Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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La società quotata nelle recenti riforme (note introduttive) (di Giuseppe B. Portale)


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SOMMARIO:

1. La società per azioni quotata dal codice civile del 1942 al d.lgs. n. 303/2006 - 2. La nuova norma dell'art. 2325-bis, 2° comma, c.c.: Typuslehre e superamento della questione circa la possibile contrapposizione tra un tipo «società per azioni (non quotata)» ed un tipo «società per azioni quotata» - 3.1. Listing e delisting: un problema di competenze gestorie «non scritte» dell'assemblea di s.p.a. - 3.2. Tendenze alla «rivitalizzazione» dell'assemblea e la Proposta di modifica della Direttiva 2004/109/CE sul voto transfrontaliero - 3.3. La nuova disciplina dell'invalidità delle deliberazioni assembleari di s.p.a. e la società quotata - 4.1. Governo della società quotata e sistema dualistico: le esperienze comparatistiche - 4.2. (Segue). Struttura e competenze del «consiglio di gestione» e del «consiglio di sorveglianza» nei modelli stranieri - 4.3. Il problema nel diritto italiano: verso un nuovo tipo di sistema dualistico? - 5. La responsabilità della società di revisione ex art. 165-quater, 4° comma, t.u.f.: cenni - 6. Una breve riflessione sulla nuova disciplina italiana della società quotata - NOTE


1. La società per azioni quotata dal codice civile del 1942 al d.lgs. n. 303/2006

Con l’approvazione, da parte del Consiglio dei Ministri l’1 dicembre scorso, del decreto legislativo [ora, n. 303/2006: c.d. decreto Pinza] che attua la delega contenuta nell’art. 43 della legge n. 262/2005 sulla «tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari», è stata completata – quanto meno in attesa dell’accoglimento e dell’attuazione della Proposta di Direttiva COM (2005) 685, COD 2005/0625, relativa all’esercizio del diritto di voto transfrontaliero, e dell’attuazione della Direttiva Comunitaria 2006/43/CE, relativa alle revisioni legali dei conti e dei conti consolidati (Fortunato; Presti) – la normativa primaria che regola la società per azioni quotata. In una prima fase, a parte le poche tracce reperibili nel codice civile del 1942 (artt. 2437, 2441, 1515 c.c.), l’emanazione di una disciplina specifica è fatta risalire alla legge n. 216/1974 e ai decreti di attuazione del suo art. 2, mentre le fasi successive vanno indicate nel testo unico della finanza (d.lgs. n. 58/1998), che contiene il primo corpo normativo organico, anche se incompleto, sulla materia; nella legge di riforma delle società di capitali (d.lgs. n. 6/2003) e successive correzioni ed integrazioni (v., in particolare, d.lgs. n. 37/2004: coordinamento dei d.lgs. nn. 5 e 6/2003 con il t.u.b. e con il t.u.f.); nella citata legge sul risparmio, che, con ritardo rispetto a quanto è avvenuto, dapprima negli Stati Uniti, subito dopo in molti paesi dell’Unione Europea, rappresenta la reazione italiana a molti scandali che – dopo il caso del «Gruppo Enron» (2001) – avevano pure investito l’Europa continentale [con i casi: Kirch Media Group, in Germania (2002); Vivendi, in Francia (2002); Royal Ahold, in Olanda (2003)] e, in particolare, l’Italia (casi: Cirio; Parmalat; Gandalf e Giacomelli: 2002-2003). Reputo poco utile anche solo accennare ai numerosi dibattiti seguiti all’adozione dei testi normativi elencati, che in più punti hanno portato ad una compiaciuta, ma qualche volta forse tardiva, «americanizzazione» del nostro sistema. Merita, piuttosto, soffermarsi in queste note introduttive su alcune questioni rimaste ai margini rispetto ai problemi di vertice.


