Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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L'aumento del capitale sociale nelle s.r.l. (di Marco Saverio Spolidoro)


  
SOMMARIO:

1. Attribuzione agli amministratori della competenza per la decisione di aumento del capitale - 2. Decisione di aumento del capitale e composizione dell'organo amministrativo - 3. Decisione di aumento del capitale da parte dell’organo amministrativo e procedimento - 4. Decisione di aumento gratuito del capitale e competenza degli amministratori - 5. Contenuto della decisione degli amministratori di aumento del capitale. Modalità e limiti dell'aumento. Decisione di aumento con conferimenti non in danaro - 6. Decisione degli amministratori di aumento del capitale ed esclusione o limitazione del diritto proporzionale di sottoscrizione dei soci - 7. Pubblicità della decisione degli amministratori di aumento del capitale - 8. Sanzioni delle violazioni dell'art. 2481, 1° comma, c.c. - 9. Divieto di offerta in sottoscrizione dell'aumento del capitale in presenza di conferimenti ancora dovuti - 10. Sanzioni delle violazioni dell'art. 2481, 2° comma, c.c. - 11. Aumento del capitale a pagamento. Contenuto della decisione di aumento del capitale - 12. (Segue). Diritto di sottoscrizione dei soci in proporzione alle rispettive partecipazioni. Trasferimento del diritto - 13. (Segue). Previsione nell'atto costitutivo della possibilità di escludere o limitare il diritto proporzionale di sottoscrizione dei soci - 14. (Segue). Decisione di escludere o limitare (in concreto) il diritto di sottoscrizione proporzionale dei soci - 15. (Segue). Aumento di capitale con assegnazione di quote dotate di diritti speciali - 16. (Segue). Violazione del diritto proporzionale di sottoscrizione dei soci - 17. (Segue). Collocamento della parte dell'aumento di capitale non sottoscritta dagli aventi diritto - 18. (Segue). Inscindibilità e scindibilità dell’aumento di capitale - 19. (Segue). Aumento di capitale e assegnazione dell'aumento 'non proporzionale' al conferimento - 20. (Segue). Liberazione dell'aumento di capitale - 21. (Segue). Aumento di capitale con conferimenti in natura o di crediti - 22. (Segue). Aumento di capitale non in danaro e diritto proporzionale di sottoscrizione dei soci - 23. (Segue). Pubblicità, efficacia ed effetti dell'aumento di capitale - 24. Aumento di capitale gratuito e s.r.l. - 25. (Segue). Riserve disponibili ed aumento di capitale gratuito - 26. (Segue). Aumento di capitale gratuito ed effetti sulle partecipazioni di soci - 27. (Segue). Partecipazione all'aumento di capitale gratuito e deroghe contenute nell'atto costitutivo - 28. (Segue). Aumento di capitale gratuito e pregiudizio di singoli soci - NOTE


1. Attribuzione agli amministratori della competenza per la decisione di aumento del capitale

L’art. 2463, 2° comma, n. 4, c.c. stabilisce che l’atto costitutivo della s.r.l. «deve indicare», tra l’altro, «l’ammontare, non inferiore a diecimila euro, del capitale sottoscritto». Letteralmente il capitale sottoscritto è quello conferito dai soci (artt. 2464, 1° comma, e 2481-bis, 2° e 3° comma, c.c.) e non sempre coincide con il capitale sociale. L’ammontare del capitale sociale può infatti essere influenzato dal passaggio di riserve a capitale (art. 2481-ter c.c.) ovvero da riduzioni di capitale (artt. 2482 ss. c.c.). Tuttavia, al momento della costituzione della società, il capitale sottoscritto e il capitale sociale si identificano. Per questo motivo la formulazione dell’art. 2463, 2° comma, n. 4, c.c. può ragionevolmente essere interpretata nel senso che, al di là della formulazione letterale e secondo l’intenzione del legislatore, qualunque modificazione del capitale sociale (e non solo quelle del capitale sottoscritto) comporti una modificazione dell’atto costitutivo. Del resto questa interpretazione è confermata dall’inserimento della disciplina dell’aumento gratuito e della riduzione di capitale, che non toccano il capitale sottoscritto in senso stretto, nella sezione del capo VII intitolata «Delle modificazioni dell’atto costitutivo». La decisione di aumentare il capitale sociale, in quanto incide sull’atto costitutivo, di regola spetta ai soci e specificamente appartiene alla competenza assembleare [[1]]. L’art. 2481, 1° comma, c.c. permette che alla regola sia fatta eccezione, prevedendo che «l’atto costitutivo può attribuire agli amministratori la facoltà di aumentare il capitale sociale, determinandone i limiti e le modalità di esercizio» [[2]]. Non si tratta, se non impropriamente, di una delega agli amministratori di poteri dei soci, ma dell’attribuzione di un potere organizzativo avente ad oggetto la variazione dell’atto costitutivo nella parte contenente l’indicazione dell’ammontare del capitale [[3]]. Nel caso in cui l’atto costitutivo abbia loro assegnato il potere di decidere l’aumento di capitale, gli amministratori esercitano perciò una competenza propria, non una competenza derivata [[4]]. La clausola attributiva della competenza agli [continua ..]


2. Decisione di aumento del capitale e composizione dell'organo amministrativo

L’art. 2481, 1° comma, c.c., dice che la facoltà di aumentare il capitale può essere attribuita «agli amministratori». È pacifico che il sostantivo «amministratori» significa «organo amministrativo» (cfr. art. 2475, 4° comma, c.c.). Questo significa che, nelle società che adottano un organo amministrativo unipersonale, la facoltà di aumentare il capitale può essere attribuita all’amministratore unico [[9]]. Ci si può chiedere se la facoltà di aumentare il capitale possa essere attribuita ad un singolo socio ai sensi dell’art. 2468, 3° comma, c.c., vale a dire come diritto «riguardante l’ammini­strazione della società e la distribuzione degli utili». La lettera della legge sembra escluderlo perché «in ogni caso sono riservate alla competenza dei soci (...) le modificazioni dell’atto costitutivo» (art. 2479, 2° comma, n. 4, c.c.), perché inoltre «le modificazioni dell’atto costitutivo sono deliberate dall’assemblea dei soci a norma dell’art. 2479 bis» (art. 2480 c.c.) e perché infine la deroga prevista nell’art. 2481, 1° comma, c.c. consente l’attribuzione della competenza sull’aumento di capitale «agli amministratori», e non ai soci, sia pure quando siano investiti di diritti particolari. In altre parole, l’art. 2479, 2° comma, c.c. impedisce che le modificazioni dell’atto costitutivo possano – in linea di principio – essere riservate ad un singolo socio; mentre l’art. 2481, 1° comma, c.c. consente eccezionalmente, in deroga all’art. 2480, che la competenza sia assegnata ad un organo sociale, investito di particolari responsabilità. A questo proposito si deve ricordare che la responsabilità del socio investito di diritti particolari riguardanti l’amministrazione è più limitata di quella che si assumono gli amministratori, anche tenendo conto della regola dettata dall’art. 2476, 7° comma, c.c. Si deve tuttavia osservare, in via di fatto, che i diritti del socio «riguardanti l’ammini­strazione della società» possono essere talmente vasti da consentire comunque all’autonomia privata di pervenire al risultato pratico di riservare ad un singolo socio il potere di decidere [continua ..]


