Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
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La revoca dell'amministratore ad opera dell´assemblea dei soci di società cooperativa (nota a Trib. Trani, 8 maggio 2007) (di Barbara Mele)


TRIBUNALE DI TRANI, 8 maggio 2007 – Savino, Presidente – Grillo, Relatore – S. A. c. XXX Soc. coop. Edilizia a r.l.

Società – Società cooperativa – Amministratori – Revocabilità ad nutum – Sussiste

(Artt. 2383, 2386 c.c.).

L’amministratore di società cooperativa può essere revocato dall’assemblea in qualunque tempo, anche senza giusta causa (1).

Società – Società cooperativa – Assemblea – Delibera assembleare di revoca dell’ammi­nistratore – Necessità di previsione specifica all’ordine del giorno – Non sussiste

(Art. 2366 c.c.).

È valida la delibera di revoca dell’amministratore assunta dall’assemblea anche in mancanza dell’indicazione specifica della materia nell’ordine del giorno (nella fattispecie, recante la previsione “nomina nuovi amministratori”) (2).

Il Tribunale ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa civile in primo grado, iscritta sul ruolo generale affari del contenzioso al n. 2344 R.G. 2006,

TRA

S.A., rappresentato e difeso dall’Avv. ..., in virtù del mandato in calce all’atto di citazione, elettivamente domiciliato in Trani presso il suo studio; – ATTORE

E

XXX Società Cooperativa Edilizia a r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. ..., in virtù del mandato a margine della comparsa di risposta, elettivamente domiciliata in Barletta nel suo studio. – CONVENUTA.

All’udienza generale di discussione del 24 aprile 2007, la causa veniva introitata per la decisione con riserva di deposito della sentenza nel termine di trenta giorni, ai sensi dell’art. 16. quinto comma, d. lgs. 17/01/03 n. 5, sulle seguenti conclusioni dei procuratori delle parti.

Il procuratore di parte attrice, come da istanza di fissazione d’udienza ex art. 8 d. lgs. n. 5/03, richiama integralmente le conclusioni già rassegnate e segnatamente chiede: a) dichiararsi la nullità o, quanto meno, l’annulla­mento, della deliberazione assembleare in data 30/05/06, dedotta in giudizio, relativamente al punto 2 dell’ordine del giorno perché contraria alla legge; b) condannarsi la società convenuta al pagamento delle spese, diritti ed onorari del presente giudizio, oltre IVA e CAP come per legge; c) munirsi la sentenza di clausola di provvisoria esecuzione.

Il procuratore della convenuta, come da note ex art. 10/2 d. lgs. n. 5/03, chiede il rigetto della domanda con vittoria di spese, richiamando tutte le argomentazioni in fatto e in diritto sviluppate nei propri atti difensivi.

Svolgimento del processo.

Con atto di citazione, notificato in data 06/09/06, S.A. convenne in giudizio, innanzi a questo Tribunale, la XXX Società Cooperativa Edilizia a r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore, esponendo che: era socio della detta società di cui era stato anche Presidente del Consiglio di Amministrazione dal 13/07/98 al 30/05/06, data in cui l’assemblea dei soci, convocata, tra l’altro, per deliberare sulla nomina di due nuovi amministratori, in sostituzione di quelli dimessisi, aveva rinnovato l’intero consiglio di amministrazione revocandolo dall’incarico; la delibera era stata notificata al deducente in data 16/06/06; in data 28/06/06 il verbale dell’assemblea del 30/05/06 era stato depositato ed iscritto nel registro delle imprese di Bari: la richiamata delibera era illegittima in violazione del disposto dell’art. 2386, secondo comma, c.c. in virtù del quale, se viene meno la maggioranza degli amministratori nominati dall’assemblea, quelli rimasti in carica devono convocare l’assemblea perché provveda alla sostituzione dei mancanti. Ciò posto, l’attore chiedeva la declaratoria di nullità o, quanto meno, di annullamento della delibera impugnata, con vittoria delle spese processuali.

