Introdotto con la Riforma del diritto societario, nel nostro Paese il sistema monistico di fatto ha subito un destino infelice ed è vissuto nell’ombra del più diffuso dualistico sino a che – con una scelta coraggiosa e confortata solo dall’esperienza comparata, specialmente dei Paesi anglofoni – Intesa prima ed UBI poi hanno deciso di abbracciarlo. Il presente contributo, compiuta una disamina delle principali caratteristiche del sistema monistico e delle peculiarità che lo contraddistinguono nell’ambito della governance bancaria, analizza lo statuto sociale dei due istituti bancari, con particolare riguardo per il comitato per il controllo sulla gestione. Oltre ad uno studio del tenore letterale delle disposizioni, l’articolo si prefigge di affrontare i caratteri distintivi degli organi del modello monistico nella prassi e di riflettere sull’utilizzabilità di tale sistema alternativo di amministrazione e controllo anche in relazione a società non bancarie.
The one-tier system, which was introduced with the Reform of company law, suffered from an unfortunate fate in Italy and lived in the shadow of the more widespread two-tier system until – with a brave and courageous decision, only comforted by the comparative experience, especially in English-speaking countries – firstly Intesa and later UBI decided to embrace it. This paper, following an in-depth study of the one-tier system and of the peculiarities that characterize it within the context of banking governance, analyses the bylaws of the two banking institutions, with particular attention being dedicated to the management control committee. The article, besides examining the wording of the relevant provisions, aims to address the distinguishing features of the one-tier model structure in practice and to discuss its applicability also to non-banking companies.
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1. Introduzione - 2. I tratti distintivi del sistema monistico. Il dettato normativo e le principali criticità - 3. Il sistema monistico nel contesto di evoluzione della governance bancaria - 4. L’esperienza di Intesa e di UBI al confronto: l’abbandono del dualistico e l’adozione del monistico. Ratio, ruoli e funzioni degli organi coinvolti - 5. L’esperienza di Intesa e di UBI al confronto: il monistico in action. La composizione del comitato per il controllo sulla gestione - 6. L’esperienza di Intesa e di UBI al confronto: il monistico in action. Le competenze del comitato per il controllo sulla gestione - 7. Conclusioni - NOTE
Le recenti crisi finanziarie e le evoluzioni nell’ambito dei modelli di governance prescelte da alcune tra le più importanti società bancarie italiane hanno ridestato l’attenzione sull’efficacia dei sistemi di amministrazione e controllo e, in senso ancor più ampio, sul ruolo che la corporate governance [1] è chiamata a svolgere onde soddisfare esigenze di efficienza e trasparenza della gestione [2]. Nell’ambito di un’economia sempre più globalizzata ed interconnessa, soprattutto in ambito bancario, gli scandali che hanno riguardato società operanti in questo settore (tra cui Banca Popolare di Vicenza, Veneto Banca e Banca Etruria, CariChieti, CariFerrara, Banca Marche) si sono rivelati un’ulteriore freccia nella faretra di coloro che ritengono il sistema di governance tradizionale inadeguato a garantire l’efficacia del controllo sulla gestione. Sempre in questo contesto, assumono una veste particolare le parole pronunciate, nella cornice dell’incontro annuale con il mercato finanziario del maggio 2014, dal Presidente della Consob [3]. Al fine di rinnovare il sistema dei controlli societari, egli ha infatti caldeggiato un maggiore ricorso al sistema di amministrazione e controllo monistico. Questo sistema era stato introdotto con la Riforma del diritto societario del 2003, che in modo molto coraggioso e sicuramente pioneristico rispetto alla previgente tradizione giuridica aveva inteso offrire alle imprese un ventaglio di scelte in relazione ai sistemi di amministrazione e controllo, permettendo alle società di individuare liberamente quello più adatto alle singole realtà. L’intento politico era, nello specifico, rilanciare la competitività delle imprese italiane, facendo in modo che le società straniere (e, specialmente, gli investitori istituzionali) potessero riconoscersi immediatamente nel nostro ordinamento giuridico [4]. Non a caso, la sezione dedicata ai sistemi accennati (artt. 2380 ss. c.c.) rappresenta la parte più corposa e, al tempo stesso, innovativa del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6. Rispetto a detta sezione, nel testo della Relazione al disegno di legge n. 7123, seguito alla Commissione Mirone, e antecedente al disegno di legge n. 1137, divenuto poi la legge delega n. 366/2001, si precisa che l’offerta dei sistemi [continua ..]
