Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Istituzione e funzionamento di patrimoni destinati a uno specifico affare: le conseguenze del mancato intervento del legislatore tributario (di Gianluca Selicato  )


  
SOMMARIO:

1. Considerazioni introduttive - 2. Il patrimonio destinato ad uno specifico affare nella novella legislativa: elementi sostanziali della separazione patrimoniale e considerazioni in ordine al suo limite dimensionale - 3. La fase statica del patrimonio dedicato: brevi osservazioni sull'autonoma soggettività ai fini fiscali e sul 'possesso' del reddito - 4. Le conseguenze della mancanza di soggettività tributaria sull'autonomia patrimoniale del compendio dedicato al compimento dell'affare - 5. La fase dinamica del patrimonio destinato e l'art. 73 del Tuir: la distinzione tra 'possesso' del reddito e disponibilità dei frutti e proventi del patrimonio dedicato nelle fasi antecedenti la realizzazione dell'affare - 6. La difficoltà di considerare i frutti e proventi collegati alla gestione 'intermedia' autonomi fatti indice di capacità contributiva - 7. Gli auspicati interventi del legislatore fiscale - 8. Considerazioni conclusive - NOTE


1. Considerazioni introduttive

I patrimoni che le società per azioni possono dedicare al compimento di uno specifico affare costituiscono un’ipotesi di separazione patrimoniale connotata da elementi peculiari rispetto alle altre situazioni in cui l’ordinamento riconosce l’auto­nomia di insiemi di beni privi di soggettività di diritto civile [1]. Sebbene l’istituto introdotto dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 non risulti ancora apprezzato nella pratica societaria [2], i profili teorici della destinazione patrimoniale descritta dagli artt. 2447-bis ss. c.c. sono stati già adeguatamente approfonditi dalla dottrina [3]. Lo studio degli effetti discendenti dalla gemmazione di tali patrimoni e, soprattutto, la limitazione di responsabilità per le obbligazioni assunte dalla società verso i terzi hanno contributo, peraltro, ad arricchire il risalente dibattito civilistico tra i sostenitori della concezione soggettivistica dell’autonomia patrimoniale e le correnti inclini a ritenere prevalente l’elemento oggettivo nelle fattispecie di destinazione e separazione patrimoniale [4]. Non minore interesse ha suscitato la seconda ipotesi di segregazione patrimoniale introdotta dalla novella del 2003, concettualmente distinta dalla prima in ragione della finalità cui è preordinato il relativo vincolo di destinazione: mentre la lett. a) dell’art. 2447-bis consente alla società di «costituire uno o più patrimoni, ciascuno dei quali destinato in via esclusiva ad uno specifico affare», dando luogo al c.d. «modello operativo» del patrimonio dedicato [5], la lettera b) della stessa norma permette infatti di «convenire che nel contratto relativo al finanziamento di uno specifico affare al rimborso totale o parziale del finanziamento medesimo siano destinati i proventi dell’affare stesso, o parte di essi» (c.d. «modello finanziario») [6]. L’illustrazione delle caratteristiche di queste operazioni societarie evidenzierà gli elementi che consentono di affermare la relativa omogeneità, sotto il profilo funzionale, dei due schemi, entrambi fondati sulla separazione della categoria dei creditori generici della società da quella dei creditori della singola operazione finanziaria o complessa [7]. Non costituiranno, invece, oggetto d’indagine i motivi, pur esistenti, di differenziazione dei [continua ..]