Con comparsa di risposta, notificata all’attrice in data 02/11/06, depositata in cancelleria in data 06/11/06, si costituiva in giudizio la convenuta società, opponendosi all’av­versa domanda ed eccependo in particolare che: rientra nei poteri insindacabili dell’assemblea dei soci la facoltà di revocare in qualunque tempo gli amministratori; la giusta causa di revoca non rileva ai fini della validità di quest’ultima, bensì ai soli fini dell’eventuale diritto al risarcimento dei danni spettante all’amministratore; tale revoca può avvenire anche senza specifica indicazione dell’argo­mento nell’ordine del giorno. Tanto premesso, la convenuta società chiedeva il rigetto della domanda con vittoria di spese.

Con decreto del 2-24/01/07, a fronte di rituale istanza di fissazione di udienza avanzata dall’attrice, il giudice relatore rigettando le richieste istruttorie formulate dalle parti, rimetteva le parti dinanzi al Collegio. Alla fissata udienza del 24/04/07, il Collegio, previa conferma del decreto reso dal giudice relatore, ha introitato la causa per la decisione con riserva di deposito di sentenza nei trenta giorni successivi.

Motivi della decisione.

La domanda è priva di fondamento.

La scelta dei soggetti ai quali affidare l’incarico di amministrare una società di capitali, in linea generale e salve le sole eccezioni previste dal codice civile, spetta all’assem­blea sociale, in quanto espressione della volontà dei soci, e rispetto ad essa l’organo amministrativo è necessariamente legato da un imprescindibile rapporto fiduciario che costituisce il presupposto della permanenza della carica dell’or­gano amministrativo (sull’inderogabilità della competenza assembleare sulla nomina e revoca degli amministratori e sulla nullità di clausole statutarie che deroghino a tale principio cfr. App. Milano 27/07/69; Trib. Monza 29/01/82; Cass. 17/04/90 n. 3181; App. Milano 20/04/93; Cass. civ., Sez. I, 14/12/95, n. 1282).

Il principio in esame è enunciato dall’art. 2383 c.c., secondo il quale, salvo i primi che sono nominati nell’atto costitutivo e le eccezioni espressamente previste dagli artt. 2351, 2449 e 2450 c.c., la nomina degli amministratori spetta all’assemblea, la quale in qualunque tempo ed anche senza giusta causa ha anche il potere di revocarne l’incarico (cfr. comma terzo del cit. art. 2383 c.c.). Neanche l’autorità giudiziaria può interferire sulle scelte dell’or­gano amministrativo della società se non nei soli casi espressamente disciplinati dal legislatore che, in realtà, si ricollegano ad una esigenza di tutela dell’interesse pubblico (ed in particolare dei terzi che entrino in rapporto con la compagine sociale). Tale ultima ipotesi è, ad esempio, per le s.p.a., quella delle gravi irregolarità di gestione che legittima una minoranza qualificata di soci, gli organi interni di controllo, ovvero, per le società quotate in borsa, il pubblico ministero, a promuovere, a norma dell’art. 2409 c.c. poteri ispettivi e surrogatori del tribunale, i quali tuttavia operano sempre nei limiti in cui l’organo assembleare non provveda a rimuovere tempestivamente gli amministratori che abbiano commesso le accertate irregolarità (art. 2409 c.c.).

L’imprescindibilità del rapporto fiduciario tra organo assembleare ed amministratori si coglie, anche nel momento finale dell’incarico, dalla disciplina stabilita dagli artt. 2385 e 2386 c.c.. Invero, solo nelle ipotesi in cui non è in alcun modo intaccato il rapporto fiduciario non v’è necessità di immediata ed urgente convocazione dell’organo assembleare ai fini della nomina dei nuovi amministratori. Si pensi al caso di fisiologica cessazione dell’incarico per scadenza del termine, laddove l’art. 2385, secondo comma, c.c., prevede espressamente l’unica ipotesi di prorogatio dell’in­carico fino alla nomina dei nuovi amministratori, ovvero al caso in cui vengano meno solo alcuni degli amministratori, ferma restando la maggioranza degli stessi, nel qual caso la nomina degli amministratori subentranti – in difetto di diverse previsioni statutarie – avviene ad opera degli stessi amministratori ancora in carica, i quali sono comunque espressione della volontà dell’organo assembleare che non li ha “sfiduciati”.