3. Decisione di aumento del capitale da parte dell’organo amministrativo e procedimento

Quando vi sia un amministratore unico investito della facoltà di aumentare il capitale, la decisione di procedere all’aumento non pone particolari questioni. La decisione deve tuttavia essere fatta risultare per atto di notaio e deve essere depositata ed iscritta a norma dell’art. 2436 c.c., come esplicitamente è richiesto dall’art. 2481, 1° comma, c.c. [[11]]. Nel caso in cui vi sia un organo amministrativo pluripersonale, la formazione della decisione degli amministratori merita maggiore attenzione. Il 5° comma dell’art. 2475 c.c. stabilisce che «le decisioni di aumento del capitale ai sensi dell’art. 2481 sono in ogni caso di competenza dell’organo amministrativo»: dal coordinamento con il 3° comma si potrebbe dedurre che non è consentito prevedere nell’atto costitutivo che la decisione sia adottata congiuntivamente o disgiuntivamente dagli amministratori; in altre parole, anche quando l’atto costitutivo preveda, come regola, l’amministrazione disgiuntiva (o congiuntiva), per esercitare la facoltà di aumentare il capitale occorre una deliberazione del consiglio di amministrazione [[12]]. Tuttavia, a ben vedere, la conclusione vale sicuramente solo riguardo al caso dell’amministrazione disgiuntiva. Diversamente, nelle s.r.l. che abbiano adottato il sistema di amministrazione congiuntiva, sembra che comunque il consiglio di amministrazione dovrebbe deliberare all’unani­mità o, quanto meno, con il voto favorevole di tutti gli amministratori che partecipano all’am­ministrazione congiuntiva [[13]]. Questa conclusione si regge su un’argomentazione a fortiori, dato che l’opzione per l’amministrazione congiuntiva esprime una volontà diretta a garantire l’unanimità delle decisioni gestionali. Senza dubbio si può presumere che questa volontà tanto più «forte» quanto maggiore è l’importanza della materia su cui si decide. Si è anche sostenuto che la decisione del consiglio di amministrazione potrebbe essere assunta soltanto nel rispetto del metodo collegiale in senso «forte» (con l’esclusione delle decisioni «adottate mediante consultazione scritta o sulla base del consenso espresso per iscritto»: art. 2475, 4° comma, c.c.). In questo senso si invocano principalmente due argomenti: da un [continua ..]


4. Decisione di aumento gratuito del capitale e competenza degli amministratori

La disposizione dell’art. 2481, 1° comma, c.c. non distingue fra aumento a pagamento ed aumento gratuito. In dottrina si discute [[17]]. Alcuni ritengono che gli amministratori non potrebbero decidere in materia di aumento gratuito del capitale [[18]]. Per sostenere questa conclusione si muove dalla considerazione che l’aumento gratuito presuppone un atto di disposizione delle riserve, cioè una decisione che spetta ai soci. Ma l’argomento è inconsistente. Infatti la norma che assegna ai soci la competenza in materia di destinazione dell’utile ha lo stesso rango di quella che permette di attribuire agli amministratori la facoltà di aumentare il capitale: se quest’ultima va intesa nel senso che gli amministratori possono decidere (se l’atto costitutivo lo permette) di imputare riserve a capitale, non si può che concludere che essa deroga al principio per cui, di regola, la destinazione dell’utile di bilancio è di competenza dei soci (allo stesso modo in cui essa deroga anche al principio per cui sono di competenza dei soci le modificazioni dell’atto costitutivo). Altrettanto inconsistenti sono gli altri argomenti portati dalla dottrina [[19]] a favore della «non delegabilità» dell’aumento gratuito: che in presenza di un capitale aumentato sia aumentato il rischio di eventuali perdite a carico dei soci è una illazione irragionevole, come è irragionevole temere che l’aumento gratuito faciliti la diluizione delle partecipazioni dei soci [[20]] oppure che, avendo la deliberazione di aumento gratuito effetto immediato, «diversamente dal diritto di opzione non sarebbe data ai soci alcuna sfera residua di libertà» [[21]]. Pare evidente che se i soci, nelle s.r.l., non hanno un diritto, ma (come nelle s.p.a.) solo un’aspettativa alla distribuzione degli utili, il fatto che gli amministratori, in base alla legge e allo statuto, possano disporre delle riserve disponibili vincolandole a capitale non costituisce alcuna lesione delle prerogative dei soci. Considerata la filosofia liberista della riforma e la formula ampia della disposizione, si può concludere che l’atto costitutivo può investire gli amministratori della facoltà di aumentare il capitale gratuitamente. Ma occorre una previsione espressa? Oppure è sufficiente una clausola che abiliti [continua ..]


5. Contenuto della decisione degli amministratori di aumento del capitale. Modalità e limiti dell'aumento. Decisione di aumento con conferimenti non in danaro

Il 1° comma dell’art. 2481 c.c. recita testualmente: «L’atto costitutivo può attribuire agli amministratori la facoltà di aumentare il capitale sociale, determinandone i limiti e le modalità di esercizio». La struttura grammaticale della frase non permette di stabilire con certezza se l’atto costitutivo «deve» fissare limiti e modalità o se tale indicazione è solo eventuale [[26]]. La maggioranza degli interpreti, suggestionata dall’idea che la norma dell’art. 2481 c.c. preveda una delega agli amministratori di poteri dell’assemblea, fa riferimento all’art. 2443 c.c. e ritiene che sia necessario quanto meno stabilire l’ammontare massimo dell’aumento ed un limite temporale entro il quale gli amministratori potrebbero esercitare i loro poteri [[27]]. Il consenso su queste conclusioni viene cementato invocando una parola d’ordine ad effetto, vale a dire che non sarebbero ammissibili «deleghe in bianco». Tuttavia si discute in merito a cosa, in particolare, l’atto costitutivo dovrebbe stabilire. È anche incerto se vi siano limiti specifici all’autonomia statutaria. Sembra invece preferibile muovere dal principio che l’art. 2481 c.c. e l’art. 2443 c.c. sono norme del tutto indipendenti fra di loro; in un certo senso questo principio è anche confermato dal fatto che l’art. 2481 c.c. evita accuratamente di far riferimento al concetto di «delega» e prevede al contrario l’assegnazione di una particolare competenza all’organo amministrativo. Inoltre non si può dimenticare che la direttiva dettata dalla legge di delega della riforma del diritto delle società di capitali impegnava il legislatore a concedere, per le s.r.l., maggiori spazi all’autonomia privata di quelli (anch’essi da aumentare) concessi alle società per azioni. Né si può obiettare che la legge delega contiene anche il principio secondo cui le decisioni idonee ad incidere sulla sfera soggettiva dei soci debbano essere rimesse ai soci [[28]], perché nel caso la competenza dei soci è salvaguardata dalla necessità di una previsione statutaria della competenza degli amministratori. Si deve insomma escludere che dall’art. 2443 c.c. si possano desumere le condizioni minime cui la legge, in ipotesi, subordinerebbe [continua ..]


6. Decisione degli amministratori di aumento del capitale ed esclusione o limitazione del diritto proporzionale di sottoscrizione dei soci

Si discute se l’atto costitutivo possa investire gli amministratori del potere di aumentare il capitale a pagamento con esclusione del diritto di sottoscrizione dei soci. A favore di questa possibilità si fa valere l’argomento che, nelle s.r.l., la soppressione del diritto proporzionale di sottoscrizione dei soci richiede una espressa previsione dell’atto costitutivo, preesistente alla deliberazione di aumento del capitale: ma una volta che tale previsione sia effettivamente introdotta, nulla vieterebbe che la soppressione o la limitazione del diritto di sottoscrizione fosse oggetto di una delibera di aumento adottata dagli amministratori [[44]]. Si obietta che l’esclusione del diritto di sottoscrizione non è una semplice modalità esecutiva dell’aumento, ma l’oggetto di una distinta facoltà, che può essere attribuita agli amministratori solo quando la legge lo prevede (come avviene nell’art. 2443 c.c.), ma non quando la legge tace (come nell’art. 2481, 1° comma, c.c.) [[45]]. Tuttavia questa considerazione non è decisiva. L’art. 2481-bis, 1° comma, c.c. dice che «l’atto costitutivo può prevedere (...) che l’aumento di capitale possa essere attuato anche mediante offerta di quote di nuova emissione a terzi». Sembra perciò che, secondo il lessico legislativo, l’offerta dell’aumento di capitale a terzi sia proprio una modalità di attuazione dello stesso, con il che cade la premessa del ragionamento qui esaminato [[46]]. Si obbietta anche che l’attribuzione agli amministratori della facoltà di non offrire ai soci l’aumento di capitale non si accorderebbe con la disposizione dell’art. 2481-bis, 1° comma, c.c. che riconosce il diritto di recesso ai soci che non hanno consentito alla decisione di aumento del capitale con esclusione del diritto di sottoscrizione [[47]]. L’esercizio del diritto di recesso presuppone infatti il dissenso, manifestato in assemblea, dei soci che intendono esercitarlo. Non sarebbe infatti possibile adattare l’interpretazione delle norme al caso in esame: anche la previsione nell’atto costitutivo di una specifica ipotesi di recesso da esercitare in caso di esclusione del diritto di sottoscrizione decisa dagli amministratori non sarebbe sufficiente [[48]], perché si realizzerebbe un (illegittimo) [continua ..]


