Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Arbitrato societario e società semplice (nota a Trib. Roma, 4 luglio 2007) (di Maura Garcea)


TRIBUNALE DI ROMA, 4 luglio 2007 – Nazzicone, Relatore – Giandomenico Sarti c. Paolo, Emma e Maria Susanna Sarti e Immobiliare Civile Sereno Cerreto s.s.

Società – Società semplice – Clausola compromissoria – Disciplina applicabile – Nuovo arbitrato societario – Esclusione

(Artt. 34, 35, 36 d.lgs. n. 5/2003; artt. 806-808 c.p.c.)

Se è vero che la nuova disciplina del c.d. processo commerciale si applica a tutte le società di persone, non altrettanto può dirsi con riferimento alle norme in tema di arbitrato societario (ex art. 34 d.lgs. n. 5/2003) che sono dettate con esclusivo riferimento alle società di forma commerciale (1).

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

I. Con atto di citazione notificato nel mese di giugno 2005, Giandomenico Sarti conveniva in giudizio Paolo, Emma e M. Susanna Sarti, nonché l’Immobiliare Civile Sereno Cerreto società semplice, chiedendo l’accertamento della inesistenza, nullità per assenza di causa o inefficacia verso l’attore della deliberazione assembleare del 9.5.2005; in subordine, la nullità della deliberazione stessa per mancanza del consenso unanime dei soci.

Narrava che il 18.12.1968 era stata costituita la società semplice Immobiliare Civile Sereno Cerreto, con capitale di £ 400.000, diviso fra i fratelli Emma, M. Susanna, Giandomenico e Paolo; che la società aveva nel patrimonio solo una unità immobiliare sita in Via di Grottarossa in Roma; che l’assemblea del 2.11.1999, contestuale ad un accordo in pari data sottoscritto da tutti i soci, aveva approvato la locazione delle varie unità immobiliari; che l’assemblea dell’8.6.2004 aveva deliberato la concessione all’attore dell’unità in precedenza locata al rag. Elli, di avviare pratiche di sanatoria, di sciogliere la società, di attribuire le unità in conformità alle locazioni, lasciando solo indeterminata la scelta, riferiva l’attore, “tra lo scioglimento della società e l’attribuzione delle varie unità immobiliari secondo quote ‘più possibili similari’ e valutando i relativi conguagli, oppure, dopo studi di natura soprattutto fiscale, per l’assegnazione delle quote della società in funzione delle parti mantenute”; che quindi era stato dato incarico all’attore, dall’amministratore Paolo Sarti, di curare il condono dell’immobile dal primo occupato ed anticipare le spese; che l’assemblea del 1°.10.2004 aveva confermato la volontà dei soci di assegnare i beni come detto, salvi i conguagli dopo una stima obiettiva dei valori ed il rendiconto delle spese e delle entrate di ciascun socio; che tale verbale non era firmato da Paolo Sarti, ma questi aveva espresso la propria volontà adesiva con le lettere del 6.12.2004 e del 18.5.2005; che i soci avevano in tale sede anche individuato i sistemi di calcolo dei conguagli, non definiti solo perché erano in corso alcuni lavori di consolidamento ed altro; che, quindi, la volontà dei soci si era perfezionata ed era vincolante, con effetti negoziali, in ordine alla divisione ed all’attribuzione delle unità immobiliari ai quattro soci in conformità agli accordi del 1999, anche essendo alla società semplice applicabili, per molti versi, gli art. 1100 ss. c.c.; che la deliberazione del 1°.10.2004 aveva “prodotto irreversibili effetti traslativi, poiché con essa è irreversibilmente sorto il diritto alla liquidazione della quota del socio in natura”; che in data 9.5.2005, invece, l’assemblea dei soci, per motivi conflittuali, aveva illegittimamente deciso lo scioglimento della società e la nomina di un liquidatore nella persona del precedente A.U., nonché la vendita del patrimonio sociale, con il voto contrario dell’attore.

