Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Le quote di genere nelle società a controllo pubblico (di Chiara Garilli)


Prendendo le mosse dai dati statistici sulla partecipazione femminile negli organi delle società a controllo pubblico italiane – meno confortanti di quelli relativi in linea generale alle società quotate –, l’articolo si propone l’obiettivo d’in­dividuare alcuni punti di debolezza dell’attuale disciplina delle quote di genere nelle società a controllo pubblico non quotate, quale risultante tra l’altro dal recente art. 6 della legge 5 novembre 2021, n. 162.

In questa prospettiva, vengono, altresì, formulate alcune proposte de iure condendo, anche alla luce delle più recenti iniziative legislative.

 

Gender quotas in publicly controlled companies

Starting from the statistical data on female participation in the bodies of the Italian publicly controlled companies – unfortunately worse that those relating in general to listed companies –, the article aims to identify some weaknesses of the current legislation of gender quotas in unlisted publicly controlled companies, recently amended by Article 6 of Law no. 162/2021.

In this perspective, some proposals de iure condendo are formulated, also in the light of the most recent Italian legislative initiatives.

Keywords: gender quotas – publicly controlled companies – female participation – listed companies – gender diversity.

If we do something over and over again, it becomes normal. If we see the same thing over and over again, it becomes normal. If we keep seeing only men as heads of corporations, it starts to seem “natural” that only men should be head of corporations. Chimamanda Ngozi AdichieWe should all be feminists, Harper Collins Publishers, 2014
SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. Il minor successo applicativo delle quote di genere nelle società pubbliche: alcuni dati statistici - 3. Sintetica ricostruzione della disciplina delle quote di genere applicabile alle società a controllo pubblico - 4. Il perimetro soggettivo di applicazione della disciplina: le società a controllo pubblico - 5. Alcune proposte de iure condendo anche alla luce delle più recenti iniziative legislative - 6. Sintetiche conclusioni - NOTE


1. Introduzione

L’obbligo del rispetto delle quote di genere nella composizione degli organi delle società per azioni quotate e delle società a controllo pubblico – introdotto nel 2011 ad opera della legge 12 luglio 2011, n. 120 (cd. Legge Golfo-Mosca) ed inizialmente oggetto di ampio dibattito per i comprensibili (ma, ad avviso di chi scrive, infondati) timori di un’indebita intromissione legislativa nell’incoercibile sfera della libertà individuale d’impresa [[1]] – viene oggi valutato, in linea generale, con favore in considerazione dei risultati ampiamente positivi ottenuti nel suo periodo di vigenza [[2]]. Quantomeno in termini numerici, infatti, dalle rilevazioni ufficiali relative al 2019 – ultimo anno interamente caratterizzato dall’applicazione delle quote previste dalla legge n. 120/2011, prima dell’entrata in vigore della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (sulla quale v. oltre) – si evince che il numero di donne che siedono nel consiglio di amministrazione delle società quotate è salito dal 7,4% (anno 2011) [[3]] al 36,5% (anno 2019) [[4]]. Certamente inferiore, ma comunque positivo, si è rivelato l’incremento della partecipazione delle donne nelle società a controllo pubblico, i cui organi amministrativi hanno registrato nel 2019 una presenza femminile del 25,3%, a fronte di un dato di partenza del 10,7% nel 2011 [[5]]. Anche per gli organi di controllo la dinamica osservata è in linea con quella appena descritta per gli organi gestori: nelle società per le quali sono state legislativamente imposte le quote di genere la crescita è stata significativa, posto che alla fine del 2019 è stata rilevata una presenza femminile pari al 38,8% nelle quotate e al 33,1% nelle società a controllo pubblico, a fronte di un dato di partenza rispettivamente del 6,5% e del 16,7% [[6]]. E l’introduzione delle quote di genere ha fatto registrare risultati positivi anche nel settore bancario, grazie ad un positivo effetto di “trascinamento” indirettamente prodotto dalla legge n. 120/2011, che ha condotto all’inserimento di talune raccomandazioni relative al rispetto delle quote di genere in seno alle Disposizioni di Vigilanza [[7]]. Peraltro, l’esigenza di ridurre il grave squilibrio di genere ancora persistente negli organi delle banche non quotate ha recentemente [continua ..]


2. Il minor successo applicativo delle quote di genere nelle società pubbliche: alcuni dati statistici

Le criticità sinteticamente evidenziate sussistono anche nel settore delle società a controllo pubblico, anzi – ed è da ciò che origina la presente indagine – le ultime rilevazioni statistiche dimostrano come, nonostante gli indiscutibili progressi, l’impatto complessivo della legge Golfo-Mosca in tale settore sia stato meno significativo, presumibilmente anche a causa di alcuni successivi innesti normativi poco coordinati ed efficienti. Alla luce degli ultimi dati ufficiali (purtroppo risalenti al 2019), nelle società a partecipazione pubblica la presenza femminile, nonostante il miglioramento numerico conseguito a far data dall’introduzione della legge n. 120/2011 e del relativo regolamento di attuazione, continua a mostrarsi sensibilmente più basso di quello rilevato nelle società private sottoposte agli obblighi di equilibrio di genere. Più nel dettaglio, anche con riferimento alle società a controllo pubblico i risultati derivanti dal­l’applicazione delle quote di genere sono stati in linea generale confortanti, posto che la presenza femminile nell’organo amministrativo nel 2019 era del 25,3%, a fronte di un dato di partenza nel 2011 del 10,7%, e quella negli organi di controllo al 33,1% a partire da un dato del 16,7% nel 2011; ciò non di meno si tratta di risultati decisamente meno soddisfacenti – in termini assoluti e relativi – di quelli registrati nelle società quotate (rispettivamente 36,5% e 38,8%) (v. supra § 1). A trainare verso il basso le rilevazioni statistiche contribuiscono, in particolare, i dati fortemente negativi della presenza femminile negli organi amministrativi delle società pubbliche del Sud-Italia (circa il 19%) [[22]], nonché, e soprattutto, la quasi totale assenza di donne nel ruolo di amministratore unico, sebbene l’organo amministrativo monocratico sia destinato a rappresentare il modello organizzativo elettivo delle società a controllo pubblico non quotate (v. infra) [[23]]. Di particolare interesse risulta il monitoraggio recentemente effettuato su un campione costituito da 192 società, direttamente o indirettamente partecipate dal MEF [[24]]. In linea generale, si osserva che nelle società direttamente e indirettamente controllate dallo Stato la compliance rispetto alle quote di genere è maggiore di quanto ravvisato in [continua ..]