7. Pubblicità della decisione degli amministratori di aumento del capitale

La seconda parte dell’art. 2481, 1° comma, c.c. prevede che il verbale della decisione di aumento del capitale adottata dagli amministratori sia depositato e iscritto «a norma dell’art. 2436». Il riferimento all’art. 2436 c.c. comporta che il notaio, rilevata una (presunta) illegittimità della decisioni degli amministratori, debba rifiutarsi di procedere alla pubblicazione. Si discute se si applichi integralmente il 3° comma dell’art. 2436 c.c. oppure se siano necessari adattamenti. L’art. 2436, 3° comma, c.c. stabilisce che gli amministratori, ricevuta la comunicazione del rifiuto del notaio, devono convocare l’assemblea nei trenta giorni successivi, perché questa adotti «gli opportuni provvedimenti»; in alternativa è possibile il ricorso al Tribunale: se questa disposizione venisse applicata letteralmente, il rifiuto dell’omologa «notarile» comporterebbe una sorta di trasferimento della competenza dall’organo amministrativo all’assemblea. Questa conclusione è stata difesa sulla base della premessa, inesatta, che la competenza dell’organo amministrativo nelle decisioni relative all’aumento di capitale non sarebbe qualificabile «come un potere naturale dell’organo medesimo ma come potere derivato dai soci», sicché sarebbe giustificato dedurre che, «allorquando vi sia il fondato (sulle riserve notarili) sospetto che l’organo delegato non abbia fatto legittimo uso del potere attribuitogli, tale potere torni ad essere esercitato da quei soggetti che ne sono i naturali titolari, riuniti nel proprio organo amministrativo» [[57]]. Sembra preferibile, invece, la tesi secondo la quale il riferimento all’art. 2436 c.c. vale nei limiti della «compatibilità» con la fattispecie: perciò, se il notaio rifiuta la c.d. omologazione, la parola sugli «opportuni provvedimenti» torna all’organo amministrativo [[58]]. L’assemblea può tuttavia intervenire per revocare o modificare la decisione degli amministratori (v. sopra).


8. Sanzioni delle violazioni dell'art. 2481, 1° comma, c.c.

Quali sono le conseguenze giuridiche della decisione di aumento di capitale assunta dagli amministratori in mancanza di una clausola dell’atto costitutivo che li abiliti a deliberare l’operazione? La fattispecie non sembra molto probabile, ma ha comunque sollecitato alcuni autori a prendere posizione in merito [[59]]. Sulla base della premessa che «la clausola dell’atto costitutivo non si limita a rimuovere un limite ad un potere che spetterebbe comunque agli amministratori (secondo il meccanismo proprio dell’autorizzazione), bensì conferisce loro un potere che altrimenti non avrebbero», una dottrina conclude nel senso che la decisione degli amministratori sarebbe in tal caso «radicalmente inefficace, in quanto incidente su una materia sottratta alla loro competenza» [[60]]. Trattandosi di inefficacia, non dovrebbe essere necessaria un’azione (costitutiva) a carattere impugnatorio, essendo sufficiente, occorrendo, un’azione di accertamento. La stessa dottrina aggiunge che, in caso di esecuzione della decisione assunta dagli amministratori ultra vires, il vizio sarebbe opponibile ai terzi sottoscrittori (ed ai soci) «in ragione della pubblicità a cui è sottoposto l’atto costitutivo e, quindi, del regime di pubblicità legale per tale via istituito in ordine al suo contenuto» [[61]]. A conferma di questa conclusione si può rilevare che, nella fattispecie, non potrebbe trovare applicazione l’art. 2475-bis, 2° comma, c.c.: questa disposizione presuppone infatti che l’atto costitutivo limiti poteri naturalmente propri degli amministratori, mentre l’art. 2481, 1° comma, c.c. prevede il caso opposto, in cui l’atto costitutivo conferisce agli amministratori un potere di cui essi normalmente non dispongono. Altra dottrina ha invece sostenuto che la decisione di aumento del capitale, adottata dagli amministratori in base ad una «delega» nulla sarebbe impugnabile per nullità [[62]]. A maggior ragione, si può pensare, deve essere ritenuta nulla una decisione di aumento del capitale adottata dagli amministratori in difetto della necessaria previsione dell’atto costitutivo. Seguendo questa tesi, al caso in esame si applicherebbero sia le norme relative all’opponibilità ai terzi dei vizi degli aumenti di capitale, sia quelle relative ai termini per impugnare le [continua ..]


9. Divieto di offerta in sottoscrizione dell'aumento del capitale in presenza di conferimenti ancora dovuti

Il 2° comma dell’art. 2481 c.c. stabilisce che «La decisione di aumentare il capitale sociale non può essere attuata fin quando i conferimenti precedentemente dovuti non sono stati integralmente eseguiti». La norma detta una disposizione pacificamente applicabile soltanto all’aumento di capitale a pagamento [[63]]. Peraltro è altrettanto sicuro che la norma si applica non solo agli aumenti di capitale decisi dagli amministratori, ma anche a quelli decisi dall’assemblea [[64]]. La prima conclusione è sorretta sia dalla lettera sia dalla ratio della legge. La ratio del divieto di attuare l’aumento di capitale prima che «i conferimenti precedentemente dovuti non sono stati integralmente eseguiti» è infatti chiaramente quella di impedire alle società di raccogliere nuovi mezzi prima di aver riscosso i crediti sui conferimenti ancora dovuti, a tutela della società dei rapporti giuridici e della integrità del capitale. Poiché l’aumento di capitale gratuito non comporta l’afflusso di nuovi conferimenti alla società, si può ritenere che il divieto riguardi soltanto l’aumento a pagamento. Quanto alla formulazione letterale del 2° comma, il divieto di «attuare» la decisione di aumentare il capitale può riguardare soltanto deliberazioni in cui il momento della decisione e quello dell’attuazione non coincidono (come nel caso dell’aumento di capitale a pagamento): mentre l’aumento di capitale gratuito si realizza per effetto immediato e diretto della iscrizione della decisione nel registro delle imprese [[65]]. Quanto all’applicazione del 2° comma anche agli aumenti di capitale decisi dall’assemblea è addirittura ovvia, alla luce dell’intenzione del legislatore e delle motivazioni sottostanti alla disciplina. Anche su altri aspetti della norma vi è sostanziale accordo tra gli interpreti: anzitutto sul fatto che essa non vieta di assumere la decisione di aumentare il capitale, ma solo quella di eseguirla, offrendo l’aumento in sottoscrizione. Questa conclusione si ricava agevolmente dalla storia della norma corrispondente dettata in materia di s.p.a. (art. 2438 c.c.), che era richiamata per le s.r.l. dal vecchio art. 2495 c.c. In secondo luogo è pacifico che l’elemento ostativo all’attuazione dell’aumento [continua ..]