Sosteneva che tale deliberazione era inesistente, o nulla per assenza di causa, e comunque inefficace, perché con gli accordi del 2.11.1999 e del 1°.10.2004 i soci avevano deliberato lo scioglimento della società e la contestuale assegnazione ai medesimi delle unità immobiliari, mentre la necessaria determinazione dei conguagli non escludeva lo scioglimento deliberato: pertanto, la delibera del 9.5.2005 era viziata, perché assunta dopo lo scioglimento della società, mentre la deliberazione di vendita del patrimonio sociale era parimenti nulla ed inefficace, dato che il 1°.10.2004 era sorto il diritto alla liquidazione della quota del socio in natura e perché lesiva di diritti individuali già maturati in capo all’attore, essendo ormai divenuta di sua piena proprietà l’unità immobiliare assegnatagli. In subordine, la delibera impugnata era nulla per l’assenza della volontà unanime dei soci, avendo deciso lo scioglimento della società ai sensi dell’art. 2272, n. 3, c.c., nel dissenso del socio attore, e dovendo sul punto restare inefficace l’art. 11 st., il quale prevedeva la maggioranza per le deliberazioni societarie, ma non quando esorbitanti e contrastanti con l’oggetto sociale, anche attesa la sostanziale convergenza con la comunione ai sensi degli art. 1100 ss. c.c.

In data 10.10.2005 si costituivano in giudizio la società e Paolo Sarti, chiedendo la riunione della causa con il giudizio r.g. 43748/05 ed il rigetto delle domande. Eccepivano l’esistenza di una clausola compromissoria, ai sensi dell’art. 12 st., che rimetteva ogni controversia ad un arbitro amichevole compositore. Nel merito, osservavano che con la deliberazione assembleare del 2.11.1999 e con l’accordo, in pari data sottoscritto da tutti i soci, si era stabilito di concedere in locazione le varie unità immobiliari componenti il fabbricato della società; che la deliberazione del­l’8.6.2004 aveva rinviato la decisione; che la deliberazione del 1°.10.2004 aveva espresso la comune intenzione di sciogliere la società con assegnazione dei beni, ma non aveva deliberato lo scioglimento stesso, subordinandone invece la futura adozione a diverse condizioni, ossia la questione degli immobili di Sorano e quella dei conguagli relativi ai cespiti sociali, le quali però non avevano in seguito trovato soluzione; che il verbale da controparte prodotto di tale ultima riunione assembleare era incompleto e, non recando la sottoscrizione di tutti i soci, comunque non avrebbe potuto produrre ai sensi dell’art. 1350 c.c. l’effetto traslativo di beni immobili, né effetti obbligatori ai sensi dell’art. 1351 c.c.; che la corrispondenza successiva fra i soci confermava tale interpretazione, così come la stessa assemblea del 9.5.2005.

Precisavano che l’attribuzione in godimento di un bene sociale non era mai stata intesa dai soci quale definitiva assegnazione, come risultava chiaramente dai verbali del 2.11.1999 e dell’8.6.2004, onde nessun diritto soggettivo assoluto dell’attore era stato mai leso; nemmeno le domande subordinate coglievano nel segno, posto che l’art. 11 st. prevedeva la maggioranza, determinata sulla base della partecipazione dei soci agli utili, per le deliberazioni concernenti l’attività sociale e le modifiche dello statuto, onde i patti sociali erano modificabili a maggioranza.

In data 17.10.2005 si costituivano le convenute M. Susanna ed Emma Sarti, chiedendo la declaratoria di inammissibilità della domanda e la condanna dell’attore al risarcimento del danno in proprio favore, come risultante da c.t.u., avendo l’attore provocato vari danni all’immobile occupato da Susanna Sarti, (quali la rottura della parete del soppalco, il taglio del telefono, la costruzione di un muro di due metri ostativo del passaggio di aria e luce, l’eli­minazione dello scaldabagno, nonché cagionato crepe e il distacco dell’intonaco, prosciugato la piscina, installato una rete impedendo l’accesso ai pozzetti elettrici) e da Emma Sarti (cagionando crepe nell’intonaco, lo sfondamento del soffitto, un buco nel bagno, l’allagamento della cucina e del parquet, con installazione di un faro fastidioso per il riposo notturno), in violazione dell’art. 833 c.c. e arrecando altresì a quest’ultima danno alla sua integrità fisica.

Sostenevano che se, a parere dell’attore, lo scioglimento della società era avvenuto sin dal 1°.10.2004, non aveva senso l’impugnazione della deliberazione del 2005, che aveva lo scopo proprio di determinare i conguagli necessari dopo lo scioglimento e nella fase di liquidazione della società. Non era in questione la vendita del patrimonio sociale, ma del patrimonio ereditario sito a Sorano.

