggetto asseritamente inadempiente all’obbligazione contrattuale presupposta, cioè BAYER AG, (solo) in qualità di società “che svolge attività di direzione e di coordinamento di BAYER s.p.a. .… che ha acquistato … la partecipazione in BSE s.p.a., divenendone formalmente controllante …”.

Nei confronti di entrambe le società appena menzionate la domanda attiene dunque unicamente a condotte successive al novembre 2005 in cui risulta avvenuta la cessione da BSE GmbH a BAYER s.p.a. – ma in ogni caso per questa parte la domanda non può essere esaminata nel merito in ragione della carenza di procura già evidenziata in premessa nei confronti di entrambi i soggetti menzionati.

La medesima domanda risulta per altro verso proposta anche nei confronti di BSE GmbH, quale società che fino al novembre 2005 aveva mantenuto il controllo formale della maggioranza del capitale sociale ed avrebbe poi di fatto continuato ad esercitare anche in epoca successiva “attività di direzione e coordinamento” su BSE s.p.a.

Dalla lettura della domanda in esame emerge peraltro con assoluta chiarezza che nessuna specifica “condotta” risulta espressamente addebitata alla menzionata BSE GmbH (con una costruzione che mette dunque a dura prova l’interprete).

Muovendo da tale rilievo, dovendosi evidentemente escludere che la domanda di parte possa essere in alcun modo “integrata” d’ufficio dal giudice procedente nella individuazione dei fatti posti a fondamento della pretesa fatta valere in giudizio, deve ritenersi che l’attore pretenda di configurare la responsabilità della capogruppo (nella specie BSE GmbH) ai sensi del novellato art. 2497 cc in termini di mera “responsabilità di posizione” in ordine a pregiudizi che una società controllata possa comunque riportare da scelte o iniziative di qualunque altra società riferibile al medesimo “gruppo” (nella specie BAYER AG: al riguardo pare il caso di rimarcare ancora una volta che mai quest’ultima viene invece chiamata in causa come controllante di BSE GmbH).

Di tutta evidenza che in simili termini la pretesa di parte risulti innanzitutto senz’altro priva di qualunque fondamento in relazione alle vicende (ed a tutti i relativi danni ipotizzati) precedenti l’entrata in vigore delle nuove disposizioni di cui al d.lgs. 5/03.

Riprendendo le considerazioni svolte appena poco sopra in ordine ai profili di diritto intertemporale, va infatti ribadito che nel sistema previgente l’eventuale responsabilità della capogruppo risultava indiscutibilmente configurata in conseguenza di specifiche “condotte” addebitabili ai suoi amministratori (in virtù di rapporto organico ovvero ex art. 2049 cc): conclusione semplicemente ovvia secondo gli ordinari schemi da responsabilità extracontrattuale richiamati dalla stessa parte attrice, ma cui in realtà pacificamente perveniva anche quella parte della dottrina che invocava piuttosto una ipotesi di vera e propria responsabilità da inadempimento in relazione alle modalità di esercizio di funzioni di ordine programmatico e strategico, atteso che pur in tale ottica si faceva pur sempre riferimento a “decisioni adottate o direttive impartite nell’esercizio di funzioni concretamente accentrate presso la capogruppo” – secondo un modello di riferimento che, al di là di ogni astratta qualificazione in termini di responsabilità contrattuale o extracontrattuale, pare compitamente definito nei suoi tratti essenziali secondo le linee da ultimo previste dal formale disposto di cui all’art. 90 del d.lgs. 270/99, giunto a recuperare pienamente l’orientamento già espresso nelle più incisive pronunce giurisprudenziali in materia (“nei casi di direzione unitaria delle imprese del gruppo, gli amministratori delle società che hanno abusato di tale direzione rispondono in solido con gli amministratori della società dichiarata insolvente dei danni da questi cagionati alla società stessa in conseguenza delle direttive impartite”).

A parere del Collegio i medesimi rilievi fin qui svolti vanno peraltro puntualmente riproposti anche in relazione alla domanda di danni formulata dall’attore per il periodo successivo all’entrata in vigore della riforma 2003.