2. La nuova norma dell'art. 2325-bis, 2° comma, c.c.: Typuslehre e superamento della questione circa la possibile contrapposizione tra un tipo «società per azioni (non quotata)» ed un tipo «società per azioni quotata»

Il nuovo art. 2325-bis, 2° comma, c.c. ha dato attuazione all’art. 4, 1° comma, legge n. 366/2001 (legge delega) – che, fra l’altro, imponeva al legislatore della riforma di prevedere, per le società per azioni, «un modello di base unitario e le ipotesi nelle quali le società [sarebbero state] soggette a regole caratterizzate da un maggior grado di imperatività in considerazione del ricorso al mercato del capitale di rischio» – mediante la scelta del nostro diritto azionario di selezionare le forme di società non più esclusivamente per «tipi negoziali», ma per «modelli» o «tipi socio-economici» (o modelli tipologici: Abbadessa e Ginevra; Zanarone, Il ruolo del tipo), secondo l’insegnamento della c.d. Typuslehre, elaborata negli anni ’70 del secolo scorso dalla dottrina di lingua tedesca e che aveva richiamato l’attenzione anche di alcuni studiosi italiani (riferimenti: Zanarone, Società). Per effetto di tale scelta viene meno la legittimità della questione circa la possibile contrapposizione tra un tipo «società per azioni (non quotata)» ed un tipo «società per azioni quotata»: interrogativo legato all’introduzione, nel sistema, dell’art. 13, legge n. 149/1992 sull’OPA (recesso del socio dissenziente nel caso di fusione per incorporazione di società quotata in società non quotata o di fusione in senso stretto di una società quotata con costituzione di una nuova società non quotata) e alla contemporanea presenza dell’art. 2437 c.c. (vecchio testo), che consentiva il recesso (v. anche l’abr. art. 131 t.u.f. ed il nuovo art. 2437-quinquies c.c.) nell’ipotesi di trasformazione della s.p.a. in altro tipo di società [ragguagli in Montalenti, Trattato; cfr., pure, il § 171, 4° comma, della legge ungherese n. IV/2006 sulle «società economiche»: il mutamento della «forma dell’attività» (società chiusa o società aperta) non comporta trasformazione della società per azioni].


3.1. Listing e delisting: un problema di competenze gestorie «non scritte» dell'assemblea di s.p.a.

La conclusione non è priva di rilievo pratico: essa implica che competente a chiedere l’am­missione alla negoziazione in un mercato regolamentato delle azioni di una società non quotata è l’assemblea ordinaria e non quella in sede straordinaria (come del resto riconosce, da sempre, la dottrina assolutamente prevalente: per citazioni De Mari; Montalenti). Per la verità, dopo la riforma delle società di capitali, l’assunto è stato contestato (Dentamaro) sulla base del richiamo del testo dell’art. 2380-bis c.c. («la gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli amministratori, i quali compiono le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale»). È noto che questa disposizione – letta in collegamento con il nuovo testo dell’art. 2364, 1° comma, n. 5, c.c. – ha portato buona parte dei commentatori ad affermare che l’assemblea non ha più alcun potere di ingerenza nella gestione sociale, salvo nei casi previsti dalla legge, fra i quali, certamente, non rientra la richiesta di ammissione alla quotazione, che si sostanzia – sia secondo la dottrina aziendalistica, sia secondo quella giuridica (citazioni in De Mari) – in un c.d. atto ibrido di natura strutturale-gestoria. Senonché, la tesi dell’assoluta privazione dell’assemblea di poteri gestori (oltre i casi espressamente elencati nei testi legislativi) è in fase di ridimensionamento, tenuto conto di una serie di indici normativi (ad es.: artt. 2446, 2361, 2409-terdecies, 1° comma, lett. f-bis), dei quali si riconosce la suscettibilità di applicazione analogica. Questo consente di affermare – con l’avallo delle esperienze comparatistiche sia di common law che di civil law (in particolare: Germania, Francia, Austria, Belgio, Svizzera) – che «è possibile riconoscere eccezionalmente – oltre i casi elencati [dalla legge] – all’assemblea di s.p.a. una competenza gestoria non scritta in presenza di operazioni che – pur potendo anche astrattamente rientrare nella competenza dell’organo amministrativo – per la loro rilevanza economica e per la loro capacità di incidere sulla struttura organizzativa dell’impresa sociale e dei diritti dei soci [e tutto questo accade certamente anche nel [continua ..]


