Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Luci e ombre dei codici etici d'impresa (di Serenella Rossi  )


  
SOMMARIO:

1. Genesi e successiva evoluzione dell'autodisciplina su base etica delle imprese - 2. I contenuti dei codici etici e alcuni profili problematici: le incertezze sulla legittimità e sull'efficacia (o effettività) delle regole 'etiche' - 3. La legittimità degli impegni di responsabilità sociale assunti volontariamente dall'impresa e la nozione di interesse sociale - 4. I problemi di legittimità di alcune regole di condotta ispirate a principi e valori 'etici' - 5. L'efficacia (o effettività) delle norme etiche alla luce delle loro caratteristiche di struttura e contenuto - 6. L'effettività degli impegni di responsabilità sociale e il bilanciamento degli interessi in conflitto - 7. (Segue). Responsabilità sociale, modelli organizzativi e limiti alla discrezionalità degli amministratori - 8. Il ruolo dell'ordinamento giuridico nel favorire e garantire la legittimità e l'effi­cacia dei codici etici - 9. Conclusioni


1. Genesi e successiva evoluzione dell'autodisciplina su base etica delle imprese

L’adozione di codici etici come fonte di autoregolazione del comportamento delle imprese è fenomeno relativamente recente. Il suo esordio avviene negli Stati Uniti intorno agli anni ’60-’70 [[1]]. Più recentemente (anni ’80-’90) anche le imprese europee iniziano a dotarsi di codici etici o di condotta la cui diffusione è tuttora crescente, secondo formule più articolate, che si esprimono a diversi livelli di regolazione (codici etici aziendali, di categoria, accanto a codici elaborati da organizzazioni ed istituzioni internazionali che le imprese possono adottare in modo volontario). Per cogliere le motivazioni del fenomeno ed individuare la specifica missione che a tali codici è affidata è importante considerare il momento storico in cui si origina la prassi dell’auto­regolazione dell’impresa con norme definite “etiche”, cioè prive di fonte e di sanzione giuridica ed ispirate a valori generalmente condivisi dalla collettività, riferibili a diritti e doveri riconosciuti come “naturali”, e in quanto tali dominanti, a principi di libertà, dignità e uguaglianza morale degli individui. Nella seconda metà del secolo scorso, infatti, inizia a mutare la percezione pubblica del ruolo dell’impresa nella società. L’osservazione degli effetti collaterali, non sempre virtuosi e benefici, che l’attività d’impresa orientata al profitto è in grado di procurare conduce alla consapevolezza che l’iniziativa imprenditoriale, se apporta utilità e benessere alla società in quanto motore del progresso e dello sviluppo economico, ciò non di meno è in grado di esporre a rischio e danno beni ed interessi fondamentali degli individui e della comunità (salute, ambiente, sicurezza, dignità umana), mentre il suo potere economico può indurla a comportamenti opportunistici, di sfruttamento delle controparti e dei terzi in genere. Sul piano ideologico, oltre che teorico, si afferma così la convinzione che l’impresa possa avere cittadinanza nel sistema sociale solo ove assuma un impegno di cura, protezione e precauzione per il bene della società in cui opera. In questa dimensione il comportamento etico che si chiede all’impresa non rimanda tanto al rispetto di vincoli morali astratti, quanto soprattutto alla [continua ..]


2. I contenuti dei codici etici e alcuni profili problematici: le incertezze sulla legittimità e sull'efficacia (o effettività) delle regole 'etiche'

Si può dire che al momento attuale i codici etici si presentano come un contenitore di regole eterogenee. Esse possono essere raggruppate, per comodità di analisi, in due tipologie: le regole che consacrano impegni di responsabilità sociale, e che come tali sono destinate ad operare oltre la legge, o in sua assenza, (regole normalmente poste a carico dei soggetti dotati di un qualche potere discrezionale) e regole che hanno funzione collaterale, ancillare o propedeutica alla legge vigente (normalmente poste a carico di tutti coloro che operano nell’organizzazione e per l’organizzazione). Per entrambe si pongono problemi di legittimità e di efficacia (o effettività) che, dopo la prima fase, quasi alluvionale, di produzione di codici etici, cominciano ad essere osservati. La legittimità va in questo caso intesa come coerenza e compatibilità della regola etica con il contesto di principi etici e giuridici in cui si pone, e quindi anche come capacità di contenere, e non già di alimentare, i dilemmi morali e i conflitti tra norme (etiche e giuridiche) che il comportamento degli individui nell’organizzazione può trovarsi a fronteggiare. Per efficacia o effettività si intende invece l’idoneità della regola ad incidere realmente sul comportamento dei destinatari anche grazie alla sua intrinseca attitudine ad essere in qualche modo azionata. Per ciascuna delle due tipologie di regole i segnalati problemi si presentano con diverse caratteristiche ed intensità, ma nell’insieme sollevano non pochi dubbi sulla reale funzionalità di queste norme ad orientare la condotta delle imprese e dei loro operatori verso modelli effettivamente virtuosi e portano nuovamente l’attenzione sulla validità di soluzioni di regolazione delle attività economiche rimesse essenzialmente all’autodisciplina.