10. Sanzioni delle violazioni dell'art. 2481, 2° comma, c.c.

Si discute sulle conseguenze dalla violazione dell’art. 2481, 2° comma, c.c.: parte della dottrina ritiene applicabile per analogia l’art. 2438, 2° comma, c.c. ed in sostanza propone di considerare comunque valida la sottoscrizione, salva la responsabilità degli amministratori [[69]]. Altri autori, giustamente, ritengono che le differenze fra l’art. 2438 c.c. e l’art. 2481, 2° comma, c.c. siano giustificate dalla diversità tipologica fra s.r.l. e s.p.a., non sussistendo per le prime le esigenza di tutela del pubblico risparmio che tipicamente contraddistinguono le seconde [[70]]. È stato anche notato che la previsione del 2° comma dell’art. 2438 c.c. è strettamente connessa all’emissione delle azioni e alla sottoscrizione di azioni emesse, vale a dire ad un’esigenza di «tutela cartolare» non ricorrente nel caso delle s.r.l. [[71]]. In applicazione di questa più persuasiva opinione si deve ritenere, che le sottoscrizioni raccolte in violazione dell’art. 2481, 2° comma, c.c. non siano valide e che al sottoscrittore spetti soltanto il risarcimento del danno, se ne ricorrano i presupposti [[72]].


11. Aumento del capitale a pagamento. Contenuto della decisione di aumento del capitale

La decisione di aumentare il capitale a pagamento [[73]], da qualunque organo sia assunta (assemblea ovvero amministratori), deve almeno indicare la misura monetaria del­l’aumento [[74]] e/o del nuovo ammontare del capitale sociale [[75]]. In mancanza la decisione non potrebbe neppure essere classificata come decisione di aumento del capitale. Si può discutere se al caso della mancata indicazione della misura dell’aumento o del nuovo capitale si applichi o no l’art. 2479-ter c.c. (che richiama, «in quanto compatibili», le disposizioni dell’art. 2379-ter c.c.), con la conseguente sottoposizione dell’azione di invalidità ad un termine, sia pure lungo, di decadenza. Pare preferibile ritenere che una pretesa decisione di aumentare il capitale dalla quale non risulti o non possa essere desunta la misura dell’aumento sia del tutto inefficace o ripetitiva della legge (perché si limiterebbe a confermare la possibilità astratta di un futuro incremento del capitale). Se non è stabilito diversamente nella decisione, si intende che l’aumento di capitale deve essere liberato in danaro [[76]], eventualmente utilizzando versamenti già effettuati dai sottoscrittori o facendo ricorso alla compensazione con finanziamenti dei soci o altri crediti vantati nei confronti della società. Sui conferimenti non in danaro, v. oltre. «La decisione di aumento del capitale prevede l’eventuale sopraprezzo e le modalità ed i termini entro i quali può essere esercitato il diritto di sottoscrizione», riservato ai soci in proporzione del capitale posseduto (art. 2481-bis, 2° comma, c.c.). Il termine per esercitare il diritto di sottoscrizione non può essere inferiore a trenta giorni «dal momento in cui viene comunicato ai soci che l’aumento di capitale può essere sottoscritto» (art. 2481-bis, 2° comma, c.c.): a questo riguardo è opportuno tener presente che, fermo restando il fatto che la decorrenza del termine non è opponibile al socio cui non sia stata fatta la comunicazione, il momento iniziale della sottoscrizione può essere stabilito direttamente nella decisione di aumentare il capitale o può essere fissato successivamente dalla persona indicata nella stessa decisione o, in difetto, dagli amministratori [[77]]. Qualora sia fissato un termine inferiore a [continua ..]


12. (Segue). Diritto di sottoscrizione dei soci in proporzione alle rispettive partecipazioni. Trasferimento del diritto

Dai primi tre commi dell’art. 2481-bis c.c. si può dedurre che, nelle s.r.l., vige una regola (derogabile) in forza della quale l’aumento di capitale a pagamento non può determinare il cambiamento delle percentuali di partecipazione al capitale di nessuno dei soci. Infatti ogni socio ha diritto di sottoscrivere l’aumento in proporzione della partecipazione da esso posseduta (1° comma); se uno di essi non esercita il suo diritto, gli amministratori non possono offrire la parte dell’aumento rimasta scoperta né agli altri soci né a terzi (2° comma) e l’intera operazione viene a cadere (3° comma) [[85]]. Gli aventi diritto alla sottoscrizione dell’aumento di capitale possono senz’altro rinunciare ad esercitare tale diritto, ed in questo senso può affermarsi che il diritto è disponibile [[86]], ma in tal caso la parte dell’aumento di capitale non sottoscritta non si accresce automaticamente a favore degli altri soci: anzi, in difetto di diverse disposizioni dell’atto costitutivo, l’aumento di capitale verrebbe addirittura a cadere (si veda il 3° comma dell’art. 2481-bis c.c.). Ci si chiede se, in mancanza di diversa disposizione dell’atto costitutivo o della decisione di aumento, i soci possano trasferire ad altri soci o a terzi il diritto di sottoscrizione loro spettante. A favore della trasferibilità del diritto di sottoscrizione si può anzitutto invocare il confronto con la disciplina «parallela» della s.p.a., nella quale è pacifico che il diritto di opzione previsto dall’art. 2441 c.c. può essere ceduto alla stessa stregua e con gli stessi limiti previsti statutariamente per le azioni [[87]]. Si può anche osservare che la legge non esclude esplicitamente la disponibilità del diritto mediante trasferimento, in un contesto nel quale è peraltro evidente la volontà di disciplinare la materia nei più minimi dettagli: il che può giustificare l’illazione che l’omissione di un divieto espresso sia voluta. Infine è possibile rilevare che, se non potesse vendere il suo diritto, il socio non consenziente all’aumento potrebbe agevolmente far fallire l’operazione, semplicemente non sottoscrivendone la sua parte: in tal modo, però, egli sarebbe sostanzialmente investito di un diritto di veto, in [continua ..]


13. (Segue). Previsione nell'atto costitutivo della possibilità di escludere o limitare il diritto proporzionale di sottoscrizione dei soci

Le deroghe alla norma secondo la quale nelle s.r.l. il capitale può essere aumentato solo se tutti i soci sottoscrivono in proporzione delle rispettive partecipazioni possono essere ordinate in due diverse classi. Da una parte si devono considerare i casi in cui la sottoscrizione viene «riservata» a terzi, oppure a uno o più soci, ma non in proporzione delle partecipazioni; dall’altra parte i casi in cui l’aumento è sottoscritto da terzi, o dai soci in misura non proporzionale alla partecipazione, senza che sia limitato o escluso il diritto di sottoscrizione proporzionale. La legge contempla espressamente solo una delle ipotesi della prima classe, quella in cui l’aumento di capitale sia riservato in tutto o in parte a «terzi»: in questo caso l’atto costitutivo deve prevedere in astratto la fattispecie, la decisione di aumento del capitale deve in concreto contenere la riserva e i soci che non hanno consentito alla decisione che concretamente li priva del diritto di sottoscrivere proporzionalmente (o lo limita) hanno diritto di recedere nelle forme, nei modi e con gli effetti previsti dall’art. 2473 c.c. (v. art. 2481-bis, 1° comma, c.c.). Inoltre è previsto che l’aumento di capitale non può essere riservato a terzi, nemmeno in parte, quando ricorra l’ipotesi contemplata nell’art. 2482-ter c.c. (reintegrazione del capitale in caso di perdite superiori ad un terzo, tali da ridurre la copertura del capitale al di sotto del minimo legale). Si può ritenere che, in base ad un ragionamento a fortiori, l’aumento di capitale possa essere riservato anche ad uno o più soci, con l’osservanza delle stesse regole [[91]]. Infatti sarebbe illogico ed innaturale ritenere che sia precluso ai soci ciò che è permesso ai terzi. Ci si deve chiedere, invece, se il diritto di essere preferito agli altri soci nella sottoscrizione dell’aumento di capitale possa essere oggetto di un diritto individuale di uno o più singoli soci ai sensi dell’art. 2468, 3° comma, c.c.: questione alla quale si deve rispondere affermativamente, se si condivide la tesi (peraltro discussa) secondo la quale il 3° comma dell’art. 2468 c.c. deve essere interpretato con una certa larghezza [[92]]. In ogni caso, ammesso che sia legittimo attribuire ad uno o più soci il diritto di essere preferiti agli altri [continua ..]