Il 4.11.2005 l’attore depositava memoria di replica, in cui eccepiva l’inammissibilità della domanda riconvenzionale proposta dalle convenute, perché non rientrante nella fattispecie dell’art. 36 c.p.c. ed indeterminata, oltre che non afferente al rito societario. Quanto alla difesa della società, eccepiva la nullità della clausola compromissoria, ai sensi dell’art. 34 d. lgs. n. 5/2003, conferendo essa il potere di nomina ai soci ed applicandosi la norma anche alle società personali, nonché perché indeterminata non indicando se l’arbitrato fosse rituale o libero; l’ordinanza del 6.8.2005, resa in sede cautelare, aveva sospeso l’ese­cuzione della deliberazione impugnata, perché difforme da quanto già deliberato il 1°.10.2005; la copia del verbale del 1°.10.2004, prodotta dalla società convenuta, era difforme e mai accettata dall’attore; la divisione degli immobili di Sorano non condizionava lo scioglimento della società e l’assegnazione dei beni ai soci, trattandosi, come i conguagli, di meri adempimenti successivi all’atto di assegnazione, avvenuta in data 1°.10.2004; la maggioranza dei soci non poteva in nessun caso essere sufficiente a decidere la vendita dell’immobile costituente il patrimonio sociale.

Il 21.11.2005 la società e Paolo Sarti depositavano memoria di replica, affermando l’inapplicabilità dell’art. 34 d. lgs. n. 5/2003 alla società semplice perché non commerciale e non essendovi comunque obbligo di adeguamento delle clausole compromissorie preesistenti alla riforma; quanto alla delibera del 1°.10.2004, il testo della stessa era stato trasmesso con lettera dell’A.U. ai soci in data 6.12.2004, ed esso era stato firmato da tutti i soci, tranne l’attore, mentre quest’ultimo aveva autonomamente predisposto altro verbale, firmato per ingenuità dalle sorelle, ma lacunoso in una parte fondamentale, ossia quella in cui condizionava la divisione del patrimonio sociale a quella dell’immobile di Sorano ed altro; la delibera non aveva determinato le porzioni immobiliari, ma solo gli interni, né i conguagli, non mero adempimento successivo ma elemento essenziale del negozio di divisione o attribuzione; che, con la deliberazione impugnata, i soci non avevano mai inteso vendere il patrimonio sociale a terzi.

Le convenute depositavano una memoria di replica in data 21.11.2005, nella quale instavano per la c.t.u., ritenendo infondata l’impugnazione, e dichiaravano di rinunciare alla domanda riconvenzionale proposta, “limitata all’azione e non al diritto”, da far valere altrove.

In data 16.12.2005 l’attore depositava ulteriore memoria di replica, in cui fra l’altro precisava che l’ammini­stratore aveva determinato i conguagli dovuti dai soci come da documenti, che produceva e spiegava; dichiarava di non accettare la rinuncia alla domanda riconvenzionale spiegata dalle convenute.

Il 13.1.2006, quindi, l’attore depositava istanza di fissazione dell’udienza collegiale.

Con decreto del Presidente della III sezione in data 27.1.2006 veniva designato il giudice relatore.

Nelle note depositate ai sensi dell’art. 10 d. lgs. n. 5/2003, la società e Paolo Sarti eccepivano l’inammis­sibilità, ai sensi dell’art. 13, 5° comma, d. lgs. citato, dei documenti attorei prodotti con la seconda memoria di controreplica del 7.12.2005; le convenute concludevano per il difetto di giurisdizione e, in subordine, per il rigetto della domanda.

II. Con atto di citazione notificato nel mese di giugno 2005, Giandomenico Sarti conveniva in giudizio Paolo, Em­ma e M. Susanna Sarti, nonché la Immobiliare Civile Sereno Cerreto società semplice, chiedendo: 1) l’accerta­mento della manifestazione di volontà unanime dei soci “dandone altresì esecuzione” nell’assemblea del 1°.10.2004 in ordine alla di­vi­sione delle unità immobiliari di Via Grottarossa n. 1282 Roma, “con la seguente attribuzione secondo quanto riportato nella piantina allegata: a Giandomenico Sarti unità immobiliare int. 1, a Maria Susanna Sarti unità immobiliare int. 2 e ad Emma Sarti unità immobiliare int. 3, 4, 5, e a Pao­lo Sarti unità immobiliare int. 6 e 7, con conseguente connessa determinazione, previo espletamento di consulen­za tecnica di ufficio, dei valori delle singole unità immobiliari e quindi dei relativi conguagli”; 2) il “rendiconto a carico e/o in favore – all’esito – di tutti i soci, delle spese e degli oneri rispettivamente sostenuti nell’interesse della società e dei frutti rispettivamente ricevuti da ciascuno, con condanna – pro quota – al pagamento delle relative somme”.

