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1. Gli ostacoli alle fusioni transfrontaliere e il diritto comunitario - 2. I principi di fondo della decima direttiva - 3. La fattispecie di riferimento della direttiva: a) il concetto di fusione transfrontaliera; b) la nozione di società di capitali; c) l'ambito territoriale - 4. I conflitti tra ordinamenti nazionali tra principio di parificazione della fusione transfrontaliera alla fusione interna e principio di prevalenza dell'ordinamento più liberale - 5. Disciplina del procedimento di fusione: A) regolamentazione della fase decisionale; B) regolamentazione della fase esecutiva - 6. Il problema della efficacia della decima direttiva nella fase antecedente al suo recepimento - NOTE
La politica comunitaria sull’impresa vede con favore le fusioni transfrontaliere tra società di capitali di diversi Stati membri. Si ravvisa una «necessità di cooperazione e di raggruppamento» tra dette società [[1]] al fine di sviluppare le imprese europee e rafforzarne la posizione sui mercati internazionali, pur con il rispetto della normativa antitrust interna e comunitaria. Nel contempo, con l’eliminazione degli ostacoli alle fusioni transfrontaliere si contribuisce a dare piena attuazione ai principi di libertà di stabilimento di cui agli artt. 43 e 48 CE, poiché attraverso la fusione le imprese organizzate in forma societaria attuano il loro trasferimento all’interno della UE senza previamente sopportare le complicazioni, i tempi lunghi e i costi connessi con la liquidazione delle società e la loro ricostituzione in altro Stato [[2]]: un risultato – il trasferimento infracomunitario – che la fusione permette di raggiungere nel rispetto della continuità dell’impresa, senza interruzioni nell’esercizio dell’attività. Alle fusioni transfrontaliere le normative nazionali per un verso frappongono ostacoli e per altro verso difettano di regolamentazione sufficiente e idonea a tutelare tutti gli interessi coinvolti dall’operazione straordinaria. Gli ostacoli provengono da quelle normative nazionali che vietano la fusione transfrontaliera o che non la prevedono, ove tale mancata previsione si traduca, in sede di interpretazione, in inammissibilità o improcedibilità dell’operazione [[3]]. Problemi di regolamentazione insufficiente sono presenti dappertutto, anche in Stati che, come l’Italia, ammettono la fusione transfrontaliera (e il trasferimento di sede all’estero), sia pure sotto la condizione della conformità alle leggi di tutti gli Stati interessati (art. 25, 3° comma, legge n. 218/1995, d’ora innanzi d.i.p.) [[4]]. L’insufficienza si manifesta sotto due profili: per l’impossibilità o la difficoltà di rispettare disposizioni inconciliabili o scarsamente compatibili, ove ne sia il caso, tra le normative nazionali [[5]], per quanto armonizzate dalla attuazione della Terza Direttiva (78/855/CEE) sulle fusioni di s.p.a.; per l’inadeguatezza delle abituali norme di protezione [continua ..]
Se gli obiettivi della direttiva in esame sono enunciati nel primo e nel secondo «considerando» e consistono nell’agevolare la cooperazione e il raggruppamento tra società di capitali soggette alle legislazioni di differenti Stati membri e nel rimuovere gli ostacoli normativi alla fusione transfrontaliera diversi da quelli posti alla fusione interna, i principi sono espressi negli altri «considerando» e si possono così riassumere: – tendenziale parificazione alla fusione interna, ovvero applicazione, ove non diversamente disposto, delle disposizioni e delle formalità della legge che per ogni società coinvolta sarebbero applicabili se essa si fondesse con (e desse luogo ad) altra società soggetta alla medesima legge; – disapplicazione delle norme interne contrastanti con le libertà comunitarie di stabilimento e di circolazione dei capitali [[12]], quando le restrizioni imposte non siano giustificate da esigenze di interesse generale secondo un criterio di necessità e proporzionalità; – identificazione di un contenuto minimo comune del progetto di fusione; – assoggettamento a pubblicità della fusione sia quando viene progettata sia quando viene realizzata; – regolamentazione a livello nazionale della relazione degli esperti, anche comuni; – distinzione, in ordine al controllo sul riscontro degli elementi della fattispecie «fusione transfrontaliera» e sulla conformità alla legge dei segmenti procedimentali di cui consta, tra processo decisionale interno alle società coinvolte e realizzazione della fusione: per demandare il controllo sul primo all’autorità nazionale competente per la singola società interessata e il controllo sulla seconda all’autorità nazionale competente in relazione alla società incorporante o nata dalla fusione; – fissazione della data di efficacia della fusione mediante rinvio alla regola a tal riguardo individuabile secondo la legge della società incorporante o nata dalla fusione, anche per individuare il momento a partire dal quale un vizio della fusione non può più determinarne la nullità; – tutela dei diritti di partecipazione e di coinvolgimento dei lavoratori, ove già riconosciuti in almeno una delle società partecipanti alla fusione, perché essi non vengano [continua ..]