2. Il patrimonio destinato ad uno specifico affare nella novella legislativa: elementi sostanziali della separazione patrimoniale e considerazioni in ordine al suo limite dimensionale

L’esame delle richiamate questioni deve essere preceduto dall’individuazione degli effetti che il legislatore fa discendere dalla destinazione del patrimonio nelle forme e modi previsti dagli artt. 2447-ter ss. c.c. e dall’illustrazione delle motivazioni che inducono a ritenere il patrimonio dedicato al compimento di uno specifico affare un istituto che non trova corrispondenza in altre ipotesi di separazione patrimoniale già note alla nostra esperienza giuridica [12]. Il Titolo V del Capo V del Codice Civile (artt. da 2447-bis a 2447-decies) offre alle sole società per azioni [13] la possibilità di destinare al compimento di uno specifico «affare» [14] parte del proprio patrimonio che, all’uopo, viene appositamente resa insensibile alle restanti vicende societarie. Diversamente da altri casi, dunque, la destinazione di beni e rapporti giuridici disposta dalla novella legislativa affida alla discrezionalità della società la deroga ai principi dell’in­divisibilità patrimoniale e dell’illimitata responsabilità verso i crediti assunti nello svolgimento dell’attività imprenditoriale. Andando ben oltre lo sperimentato affievolimento dei principi succitati in corrispondenza di situazioni tassativamente individuate dal legislatore [15], l’indi­spo­nibilità patrimoniale biunivoca quasi perfetta [16] tra le garanzie dei creditori «generici» e quelle poste a servizio della singola operazione commerciale, nello schema in commento, non consegue in modo «meccanico» al verificarsi di una situazione normativamente prevista richiedendo, piuttosto, il concreto esercizio di una facoltà rimessa all’esclusivo arbitrio della società. Si ammette, in tal modo, una modifica unilaterale degli assetti patrimoniali ordinati all’esercizio dell’impresa che conduce a un inedito riparto, in bonis, delle garanzie societarie tra le differenti categorie di creditori secondo soluzioni adeguate alle criticità e alla fluidità del programma imprenditoriale. Detta caratteristica dell’istituto ha indotto il legislatore a stabilire forme e limiti degli atti di destinazione onde evitare che la costituzione di un patrimonio separato sub specie della lett. a) dell’art. 2447-bis potesse tradursi in distrazione di beni e rapporti giuridici attivi rispetto alle [continua ..]


3. La fase statica del patrimonio dedicato: brevi osservazioni sull'autonoma soggettività ai fini fiscali e sul 'possesso' del reddito

L’esame delle conseguenze impositive della deliberazione societaria deve muovere dalla «fase statica» dell’istituto in riferimento alla quale si è andato consolidando un orientamento contrario al riconoscimento della soggettività tributaria del patrimonio separato. La prevalente dottrina ha evidenziato in proposito l’assenza di effetti traslativi della delibera istitutiva del patrimonio dedicato e la conseguente permanenza nella titolarità della società per azioni dei beni e rapporti giuridici in essa indicati [24]. Per quanto non manchino opinioni contrarie [25], questa impostazione si rivela aderente alle posizioni assunte dalla Commissione Gallo secondo cui «l’individuazione di un separato imponibile del patrimonio destinato, ovviamente, non comporta che quest’ultimo sia dotato di propria soggettività tributaria, la quale rimane sempre in capo alla società di gemmazione». La questione richiede, però, un maggiore approfondimento anche alla luce di un’apparente tendenza dell’or­dina­mento giuridico ad avvicinare (pur senza farle coincidere) le situazioni in cui vi è deroga all’art. 2470 c.c. con quelle in cui si realizza la nascita di nuovi soggetti del diritto [26]. In quanto connotata da caratteristiche proprie che la rendono del tutto peculiare rispetto al ben diverso e più compiutamente definito concetto di capacità giuridica [27] – di cui il patrimonio separato in commento è sicuramente carente [28] – e atteso che la dottrina ne ha descritto i caratteri con formule che ne rivelano quantomeno la prossimità alla fattispecie in esame [29], il disconoscimento della soggettività tributaria del patrimonio segregato ai sensi dell’art. 2447-bis deve essere suffragato da solide argomentazioni, piuttosto che rapidamente licenziato sulla base dei contenuti della relazione ministeriale, cui si fa spesso riferimento. Il tema, del resto, è particolarmente suggestivo ricollegandosi, tra l’altro, alle delicate questioni interpretative del 2° comma dell’art. 73 del Tuir [30] che hanno consentito di includere le mere organizzazioni di beni tra i soggetti cui possono essere ricondotti unitariamente gli effetti dell’imposizione [31]. A favore della soggettività tributaria del patrimonio destinato milita, in [continua ..]