3.2. Tendenze alla «rivitalizzazione» dell'assemblea e la Proposta di modifica della Direttiva 2004/109/CE sul voto transfrontaliero

La riforma delle società di capitali e la legge sul risparmio hanno inciso sulla disciplina dell’as­semblea anche su profili diversi da quello della erosione delle sue competenze: gestorie e non. Ed altri interventi si renderanno necessari in esecuzione della citata Proposta di modifica della Direttiva 2004/109/CE sul voto transfrontaliero (sulla quale: Garcimartín Alférez): dalle riforme attuate e da quelle che si preannunciano emerge una chiara tendenza alla rivitalizzazione dell’organo, anche se non più «sovrano». Trascurando gli scritti, forse provocatori, di Bebchuk – che individua una serie di ragioni che dovrebbero indurre i legislatori federati statunitensi ad attribuire ai soci di una public Company più poteri di intervento e di decisione in merito ad alcune fondamentali operazioni societarie, in funzione di una riduzione dei cc.dd. problemi di agenzia (agency problems) e di una maggiore efficienza – voglio qui, anzitutto, segnalare la recente proposta (oggetto di studio da parte del Bundesjustizministerium tedesco, ma probabilmente di scarsa conciliabilità con il diritto azionario dei paesi europei) dell’attribuzione di un c.d. Präsenzbonus (= premio in danaro) agli azionisti che partecipino all’as­semblea (Klühs). Di maggior interesse sono i provvedimenti incentivanti indicati nella Proposta di Direttiva comunitaria: a) l’invio al «destinatario» dell’avviso di convocazione (art. 5); b) «la possibilità del voto elettronico, via internet o in altro modo» (art. 12); c) il diritto della minoranza che possieda il 5% del capitale azionario di integrare l’ordine del giorno (art. 6); d) il divieto di assoggettare al blocco delle azioni (mediante deposito o in altro modo), prima dell’assemblea, il diritto di partecipare alla stessa ed il diritto di voto, anche se il blocco non influisca sulla possibilità di negoziazione delle medesime azioni (per la partecipazione all’assemblea basta la prova della qualità di azionista ad una data anteriore di non più di 30 giorni a quella dell’assemblea) (art. 7). La previsione sub c) è stata già anticipata dal legislatore italiano (art. 126 t.u.f.: integrazione dell’ordine del giorno); mentre quelle sub a) e b), reputo che [continua ..]


3.3. La nuova disciplina dell'invalidità delle deliberazioni assembleari di s.p.a. e la società quotata

Uno dei punti caratterizzanti la riforma delle società di capitali (d.lgs. n. 6/2003) è stato il rimodellamento funditus delle fattispecie e della disciplina delle due categorie di invalidità delle deliberazioni assembleari della s.p.a. Questo rimodellamento era proprio iniziato, anzi, con riguardo all’impu­gnativa dei bilanci certificati delle società quotate: l’art. 6, d.p.r. n. 136/1975 (oggi sostituito dall’art. 157 t.u.f.) limitava, infatti, la legittimazione ad impugnare le delibere di approvazione del bilancio certificato, condizionandola al possesso, anche congiunto, di una quantità di azioni corrispondente almeno a un ventesimo del capitale sociale ovvero di ammontare pari ad un valore nominale minimo di cento milioni di lire in società con capitale superiore ai due miliardi; in contraccambio, la legittimazione era attribuita anche alla Consob. Con la novella del 2003, le categorie dell’annullabilità e della nullità (artt. 2377-2378 c.c.; artt. 2379-2379-ter c.c.), da un lato, non si distinguono più per una situazione, rispettivamente, di efficacia precaria ed eliminabile e di inefficacia, bensì, fondamentalmente, per la legittimazione a farle valere (annullabilità, con la precisazione che subito appresso seguirà: salvo casi particolari, oltre all’or­ga­no amministrativo e a quello di controllo, i soci assenti e dissenzienti; nullità: chiunque ne abbia interesse): tanto che – come efficacemente è stato scritto – comune ad entrambe le ipotesi, fuori da ogni discorso di tipo classificatorio (unificazione delle due categorie in quella dell’annullabilità; sostanziale abolizione della nullità, al di là delle formule: D’Alessandro), è una qualificazione in termini di impugnativa, come pure l’indicazione di trattarsi, in entrambi i casi, di uno strumento diretto a rimuovere la deliberazione (Angelici). Dall’altro lato, il legislatore recente si è spinto a precludere in modo assoluto la tutela invalidatoria per deliberazioni con contenuto strutturale alle quali segua l’iscrizione nel registro delle imprese (alludo alla norma dell’art. 2504-quater c.c., sulla fusione, e a quella dell’art. 2500-bis c.c., in tema di trasformazione omogenea: in ordine alla quale – [continua ..]