Sul punto (senza dimenticare che è in realtà la stessa parte a rivendicare una sostanziale continuità di tutela nel passaggio al nuovo quadro normativo) pare allora sufficiente segnalare che anche il nuovo art. 2497 cc, nella sua formulazione strettamente letterale, mostra di fare riferimento ad un esercizio attivo di funzioni di direzione e coordinamento, secondo condotta (“agiscono”) intenzionalmente orientata (“nell’interesse … proprio o altrui”), all’interno di uno schema che prevede dunque una “influenza” attiva sulla vita della controllata consapevolmente esercita dalla capogruppo e, almeno in via ordinaria, una altrettanto consapevole cooperazione da parte degli amministratori della medesima controllata (secondo modalità di rapporto chiaramente riflesse negli obblighi di comunicazione di cui all’art. 2497 bis ult. comma) – è appena il caso di osservare d’altro canto che solo un inadempimento direttamente imputabile (anche) agli amministratori della controllata (in ipotizzabile collusione con gli azionisti di riferimento) parrebbe poter giustificare l’espressa previsione di una possibilità di “soddisfazione” di soci e creditori (in relazione appunto a danni da “abuso di direzione unitaria”) da parte della stessa controllata come previsto ex art. 2497 comma 3° cc.

E allora ancora una volta, ricordando sempre che si discute in questa sede di eventuali responsabilità da riconoscersi in capo a BSE GmbH, rilevato che nella domanda di parte non risulta minimamente dedotto (prima ancora che provato) un qualunque ruolo attivo effettivamente dispiegato nella vicenda dalla menzionata GmbH e tanto meno dagli amministratori della controllata BSE s.p.a., non rimane che prendere atto della totale carenza, già nella prospettazione di parte attrice, degli elementi di fatto su cui dovrebbe fondarsi la domanda di tutela avanzata.

Alla luce delle considerazioni sin qui svolte si ritiene dunque, in conclusione, di dover preliminarmente dichiarare la nullità dell’atto di citazione proposto nei confronti di BAYER AG e BAYER s.p.a. per mancanza di procura; per il resto rigettare nel merito tutte quante le domande proposte dall’attore nei confronti degli altri convenuti.

Alla soccombenza segue condanna alle spese di lite, che pare equo liquidare come da dispositivo.

PQM

il Tribunale di Milano sez. 8ˆ, definitivamente pronunciando,

dichiara la nullità dell’atto di citazione proposto nei confronti delle convenute BAYER s.p.a. e BAYER AG; per il resto rigetta nel merito tutte le domande avanzate dall’at­trice CUDEN ENTERPRISES LLC e condanna la medesima parte alla rifusione delle spese di lite sostenute dalle convenute BAYER s.p.a., BAYER SHEET EUROPE s.p.a., BAYER SHEET EUROPE N.V., BAYER AG, BAYER MATERIAL SCIENCE AG, che si liquidano nell’importo complessivo di euro 70,00 per spese, 3.150,00 per diritti, 50.020 per onorari oltre 12,5% per spese generali, iva e cpa.

 

(1) L’azione di responsabilità nei confronti della capogruppo per l’esercizio abusivo dell’attività di direzione e coordinamento di società

  
SOMMARIO:

1. Il caso - 2. La normativa di riferimento - 3. Le opinioni di dottrina e giurisprudenza - 4. Nota di commento - NOTE


1. Il caso

Il Tribunale di Milano nella sentenza in commento affronta il tema della responsabilità da attività di direzione e coordinamento. L’attore, Cuden Enterprises LLC, socio di minoranza della società Bayer Sheet Europe s.p.a. (BSE s.p.a.) esperisce azione di responsabilità ai sensi degli artt. 2043 e 2497 c.c. nei confronti di Bayer Sheet Europe GmbH (Bayer GmbH), controllante diretta di BSE s.p.a. fino al novembre 2005, di Bayer Material Science AG, controllante diretta della controllante diretta fino al 2005 (in qualità di capogruppo del settore merceologico in cui opera BSE s.p.a.), di Bayer Sheet Europe N.V. (Bayer N.V.), società sorella (in quanto consapevole beneficiaria del piano di riorganizzazione), di Bayer s.p.a., controllante diretta di BSE s.p.a. dal novembre 2005 e di Bayer AG, controllante totalitaria di Bayer s.p.a. Dai fatti di causa emerge come nella seconda metà degli anni 90 BSE s.p.a. (allora Carbolux s.p.a.) entri a far parte dell’attuale gruppo Bayer, costituito da società operanti nel settore della produzione di policarbonato. In particolare, BSE s.p.a. risulta controllata dal gruppo Bayer con una partecipazione del 90%, essendo il restante 10% in possesso dell’attore Cuden. L’attore fonda la sua lamentela su due punti distinti: 1) l’attuazione di un piano di riorganizzazione del sistema di commercializzazione dei prodotti delle società del gruppo che avrebbe determinato l’ingiu­sti­fi­cata sottrazione di aree di mercato a danno di BSE s.p.a., a favore delle altre società del gruppo controllate in modo totalitario dall’azionista di riferimento; 2) l’omesso pagamento di royalties che Bayer AG dovrebbe a BSE s.p.a. secondo un accordo negoziale del 1997 in base al quale Bayer AG si impegnava per 10 anni a corrispondere a Carbolux s.p.a. royalties per ogni nuova società costituita nel mondo (esclusa l’Eu­ropa) che utilizzasse tecnologia Carbolux. Il Tribunale, dichiarata la nullità dell’atto di citazione proposto nei confronti di Bayer AG e Bayer s.p.a. per mancanza di procura alle liti, rigetta nel merito la domanda dell’attore nei confronti degli altri convenuti. I giudici milanesi, in relazione al primo punto della domanda, ritengono non provato il danno, mentre, in relazione al secondo, acclarata ancora una volta l’improcedibilità nei confronti di Bayer AG [continua ..]


2. La normativa di riferimento

La vicenda processuale in esame concerne fatti in corso al momento della proposizione della domanda e che, secondo l’attore, avrebbero avuto inizio negli anni 2000-2001, in epoca precedente quindi l’entrata in vigore della riforma delle società di capitali ex d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 [1]. Per quanto riguarda la normativa applicabile, quindi, la sentenza fa riferimento oltre che al sistema di responsabilità da attività di direzione e coordinamento introdotto con la riforma delle società di capitali, anche alle soluzioni adottate ante riforma, in assenza di una normativa specifica in proposito. La disciplina post riforma si rinviene nell’art. 2497 c.c. [2]. Il 1° comma di tale articolo sancisce la responsabilità diretta, nei confronti dei soci e dei creditori delle società sottoposte all’attività di direzione e coordinamento rispettivamente per i danni alla redditività e al valore della partecipazione sociale e per il pregiudizio all’integrità del patrimonio sociale, della società o dell’ente che, nell’attività di direzione e coordinamento, agisce «nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale delle società medesime» [3]. Il 2° comma integra la tutela dei soci e dei creditori stabilendo la responsabilità solidale di chi abbia comunque partecipato al fatto lesivo e di chi, limitatamente al vantaggio conseguito, «ne abbia consapevolmente tratto beneficio». Infine al 3° comma si afferma che l’azio­ne di responsabilità verso la capogruppo può essere esercitata solo nel caso in cui i soci e i creditori della società sottoposta all’attività di direzione e coordinamento non siano stati soddisfatti da quest’ultima [4]. Per quanto riguarda il periodo precedente alla riforma delle società di capitali, la responsabilità della capogruppo per «abuso del dominio» [5] nei confronti delle società controllate è stata correlata col tema della responsabilità degli amministratori [6]. In tale contesto deve essere inquadrato il dibattito dottrinale sull’interpretazione dell’art. 3, ult. cpv., legge 3 aprile 1979, n. 95, poi sostituito dall’art. 90, d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270; [continua ..]