4. Le conseguenze della mancanza di soggettività tributaria sull'autonomia patrimoniale del compendio dedicato al compimento dell'affare

L’accoglimento della tesi secondo cui la segregazione realizzata con la deliberazione ex art. 2447-ter non gemmerebbe un distinto soggetto del diritto tributario, a ben vedere, può produrre conseguenze incompatibili con i caratteri dell’autonomia patrimoniale che l’operazione realizza [41]. Infatti, la ratio cui lo strumento in esame risponde – costituzione di separate ed autonome garanzie a favore dei terzi che vengano in contatto con i distinti patrimoni della società – dovrebbe indurre ad escludere che, almeno fino alla successiva confusione dei due (o più) patrimoni della società, il risultato della gestione dell’uno possa produrre effetti sul risultato della gestione dell’altro. Invece, al riconoscimento dell’unicità del soggetto passivo del rapporto tributario può conseguire, in particolari condizioni, la compromissione dell’autonomia patrimoniale che la riforma sembrerebbe riconoscere al compendio destinato: ove mai, ad esempio, la società dovesse fronteggiare pretese erariali riferite al patrimonio separato di entità superiore alle effettive disponibilità di quest’ultimo, l’unico soggetto obbligato con il fisco dovrebbe reperire ulteriori risorse (presumibilmente proprie) che, integrando quelle già distaccate, gli consentano di adempiere le corrispondenti obbligazioni tributarie [42]. Il regime delle responsabilità tributarie gravanti sull’unico soggetto che si ritiene obbligato con il fisco – per quanto coerenti con la titolarità dei beni e rapporti che individuano nella società distaccante l’unico centro di imputazione soggettiva di effetti giuridici in assenza di differenti espressioni di capacità giuridica – si rivelano pertanto potenzialmente lesive delle garanzie che dovrebbero permanere a tutela dei creditori generici della società [43]. Esse infatti, nelle descritte situazioni, appaiono suscettibili di pregiudizio a causa della prevalenza delle ragioni del Fisco su quelle degli altri creditori, non in conseguenza di una previsione legislativa in tal senso bensì, più semplicemente, per effetto della verificata mancanza di soggettività passiva del patrimonio dedicato. La soluzione della delicata questione impone di isolare due distinti problemi: in primis la qualificazione giuridica dei risultati della gestione [continua ..]


5. La fase dinamica del patrimonio destinato e l'art. 73 del Tuir: la distinzione tra 'possesso' del reddito e disponibilità dei frutti e proventi del patrimonio dedicato nelle fasi antecedenti la realizzazione dell'affare

Quanto al «possesso» del reddito, che l’art. 1 del Tuir individua quale presupposto impositivo [53], le indicazioni ricavabili dalla lettura dall’art. 2447-quinquies [54] appaiono suscettibili di molteplici interpretazioni, non necessariamente convergenti con quelle prospettate dalla dottrina che si è maggiormente occupata del tema [55]. L’espressione «possesso» [56] è stata infatti generalmente riferita, in modo indistinto, tanto ai frutti e proventi derivanti dall’attività funzionale alla realizzazione dello specifico affare, quanto a quelli derivanti dall’affare medesimo [57]. Appare invece preferibile, nella prosecuzione di quest’indagine, che i primi siano tenuti distinti dai secondi [58] dovendosi riconoscere, anche sotto quest’ulteriore profilo, l’utilità di scindere il patrimonio destinato nelle distinte componenti statica e dinamica. Rispetto alla prima va osservato che proprio l’atto volontario attraverso il quale la società per azioni stabilisce di segregare parte del suo patrimonio ne esprime, al tempo stesso, la piena disponibilità e la volontà di orientare tali beni e rapporti al raggiungimento di uno specifico fine, compatibile con l’oggetto sociale e connotato da un’intrinseca lucratività. La delibera di costituzione del patrimonio separato si limita a comporre un differente assetto di interessi i cui effetti, pur non privando la società del possesso giuridico del compendio destinato, ne inibiscono l’impiego per differenti affari sociali nelle more della realizzazione dell’affare [59]. Possono condividersi, sotto questo profilo, le conclusioni generalmente accolte in dottrina, secondo cui «il patrimonio destinato è autonomo ma “appartiene” alla società» e dunque «appare fuori discussione, in capo alla società, il “possesso del reddito”» [60]. Problemi ben più delicati pone la fase dinamica del compendio segregato e, in particolare, la dubbia disponibilità, per la società, dei frutti e proventi derivanti dalle fasi intermedie tra la deliberazione istitutiva del vincolo e l’effettivo compimento dell’affare da essa individuato. Tali vicende, che stimolano approfondimenti attorno alla natura reddituale o meno di questi incrementi [continua ..]