Diversamente dal caso in cui come nella fattispecie, la cessazione dell’incarico riguardi la maggioranza degli amministratori o la totalità degli stessi, poiché il rapporto fiduciario viene meno e comunque risulta palesemente claudicante, si rende necessaria l’urgente convocazione dell’as­semblea per la ricostituzione dell’organo amministrativo, nel primo caso, ad iniziativa degli amministratori rimasti in carica, e nel secondo caso, ad opera del collegio sindacale al quale è pure demandato il potere surrogatorio per il compimento degli atti di ordinaria amministrazione.

Corollario dell’enunciato principio è l’assenza di “tutela reale” dell’incarico di amministratore, il quale, se revocato dall’assemblea anche senza giusta causa, non può in alcun modo ottenere la reintegrazione nella carica ma soltanto il risarcimento del danno. Tanto si evince inequivocabilmente dall’art. 2383, terzo comma, c.c., laddove, come già sopra evidenziato, è enunciato il principio per cui gli amministratori ... sono revocabili in qualunque tempo... salvo il diritto dell’amministratore al risarcimento dei danni se la revoca avviene senza giusta causa. Ulteriore conseguenza del principio sopra enunciato è costituita anche dalla non necessità di specifica previsione dell’argomento “revoca amministratore” nell’ordine del giorno (App. Bologna 04/03/95).

Per le ragioni in diritto che precedono, la domanda, avanzata da S.A. è destituita di fondamento. Invero, l’assemblea dei soci, regolarmente convocata (come ammesso dallo stesso attore), ha legittimamente rinnovato integralmente l’organo collegiale amministrativo, revocando quindi l’incarico di amministratore del S.. D’altronde, l’assemblea ha deliberato su un tema nell’ordine del giorno laddove al secondo punto dello stesso si legge testualmente “Nomina nuovi amministratori”.

Al rigetto della domanda segue la regolamentazione delle spese secondo il principio della soccombenza, liquidate come in dispositivo

P.Q.M.

definitivamente pronunziando sulla domanda proposta, da S.A., con atto di citazione notificato in data 6 settembre 2006, nei confronti della XXX Società Cooperativa Edilizia a r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore, disattesa ogni diversa domanda, eccezione e deduzione, così provvede:

1. rigetta la domanda;

2. condanna l’attore soccombente alla rifusione, in favore della società convenuta, delle spese processuali, liquidate ....

Così deciso, nella camera di consiglio della sezione civile, addì 8 maggio 2007.

 

(1-2) La revoca dell’amministratore ad opera dell’assemblea dei soci di società cooperativa

 

  
SOMMARIO:

1. La vicenda - 2. La disciplina applicabile al caso di specie - 3. Gli interrogativi sollecitati dalla pronuncia e le soluzioni adottate dalla Corte - 4. La revoca dell'amministratore da parte dell'assemblea dei soci - 5. (Segue). La cessazione della maggioranza degli amministratori come giusta causa 'oggettiva' di revoca - 6. Impugnabilità della delibera di revoca - NOTE