3. Le opinioni di dottrina e giurisprudenza

Nell’analizzare il modello del gruppo di società l’interprete si trova dinanzi al problema dell’eser­cizio del potere di direzione e coordinamento; il gruppo, infatti, sebbene costituisca un unicum sotto il profilo economico, si fraziona dal punto di vista giuridico in una pluralità di società le quali rappresentano autonomi centri di imputazione di rapporti giuridici [12]. Dottrina e giurisprudenza hanno da sempre tentato di definire limiti all’esercizio di questo potere, così da consentire il rispetto delle esigenze delle singole società che compongono il gruppo. L’esercizio del potere di direzione e coordinamento finalizzato al perseguimento dell’interesse di gruppo, infatti, considerato dalla prospettiva atomistica delle singole società del gruppo stesso, ben può risultare in un’o­perazione vantaggiosa per una società e contemporaneamente pregiudizievole per un’altra [13]. È emersa in particolare la necessità di tutelare i soci esterni e i creditori della società controllata [14]. A tal fine, prima della riforma delle società di capitali, in assenza, come detto, di una disciplina specifica sulla responsabilità da direzione e coordinamento, si è proceduto all’applicazione dei principi generali del­l’or­dina­mento adattati alle peculiarità proprie del modello del gruppo di società [15]; in particolare, la responsabilità della società controllante è stata correlata con la responsabilità degli amministratori sia della controllante che della controllata [16]. Preme rilevare come parte della dottrina abbia criticato la tendenza appena descritta, affermando che questa impostazione ha rischiato in passato di «deformare» la responsabilità della capogruppo, poiché fa dipendere tale responsabilità «dagli stessi presupposti che caratterizzano e differenziano quella degli amministratori» [17]. Sempre relativamente al periodo ante riforma, la legittimazione a far valere la responsabilità della capogruppo è stata riconosciuta alla società controllata, mentre si è sostenuto la difficoltà di estenderla anche ai soci esterni e ai creditori di quest’ul­tima [18]. È in tale contesto che si deve inquadrare [continua ..]


4. Nota di commento

La decisione in commento appare condivisibile nella sua conclusione di ritenere non responsabile la società capogruppo per l’esercizio abusivo, secondo tesi attorea, dell’attività di direzione e coordinamento. Non si concorda, tuttavia, con parte delle argomentazioni che il Tribunale ha inteso addurre a questo riguardo. Relativamente al primo punto della domanda, è pacifico che non sia stata fornita la prova del danno derivante dall’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento da parte della capogruppo. In proposito si deve evidenziare che l’attore nella prima memoria di replica non lamenta più la vendita di una minore quantità di prodotti, ma, riconoscendo come le vendite siano, al contrario, cresciute, si limita a porre la questione su quale sia l’effetto della vendita di prodotti di qualità inferiore conseguente alla politica di gruppo che ha riorganizzato l’attività di com­mercializzazione. A fronte di una tale modifica della domanda, l’attore stesso ripropone la medesima richiesta di danni avanzata inizialmente e correlata con la «mancata vendita diretta di almeno 2000 tonnellate di lastre ogni anno». Giustamente, allora, il Tribunale rileva il difetto di un «nesso di congruità logica tra fatti asseritamente lesivi e danni di cui si chiede il ristoro», difetto ritenuto in sé «sufficiente a fondare il rigetto della domanda dell’attore». Opportuna e in conformità altresì all’orientamento giurisprudenziale che si è delineato in precedenza [44], risulta la precisazione da parte dei giudici milanesi del fatto che antecedente necessario della prova di eventuali vantaggi compensativi da parte del convenuto è la deduzione e la prova da parte dell’attore del pregiudizio derivante dall’attività di direzione e coordinamento; non può, quindi, l’attore limitarsi ad una formulazione in termini meramente dubitativi del profilo del danno, pretendendo, in tal modo, di invertire non solo il proprio onere probatorio, ma anche il proprio onere preliminare di deduzione. Dissipato così ogni possibile residuo dubbio sulle ragioni del non accoglimento del primo punto della domanda attorea, i giudici, vista «la peculiare delicatezza della materia del contendere», ritengono opportuno offrire ulteriori considerazioni [continua ..]


NOTE
Fascicolo 4 - 2009