In tale atto, l’attore narrava i medesimi fatti e proponeva analoghi argomenti in diritto.

Il 10.10.2005, previa notifica alla controparte, si costituivano in giudizio la società ed il suo amministratore, chiedendo la riunione della causa con il giudizio r.g. 43744/05, il rigetto delle domande e, in subordine, la quantificazione dei conguagli. Eccepivano l’esistenza di una clausola compromissoria, ai sensi dell’art. 12 st., che rimetteva ogni controversia ad un arbitro amichevole compositore. Nel merito, ripetevano le osservazioni già sopra ricordate.

L’attore replicava con memoria depositata il 4.11.2005, parimenti eccependo la nullità della clausola compromissoria e ripetendo i medesimi argomenti difensivi, di cui alla prima memoria di replica del giudizio anteriormente instaurato.

Ad essa replicavano, con memoria depositata il 7.12.2005, i convenuti Paolo Sarti e la società, che articolavano difese identiche a quelle già proposte nel giudizio connesso.

Il 5.1.2006 si costituivano in giudizio le convenute M. Susanna ed Emma Sarti, chiedendo di “convertire la domanda del socio Giandomenico Sarti in quella di divisione” ed in subordine il rigetto della domanda. Esse richiamavano la propria comparsa di risposta nel giudizio r.g. 43744/05, precisando che i soci avevano più volte mutato i propri accordi circa l’assegnazione dei beni e che l’attore aveva mancato di indicare l’attribuzione degli spazi verdi; si trattava di una società di godimento, ai sensi dell’art. 2248 c.c., soggetta alle norme sulla comunione, da sciogliere quindi mediante divisione.

Il 13.1.2006 l’attore depositava l’istanza di fissazione dell’udienza collegiale. Il presidente della III sezione designava il giudice relatore con decreto in data 27.1.2006.

Nelle note depositate ai sensi dell’art. 10 d. lgs. n. 5/2003, la società e Paolo Sarti eccepivano l’estinzione di tale giudizio, ai sensi dell’art. 8, 4° comma, d. lgs. n. 5/2003, per non avere l’attore notificato la memoria di controreplica di cui all’art. 7, 2° comma, d. lgs. citato, onde nemmeno i convenuti avevano notificato l’atto successivo: pertanto, entro il termine di 20 giorni scaduto il giorno 7.12.2005, fissato dal convenuto all’attore, nessuna memoria o istanza di fissazione l’attore aveva notificato, con conseguente estinzione del giudizio.

III. Con ordinanza in data 2.3.2006, il giudice relatore riuniva la causa R.G. 43748/05 a quella recante il n. R.G. 43744/05.

Con decreto emesso ai sensi dell’art. 12 s. lgs. n. 5/2003, quindi, veniva fissata l’udienza collegiale del 13.6.2007, in cui la causa veniva trattenuta in decisione.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

Le domande proposte nelle due cause riunite sono le seguenti:

a) la domanda di Giandomenico Sarti di accertamento della inesistenza, nullità o inefficacia verso l’attore della deliberazione assunta dall’assemblea della Immobiliare Civile Sereno Cerreto società semplice in data 9.5.2005 (nella causa r.g. 43744/2005);

b) le domande riconvenzionali di condanna dell’attore al risarcimento del danno in proprio favore per i danni agli immobili da esse occupati, proposte da Susanna e da Emma Sarti, nonché alla integrità fisica della seconda (nella causa r.g. 43744/2005);

c) la domanda di Giandomenico Sarti di accertamento della manifestazione di volontà unanime dei soci, nel corso dell’assemblea del 1°.10.2004, in ordine alla decisione di dividere le unità immobiliari di Via Grottarossa, n. 1282 in Roma, “con la seguente attribuzione secondo quanto riportato nella piantina allegata: a Giandomenico Sarti unità immobiliare int. 1, a Maria Susanna Sarti unità immobiliare int. 2 e ad Emma Sarti unità immobiliare int. 3, 4, 5, e a Pao­lo Sarti unità immobiliare int. 6 e 7, con conseguente con­nessa determinazione, previo espletamento di consulenza tecnica di ufficio, dei valori delle singole unità immobiliari e quindi dei relativi conguagli” (nella causa r.g. 43748/2005);

d) la domanda di Giandomenico Sarti di “rendiconto a carico e/o in favore – all’esito – di tutti i soci, delle spese e degli oneri rispettivamente sostenuti nell’interesse della società e dei frutti rispettivamente ricevuti da ciascuno, con condanna – pro quota – al pagamento delle relative somme” (nella causa r.g. 43748/2005).