1. La vicenda

Il caso di cui si è occupato il Tribunale di Trani riguarda la delibera assembleare di una società cooperativa con la quale si revocava l’amministratore superstite di un consiglio di amministrazione composto di tre membri, due dei quali si erano dimessi. L’uni­co amministratore rimasto in carica aveva provveduto, a norma dell’art. 2386, 2° comma, c.c., a convocare l’assemblea per la nomina degli amministratori necessari alla ricostituzione del collegio e nell’avvi­so di convocazione aveva indicato quale oggetto del­l’ordine del giorno, appunto, la «nomina [di] nuovi amministratori». L’assemblea così convocata aveva deliberato, però, la rinnovazione dell’intero consiglio di amministrazione, revocando quindi dall’inca­rico l’amministratore superstite. Quest’ultimo impugnava la delibera assembleare, chiedendo alla Corte che venisse pronunciata la nullità o, almeno, l’annul­lamento della stessa poiché l’assemblea aveva deliberato su un punto non indicato nell’ordine del giorno; a parere dell’amministratore l’assemblea avrebbe dovuto nominare unicamente gli amministratori necessari a sostituire i mancanti, secondo quanto disposto all’art. 2386 c.c. La società resisteva in giudizio sostenendo che la delibera era legittima in quanto conforme alla previsione di legge secondo cui gli amministratori sono revocabili dall’assemblea in qua­lunque tempo, senza necessità che il relativo pun­to venga specificato nell’ordine del giorno e senza che sussista una giusta causa di revoca.


2. La disciplina applicabile al caso di specie

La sentenza del Tribunale di Trani offre l’occa­sione per alcune riflessioni sul tema della revoca dell’amministratore di società cooperativa. Tali riflessioni, come meglio si dirà, sono altresì riferibili alla società per azioni, in quanto la disciplina della società cooperativa – caratterizzata, com’è noto, dal­l’as­senza di compiutezza – deve, come in passato, essere colmata nelle sue lacune attraverso il rinvio alla disciplina delle società di capitali. Un esempio tuttora attuale della necessità di tale rinvio riguarda proprio il nucleo di norme sugli amministratori in generale e sulla loro revoca in particolare. La materia della revoca dell’amministratore, secondo le norme previgenti alla riforma del diritto societario del 2003, non trovava una sua regola nella disciplina della società cooperativa; a ciò poneva rimedio l’art. 2516 c.c. che statuiva l’applicabilità alla società cooperativa delle disposizioni riguardanti gli amministratori di società per azioni. Anche a seguito delle modificazioni introdotte dal d.lgs. n. 6/2003, il tema della revoca dei membri dell’organo gestorio continua a non essere regolato all’interno del titolo del codice civile dedicato alle cooperative. Il legislatore della riforma societaria ha confermato che le lacune alla disciplina devono essere colmate con la tecnica del rinvio, ma consente anche, a determinate condizioni, che il tipo societario di riferimento possa essere la società a responsabilità limitata. L’attuale art. 2519, 1° comma, c.c. stabilisce che «alla società cooperativa, per quanto non previsto nel presente titolo, si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni sulla società per azioni»; il 2° comma dello stesso articolo dispone che l’atto costitutivo può «prevedere che trovino applicazione, in quanto compatibili, le norme sulla società a responsabilità limitata (...)». Il sistema necessita, però, di una non agevole ricostruzione, considerando che nella disciplina della s.r.l. non si rinviene la presenza di una norma che regoli la revoca dell’ammi­nistra­tore per volontà dei soci [1]. L’interpretazione che gode dei maggiori consensi in dottrina [2] sostiene che nel caso di assunzione del modello di [continua ..]