14. (Segue). Decisione di escludere o limitare (in concreto) il diritto di sottoscrizione proporzionale dei soci

La previsione astratta, nell’atto costitutivo, della possibilità di escludere o limitare il diritto di sottoscrizione dei soci non abilita gli amministratori ad offrire ai terzi l’aumento di capitale deciso dall’organo competente, se il sacrificio dei soci non sia stato oggetto di un’ulteriore decisione in concreto [[101]]. La deliberazione di aumentare il capitale derogando in concreto al diritto dei soci alla sottoscrizione del capitale in proporzione delle rispettive partecipazioni non è tuttavia esplicitamente subordinata né alla sussistenza di un interesse sociale che lo esiga [[102]] (anche se, come si vedrà fra poco, questo non significa che siano legittimati anche gli abusi della maggioranza), né al fatto che il conferimento abbia oggetto diverso dal danaro; non occorre fornire particolari motivazioni, né seguire speciali regole procedimentali (salvo quelle eventualmente dettate dall’atto costitutivo); non è necessario fissare un sopraprezzo (cfr. invece l’art. 2441 c.c.) [[103]]. La clausola dell’atto costitutivo che prevede l’astratta possibilità di sacrificare i soci e di collocare l’aumento di capitale presso terzi o presso i soci in misura non proporzionale può comunque stabilire che siano osservate disposizioni specifiche e perfino richiamare in tutto o in parte le norme vigenti per le s.p.a. L’unico limite è dato dalla regola per cui né l’atto costitutivo né la decisione di aumento del capitale possono privare i soci del loro diritto di sottoscrizione proporzionale nel caso previsto dall’art. 2482-ter c.c. La tutela dei soci si realizza, sul piano legislativo, attraverso l’attribuzione del diritto di recesso [[104]], che spetta senza dubbio sia nel caso di soppressione sia nel caso di limitazione del diritto [[105]] (cfr. art. 2473 c.c.). Il valore della partecipazione rilevante ai fini del recesso deve essere determinato con riferimento alla situazione precedente all’aumento del capitale [[106]]. Si applica ad ogni modo la disciplina legale e statutaria del recesso [[107]]. La formula della legge non sembra ammettere che questo diritto possa essere soppresso dall’atto costitutivo, neppure compensandone la soppressione per mezzo della imposizione di un sopraprezzo per l’aumento di capitale o attraverso altre misure che [continua ..]


15. (Segue). Aumento di capitale con assegnazione di quote dotate di diritti speciali

In dottrina è stato sostenuto che, qualora in sede di aumento del capitale, siano assegnati ai sottoscrittori delle nuove quote dei diritti speciali ai sensi dell’art. 2468, 3° comma, c.c., si verificherebbe una situazione equiparabile a quella di un aumento di capitale con esclusione del diritto di opzione [[114]]. La stessa dottrina osserva peraltro che il diritto di recesso è comunque riconosciuto dall’art. 2473 c.c. per ogni modificazione rilevante dei diritti dei soci e conclude nel senso che «sarà quindi possibile, in sede di aumento del capitale, attribuire ai soci diritti speciali, ma se ciò incide sui diritti degli altri soci, come verosimilmente inciderà, allora si avrà comunque un diritto di recesso da parte degli altri soci, anche indipendentemente dall’applica­zione della causa di recesso conseguente all’esclusione o limitazione dell’opzione» [[115]]. Queste conclusioni paiono ineccepibili. Tuttavia esse trovano fondamento soprattutto nella regola dettata dall’art. 2468, 4° comma, c.c., secondo cui «salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo e salvo in ogni caso quanto previsto dall’art. 2473, 1° comma», i diritti speciali qui considerati possono essere modificati «solo con il consenso di tutti i soci». È infatti più che plausibile che questa disciplina valga anche per l’introduzione ex novo di tali diritti speciali e, di conseguenza, essa si applica anche quando i diritti speciali siano attribuiti ai sottoscrittori di quote di nuova emissione [[116]].


16. (Segue). Violazione del diritto proporzionale di sottoscrizione dei soci

La violazione del diritto dei soci di sottoscrivere l’aumento in proporzione della rispettiva partecipazione può verificarsi a livello dell’atto costitutivo, a livello di decisione di aumento del capitale e a livello di esecuzione della decisione. La violazione a livello di atto costitutivo può manifestarsi in pratica in due fattispecie: previsione della possibilità di sacrificare il diritto dei soci anche nel caso dell’art. 2481-ter c.c. e soppressione del diritto di recesso. In ambedue i casi sembra che la sanzione adeguata sia l’applicazione della norma imperativa violata, con il meccanismo della nullità parziale. Tuttavia, nel caso dell’introduzione di clausole viziate nell’atto costitutivo, si pone una difficile questione di coordinamento con le disposizioni dell’art. 2479-ter c.c. La decisione di aumentare il capitale può a sua volta violare il diritto di sottoscrizione dei soci quando lo sopprime o lo limita in mancanza di una apposita clausola dell’atto costitutivo ed in assenza delle condizioni alle quali è possibile configurare una deroga implicita (v. sopra). In tal caso (sempre che non consti il consenso di tutti i soci) la decisione di aumento del capitale è invalida [[117]] e si applica l’art. 2479-ter c.c. Tuttavia, salvi gli effetti della sanatoria del vizio in mancanza di tempestiva impugnazione degli aventi diritto, si deve escludere che i terzi sottoscrittori siano tutelati ai sensi dell’art. 2475-bis, 2° comma, c.c. [[118]]: il divieto di collocare l’aumento se non presso soci ed in proporzione delle rispettive partecipazioni non è infatti un limite del potere degli amministratori posto dall’atto costitutivo, ma una limitazione prevista dalla legge, che l’atto costitutivo semmai può rimuovere. Chi abbia subito danno potrà far valere le responsabilità degli amministratori ed eventualmente dei soci (art. 2476 c.c.). Per il caso in cui i diritti dei soci vengano violati in sede di esecuzione di una decisione d’aumento formalmente regolare, v. invece sopra il § 1.