La fattispecie di riferimento che segna l’ambito di applicazione della direttiva si ritrova nell’art. 1 e consiste di tre elementi: a) l’operazione: una fusione, secondo la nozione offerta dall’art. 2, § 2, e con la precisazione di cui all’art. 3, § 1; b) i soggetti che la realizzano: le società di capitali, secondo la nozione offerta dall’art. 2, § 1, e con le precisazioni di cui all’art. 3, §§ 2 e 3; c) l’ambito territoriale di rilevanza comunitaria, come espresso dallo stesso art. 1. a) L’operazione di fusione qui tenuta in considerazione riprende la nozione già formulata nella Terza Direttiva (artt. 3, 4 e 19). Essa è contraddistinta dall’estinzione (scioglimento senza liquidazione) delle società incorporate o fuse in senso stretto con trasferimento del loro intero patrimonio all’incorporante o a società costituita per effetto della fusione. Salvo che l’incorporante sia socio unico delle incorporate, ai soci di ogni società estinta per effetto della fusione devono essere assegnate azioni o quote dell’incorporante o della società nata dalla fusione, con un eventuale conguaglio non superiore al 10% del valore nominale o contabile delle azioni o quote assegnate[[13]]. Come è noto, la riforma societaria italiana, con la modifica dell’art. 2504-bis c.c., ha eliminato ogni riferimento normativo all’estinzione delle società incorporate o fuse in senso stretto e ha conservato la dizione già esistente circa l’assunzione di diritti e obblighi di queste (in luogo del trasferimento del loro patrimonio), rafforzandola con la prosecuzione di tutti i pregressi rapporti da parte dell’incorporante o della società nata dalla fusione. Il lessico adoperato accentua il profilo della modifica organizzativa del rapporto sociale in una prospettiva di continuità dell’impresa che indubbiamente contraddistingue la fusione e si rapporta alla sua funzione economica concentrativa e non dissolutiva [[14]]. Ciononostante a parere di molti permangono nel sistema i caratteri di un fenomeno anche estintivo, oltre che non liquidativo, del soggetto giuridico che non sopravvive alla fusione, e di un fenomeno (in senso lato) successorio, nel patrimonio di quest’ultimo, in favore del soggetto [continua ..]
L’art. 4 della Direttiva in esame individua le uniche ipotesi nelle quali è lecito per una legge nazionale ostacolare la fusione transfrontaliera: si tratta di due ipotesi riconducibili al principio di parificazione della fusione transfrontaliera alla fusione interna. Si è in precedenza notato come tale principio non venga accolto nella sua interezza, poiché non mancano casi nei quali una fusione interna non sarebbe attuabile (o, meglio, non sarebbe attuabile a determinate condizioni: conguaglio superiore al 10%; modifica del rapporto di cambio a fusione realizzata), mentre lo sarebbe una fusione transfrontaliera, se in uno degli ordinamenti interessati una corrispondente fusione interna fosse realizzabile [[43]]. Viceversa, per l’art. 4 cit., è possibile che nell’ordinamento di una delle società coinvolte la corrispondente fusione interna non sia realizzabile, perché quella legge nazionale non consente la fusione i) per ragioni tipologiche: si tratta, cioè, di un tipo di società al quale la legge nazionale non permette di fondersi con ogni altra società di diritto interno; ii) per motivi di interesse pubblico: in vista dei quali alle autorità nazionali è concesso di opporsi ad una fusione con altre società di diritto interno; ed allora per le stesse ragioni non è realizzabile nemmeno una fusione transfrontaliera – nel caso (ii), in quanto l’autorità nazionale competente eserciti il potere di opposizione –, benché analoghi limiti non si incontrino nell’ordinamento nazionale dell’altra società coinvolta nella fusione. Sembra, dunque, che la Direttiva, pur partendo dal principio della parificazione tendenziale della fusione transfrontaliera alla fusione interna, quando si trovi a dover conciliare ordinamenti interni caratterizzati da soluzioni differenti sul piano dell’ammissibilità delle fusioni interne, spinga a distinguere tra: a) ipotesi nelle quali per uno degli ordinamenti interessati la corrispondente fusione interna non èmaiammissibile (di diritto o per effetto di opposizione dell’autorità nazionale competente): in tali casi la parificazione tra fusione transfrontaliera e fusione interna è effettuata con riferimento all’ordinamento nazionale più restrittivo e allora la prima, come la seconda, [continua ..]