Il sistema monistico, ampiamente diffuso nel diritto anglosassone [15], si caratterizza per una maggiore semplicità [16] e per l’“eliminazione” del collegio sindacale, contemplando l’esercizio delle funzioni di amministrazione e di controllo rispettivamente da parte del consiglio di amministrazione (di seguito, anche “CdA”) e da un comitato costituito al suo interno (art. 2409-sexiesdecies c.c.), denominato comitato per il controllo sulla gestione (di seguito, anche “CCG”) [17]. Viene pertanto esclusa la possibilità di affidare la gestione ad un amministratore unico. All’ufficio di amministratore è così estesa l’intera disciplina prevista in relazione al modello tradizionale (artt. 2308-bis c.c.-2395 c.c.), “senza eccezione alcuna” [18]. All’interno del consiglio di amministrazione, al quale spetta così in via esclusiva la gestione dell’impresa (art. 2409-septiesdecies, 1° comma, c.c.), oltre al comitato per il controllo sulla gestione, può essere istituito, in via eventuale, un comitato esecutivo, composto da quegli amministratori ai quali il plenum ha attribuito delle deleghe di natura gestoria [19]. Ulteriori peculiarità del sistema monistico consistono, da un lato, nella previsione che impone nel consiglio di amministrazione la presenza di almeno un terzo dei consiglieri in possesso di requisiti di indipendenza fissati dalla legge [20] (e, se previsto statutariamente, di quelli fissati dai codici di condotta); dall’altro lato, nelle norme che ne impongono una specifica articolazione: in particolare, con riguardo al comitato per il controllo sulla gestione [21], si stabilisce che venga composto unicamente da amministratori indipendenti. Ai sensi dell’art. 2409-octiesdecies c.c., poi, “la determinazione del numero e la nomina dei componenti il comitato per il controllo sulla gestione spetta al consiglio di amministrazione”, salvo diversa disposizione statutaria. In questo senso, la disciplina consente l’attribuzione all’assemblea di nominare (e, deve ritenersi, anche revocare [22]) i componenti il CCG, ma soprattutto precisa che il board potrà decidere a chi tra i propri membri affidare lo svolgimento della funzione di controllo senza che ciò configuri una [continua ..]
Nonostante le recenti crisi finanziarie abbiano fatto emergere talune criticità connesse nella governance bancaria [33], ciò non significa che prima della crisi non fosse evidente l’esigenza di assicurare che le banche fossero dotate di un efficiente sistema di governance; nell’ambito dell’ordinamento giuridico dell’Unione Europea, infatti, la prima direttiva che espressamente disciplinava la governance degli enti creditizi risale al 2000 (direttiva 2000/12/CE). Seppur in termini ancora generici e privi di richiami a norme secondarie, tale fonte normativa stabiliva che le banche fossero tenute a strutturare “una buona organizzazione amministrativa e contabile e adeguate procedure di controllo interno” (art. 17). Nel 2006, nell’ambito del consolidamento della normativa comunitaria in materia bancaria all’interno del pacchetto CRD I, agli enti creditizi è stato esplicitamente richiesto di approntare una chiara struttura organizzativa, di individuare la catena di responsabilità in modo trasparente e corretto e di strutturare efficaci meccanismi di gestione del rischio e di controllo interno. In tale situazione, richiamandosi ai principi di corporate governance bancaria elaborati a livello internazionale e comunitario, anche il nostro ordinamento, emanò una serie di disposizioni imperative concernenti l’organizzazione e il funzionamento degli organi di amministrazione e controllo delle società bancarie [34]. L’obiettivo della disciplina nazionale era di condurre le banche verso scelte organizzative atte ad assicurare una chiara ripartizione dei compiti e delle responsabilità dei vari organi societari, al contempo mantenendo un costante flusso informativo ed un bilanciamento dei poteri [35]. A seguito della Riforma del diritto societario e dell’introduzione della possibilità anche per gli istituti bancari di avvalersi dei sistemi alternativi di amministrazione e controllo, il Ministro dell’Economia e delle Finanze, in qualità di presidente del Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio, ha emanato il d.m. 5 agosto 2004, n. 1419, per mezzo del quale sono stati, da un lato, stabiliti requisiti minimi per l’assetto organizzativo e l’articolazione dei compiti e poteri degli organi sociali delle banche [36], e, dall’altro, attribuiti a Banca [continua ..]