Con riguardo alla causa riunita, inoltre, la società e Paolo Sarti hanno eccepito l’estinzione del giudizio.

2. L’eccezione di estinzione, di natura pregiudiziale onde da affrontare per prima, è infondata.

Secondo i convenuti, l’attore sarebbe rimasto inerte, in quanto non avrebbe notificato la memoria di controreplica di cui all’art. 7, 2° comma: pertanto, entro il termine di 20 giorni scaduto il giorno 7.12.2005, fissato dal convenuto all’attore, era onere di quest’ultimo notificare una propria memoria di replica o, in mancanza, l’istanza di fissazione dell’udienza, in mancanza – secondo l’assunto dei convenuti – dovendo ritenersi il giudizio estinto.

Tuttavia, l’eccezione è infondata in fatto: dai documenti in atti risulta che proprio il 7.12.2007 (cfr. ricevuta del fax, allegata alla memoria stessa) l’attore abbia notificato alle controparti una memoria, denominata “memoria di replica” e datata “7 novembre 2005”, intestata sia al giudizio “R.G. 43744/05” e sia al giudizio “43748/05”.

Ne deriva la riferibilità dello scritto ad entrambe le cause, secondo una scelta legittima del difensore, ed il rigetto della eccezione in esame.

3. L’eccezione di difetto di giurisdizione, per la presenza della clausola compromissoria nell’art. 12 dell’atto costitutivo della società semplice Immobiliare Civile Sereno Cerreto, è fondata.

La clausola, infatti, attribuisce “qualunque controversia sorgesse fra i soci, o fra i soci e la società (…) al giudizio inappellabile di un arbitro amichevole compositore scelto di comune accordo ovvero, in difetto, designato dal signor Pretore nella cui giurisdizione ha sede la società”.

Si tratta di un arbitrato non rituale, che devolve le questioni insorte da un soggetto scelto dai soci, e non necessariamente ad un terzo estraneo alla società. La qualificazione discende dalla indicazione di un’unica persona, scelta di comune accordo, che dovrà comporre la controversia in modo “inappellabile” e quale “amichevole compositore” (cfr. Cass. 22.6.2005, n. 13436, fra le tante [www.­leggiditaliaprofessionale.it]).

Ma la clausola non è nulla.

È certamente vero che la nuova disciplina del processo c.d. commerciale (e non societario, in quanto in tal modo si trascurano altre materie rilevanti, quale quella delle controversie finanziarie) dettata dal d.lgs. n. 5/2003 si applica a tutte le società, come conseguenza dell’ampio disposto dell’art. 1, lettere a), b), c), del decreto legislativo in questione, il quale fa riferimento ai “rapporti societari”, ad ogni “negozio avente ad oggetto le partecipazioni sociali o i diritti inerenti” ed ai “patti parasociali”.

Tuttavia, ciò non comporta che automaticamente e necessariamente a tutte le società si applichi anche la disciplina dell’arbitrato societario.

L’art. 34 d. lgs. n. 5/2003 si riferisce agli “atti costitutivi delle società, ad eccezione di quelle che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio”: ed essa non può che essere letta in conformità alla legge delega, la quale riguardava soltanto le società commerciali.

Infatti, l’art. 12, 3° comma, l. n. 366/2001 disponeva: “Il Governo può altresì prevedere che gli statuti delle società commerciali contengano clausole compromissorie, anche in deroga agli articoli 806 e 808 del codice di procedura civile, per tutte o alcune tra le controversie societarie di cui al comma 1”, ossia quelle in materia di “a) diritto societario, comprese le controversie relative al trasferimento delle partecipazioni sociali ed ai patti parasociali”.

Anche l’art. 11 della l. n. 366/2001, si noti, è limitato alla “Disciplina degli illeciti penali e amministrativi riguardanti le società commerciali”, ed in tal senso la delega è stata attuata dal d. lgs. 11.4.2002, n. 61, che ha introdotto i nuovi art. 2621 ss. c.c.

Dunque, gli art. 34 ss. si estendono oltre l’ambito sostanziale della riforma del diritto societario, che com’è noto ha riguardato soltanto le società di capitali e le cooperative (nonché peraltro, ma solo in via indiretta, altri enti collettivi, addirittura non societari: si pensi alla sezione sulla trasformazione), applicandosi la nuova disciplina arbitrale a tutte le società commerciali.