17. (Segue). Collocamento della parte dell'aumento di capitale non sottoscritta dagli aventi diritto

La regola generale risultante dalla combinazione dei primi tre commi dell’art. 2481-bis c.c. (in forza della quale, di norma, l’aumento di capitale a pagamento non deve determinare un cambiamento delle percentuali di partecipazione dei soci al capitale della s.r.l.) può essere derogata anche senza incidere sul diritto di sottoscrizione proporzionale dei soci. In primo luogo, infatti, «la decisione può anche consentire, disciplinandone le modalità, che la parte dell’aumento non sottoscritta da uno o più soci sia sottoscritta dagli altri soci o da terzi» (art. 2481-bis, 2° comma, c.c.) [[119]]. A maggior ragione una previsione di tale contenuto potrebbe entrare a far parte dell’atto costitutivo. Non pare fondata la tesi secondo cui l’offerta del c.d. inoptato ai terzi deve essere preventivamente prevista in astratto dall’atto costitutivo [[120]]. In particolare, questa opinione non trova sostegno nella lettera della legge e non può essere motivata semplicemente invocando il carattere personale (e tendenzialmente chiuso) della s.r.l. nella riforma del 2003. Allo stesso modo, l’argomento del carattere personale della s.r.l. non giustifica la conclusione, inaccettabile, secondo cui non sarebbe ammissibile riservare l’inoptato ai soli terzi estranei alla compagine sociale [[121]]. Nulla, insomma, impedisce che, a favore dei soci che abbiano sottoscritto la loro parte di aumento, si preveda il diritto di prelazione sulla parte non sottoscritta da altri soci [[122]]; e per altro verso, si può prevedere che la parte dell’aumento non sottoscritta dagli aventi diritto sia offerta esclusivamente a terzi non soci o ad una persona predeterminata [[123]]. La legge lascia ampio spazio di manovra, fermo restando il divieto di sollecitazione all’investimento dettato dall’art. 2468, 1° comma, c.c. [[124]]. La violazione delle regole dettate dalla decisione (o dall’atto costitutivo) comporta la responsabilità degli amministratori. Si applica il 2° comma dell’art. 2475-bis c.c.


18. (Segue). Inscindibilità e scindibilità dell’aumento di capitale

L’aumento di capitale, nelle s.r.l., è inscindibile solo se la «deliberazione» o «decisione» di aumento non abbia stabilito diversamente (3° comma dell’art. 2481-bis c.c.) [[125]]. Anche in questo caso la clausola di deroga può essere validamente contemplata anche dall’atto costitutivo, non essendovi alcuna ragione per ritenere che il legislatore abbia voluto imporre che si decida caso per caso. Se l’aumento di capitale è inscindibile, è evidente che gli effetti dell’aumento si verificano soltanto a condizione che, entro il termine stabilito per la conclusione dell’operazione, siano raccolte sottoscrizioni sufficienti a coprire l’intero aumento. Anche quando l’aumento fosse scindibile, gli effetti della sottoscrizione si verificano solo quando sia decorso il termine finale per la sottoscrizione. Tuttavia la decisione di aumento del capitale può prevedere che l’attua­zione dell’aumento possa avvenire per tranches, a determinate scadenze o con altri simili tecniche che incentivino i sottoscrittori ad accelerare le proprie decisioni e li spingano a non attendere l’ultimo momento disponibile per sottoscrivere l’aumento. In dottrina è stato esattamente sostenuto che «ove la delibera di aumento del capitale non abbia previsto la possibilità di aumento parziale, deve ritenersi che alla società non sia consentito, mediante una successiva assemblea straordinaria, deliberare la conservazione dell’aumen­to nella misura ridotta raggiunta» [[126]]. All’argomento fondato sul tenore letterale della disposizione si accompagna la considerazione del fatto che, seguendo la tesi contraria, si lascerebbe alla maggioranza la facoltà di cambiare ex post le regole del gioco ai danni dei soci che, fidando nella inscindibilità dell’aumento, avessero lasciato scadere i termini dell’esercizio del loro diritto di sottoscrizione. Naturalmente, con il consenso di tutti i soci, o quanto meno di tutti i soci che non abbiano esercitato il diritto di sottoscrizione, la scindibilità può essere introdotta a posteriori.


19. (Segue). Aumento di capitale e assegnazione dell'aumento 'non proporzionale' al conferimento

Il legislatore non ha richiamato, nel contesto della disciplina degli aumenti di capitali a pagamento, il 1° comma dell’art. 2464 c.c., secondo il quale «il valore dei conferimenti non può essere complessivamente inferiore all’ammontare globale del capitale sociale»; non è richiamata neppure la regola contenuta nel 2° comma dell’art. 2468 c.c. secondo cui «se l’atto costitutivo non prevede diversamente, le partecipazioni dei soci sono determinate in misura proporzionale ai conferimenti». Malgrado ciò, si può considerare senza dubbio consentito che, anche in sede di aumento del capitale, a taluni sottoscrittori siano attribuite partecipazioni non proporzionali al conferimento effettuato, purché sia coperto dal valore complessivo dei conferimenti ricevuti l’intera misura dell’aumento [[127]]. A questo scopo tuttavia occorre non solo che la decisione di aumentare il capitale contempli espressamente i dettagli dell’operazione, ma anche che si tenga conto di una serie di ulteriori considerazioni. Anzitutto se l’aumento di capitale è scindibile bisogna esser certi che a qualunque livello «si fermi» l’aumento di capitale, lo stesso risulti integralmente coperto. In pratica è necessario che alcuni soci (o eventualmente terzi cui l’aumento di capitale sia parzialmente riservato) si impegnino a sottoscrivere e ad effettuare un conferimento più che proporzionale alla quota sottoscritta, e tale da sopperire al deficit. Se l’aumento è inscindibile, non c’è rischio che possa verificarsi un risultato contrario alla legge. Resta però ferma l’opportunità di concordare l’aumento ex ante. In nessun caso può essere imposto al socio di effettuare, senza il suo consenso, un conferimento maggiore di quello corrispondente (in proporzione) alla quota dell’aumento di sua spettanza. Non si potrebbe ottenere un simile risultato neppure attribuendo ai soci non consenzienti il diritto di recesso, dato che non è lecito porre il socio di fronte all’alternativa tra accettare una violazione del suo diritto e lo scioglimento del vincolo sociale. Il diritto di recedere deve però essere riconosciuto ai soci non consenzienti se la deroga al principio di proporzionalità fra conferimento e partecipazione si accompagni ad una deroga al [continua ..]


20. (Segue). Liberazione dell'aumento di capitale

Chi sottoscrive l’aumento di capitale in cambio di un conferimento in danaro deve, all’atto della sottoscrizione, «versare alla società almeno il venticinque per cento della parte di capitale sottoscritta, e se previsto, l’intero sopraprezzo» (art. 2481-bis, 4° comma, c.c.). Si pongono al riguardo le stesse questioni interpretative che nascono in merito alla norma corrispondente dettata per le s.p.a. (art. 2439, 1° comma, c.c.). Nelle s.r.l., tuttavia, il versamento del danaro può essere sostituito dalla stipulazione, «per un importo almeno corrispondente, di una polizza di assicurazione o di una fideiussione bancaria con le caratteristiche determinate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri» (art. 2464, 4° comma, seconda frase, c.c.: la norma è espressamente richiamata dal­l’art. 2481-bis, 4° comma, c.c.) [[128]]. Non è chiaro se la sostituzione del versamento con la garanzia deve essere prevista espressamente dalla decisione di aumento o se, come sembra preferibile, formi oggetto di un diritto del sottoscrittore. In ogni caso, la decisione può richiedere espressamente che il versamento sia effettuato realmente. È comunque conforme alla legge la prassi, ampiamente diffusa, secondo cui la liberazione del conferimento in danaro può essere attuata con l’utilizzo di fondi già messi a disposizione dalla società dai sottoscrittori, o mediante compensazione con finanziamenti dei soci o con altri crediti del sottoscrittore. In particolare la disciplina dei finanziamenti dei soci dettate dall’art. 2467 c.c. non è per nulla in contrasto con le finalità e la disciplina dell’aumento di capitale, quanto meno perché l’incorporazione dei finanziamenti dei soci al capitale è il traguardo che la disposizione dell’art. 2467 c.c. intende raggiungere, sia pure indirettamente. Quanto alla conversione in capitale di altri crediti, il meccanismo della compensazione non determina in sé alcun pericolo, ferma restando l’esigenza di valutare se vi sia stata elusione della disciplina dei conferimenti in natura o qualche altra violazione nell’operazione da cui sorge il credito che viene opposto in compensazione contro l’obbligo di effettuare il conferimento in danaro. Nelle s.r.l. unipersonali, se l’aumento di capitale è sottoscritto [continua ..]