4.1. Governo della società quotata e sistema dualistico: le esperienze comparatistiche

Uno dei temi più caldi concernente il governo della società quotata, al momento (soprattutto, in collegamento con alcuni casi di fusioni bancarie), è quello dell’adozione, da parte della stessa, del c.d. sistema dualistico (sul quale ora, diffusamente, Schiuma), introdotto dalla riforma del 2003 e strutturato, come è risaputo, su un consiglio di gestione ed un consiglio di sorveglianza (artt. 2409-octies – 2409-sexiesdecies c.c.; artt. 147-quater – 153 t.u.f., rinnovati dalla c.d. legge sul risparmio). Tralasciando le discussioni – per diritto italiano ormai superate –sull’opportunità di consentire anche la nomina (v. artt. 392 e 435, 3° comma, cód. soc. com. portoghese, a norma dei quali, fino ad un terzo dei componenti del conselho de administração esecutivo può essere nominato dai soci che non rappresentano più del 20% e meno del 10% del capitale sociale) di c.d. amministratori di minoranza e sulla preferenza, piuttosto, della nomina al loro posto di amministratori e/o di consiglieri di sorveglianza «indipendenti» (Belcredi; Montalenti, Amministrazione), va premesso che le soluzioni che si riscontrano nei paesi dell’Unione che hanno adottato il modello in questione sono le più varie, prive, quindi, del carattere dell’uniformità: senza considerare il diritto azionario tedesco, né quello austriaco (entrambi – ma soprattutto il primo – abbastanza noti), si passa da paesi (come l’Ungheria) che vietano alle società quotate di disporre di un consiglio di sorveglianza dotato di poteri decisori lato sensu gestori, ammettendo ciò, per contro, nelle società per azioni chiuse e nelle società a responsabilità limitata (§§ 308, 2° comma, e 37, 1° comma, della citata legge n. IV/2006: in Austria, per contro, è stata prospettata, di recente, l’opportunità di limitare l’uso del modello alle società quotate: Kalss), a paesi che consentono di riservare, in via statutaria, all’assemblea la nomina e la revoca degli amministratori (Portogallo e Ungheria), ancora, a paesi che permettono, facoltativamente, la presenza di rappresentanti dei lavoratori nel consiglio di sorveglianza (Francia: talvolta con il solo voto consultivo, altre [continua ..]


4.2. (Segue). Struttura e competenze del «consiglio di gestione» e del «consiglio di sorveglianza» nei modelli stranieri