Sul piano procedimentale nella fusione sono individuabili, in linea di massima, due fasi: A) una fase decisionale interna ad ogni singola società; B) una fase esecutiva della fusione e realizzativa dei suoi effetti comune a (o che vede partecipi o interessate) tutte le società coinvolte. A) La regolamentazione dellafase decisionaleviene in via di principio affidata dalla Direttiva alla legge nazionale delle singole società interessate (art. 4, § 1, lett. b), ma con le eccezioni di cui in appresso, e viene intesa in senso lato. Infatti, per l’art. 4, § 2, essa comprende non soltanto il procedimento deliberativo – che inizia con la tipica informazione pre-assembleare (o comunque pre-decisionale) basata sulla conoscibilità del progetto di fusione (e documenti accessori) e termina con la delibera dell’organo competente e la relativa pubblicità – ma anche gli strumenti di protezione degli stakeholders della singola società, cioè dei suoi creditori, obbligazionisti, possessori di titoli o quote, lavoratori, nonché dei soci di minoranza contrari alla fusione. Tale fase è conclusa dal rilascio del certificato preliminare alla fusione da parte della competente autorità nazionale di controllo della fase decisionale di cui all’art. 10. Peraltro non sono poche le disposizioni della Direttiva, inerenti a tale fase, che prevalgono sulle eventualmente diverse disposizioni nazionali. Esse si prefiggono di potenziare o migliorare la qualità del flusso informativo proveniente dalle società coinvolte in vista della maggiore complessità e delicatezza della fusione transfrontaliera rispetto a quella interna. a) In primo luogo occorre tener conto degli elementi del progetto comune di fusione transfrontaliera quali indicati dall’art. 5. Rispetto al contenuto del progetto di fusione di cui all’art. 2501-terc. e (in minor misura) all’art. 5 della Terza Direttiva, il primo si presenta più ricco di informazioni sui seguenti punti: i) di forma/tipo, denominazione e sede statutaria della società derivante dalla fusione occorre dare speciale evidenza (art. 5, lett.a), non bastando quella assicurata dalla inclusione nel progetto, o allegazione al medesimo, dell’atto costitutivo e dello statuto della società stessa (art. 5, lett.i); ii) dei problemi attinenti al [continua ..]
La direttiva in commento deve essere attuata entro il 15 dicembre 2007. È bene porsi sin d’ora il problema della rilevanza delle sue disposizioni prima che ne venga data attuazione da parte del legislatore italiano. In linea di principio non si dà (necessaria) efficacia diretta – ovvero non mediata dal recepimento effettuato dal legislatore nazionale – di una direttiva, a meno che sia scaduto il termine per il recepimento, senza che esso sia avvenuto, e le disposizioni siano incondizionate e sufficientemente precise, cioè a tal punto dettagliate da non richiedere un’opera di completamento/adattamento con scelte opzionali da parte dei legislatori nazionali [[73]]. Se ne dovrebbe desumere che sino alla data sopra ricordata, o a quella del recepimento, se tempestivo, la direttiva sulla fusione transfrontaliera esplica gli effetti – di rimozione degli eventuali ostacoli posti dagli ordinamenti interni – quali riassunti alla fine del § 1 del presente studio, ma non pretende di immediatamente incidere sul contenuto del progetto di fusione, sulle relazioni dell’organo gestorio, sui controlli di legittimità e relative attestazioni e, più in generale, sulla disciplina del procedimento di fusione. Un problema di immediata incidenza, allora, si avrebbe certamente: i) dopo il 15 dicembre 2007 nel difetto di tempestiva emanazione di una normativa nazionale di attuazione; ii) prima del 15 dicembre 2007, dal momento della emanazione di una normativa nazionale di attuazione, al fine di apprezzarne la coerenza con, e il rispetto del, diritto comunitario, che prevale in caso di contrasto. È probabile, però, che vi sia un’ulteriore ipotesi da considerare sullo stesso piano delle precedenti. Si consideri l’eventualità che prima del 15 dicembre 2007, in assenza di una legge interna di attuazione della direttiva, una società italiana si fondi con altra società assoggettata ad ordinamento comunitario che abbia già provveduto ad attuare la direttiva. Quest’ultima società dovrà ottemperare a quanto disposto dalla direttiva, ma ciò porterà anche la società italiana a dover rispettare (in larga parte) quanto previsto dalla direttiva: infatti il progetto comune di fusione non potrà che essere conforme a quanto stabilisce l’art. 5; in caso di esperti comuni non potrà [continua ..]