Affrontati i principi cardinali del tema oggetto di studio, è ora opportuno scendere in profondità ed analizzare le modalità con le quali le due società bancarie italiane che hanno adottato il modello monistico hanno strutturato i propri assetti organizzativi. Ciò, anche alla luce del fatto che, nel merito, sia il legislatore sia le Autorità di Vigilanza affidano all’autonomia statutaria un ruolo primario nel configurare specifiche norme adattate alle dimensioni ed alle esigenze gestorie della società [78]. A distanza di nove anni dall’adozione di un diverso sistema di amministrazione e controllo, quello dualistico, Intesa ha così intrapreso un nuovo percorso, del tutto inesplorato ed inedito nel panorama bancario italiano. Successivamente, anche UBI ha avviato una riflessione interna sulla propria governance, sfociata, nell’ottobre del 2018, nella medesima scelta operata da Intesa tre anni prima: abbracciare il monistico. La situazione attuale, che ha conosciuto il completamento del primo mandato triennale del CdA monistico da parte di Intesa, e, al contempo, l’alba della nuova governance monistica di UBI, rende così opportuna una riflessione sulle rispettive cornici statutarie [79]. Ciò, soprattutto, nell’ottica di verificare se, ed eventualmente, in che modo, l’esperienza dell’istituto bergamasco abbia tenuto conto dei risultati maturati da modello monistico “sul campo” delle performance di Intesa dell’ultimo triennio. In tale contesto, l’analisi che ci si accinge ad intraprendere si concentrerà primariamente sull’organo di controllo, per privilegiare in questo modo un esame di come tale comitato – che costituisce la cifra distintiva del sistema monistico – è stato concretamente scolpito nei principali documenti destinati a regolare il funzionamento delle due società. Prima di proseguire con l’analisi delle disposizioni statutarie, è tuttavia opportuno accennare ai percorsi che hanno condotto i due istituti ad abbandonare il dualistico. In proposito, emergono fin da subito numerose similitudini e parallelismi: ex multis, in entrambi i casi, gli esiti dei processi di autovalutazione svolti in seno ai Consigli di Sorveglianza e di Gestione delle banche avevano evidenziato la necessità di avviare approfondimenti [continua ..]
In conformità con le disposizioni emanate da Banca d’Italia nella Circolare n. 285/2013, l’obiettivo principale perseguito per mezzo dello statuto in relazione all’organo di vigilanza è il rafforzamento del ruolo e dell’autonomia del comitato per il controllo sulla gestione rispetto ai rimanenti organi sociali. Di conseguenza, in relazione alle modalità di elezione, Intesa e UBI hanno ottemperato alle indicazioni emanate dall’Autorità di Vigilanza [106], attribuendo tale prerogativa all’assemblea. A norma dell’art. 14 dello Statuto di Intesa e art. 22 dello Statuto di UBI, per la nomina degli organi (CdA e CCG) non è inoltre prevista una votazione distinta: entrambe le banche hanno difatti preferito procedere mediante un’unica votazione, seguendo il c.d. voto di lista, nella quale ciascuna lista [107] specifichi in una sezione i candidati al ruolo di membri del comitato per il controllo sulla gestione [108]. Al riguardo, in conformità con le vigenti norme in materia di partecipazione delle minoranze alla composizione degli organi sociali, sia nel consiglio di amministrazione sia nel comitato per il controllo sulla gestione è assicurata dagli statuti la presenza di esponenti eletti dalle minoranze [109]. Con riferimento al comitato per il controllo sulla gestione, le due istituzioni adottano invece meccanismi parzialmente differenti. Se, in entrambi i casi, esso è composto in misura fissa da cinque consiglieri [110], per quanto concerne Intesa tre componenti saranno tratti dalla lista di maggioranza, mentre i restanti due dalla lista che avrà ottenuto il secondo maggior numero di voti [111]. Per quanto riguarda UBI, invece, la determinazione dei componenti è, in ultima analisi, legata a dei complessi meccanismi fondati sulla percentuale di voti raccolta in assemblea dalle varie liste [112]. Come osservato da autorevole dottrina in relazione al caso Intesa [113], il “peso” relativo che i membri del comitato potranno esercitare in quanto membri indipendenti del consiglio di amministrazione all’interno dell’organo medesimo sarà tuttavia variabile. Essendo il numero di componenti il CdA di questa banca non stabilito in misura fissa dallo statuto (come invece per UBI), ma costituito da un minimo di 15 ad un massimo di 19 [114], le concrete capacità di [continua ..]