Per una migliore comprensione del nostro sistema, può riuscire utile qualche ulteriore informazione desumibile dalle esperienze straniere. È stata messa in dubbio, soprattutto nella stampa finanziaria (Bragantini; Sabbatini) – manifesta una diversa propensione pure il nuovo «Codice di autodisciplina» (2006), tanto parsimonioso, per il resto, nell’occuparsi dei modelli di amministrazione e controllo diversi da quello c.d. tradizionale (Principio n. 12, con i relativi criteri applicativi ed il commento: p. 47 ss.) – la correttezza della prassi che sta emergendo di nominare anche amministratori «non esecutivi» nel consiglio di gestione. Ed un problema simile può prospettarsi in ordine al potere di delega delle competenze all’interno del consiglio di sorveglianza. A) Per quanto attiene al consiglio di gestione, in verità, i dati forniti dalla comparazione non sono univoci, salvo, forse, quelli provenienti dal diritto azionario portoghese, dal momento che l’art. 431, 3° comma, cód. soc. com. – disciplinando la competenza del conselho de administração executivo(corrispondente, appunto, al nostro consiglio di gestione) – non richiama l’art. 407 dello stesso codice, il quale (in relazione a quello che con il frasario del nostro legislatore potremmo chiamare modello tradizionale; ma il discorso vale anche per il sistema monistico, ugualmente ammesso dal diritto portoghese: art. 278, n. 1, cód. soc. com.) prevede la possibilità di nomina di uno o più amministratori delegati o di un comitato esecutivo. Allo stesso modo, sembra palesare una certa rigidità il diritto azionario tedesco, quanto meno nell’interpretazione dottrinale, sebbene appaiano, poi, lecite delle deleghe secondo il modulo delle c.d. deleghe atipiche, note al nostro ambiente giuridico (da ultimi: Abbadessa, Profili topici; Barachini), che lasciano intatta la responsabilità di tutti i componenti del consiglio, ciascuno obbligato a controllare e ad informarsi sull’andamento della gestione in tutti i settori, anche in presenza di una ripartizione di competenze (per tutti: Hüffer, § 77, Rdn. 10 e 14; Raiser/Veil, § 14, Rdn. 23-24, i quali sottolineano la permanenza di una «Gesamtverantwortung»). Maggiore elasticità dimostrano il diritto azionario [continua ..]


4.3. Il problema nel diritto italiano: verso un nuovo tipo di sistema dualistico?

Il precedente discorso consente, a questo punto, di prendere posizione sulla natura e sulle funzioni che il consiglio di sorveglianza ha avuto attribuite dal legislatore della riforma del 2003. La norma fondamentale, a tale scopo, appare essere quella dell’art. 2409-terdecies c.c., la cui storia tormentata (Marchetti) è testimonianza del disagio del legislatore, che in un primo momento aveva sostanzialmente concepito la figura come una sorta di «superorgano» di controllo (si è parlato di un «super collegio sindacale»: Marchetti), privo di qualsiasi potere di indirizzo gestorio o di alta amministrazione (un modello di questo tipo sembra adottato dal diritto azionario cinese: Hu). Contrariamente a quanto si reputa, l’ambiguità della figura non è cessata del tutto con l’aggiunta (in due fasi: d.lgs. n. 37/2004 e d.lgs. n. 310/2004) della norma secondo cui «se previsto dallo statuto, delibera in ordine alle operazioni strategiche e ai piani industriali e finanziari della società predisposti dal consiglio di gestione, ferma in ogni caso la responsabilità di questo per gli atti compiuti» (art. 2409-terdecies, 1° comma, lett. f-bis: su questa norma v., oltre Schiuma, Cariello). L’ambiguità non è cessata perché la norma opera solo se ed in quanto la sua previsione si trasformi in clausola statutaria, dato che qualora ciò non accada – come già si può constatare con la lettura di alcuni nuovi statuti, che nemmeno richiamano la disposizione trascritta – la c.d. metamorfosi da organo di controllo in organo (anche) di alta amministrazione e di gestione è destinata a non realizzarsi. Il disagio e le incertezze del legislatore della riforma sono mostrati, d’altronde, da ulteriori dati non riscontrabili negli altri sistemi che hanno optato per il modello dualistico (sopra, n. 4.1), pur ribadendo la sottolineatura che – contrariamente a quanto correntemente si opina – non esiste nei paesi dell’Unione un’omogeneità del modello. I dati cui alludo sono, ancora una volta, contenuti nel citato art. 2409-terdecies. In primo luogo, nella stessa norma riportata del 1° comma, lett. f-bis, là dove proclama che il consiglio di sorveglianza «delibera», quando è, per contro, certo anche a livello comparatistico che la [continua ..]