3. La legittimità degli impegni di responsabilità sociale assunti volontariamente dall'impresa e la nozione di interesse sociale

Un problema di legittimità si pone anzitutto per quelle disposizioni dei codici etici che affidano agli amministratori il compito di attuare l’impegno che l’impresa pubblicamente assume nei confronti dei suoi stakeholder, anche oltre le prescrizioni di legge, chiedendo ai suoi manager di realizzare la mediazione o il bilanciamento tra eventuali interessi in conflitto [[9]]. Sempre in modo espresso molti codici dichiarano che tale impegno costituisce parte integrante del dovere di diligenza che la legge pone a carico degli amministratori e che in quanto tale appartiene al novero delle obbligazioni da essi contrattualmente assunte nel rapporto instaurato con la società. I problemi che una simile impostazione solleva sono molteplici. Innanzitutto la natura contrattuale di tali prescrizioni pare assai dubbia, almeno nella maggior parte dei casi. Quando infatti i codici etici siano approvati soltanto dal consiglio di amministrazione (come generalmente avviene) è quantomeno azzardato ritenere che, almeno sul piano formale, siano gli stessi amministratori a poter dettare il contenuto del loro obbligo di diligenza e fedeltà nei confronti della società e pertanto a determinare unilateralmente il contenuto della loro obbligazione contrattuale. Le conclusioni potrebbero mutare ove il codice etico fosse approvato dall’assemblea, come in alcuni casi accade [[10]]. Quando tuttavia il codice etico espressamente imponga il rispetto delle regole in esso contenute anche ove ciò richieda di sacrificare l’interesse al profitto dell’impresa [[11]] c’è da chiedersi quanto ciò sia compatibile con la concezione dominante in materia di interesse sociale che individua quest’ultimo, in via esclusiva, nella massimizzazione del valore per l’azionista [[12]]. Il tema dell’interesse sociale e della conseguente missione affidata agli amministratori rappresenta il punto cruciale di ogni riflessione sull’etica degli affari e sulla responsabilità sociale del­l’impresa, anche di fronte all’iniziativa dell’impresa di acquisire volontariamente tale impostazio­ne all’ambito della propria organizzazione interna, attraverso le regole dell’autodisci­plina. L’istituzionalizzazione della responsabilità sociale dell’impresa nei termini appena accennati mette infatti sullo stesso piano [continua ..]


4. I problemi di legittimità di alcune regole di condotta ispirate a principi e valori 'etici'

Più prossime all’area regolata dal diritto, ma non meno problematiche sotto il profilo della legittimità, sono pure quelle regole etiche che consistono in regole di condotta in senso stretto, attinenti al comportamento e alle scelte degli individui all’interno dell’organizzazione, molto spesso poste a carico dei dipendenti e dei collaboratori nell’interesse non solo di terzi, ma anche dell’impresa stessa. Molte sono norme di etica privata che chiedono a tutti i soggetti che operano per l’impresa e nell’impresa di rispettare regole morali generalissime, quali le regole di correttezza e buona fede, di lealtà, imparzialità, fedeltà, di rispetto degli impegni assunti e delle leggi esistenti. Si tratta, generalmente, di norme al confine tra la morale e il diritto, molto affini a quelle clausole o principi generali che lo stesso ordinamento giuridico contempla e che sono in molti casi espressione dell’obbligo, già imposto dal diritto ai consociati, di rispetto della legalità sostanziale. L’ampio spazio dedicato dai codici etici a simili disposizioni, attraverso l’affermazione di principi generali e la successiva accurata elencazione delle regole di dettaglio che ne costituiscono specificazione, mira essenzialmente a creare e a rafforzare un sistema di valori ispirato a modelli espliciti e condivisi dalla dirigenza, che orienti e formi il comportamento degli operatori ai diversi livelli della gerarchia interna. Regole di questo tipo agirebbero più che altro sul terreno culturale, fornendo al personale di ogni livello gerarchico più chiare indicazioni sull’interpretazione della legge esistente, nelle sue possibili implicazioni e nel suo significato sostanziale, con effetto sui comportamenti e sulle dinamiche relazionali interne all’organizzazione (ad es. la specificazione dei comportamenti e degli atti vietati in un codice di condotta, nonché l’indicazione dei profili di legalità sostanziale degli atti e delle decisioni, dovrebbero rendere più facile a dipendenti e collaboratori valutare la legittimità dei propri comportamenti come delle richieste provenienti dai superiori gerarchici). L’impatto di queste regole sembra quindi potersi apprezzare più sul piano sociologico che su quello normativo. Non si può tuttavia escludere una loro rilevanza ulteriore e per certi versi [continua ..]