3. Gli interrogativi sollecitati dalla pronuncia e le soluzioni adottate dalla Corte

Un primo ambito di analisi sollecitato dalla pronuncia in commento riguarda il rapporto tra assemblea e amministratore rimasto in carica dopo la cessazione della maggioranza dei membri dell’organo gestorio. In questa situazione, afferma la Corte, il rapporto fiduciario che lega l’assemblea al consiglio di amministrazione viene meno e comunque diviene «claudicante» per effetto delle dimissioni della maggioranza dei consiglieri di amministrazione; l’affer­mazione dei giudici di Trani va tuttavia valutata alla luce del dato normativo che, secondo una più condivisibile ricostruzione alternativa, non consente di considerare l’amministratore superstite soggetto sfiduciato dall’assemblea dei soci per la sola circostanza della cessazione della maggioranza dei membri del consiglio di amministrazione. Inoltre, l’esercizio del potere di revoca può comportare per la società l’obbligo di risarcire il danno causato all’amministratore quando non sussista una giusta causa. Il legislatore, quindi, pur riconoscendo una revocabilità ad nutum, tutela l’interesse economico dell’amministratore nell’eventualità di una cessazione dell’incarico non causata da una sua condotta colpevole o dolosa. Tuttavia il concetto di giusta causa per sua natura non può essere compiutamente circoscritto dal legislatore, e la sentenza in commento (che pure non affronta esplicitamente il tema) offre uno spunto per valutare se la cessazione della maggioranza degli amministratori possa di per sé integrare una giusta causa di revoca del superstite. Un altro ambito di analisi riguarda l’interpre­ta­zione della norma secondo cui l’amministratore è revocabile «in qualunque tempo» ad opera dell’orga­no che lo ha precedentemente nominato. In particolare viene analizzata l’espressione «in qualunque tempo», che viene interpretata non solo nel senso di riconoscere una revocabilità ad nutum, ma anche, con risultati significativamente differenti, come fondamento per riconoscere la possibilità di revocare l’amministratore in qualunque riunione assembleare, a prescindere dalle materie indicate nell’ordine del giorno. Secondo la Corte tranese, l’interpretazione corretta del sintagma «in qualunque tempo» consente la deliberazione sulla revoca dell’amministratore [continua ..]


4. La revoca dell'amministratore da parte dell'assemblea dei soci

La revoca dell’amministratore, come la stessa Corte sottolinea, è inderogabilmente di competenza dell’assemblea ordinaria [4] la quale può, ex art. 2383, 3° comma, c.c., deliberarla «in qualunque tempo». L’assemblea ha il potere di nominare i soggetti cui affidare il potere di gestire la società e, conseguentemente, ha il potere di revocarli dall’incarico di amministrare secondo quanto stabilito attualmente dall’art. 2364 c.c. Il principio è stato più volte ribadito dalla giurisprudenza la quale ha, nel tempo, avuto modo di puntualizzare che l’inderogabilità della competenza assembleare di revoca degli amministratori non può essere intaccata neanche per effetto di una clausola statutaria [5] volta a limitare tale facoltà [6]; inoltre si ritiene che alla revoca non si estenda l’applicazione dell’ultimo periodo del 1° comma dell’art. 2368 c.c., che consente l’adozione di «norme particolari» per la nomina delle cariche sociali. L’interpretazione pressoché unanime di tale previsione è nel senso che tali norme non possano intaccare la competenza assembleare per la nomina dell’organo gestorio [7] né, a maggior ragione, per la revoca dell’incarico. Infine, la competenza in argomento è riconosciuta in capo all’assemblea anche in caso di revoca degli amministratori cooptati, la cui nomina è consentita agli amministratori rimasti in carica secondo la disposizione dell’art. 2386, 1° comma, c.c. [8]. Il potere dell’assemblea di revocare gli amministratori non è in alcun modo vincolato, neanche nel caso di revoca degli amministratori nominati nel­l’atto costitutivo. Si tratta indubbiamente di una revoca ad nutum, non necessariamente legata ad una giusta causa. La giusta causa di revoca è, infatti, necessaria unicamente ad esonerare la società dall’ob­bligo di risarcire il danno patito dall’amministratore revocato; l’assenza di giusta causa non incide in alcun modo sulla validità della revoca. L’interesse della società di rimuovere l’amministratore anche solamente indesiderato viene tutelato attraverso la possibilità per i soci di revocarlo in qualsiasi momento. La previsione, al 3° comma dell’art. 2383 c.c., [continua ..]