Ma essa lascia fuori la società semplice, che non è una società commerciale, allo stesso modo in cui si ritiene, dalla interpretazione prevalente, che essa non riguardi le clausole compromissorie contenute in patti parasociali o nei negozi su partecipazioni sociali.

La società semplice voleva, è noto, costituire un tipo societario che prendesse il posto della società civile del codice del 1865, al fine soprattutto del beneficio, sia pure parziale, dell’autonomia patrimoniale del patrimonio dell’ente verso le pretese dei creditori individuali (art. 2270 c.c.).

La limitazione dell’oggetto alle attività non commerciali ne ha determinato in passato un tipo sociale utilizzato per le attività agricole (ove i soci non avessero, più probabilmente, scelto altro tipo di società personale) e per le società fra professionisti.

Inoltre, la società semplice è stata, a volte, prescelta proprio al fine dell’intestazione alla società di beni immobili, con apparente oggetto volto alla compravendita, ma di fatto finalizzata al godimento dei beni stessi, sottratti ai creditori particolari dei soci. In tal caso, l’enunciazione di un oggetto sociale volto all’esercizio di un’attività economica è valsa comunque, secondo la dottrina prevalente, a ricondurla nell’alveo societario e a differenziarla dalla comunione di godimento di cui all’art. 2248 c.c.

Proprio questo pare il caso di specie, in cui l’utilizzo della forma di società semplice riconduce, da un lato, la convenuta nel novero dei soggetti societari e, dall’altro lato, la esclude dall’ambito di applicazione degli art. 34 ss. d. lgs. n. 5/2003, con conseguente rigetto del­l’ecce­zione di nullità della clausola compromissoria invocata dai convenuti.

Giova, infine, osservare che la riqualificazione – secondo la tesi di taluno dei convenuti – della società in oggetto come comunione, assoggettata al libro III del codice civile, lascerebbe permanere la validità del compromesso arbitrale, fra le parti concluso.

L’eccezione riguarda le domande sub a), c) e d), per le quali va dunque dichiarato il difetto di giurisdizione.

4. Con riguardo alla domanda sub b), è stata manifestata dal difensore delle convenute, nella memoria di replica, la volontà di rinuncia “all’azione e non al diritto”.

Nella propria memoria depositata in data 16.12.2005, l’attore ha dichiarato di non accettare la rinuncia alla domanda riconvenzionale spiegata dalle convenute.

Orbene, l’equivoca espressione utilizzata dal difensore delle convenute – azione e diritto indicano la stessa cosa, ai fini che ora interessano, ossia la rinuncia alla situazione soggettiva sostanziale e non solo agli atti del giudizio – va peraltro interpretata in buona fede, nel senso che egli intendesse, proprio avendo riservato la eventuale riproposizione della domanda, rinunziare soltanto agli atti del giudizio.

Com’è noto, la rinuncia agli atti del giudizio ex art. 306 c.p.c. va tenuta distinta dalla rinuncia all’azione, essendo quest’ultima rinunzia di merito, che determina il venir meno del potere-dovere del giudice di pronunziare, senza necessità di accettazione della controparte. Per la rinunzia agli atti del giudizio, invece, l’art. 306 c.p.c. rende necessaria l’ac­cet­tazione della parte nei cui confronti la rinuncia è fatta, ma ciò soltanto quando essa abbia interesse alla prosecuzione del processo, interesse che deve concretarsi nella possibilità di conseguire un risultato utile e giuridicamente apprezzabile, onde presuppone la proposizione da parte sua di richieste il cui integrale accoglimento procurerebbe ad essa una utilità maggiore, di quella che conseguirebbe all’estinzione del processo (Cass. 2.10.2002, n. 9066; Cass. 11.10.1999, n. 11384 [www.leggiditaliaprofessionale.it]; Cass. 3.8.1999, n. 8387 [www.leggiditaliaprofessionale.it]; Cass. 10.12.1996, n. 10978 [www.leggiditaliaprofessionale.it]). Ciò, anche tenuto conto del fatto che, in ogni caso, le spese del giudizio, ai sensi dell’art. 306, 4° comma, c.c., devono essere poste a carico del rinunciante, essendo sufficiente il dato oggettivo della declaratoria di estinzione del giudizio.