5. L'efficacia (o effettività) delle norme etiche alla luce delle loro caratteristiche di struttura e contenuto

Il problema dell’efficacia (o effettività) delle regole etiche assume massima importanza ove la regolazione su base etica tenda a colmare il vuoto lasciato dal­l’at­tività di normazione promanante da fonti legislative, e quindi a sostituirsi alla legge. Direi anzi che questo problema conduce al più ampio e scottante interrogativo circa l’idoneità del­l’au­to­disciplina in materia di attività economiche ad offrire alla collettività un sistema di vantaggi e garanzie almeno equivalente a quello che il sistema di regolazione tradizionale potrebbe assicurare. Ad esempio, la promulgazione di codici etici di livello sovranazionale, se favorisce la convergenza dell’autoregolazione su fomule e valori validati e condivisi, proprio per questo non può che limitarsi a proporre principi generalissimi, naturalmente destinati ad una incerta e controversa applicazione. Ove le imprese aderiscano a tali codici limitandosi a riprodurre nei documenti aziendali le norme e i principi espressi al livello superiore, si tratterà di norme troppo vaghe e astratte per regolare con il dovuto grado di certezza e coerenza i conflitti che tipicamente investono l’attività d’impresa. In alternativa, le imprese dovrebbero essere chiamate a dare sviluppo e specificazione a quei principi generali nella redazione dei propri codici aziendali. È tuttavia difficile aspettarsi che l’impresa, nel darsi le proprie regole di autodisciplina, assuma un serio impegno ad assicurare l’effettivo e pieno raggiungimento di quegli obbiettivi di rilievo sociale rispetto ai quali essa potrebbe risultare molto spesso controinteressata [[20]] e quindi provveda alla redazione del proprio codice etico con l’obbiettivo di porsi vincoli stringenti e ineludibili. Il problema dell’effettività delle norme etiche si pone quindi, prima ancora che sul piano della loro applicazione, sul piano dei loro contenuti, considerando che affidare all’impresa il compito di formulare regole in grado di comporre seriamente il conflitto tra il proprio interesse al profitto e gli interessi esterni di tipo sociale potrebbe non garantire un risultato normativo realmente conforme a valori etici e avere esiti quantomeno insufficienti e inadeguati. Sotto altro profilo, anche se le norme private così elaborate rispondessero pienamente ai requisiti di una [continua ..]


6. L'effettività degli impegni di responsabilità sociale e il bilanciamento degli interessi in conflitto

L’effettività degli impegni di responsabilità sociale contenuti nei codici etici sembra suscettibile di essere messa in crisi anche sulla base di valutazioni di tipo tecnico. Una delle obiezioni che viene frequentemente prospettata di fronte alla possibilità di concepire un impegno degli amministratori a gestire la società nella prospettiva multistakeholder è infatti relativa alla oggettiva difficoltà tecnica di operare il richiesto bilanciamento di interessi e al rischio che ciò possa promuovere un’estensione incontrollabile della discrezionalità degli amministratori, più idonea a favorire che a contrastare situazioni di conflitto di interessi o di infedeltà di questi ultimi [[25]]. Se questa obiezione fosse insuperabile, bisognerebbe arrivare a conclusioni drastiche. L’im­possibilità tecnica di mediare correttamente tra una pluralità di interessi e le inefficienze che da tale attività di mediazione potrebbero derivare dovrebbero portare ad escludere la praticabilità di ogni impegno di responsabilità sociale assunto nella gestione dell’impresa. I codici etici, almeno nelle parti in cui agli amministratori si affida il compito di bilanciare i molteplici interessi coinvolti, andrebbero addirittura vietati perché idonei a trarre in inganno il pubblico dei possibili destinatari promettendo comportamenti che agli amministratori non potrebbero mai essere legittimamente richiesti. È stato tuttavia osservato che un’opera di bilanciamento o mediazione tra interessi potenzialmente in conflitto non sia del tutto estranea all’esercizio del potere discrezionale degli amministratori pur ove finalizzato a perseguire in esclusiva l’interesse dei soci. Ciò accade quando la stessa compagine sociale esprima istanze diverse, che si evidenziano non solo nella tradizionale divergenza tra interesse dei soci di controllo ed interessi delle minoranze (come tra interesse al profitto di breve o lungo termine), ma anche, attualmente, nella domanda che promana da quegli investitori per i quali il perseguimento di obbiettivi di rango sociale o ambientale rientra tra le ragioni dell’investimento (fondi etici o investitori socialmente responsabili) [[26]]. Resta il problema di capire se questa attività sia suscettibile di essere valutata nel suo risultato, non solo dal mercato (ciò [continua ..]