21. (Segue). Aumento di capitale con conferimenti in natura o di crediti

L’au­men­to di capitale può essere sottoscritto anche con conferimento di beni in natura o di crediti. In queste fattispecie «si applica quanto disposto dal 5° comma dell’art. 2464 c.c.» (art. 2481-bis, 4° comma, seconda frase, c.c.), che rinvia alle disposizioni degli artt. 2254 e 2255 c.c. e dispone che «le quote corrispondenti a tali conferimenti devono essere integralmente liberate al momento della sottoscrizione». È dunque necessario che il bene o l’utilità promessa in conferimento sia posta nella libera disponibilità della società al più tardi al momento in cui il sottoscrittore aderisce all’aumento di capitale. Le conseguenze dell’inadempimento dell’obbligo, imposto agli amministratori, di respingere sottoscrizioni non conformi alla legge dal punto di vista della norma richiamata sono le solite: responsabilità per i danni in capo agli amministratori; obbligo di completare comunque il conferimento, in capo al sottoscrittore; possibile applicazione dell’art. 2466 c.c. in caso d’inadempimento di quest’ultimo; necessità di provvedere comunque alla stima, nel caso in cui sia stata omessa; obbligo del sottoscrittore di coprire in danaro la parte del valore assegnato al conferimento che risulti scoperta in base alla stima eseguita ex post. È pacifico che si applichi anche l’art. 2465 c.c., che riguarda la stima dei beni conferiti in natura e dei crediti, malgrado il fatto che la norma non sia espressamente citata dall’art. 2481-bis c.c. [[133]]. Ovviamente la stima dovrà essere allegata alla decisione di aumento del capitale oppure, al più tardi, all’attestazione «che l’aumento di capitale è stato eseguito» (art. 2481-bis, 6° comma, c.c.). È stato esattamente ritenuto [[134]] che la stima del valore del conferimento sia necessaria anche nel caso del conferimento d’opera (senz’altro idoneo, come risulta dal richiamo del 6° comma dell’art. 2464 c.c. nel 4° comma dell’art. 2481-bis c.c., a concorrere all’aumento di capitale) [[135]]. Il rinvio all’art. 2464, 6° comma, c.c. sta a significare che, anche in sede di aumento del capitale, chi conferisce opere o servizi deve garantire l’attuazione degli apporti, nei modi previsti dalla disposizione citata, per [continua ..]


22. (Segue). Aumento di capitale non in danaro e diritto proporzionale di sottoscrizione dei soci

Come già detto nel paragrafo 13, l’aumento di capitale con conferimenti diversi dal danaro non comporta, nelle s.r.l., un’esclusione «automatica» del diritto proporzionale di sottoscrizione spettante ai soci (cfr. invece l’art. 2441, 5° comma, prima frase, c.c.). Perciò, se l’atto costitutivo non permette di sacrificare il diritto dei soci (art. 2481-bis, 1° comma, c.c.), soltanto chi è già socio può promettere ed effettuare conferimenti diversi dal danaro. Agli altri soci deve inoltre essere offerta la possibilità di sottoscrivere a loro volta una parte dell’aumento (ulteriore rispetto a quella assegnata in cambio dell’apporto in natura) e di conservare in tal modo la propria percentuale di partecipazione. In alternativa l’aumento di capitale corrispondente al conferimento diverso dal danaro si deve suddividere tra tutti i soci esistenti, ancorché sia stato fatto da uno solo di essi (v. art. 2468, 1° comma, c.c.) [[138]]. Quando l’atto costitutivo permette che sia escluso o limitato il diritto di sottoscrizione dei soci, le regole sopra illustrate possono essere derogate. Tuttavia la decisione di deroga (ad es. la decisione di aumentare il capitale a fronte di un conferimento diverso dal danaro promesso da un terzo) fa sorgere il diritto di recesso in capo ai soci non consenzienti [[139]]. La legge non richiede che la volontà di acquisire il conferimento in natura sia motivata in relazione ad un particolare interesse della società; non occorre neppure che sia data una specifica motivazione della fissazione o della mancata fissazione di un sopraprezzo, per il quale non si prevede neppure un valore minimo. Tuttavia restano i limiti generali in materia di operazioni in conflitto di interessi e di abuso dei poteri della maggioranza.


23. (Segue). Pubblicità, efficacia ed effetti dell'aumento di capitale

Come ogni modifica dell’atto costitutivo, anche l’aumento di capitale è soggetto a pubblicità con gli effetti previsti dall’art. 2480 c.c. e dall’art. 2436 c.c. In breve, l’aumento non può essere eseguito prima dell’iscrizione della decisione nel registro delle imprese: il che non impedisce che le sottoscrizioni ed i versamenti siano, rispettivamente, raccolte ed effettuati in anticipo («anche in conto capitale»), persino nel corso dell’as­semblea che decide sulla operazione [[140]]. È peraltro ovvio che, secondo un’interpretazione rigorosa, la comunicazione ai soci che l’aumento può essere sottoscritto, dalla quale decorre il termine di trenta giorni per esercitare il diritto di sottoscrizione, presuppone che l’aumento sia stato iscritto nel registro delle imprese [[141]]. La decisione di aumentare il capitale a pagamento di per sé non modifica l’atto costitutivo, perché la modificazione interviene solo con la sottoscrizione dell’aumento da parte dei soci o eventualmente dei terzi (per di più salva l’applicazione del 3° comma dell’art. 2481-bis c.c.) [[142]]. In questo senso, colmando una lacuna delle norme previgenti, la riforma del 2003 prescrive che, anche nelle s.r.l., «nei trenta giorni dall’avvenuta sottoscrizione gli amministratori devono depositare per l’iscrizione nel registro delle imprese un’attestazione che l’aumento di capitale è stato eseguito» (art. 2481-bis, 6° comma, c.c.). L’inosservanza di questa regola, che riproduce l’art. 2444, 1° comma, c.c., dettato per le s.p.a., è punita con la sanzione pecuniaria prevista dall’art. 2630, 1° comma, c.c. Manca invece l’espressa previsione (contemplata nel 2° comma del­l’art. 2444 c.c.) secondo la quale «fino a che l’iscrizione nel registro non sia avvenuta, l’au­men­to del capitale non può essere menzionato negli atti della società». Si ritiene che, malgrado ciò, la disposizione trovi comunque applicazione [[143]]. L’iscrizione dell’attestazione di avvenuto aumento non ha comunque efficacia costitutiva [[144]].


24. Aumento di capitale gratuito e s.r.l.

Confermando una conclusione da tempo pacifica, ma non direttamente enunciata dalla legge, l’art. 2481-ter c.c. riconosce che anche nelle s.r.l. è legittimo aumentare il capitale «gratuitamente», vale a dire senza che la copertura del­l’aumento si realizzi attraverso l’introito di nuovi conferimenti (e quindi attraverso un incremento del­l’attivo). L’art. 2481-ter c.c., con poche differenze, ricalca da vicino l’art. 2442 c.c. [[145]]. Nel caso dell’aumento gratuito, la copertura dell’incremento del capitale si realizza attraverso il «passaggio di riserve a capitale» (così si legge nella rubrica della norma), cioè variando – a livello contabile – la composizione del patrimonio netto: ogni euro di incremento del capitale si riflette in un decremento uguale delle voci delle riserve da cui la copertura dell’au­mento di capitale viene prelevata. L’attivo della situazione patrimoniale resta uguale, qualitativamente e quantitativamente; al passivo cambia solo la composizione del patrimonio netto, mentre restano invariate le altre voci.