L’atteggiamento processuale dell’attore, che sin dalla prima memoria di replica si è limitato a chiedere l’inam­missibilità della domanda riconvenzionale, per la mancanza di connessione ai sensi dell’art. 36 c.p.c. e la condanna delle convenute alle spese, rende palese l’insussistenza di tale interesse alla prosecuzione del giudizio con riguardo alla domanda riconvenzionale in questione.

Peraltro, ancor prima, è necessario rilevare che la rinuncia agli atti del giudizio, manifestata dal difensore delle convenute, non ha prodotto gli effetti di cui all’art. 306 c.p.c., in quanto la norma richiede che provenga dalla parte o dal suo procuratore speciale, potendo soltanto la rinuncia all’azione ricondursi al potere del difensore di discrezionalità tecnica (Cass. 4.2.2002, n. 1439 [www.leggiditaliaprofessionale.it]): procura speciale nel caso di specie assente.

La domanda, peraltro, va infine dichiarata inammissibile, ai sensi dell’art. 36 c.p.c., non dipendendo per oggetto o titolo da quelli dedotti in giudizio dall’attore.

5. Le spese di lite vengono interamente compensate, attesa la novità della questione di rito.

P.Q.M.

Il Tribunale, definendo il giudizio, ogni altra domanda, istanza, eccezione o deduzione disattesa, così provvede:

1) dichiara il difetto di giurisdizione sulle domande proposte da SARTI GIANDOMENICO contro SARTI PAOLO, SARTI EMMA, SARTI MARIA SUSANNA, IMMOBILIARE SERENO CERRETO S.S., per l’esistenza di una clausola compromissoria;

2) dichiara inammissibile la domanda riconvenzionale proposta da SARTI EMMA e MARIA SUSANNA contro SARTI GIANDOMENICO;

3) compensa per intero fra le parti le spese di lite.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 27.6.2007.

IL GIUDICE est.                                 IL PRESIDENTE

(Loredana Nazzicone)                       (Ciro Monsurrò)

 

(1) Arbitrato societario e società semplice

SOMMARIO:

1. Il caso - 2. Lo stato dell'arte: rinvio - 3. La regola di giudizio - 4. Giustizia privata e forma non commerciale - NOTE


1. Il caso

La società semplice «Immobiliare Civile Sereno Cerreto» costituisce un classico esempio di «immobiliare di famiglia» i cui soci, quattro fratelli, dopo circa quarant’anni di attività (o di inerzia, a seconda dei punti di vista), decidono di porre fine al loro sodalizio. La decisione di scioglimento, però, segue un percorso accidentato: in una prima occasione, i soci si accordano nel senso di sciogliere la società attribuendo a ciascuno di loro, in proporzione alle rispettive quote e salvo conguagli, le unità immobiliari intestate alla società. A distanza di un anno i fratelli, in assenza del socio attore, ribadiscono l’intenzione di cessare l’attività sociale conferendo però ad un liquidatore l’incarico di alienare il patrimonio immobiliare della società e modificando quindi l’accor­do raggiunto precedentemente. Il quarto socio si rivolge al Tribunale lamentando, in primo luogo, l’inefficacia della seconda decisione in quanto adottata quando già lo scioglimento si era verificato, e, conseguentemente, era maturato il suo diritto alla quota di liquidazione e, in subordine, l’invalidità della decisione medesima perché non assunta all’una­nimità così come previsto nell’art. 2253 c.c. Con una distinta azione, chiede all’Autorità Giudiziaria che accerti la volontà dei soci di ripartire le unità immobiliari in base alle rispettive quote di partecipazione. Il Tribunale, dopo aver riunito le due cause, dichiara il proprio difetto di giurisdizione avendo accertato l’esistenza nell’atto costitutivo della società di una clausola compromissoria, e segnatamente all’art. 12, nella quale si sottoponeva «qualunque controversia sorgesse fra i soci, o fra i soci e la società (…) al giudizio inappellabile di un arbitro amichevole compositore scelto di comune accordo ovvero, in difetto, designato dal signor Pretore nella cui giurisdizione ha sede la società».


2. Lo stato dell'arte: rinvio

Non constano decisioni giurisprudenziali edite nelle quali la soluzione della lite abbia richiesto di rintracciare la disciplina applicabile ad una clausola compromissoria contenuta nell’atto costitutivo di una società semplice. Quanto ai contributi della dottrina in materia, per vero non numerosi, di essi si darà conto nel corso del commento.