7. (Segue). Responsabilità sociale, modelli organizzativi e limiti alla discrezionalità degli amministratori

La valutazione dell’adempimento degli impegni di responsabilità sociale assunti nel codice etico si rivela difficile, a ben guardare, solo se si configuri l’impegno al bilanciamento degli interessi come un impegno di risultato, rimesso alla piena discrezionalità degli amministratori. È infatti problematico individuare quale sia il corretto livello di contemperamento tra una pluralità di interessi più o meno confliggenti e verosimilmente l’esercizio del potere discrezionale applicato ad una simile operazione potrebbe dare luogo a risultati diversi, tutti ugualmente giustificabili e quindi legittimi [[27]]. Il problema sembra invece ridimensionarsi ove la discrezionalità degli amministratori sia in qualche modo controllata o limitata dalle stesse prescrizioni del codice etico. Questo accade sia quando gli obbiettivi sociali o ambientali siano perseguiti imponendo agli amministratori l’ob­bligo di conformarsi a regole o criteri sufficientemente determinati (un esempio è il caso in cui si richieda agli amministratori di rispettare le regole vigenti in un paese occidentale, o nella comunità europea, in materia di emissioni dannose per l’ambiente anche nelle attività svolte dall’im­presa in paesi privi di una legislazione conforme), sia quando l’impegno etico sia configurato dal codice essenzialmente come un impegno di mezzi, quindi come impegno della società a porre concretamente in essere iniziative adeguate a conseguire gli obbiettivi indicati nel codice, eventualmente individuando, in via preventiva, anche la quantità di risorse finanziarie da destinarvi. Gli impegni assunti in termini generali nel codice etico dovrebbero quindi essere specificati e contestualizzati attraverso la previsione di regole attuative e di misure organizzative coerenti, che si strutturino intorno alla previsione di piani di intervento affidati ad uffici e procedure dedicati (ad es. l’attivazione e il finanziamento di ricerche finalizzate alla massima riduzione del­l’impatto ambientale ove la società si sia assunta l’impegno di proteggere l’ambiente anche oltre le prescrizioni di legge; la predisposizione di regole e procedure per la valutazione del personale, ai fini della determinazione delle carriere, ove la società si sia assunta l’impegno di assicurare ai dipendenti una progressione legata a [continua ..]


8. Il ruolo dell'ordinamento giuridico nel favorire e garantire la legittimità e l'effi­cacia dei codici etici

Se l’esigenza di procedimentalizzare in qualche modo l’impegno etico che l’impresa assume è generalmente avvertita, anche allo scopo di rendere maggiormente osservabile il grado di conformità del suo comportamento alle regole in esame, resta il problema di individuare le strategie e le soluzioni più idonee a promuovere tale attività di specificazione e procedimentalizzazione dell’impegno etico assunto, e in quest’opera il diritto pare avere un ruolo decisivo. L’intervento dell’ordinamento può tuttavia ipotizzarsi secondo formule diverse. Accanto a posizioni scettiche, scarsamente fiduciose nella possibilità che siano le stesse imprese a darsi vincoli più definiti e stringenti, orientate pertanto a ritenere che l’efficacia delle regole etiche possa essere seriamente garantita solo dall’acquisizione dei loro contenuti nell’ambito della legge vera e propria [[30]], si registrano posizioni più favorevoli a soluzioni intermedie, capaci di coniugare l’autodisciplina con l’eteroregolazione. Si propone così che per legge siano formulati “codici dei codici”, in cui siano fissati i criteri per la redazione dei codici etici interni e siano indicati alcuni parametri e requisiti da rispettare, necessari ad assicurarne l’efficacia. Tra questi il carattere sufficientemente circostanziato delle regole poste, la previsione di articolati sistemi di verifica, controllo e sanzione, nonché di procedure finalizzate a garantire la pubblicità non solo dell’adozione del codice, ma del grado di compliance e di sua specifica attuazione attraverso appositi strumenti di reporting [[31]]. In alternativa si propone di introdurre un sistema di incentivi e sanzioni che possa condurre le imprese ad assolvere in modo più serio e tecnicamente adeguato il proprio impegno etico. In tal caso le soluzioni prospettate si basano sulla previsione di una responsabilità per violazione delle regole (giuridiche o etiche) e del valore esimente accordato al rispetto di codici di condotta che rispondano a sufficienti requisiti di precisione, coerenza ed effettività [[32]]. Ciò presuppone tuttavia che la violazione di quelle regole sia riconosciuta dal sistema come fonte di responsabilità rilevante sul piano giuridico. Non sempre però è così. Le norme etiche [continua ..]


9. Conclusioni