6. La difficoltà di considerare i frutti e proventi collegati alla gestione 'intermedia' autonomi fatti indice di capacità contributiva

Quale che sia la tesi preferita, la qualificazione dei proventi o frutti del patrimonio destinato merita maggiore attenzione di quella fino ad oggi prestata, dovendosi evidenziare come l’osservata differenza tra le variazioni patrimoniali «intermedie» ed i redditi procurati dall’affare rilevi anche nell’esame del «possesso» dei redditi [68]. Rispetto al pacifico riconoscimento della s.p.a. come unico soggetto possessore del reddito prodotto dall’affare, i proventi derivanti dalla gestione «intermedia» presentano, infatti, tratti caratteristici che ne rendono più difficoltoso l’inquadramento sistematico. Rileva, in particolare, la circostanza che tali proventi possano essere utilizzati solo in modo conforme al programma di attività cui la segregazione patrimoniale è asservita. Né la società potrebbe optare per altri impieghi, atteso che la disciplina della fattispecie intende assicurare un’autonomia patrimoniale strumentale alla garanzia dei creditori particolari dell’affare e, dunque, suscettibile di aggiramento nell’ipotesi in cui si consentisse la distrazione dei beni o proventi dal patrimonio destinato prima che esso si concluda ovvero prima che l’atto segregativo venga sostituito da un’opposta deliberazione. Questa preoccupazione sembrerebbe, del resto, aver ispirato la scelta del legislatore di prevedere la separata contabilizzazione e il versamento su distinti conti rispetto a quelli della società delle somme oggetto del patrimonio segregato [69]. La circostanza costituisce un’ulteriore argomento a favore della valorizzazione della differenza tra i risultati economici degli atti «intermedi», ai quali la dottrina richiamata fa riferimento, ed i veri e propri risultati economici dell’affare, che sembrerebbero gli unici ai quali la norma dell’art. 2447-quinquies può essere riferita. Si riesce a comprendere, a questo punto, l’utilità di un’indagine rivolta ad appurare se anche i risultati economici dei singoli atti della gestione del patrimonio destinato, così come quelli prodotti dall’affare, possano considerarsi redditi (o perdite) effettivamente «posseduti» dalla società di gemmazione. L’approfondimento si traduce in una verifica, in termini di effettività e attualità, della capacità [continua ..]