3. La regola di giudizio

Come può anche solo intuirsi dalla descrizione dei fatti che hanno interessato la società immobiliare, sarebbero tanti, e di sicuro interesse, i profili problematici del diritto delle società di persone sollevati dalle parti nelle rispettive memorie difensive [1]. In questa sede, però, si darà conto esclusivamente delle regole poste a fondamento della decisione del giudice che, come anticipato, ha negato in via preliminare la propria giurisdizione in favore di un giudizio arbitrale riconoscendo la validità di una clausola compromissoria contenuta nello statuto della società semplice. La regola di giudizio che emerge nel caso in esame è la seguente: se è vero che le nuove norme sull’arbitrato societario non possono trovare applicazione ad una società semplice, essendo state espressamente riservate alle società di forma commerciale (così la legge delega 3 ottobre 2001, n. 366, art. 12), ciononostante, non qualsiasi clausola compromissoria contenuta in un contratto di società semplice è da considerarsi nulla, ma è piuttosto da intendersi assoggettata alle norme del codice di procedura civile e, più esattamente, agli artt. 806 e 808. La decisione, del tutto condivisibile quanto al dispositivo, si inserisce in quell’orientamento giurispru­denziale che, seppur non possa dirsi consolidato, è possibile riscontrare quando si è trattato di decidere sulla relazione intercorrente tra l’arbitrato, quale figura generale disciplinata nel codice di procedura civile, ed il nuovo, speciale, arbitrato societario introdotto con il d.lgs. n. 5/2003; questa giurisprudenza di merito si è pronunciata ritenendo che il c.d. arbitrato endosocietario non sostituisce bensì si aggiunge alla figura generale dell’arbitrato il che non esclude, anche in materia societaria, il ricorso a clausole compromissorie di diritto comune, per arbitrato rituale o libero [2]. Ché, anzi, proprio con riferimento alla società semplice, non compresa nell’am­bito applicativo dell’art. 34, sarebbe attualmente solo quella del codice di procedura civile l’unica strada per compromettere in arbitri eventuali controversie che dovessero insorgere tra i soci ovvero tra i soci e la società. Per quanto è dato desumere dalla lettura della sentenza del Tribunale di Roma, il quadro normativo [continua ..]


4. Giustizia privata e forma non commerciale

Venendo alla preannunciata considerazione di più ampio respiro, riveste una qualche rilevanza domandarsi se l’esclusione delle società semplici dal raggio d’azione degli artt. 34, 35 e 36 del nuovo procedimento societario trovi o meno una giustificazione di tipo funzionale: se, cioè, esistano delle ragioni, da rintracciarsi nelle norme in tema di società semplice o, viceversa, nelle regole dell’arbitrato societario, tali da rendere incompatibile l’applicazione di queste ultime alla prima. La risposta all’interrogativo appena sollevato consentirebbe infatti di fornire al problema che qui ci occupa una soluzione che vada oltre la lettera delle norme e del loro combinato disposto; ci consentirebbe, cioè, di valutare meglio la tenuta e l’utilità del nuovo istituto. Se si fissa quale punto di osservazione la disciplina della società semplice anzi, più esattamente, il suo non essere società di forma commerciale – atteso che sarebbe questo l’unico ostacolo, seppur ricavabile in via interpretativa dal contenuto della legge delega, frapposto dal Tribunale all’operatività nei suoi confronti della nuova disciplina dell’arbitrato societario – è da ricordare come, notoriamente, l’ori­gine di tale scelta sia da rintracciarsi nel passaggio dal codice di commercio all’attuale codice civile: nel codice civile non può parlarsi di “forma commerciale” in senso proprio, diversamente da quanto accadeva nel regime previgente che conosceva la fattispecie «atto di commercio», esemplificata all’art. 3 del codice del 1882 [9], comunque sempre da apprezzarsi in una dimensione medio-grande quale stabile organizzazione di beni. Lo stesso codice abrogato escludeva espressamente dal novero degli atti di commercio l’attività agricola [10], giustificandosi tale esclusione sulla scorta della considerazione in virtù della quale il venditore o il proprietario trae direttamente dalla terra i prodotti che pone in vendita, senza porsi quale intermediario nella circolazione dei beni e, quindi, senza fare commercio dei prodotti me­desimi: mancherebbe, insomma, la ragione del­l’as­soggettamento di tali atti al diritto commerciale, consistente nella «funzione economica dell’interme­diazione tra fattori della produzione e beni o servizi [continua ..]


NOTE
Fascicolo 4 - 2008