5. La responsabilità della società di revisione ex art. 165-quater, 4° comma, t.u.f.: cenni

La nuova disciplina della revisione contabile realizzata dalla c.d. legge sulla tutela del risparmio è stata già oggetto di apprezzabili studi (Buta; Fortunato; Presti) i quali, da un lato, fanno rimarcare una sorta di ritorno all’antico, con l’esaltazione della sua rilevanza pubblicistica attraverso un rinnovato controllo della CONSOB (anche se da ultimo dimezzato: art. 159, 5° comma, t.u.f. modificato dal d.lgs. n. 303/2006, che non prevede più l’invio alla medesima CONSOB della delibera di conferimento dell’incarico alla società di revisione); dall’altro, esaminano i profili della responsabilità soprattutto verso i terzi, dando anche conto delle tendenze, a livello internazionale, a porre ad essa dei limiti quantitativi. Mi limito, pertanto, a rinviare, su questo argomento, a detti scritti. Un cenno desidero dedicare, tuttavia, ad un profilo particolare di siffatta responsabilità: alla norma, cioè, dell’art. 165-quater, 4° comma, t.u.f., la quale prescrive che – nel caso di controllo da parte di società italiana con azioni quotate di una società con sede in un paese off-shore – «il bilancio della società estera controllata, allegato al bilancio della società italiana ai sensi del 1° comma, è sottoposto a revisione ai sensi dell’art. 165 da parte della società incaricata della revisione del bilancio della società italiana; ove la suddetta società di revisione non operi nello Stato in cui ha sede la società estera controllata, deve avvalersi di altra idonea società di revisione, assumendo la responsabilità dell’operato di quest’ul­tima». Non è semplice spiegare la natura di questa responsabilità. Si potrebbe pensare ad una fattispecie di responsabilità ex art. 1228 c.c. per fatto degli ausiliari, oppure ad una nuova fattispecie di responsabilità oggettiva (o, se si preferisce, di impresa), ma non mi sento di escludere che, in realtà, non si tratti tanto di una responsabilità (nemmeno oggettiva), quanto piuttosto di una nuova fattispecie di garanzia, comparabile a quella dei promotori nella costituzione di società per pubblica sottoscrizione (art. 2339 c.c.: citazioni in PORTALE, Mancata attuazione, p. 673; adde, Corrias; parzialmente in termini, [continua ..]


6. Una breve riflessione sulla nuova disciplina italiana della società quotata

Una sintetica valutazione della nuova disciplina della società quotata – racchiusa, da un lato, nella riforma del 2003, dall’altro, nel t.u.f. novellato dai c.d. decreti legislativi sulla tutela del risparmio – costringe ad evidenziare che è sottesa una diversa filosofia ai due corpi normativi (quello della riforma del 2003 e quello del t.u.f. modificato): il primo sembra ispirato – come altra volta ho scritto – da una sorta di intento punitivo nei confronti del piccolo azionista (basti pensare alla disciplina della invalidità delle delibere assembleari), mascherato dalla introduzione dell’azione sociale di responsabilità da parte della minoranza e/o da parte del collegio sindacale (artt. 2393 e 2393-bis), in ogni caso controbilanciata dalla sottrazione al pubblico ministero del potere (per la verità, nelle società «chiuse») di attivare la procedura del controllo giudiziale. Il testo unico della finanza modificato appare, per contro, conformato dall’esigenza di tutela del piccolo azionista nella configurazione moderna dell’investitore istituzionale organizzato (si pensi alla nomina di rappresentanti delle minoranze nel consiglio di amministrazione o negli organi di controllo: artt. 147 e 148 ss. t.u.f.) capace di ridurre le asimmetrie informative rispetto al gruppo di controllo (Gambino; Mazzoni). In una prospettiva più di vertice è poi possibile dire che tutto il diritto della s.p.a. riformato sembra oscillare tra un neo-contrat­tualismo di tipo nostrano (diverso, quindi, da quello legato alla teoria del nexus of contract: è sufficiente richiamare la nuova disciplina del recesso) ed un neo-istituzionalismo, forse, non solo di tipo manageriale (si ponga mente, ancora una volta, alla rinnovata «pubblicizzazione» della revisione contabile, e alla moltiplicazione delle norme imperative nel t.u.f. rinnovato in contrapposizione alla accentuata tendenza alla deregulation della riforma del 2003: v., anche, Montalenti, Amministrazione). Ed a questo proposito non è difficile rimarcare lo sfasamento rispetto agli ultimi orientamenti del Principio 1.P.2. del «Codice di autodisciplina» italiano [là dove afferma che gli amministratori agiscono e deliberano … perseguendo l’obiettivo prioritario della creazione di valore per gli azionisti (e [continua ..]


NOTE
Fascicolo 1 - 2007