Con riguardo alle competenze di cui è investito l’organo di controllo, le due banche hanno espresso la volontà di esplicitare compiti non espressamente attribuiti dalla normativa al comitato per il controllo sulla gestione, ma dalla dottrina comunque ricompresi implicitamente nei doveri dei consiglieri componenti di tale organo. In questo, UBI ha seguito un percorso già tracciato da Intesa, confermando in gran parte le formulazioni rinvenibili nello statuto di quest’ultima. L’elencazione dei doveri e dei poteri attribuiti al comitato configurano in entrambi i casi un tentativo di raccordo organico, attraverso cui delineare un insieme completo dei compiti affidati all’organo di controllo, nonché delle concrete attribuzioni di cui quest’ultimo è investito nell’ottica di adempiere alle proprie funzioni. In primo luogo, come osservato con riguardo ai requisiti di composizione, è possibile rilevare come entrambe le previsioni statutarie si adeguino alle disposizioni di vigilanza emanate da Banca d’Italia e riferite alle società bancarie adottanti il sistema monistico [139], attribuendo espressamente, con eguale formulazione, al comitato per il controllo sulla gestione il compito di vigilare “sull’osservanza delle norme di legge, regolamentari e statutarie e sul rispetto dei principi di corretta amministrazione” [140]. Gli statuti ripropongono successivamente, all’art. 23.1, lett. b) (per Intesa) e all’art. 33.1 (per UBI), il dovere di vigilanza sulla struttura organizzativa e sul sistema di controllo interno così come delineato dall’art. 2409-octiesdecies, 5° comma, lett. b), c.c., riferendolo tuttavia non solo alla società in quanto tale, bensì anche a tutte le società facenti parte dei rispettivi gruppi bancari [141]. Nella complessiva struttura di governance adottata dalle banche, le prerogative del comitato si intrecciano inoltre con gli ampi poteri attribuiti al presidente del CdA. Quest’ultimo, infatti, ha facoltà di chiedere e ricevere “informazioni anche su specifici aspetti della gestione della Società e del Gruppo e sull’andamento in generale, anche prospettico, della gestione stessa” [142], e risulterebbe così legittimato, al fine del corretto e pieno esercizio delle competenze affidategli dallo [continua ..]
In definitiva, l’esperienza di Intesa prima e la successiva presa di posizione di UBI poi, confermano come lo statuto rappresenti un valido strumento per colmare (e superare) le lacune che l’adozione del sistema monistico comunque comporta, compiendo scelte tese a integrare e, dove possibile, perfezionare l’apparato normativo [158]. In tal senso, sia Intesa sia UBI hanno ritenuto di non accentrare eccessivamente il controllo interno in capo al comitato per il controllo sulla gestione, da un lato, mantenendo le funzioni di Organismo di Vigilanza ex d.lgs. n. 231/2001 e CCG separate, e, dall’altro, non avvalendosi della facoltà di attribuire a quest’ultimo le competenze del comitato rischi. Pur non eliminando, in tal modo, una perlomeno parziale sovrapposizione e coesistenza tra pluralità di organi e funzioni, si riscontra il mantenimento del vantaggio principale di un sistema di controllo a più attori, tramite la presenza di una pluralità “di occhi e di orecchie” [159]. Le caratteristiche del comitato così delineate consentono di ritenere che le banche in questione abbiano desiderato concepire tale organo come sede privilegiata per la ponderazione e l’autocontrollo dell’attività gestoria. Un organo in cui far confluire profili personali (e professionali) impegnati su fronti parzialmente diversi da quelli inerenti strettamente all’attività di controllo (quali, ad esempio, quelli gestionali), ma cionondimeno ad essa strettamente interconnessi [160]. Nell’espletamento del proprio ruolo in un ambito fortemente competitivo e mutevole, il comitato viene dunque investito di una proiezione espansiva, ultronea rispetto a un ruolo confinato al solo controllo formale, destinando il proprio agire ad una vigilanza dal carattere “preventivo, consulenziale, e autocorrettivo” [161]. In tal senso, si tiene conto del ruolo propositivo del comitato nella normativa regolamentare di Banca d’Italia, in ipotesi di carenze e irregolarità nella gestione [162], nonché con riguardo all’adeguatezza e funzionalità della struttura organizzativa [163]. In conclusione, UBI ed Intesa hanno compiuto delle scelte che, con pregi e vantaggi, per un verso, incertezze e difetti, per altro verso, rappresentano il risultato di una attenta ricerca del sistema di governo societario più [continua ..]