5. (Segue). La cessazione della maggioranza degli amministratori come giusta causa 'oggettiva' di revoca

5. (Segue). La cessazione della maggioranza degli amministratori come giusta causa «oggettiva» di revoca Ci si può chiedere ulteriormente se il legame tra assemblea e organo gestorio, sempre considerato nel suo complesso, possa comunque risultare inficiato dalla cessazione della maggioranza degli amministratori e questa situazione, eventualmente, possa configurare una lesione del pactum fiduciae così da costituire una giusta causa oggettiva [21] di revoca dell’amministratore superstite. In altri termini si vuole valutare se la significativa riduzione del numero degli amministratori in carica, pur non comportando la decadenza automatica dell’intero consiglio, possa porre la società nella condizione di revocare l’amministratore superstite per giusta causa, ossia senza che ciò comporti l’obbligo di risarcire il danno causato all’amministratore. Ci si chiede, allora, se la cessazione della maggioranza degli amministratori possa integrare una giusta causa di revoca dell’am­ministratore superstite, poiché, come si è diffusamente sottolineato, secondo i giudici di Trani tale situazione ostacola la prosecuzione del rapporto con l’amministratore per lesione del pactum fiduciae [22]. Si deve registrare che la nozione di giusta causa di revoca è stata nel tempo notevolmente ampliata [23]. Si distinguono cause «soggettive» di revoca (quali la violazione degli obblighi cui è tenuto l’ammini­stratore o le sue condotte dolose o colpose, tali da minare il pactum fiduciae con l’assemblea dei soci) e cause «oggettive», cause, cioè, che prescindono dal comportamento dell’amministratore (quale la prolungata malattia che impedisca l’esercizio dei poteri gestori [24]) ma che comunque rendono impossibile la continuazione del rapporto di amministrazione. Mentre la giusta causa di revoca «soggettiva» è sempre stata considerata sufficiente ad escludere l’obbligo di risarcimento del danno inferto all’ammi­ni­stratore, la c.d. giusta causa «oggettiva» può consentire l’esonero dall’obbligo di risarcimento quando comunque è tale da far venire meno la fiducia nel­l’operato dell’amministratore. È necessario precisare che la giurisprudenza si è mostrata sempre molto cauta nel riconoscere la [continua ..]


6. Impugnabilità della delibera di revoca

L’amministratore impugnante chiedeva che venisse dichiarata «la nullità o, quanto meno, l’annulla­mento» della delibera assembleare in questione «perché contraria alla legge». In realtà, più correttamente, la nullità della deliberazione può derivare dalla mancata convocazione dell’assemblea, dalla mancanza del verbale o da un oggetto impossibile o illecito. Limitando l’ana­lisi al caso in commento, l’unica causa di invalidità pertinente sarebbe stata legata all’assenza della convocazione, ipotizzando che la delibera riguardasse una materia non indicata nell’ordine del giorno. È evidente però che non si può invocare la nullità della delibera per mancanza della convocazione. L’attuale art. 2379 c.c. circoscrive con estrema precisione le ipotesi di assenza della convocazione. Un primo orientamento dottrinale [27] sostiene che rientrerebbe tra le cause che generano assenza di convocazione anche l’ipotesi in cui la deliberazione verta su argomenti in nessun modo riconducibili alle materie indicate nell’ordine del giorno [28]. Secondo altro orientamento [29], e più drasticamente, l’assenza di informazione sulle materie oggetto di discussione assembleare non minerebbe la validità della convocazione; la nullità deriverebbe solo dall’as­senza dell’indicazione della data dell’adunanza assembleare, ovvero quando l’av­viso non provenisse da almeno un membro dell’or­gano di gestione o di controllo. Sembra che il legislatore abbia voluto limitare le ipotesi di nullità della delibera ai soli casi in cui i vizi procedimentali siano tali da non garantire neanche quella minima informazione ai soci che consentirebbe loro di intervenire in assemblea. Escludendo quindi che si possa parlare di invalidità sotto il profilo della nullità, rimarrebbe unicamente il rimedio dell’annullabilità per deliberazione assembleare presa non in conformità della legge. L’in­validità quindi deriverebbe dall’assunzione di una deliberazione in assenza dell’indicazione nel­l’or­dine del giorno del relativo argomento. Il Tribunale di Trani, però, ha ritenuto che il riconoscimento in capo all’assem­blea del potere di revocare [continua ..]


NOTE
Fascicolo 4 - 2009