25. (Segue). Riserve disponibili ed aumento di capitale gratuito

Non tutte le riserve possono essere imputate a capitale. L’art. 2481-ter, 1° comma, c.c. usa una formula arcaicizzante, copiata dal 1° comma dell’art. 2442 c.c. e dice che, per l’aumento gratuito, possono essere impiegate «le riserve e gli altri fondi iscritti in bilancio in quanto disponibili». Data la definizione dell’operazione, è certo che possono essere «imputate a capitale» soltanto le voci del patrimonio netto (v. art. 2424 c.c., voce PASSIVO, lett. A) [[146]]. L’uso della parola «fondi» non è perciò felice, dato che il legislatore, nel definire le «parti» del patrimonio netto, non la utilizza. Più precisamente, nell’art. 2481-ter c.c., il termine «fondi» coincide con «riserve», con la conseguenza che la precisazione «in quanto disponibili» va riferita non soltanto ai fondi ma anche, appunto, le riserve [[147]]. La nozione di «riserva disponibile» è a sua volta assai ambigua. L’aggettivo «disponibile» reca con sé il concetto di destinazione o finalità dell’atto di disposizione: la riserva è o non è disponibile a seconda dell’impiego cui la si voglia destinare. Perciò, quando si dice che per un determinato impiego possono essere utilizzate le riserve disponibili, si rischia un circolo vizioso o una tautologia. Ciò premesso, è evidente che si rende necessario catalogare empiricamente le riserve, distinguendo quelle disponibili da quelle indisponibili, evitando il circolo vizioso e proponendo un criterio che rinuncia a muovere dall’analisi semantica del concetto di «disponibilità». In questo senso, sono sicuramente «disponibili» tutte le riserve che possono essere distribuite ai soci o impiegate (nelle s.p.a.) per l’acquisto di azioni proprie (infatti anche l’acquisto di azioni proprie è, in un certo senso, distribuzione ai soci). Per estensione, possono essere imputati a capitale anche gli utili a nuovo e gli utili dell’esercizio, dedotti i prelievi delle partecipazioni agli utili degli aventi diritto (v. art. 2468, 3° comma, c.c.) [[148]], l’accantonamento della riserva legale e le distribuzioni «obbligatorie» ai soci che abbiano diritto di ricevere una quota dell’utile annuale «a [continua ..]


26. (Segue). Aumento di capitale gratuito ed effetti sulle partecipazioni di soci

L’aumento gratuito di capitale non può comportare un mutamento della quota di partecipazione dei soci (art. 2481-ter, 2° comma, c.c.), salvo che consti il consenso di tutti i soci o, quanto meno, il consenso dei soci che ne sarebbero svantaggiati (sul punto v. anche oltre). Le eccezioni possono spiegarsi, ad esempio, con la volontà dei soci di evitare che, a seguito dell’aumento gratuito, il valore nominale delle partecipazioni espresso in euro sia rappresentato da numeri decimali o periodici; ma non è escluso che, in sede di aumento del capitale i soci intendano favorire uno dei membri della compagine, per remunerarne apporti atipici e per altra ragione. Naturalmente occorre in questo caso il consenso di tutti i soci. Dal punto di vista del diritto societario una ripartizione «diseguale» della partecipazione (intendendo, per disuguale, «non proporzionale all’apporto») è ormai fisiologica, come è dimostrato dall’art. 2464, 1° comma, c.c., letto in combinazione con l’art. 2468, 2° comma, c.c. Se la ripartizione non proporzionale del capitale rispetto al valore dei conferimenti è ammessa (con il consenso unanime) alla costituzione della s.r.l., non si vede per quale motivo sarebbe necessario adottare la soluzione opposta nel caso qui esaminato. In altre parole, l’interesse del singolo socio al rispetto della regola dettata dal 2° comma dell’art. 2481-ter c.c. è disponibile da parte di chi ne è il titolare, anche se non può essere sacrificato con una decisione degli altri soci [[150]]. Più dubbio è che il singolo socio abbia diritto non solo di non essere «diluito» nel caso dell’aumento di capitale gratuito, ma anche d’impedire una variazione delle quote degli altri soci che lasci intatta la sua partecipazione. Sembra comunque preferibile l’opinione per la quale il consenso unanime è necessario anche in questo caso, allo scopo di evitare che l’utiliz­zazione delle riserve della società comporti una variazione dei rapporti di partecipazione dei soci agli utili e all’esercizio dei diritti amministrativi. È concepibile anche che beneficiari dell’aumento gratuito siano addirittura terzi, ad esempio dipendenti o collaboratori.


27. (Segue). Partecipazione all'aumento di capitale gratuito e deroghe contenute nell'atto costitutivo

Ammesso che, con decisione unanime dei soci, possa essere derogato il 2° comma dell’art. 2481-ter c.c., è possibile che la deroga sia prevista a priori nell’atto costitutivo? In senso contrario a questa possibilità sta anzitutto il fatto che la disposizione non ammette espressamente, come in altri casi, che l’atto costitutivo possa deviare rispetto alla norma. Si può anche osservare che la disponibilità dell’interesse e del diritto dei soci non implica logicamente che alla tutela di questo interesse si possa abdicare prima ancora che esso sorga in concreto. Tuttavia la conclusione non è certa. Se infatti l’art. 2468 c.c. ammette che ad un socio possano essere riservati speciali diritti amministrativi e di partecipazione, che ostacolo ci sarebbe ad ammettere che questi diritti consistano in un privilegio nell’assegnazione delle partecipazioni in caso di passaggio di riserve al capitale? Nessuno, a quanto pare! D’altra parte, se il privilegio di uno o più soci consistesse nel diritto privilegiato di partecipazione alla distribuzione di una speciale riserva, il passaggio di questa al capitale potrebbe avvenire senza il consenso degli interessati? No di certo! Ma per ottenere questo consenso non sarà forse possibile offrire ai titolari del diritto speciale una maggior quota dell’aumento del capitale? E non si può introdurre questo correttivo nell’atto costitutivo ex ante, in modo da poter procedere all’ope­razione di imputazione a capitale anche di queste particolari riserve con decisione a maggioranza? Se a questo punto si accetta come legittima la conclusione per la quale, in deroga all’art. 2481-ter c.c. ed in applicazione dell’art. 2468 c.c., nell’atto costitutivo si possono riservare ad uno o più soci diritti speciali in caso di aumento gratuito, pare ovvio che questi diritti, previsti nell’atto costitutivo, potranno essere modificati soltanto con il rispetto delle norme contenute nell’art. 2468, 4° comma e nell’art. 2473, 1° comma, c.c. D’altronde si potrà anche ipotizzare il caso in cui l’atto costitutivo preveda la possibilità che sia costituita una riserva destinata a consentire l’ingresso in società, con un aumento gratuito, di dipendenti, fornitori o terzi. In questo caso, però, la clausola dell’atto costitutivo [continua ..]


28. (Segue). Aumento di capitale gratuito e pregiudizio di singoli soci

L’aumento di capitale gratuito può comportare indirettamente una variazione della partecipazione dei soci agli utili, quando ad uno o più soci sia riconosciuto un privilegio espresso in ragione del valore nominale della sua partecipazione al capitale. Premesso che, dal punto di vista di un’oculata redazione dell’atto costitutivo, un privilegio di tal contenuto sarebbe evidentemente inopportuno (e che lo sarebbe ancor di più se esso non venisse collegato ad una cifra fissa, o quanto meno ai conferimenti effettivamente apportati dal socio), ci si è chiesti se, in questo caso, l’au­mento del capitale debba essere approvato dai soci che risultano svantaggiati [[151]]. Si è però esattamente osservato che il pregiudizio, in questo caso, non è di diritto, ma di mero fatto, e soprattutto che lo svantaggio subito dai soci deriva dal modo in cui il diritto preferenziale è strutturato dall’autonomia privata esercitata dai soci, che non potrebbero poi lamentarsene [[152]]. Lo stesso schema argomentativo può essere utilizzato in altre analoghe fattispecie.


NOTE
Fascicolo 3 - 2008