7. Gli auspicati interventi del legislatore fiscale

Le considerazioni appena illustrate, ponendo in evidenza le difficoltà di collegamento tra le nuove norme e gli schemi teorici del diritto tributario, inducono a ritenere indispensabile un ulteriore intervento legislativo volto a delineare un regime fiscale appropriato per il patrimonio destinato. E ciò anche al fine di sottrarre all’interprete la scelta, difficoltosa oltre che inopportuna, del regime tributario applicabile ai suoi proventi e frutti. In tale prospettiva dovrà tenersi presente che le variazioni antecedenti la realizzazione dell’affare andrebbero più correttamente classificate tra i c.d. «redditi di natura provvisoria» [76], ovvero tra quei redditi che, sia rispetto all’an, che rispetto al quantum, disvelano una precarietà tale da impedire il verificarsi del loro presupposto [77]. Occorre, in altri termini, ricorrere a differenti inquadramenti fiscali per i proventi dell’affare e per quelli prodotti dal patrimonio separato nelle fasi che ne precedono la realizzazione, utilizzando, quale discriminante, il concetto di effettività/definitività del reddito che non sembra potersi riconoscere sussistente nella seconda categoria di proventi. De iure condendo, proprio rispetto a tale peculiare categoria, essendosi accertata l’inammis­si­bilità della soggettività tributaria del patrimonio destinato e permanendo l’esigenza di evitare interferenze tra le due distinte masse patrimoniali, sarebbe forse opportuno che il legislatore stabilisse il differimento temporale della tassazione dei risultati della gestione del patrimonio separato al momento della loro percezione, ripetendo percorsi già sperimentati nella disciplina fiscale dei patrimoni separati delle società di cartolarizzazione dei crediti e sufficientemente esplorati in materia di Trusts ancor prima del riconoscimento normativo della loro soggettività tributaria [78]. Andrebbero evidentemente sottratti all’ordinario trattamento fiscale i soli risultati economici che acquistano rilevanza ai fini del compimento dell’affare, dovendosi invece restituire alla competenza dell’esercizio finanziario della società di gemmazione ogni altro risultato non funzionale alla realizzazione dell’affare. Una volta, poi, realizzato l’affare medesimo, i proventi e i frutti che ne dovessero discendere sarebbero imputati [continua ..]


8. Considerazioni conclusive

Fino a quando non saranno apportate modifiche al testo della norma che, coerenti o meno alle indicazioni della Commissione Gallo, appaiono comunque indispensabili a dipanare le questioni interpretative sorte in ambito fiscale, non sembrano potersi ricavare dall’attuale disciplina dei patrimoni separati ulteriori garanzie a presidio dei crediti vantati dagli enti pubblici nei confronti delle società debitrici, dovendosi conseguentemente ricorrere al solo privilegio speciale che accompagna le obbligazioni attive tributarie ovvero alle disposizioni in tema di contrasto alle pratiche elusive [85]. È poi fin troppo evidente che la previsione di ulteriori garanzie o privilegi a favore dell’am­ministrazione finanziaria e degli enti previdenziali renderebbe scarsamente appetibile lo strumento operativo e, in aperto contrasto con le finalità perseguite dagli estensori della riforma, suggerirebbe alle società interessate a realizzare condizioni di piena autonomia patrimoniale bidirezionale di ricorrere alla costituzione di un nuovo soggetto di diritto (la classica societas unius negotii) piuttosto che al distacco di un patrimonio dedicato. La stessa relazione di accompagnamento allo schema di articolato della Commissione Gallo, in più passaggi, esprime tale consapevolezza affermando, in punto di inopponibilità al Fisco, che la soluzione che gli estensori preferirebbero «può avere ricadute negative in ordine alla praticabilità o, meglio, al successo di questo istituto». Non può peraltro tacersi che gli esiti dello strumento operativo in commento saranno ulteriormente influenzati dalle illustrate interferenze tra le distinte masse di beni e rapporti giuridici prodotte, da un lato, dall’assenza della soggettività tributaria del patrimonio separato, dal­l’altro dalla mancata previsione di meccanismi di rinvio temporale della tassazione tipici dei redditi provvisori. Circostanza, questa, che potrebbe mantenere le società per azioni ancorate al modello della società controllata anche nell’ipotesi in cui il ricorso all’art. 2447-bis venisse effettivamente incentivato con il riconoscimento dell’opponibilità del vincolo all’Amministra­zione finanziaria. Ciò consente di affermare che le sorti dell’istituto ed il rispetto, anche in ambito fiscale, della sua ratio dipendono [continua ..]


NOTE
Fascicolo 4 - 2009