3. Sintetica ricostruzione della disciplina delle quote di genere applicabile alle società a controllo pubblico

Sin dall’introduzione delle cd. quote rosa in ambito societario, le società a controllo pubblico – a prescindere dalla quotazione – sono state considerate dal legislatore tra le destinatarie elettive dei relativi obblighi di nomina (v. art. 3, legge n. 120/2011), demandando ad un successivo regolamento la definizione delle relative modalità attuative (d.p.r. 30 novembre 2012, n. 251) [[31]]. Più nel dettaglio, la disciplina introdotta dalla legge Golfo-Mosca prevedeva che (i) l’obbligatorietà della quota di 1/3 dei componenti degli organi sociali da riservare al genere meno rappresentato si applicasse per tre mandati consecutivi, a partire dal primo rinnovo successivo alla data di entrata in vigore del regolamento attuativo (avvenuta solo il 12 febbraio 2013, a più di un anno di distanza dall’entrata in vigore della legge n. 120/2011); e che (ii) per il primo mandato la quota riservata al genere meno rappresentato fosse pari ad almeno 1/5 dei componenti. Sebbene ciò non si desuma pacificamente dal testo normativo, né dai relativi lavori preparatori, l’estensione dell’obbligo delle quote di genere alle società a controllo pubblico non quotate, oltre che in ragione del già sopra evidenziato principio di buon funzionamento degli organi collegiali – specie se aventi un significativo rilievo pubblicistico, come nel caso delle società pubbliche –, sembrerebbe ricavare il suo fondamento anche negli obblighi di parità di trattamento e non discriminazione ricadenti più in generale sulla pubblica amministrazione, trovando conforto in particolare negli artt. 3, 51 e 117, comma 7, della Costituzione. In altri termini, senza in alcun modo mettere in discussione la natura prettamente privatistica delle società a partecipazione pubblica, ivi incluse quelle a controllo pubblico e quelle in house, si ritiene che, nella sua attività di designazione dei componenti degli organi sociali, la p.a. controllante sia obbligata al rispetto dei principi di parità di genere, al pari di quanto ad oggi viene generalmente imposto con riferimento alla composizione degli organi collegiali pubblici non elettivi (es. le giunte degli enti locali), sulla base di specifiche disposizioni legislative e/o statutarie, nonché – stando ad alcuni più recenti orientamenti – in ragione dell’imme­diata [continua ..]


4. Il perimetro soggettivo di applicazione della disciplina: le società a controllo pubblico

Fondamentale punto di partenza dell’analisi che s’intende condurre è l’interpretazione della nozione di “società a controllo pubblico”, posto che la corretta individuazione del perimetro soggettivo di applicazione della disciplina in esame è destinata ad avere significative ricadute concrete. Nella definizione di “controllo” già la legge n. 120/2011 faceva rinvio all’art. 2359 c.c. e tale scelta risulta oggi confermata dal t.u.s.p., il cui art. 2, comma 1, lett. b finisce anch’esso con il richiamare tale norma, esplicitamente includendovi tuttavia anche il cosiddetto controllo congiunto. Tale ultima conclusione, in particolare, si desume dal fatto che la seconda parte della medesima disposizione precisa: “il controllo può sussistere anche quando, in applicazione di norme di legge o statutarie o patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo” [corsivo aggiunto] [[43]]. Ebbene, il fatto che l’art. 6 legge n. 162/2021 rinvii alla nozione di controllo di cui all’art. 2359 c.c. e non a quella più recente del t.u.s.p. potrebbe indurre l’in­terprete a ritenere che l’ipotesi del controllo congiunto non sia da includere nel perimetro applicativo di tale disposizione, così determinando peraltro anche un’in­giustificata differenza di trattamento tra gli obblighi di parità di genere ancora previsti dal t.u.s.p. e quelli attualmente imposti dall’art. 147-ter, comma 1-ter, così come richiamato dal già citato art. 6. Quindi, nell’attesa di un auspicabile intervento correttivo che introduca in seno a tale ultima disposizione il rinvio alla definizione di controllo pubblico dettata dal t.u.s.p., è preferibile aderire ad un’interpre­tazione dell’art. 2359 c.c. inclusiva della nozione di controllo congiunto [[44]]. In considerazione del rinvio all’art. 2359 c.c., dunque, è piuttosto agevole concludere nel senso che devono ritenersi “società a controllo pubblico” tutte quelle in cui una pubblica amministrazione – nozione nella quale devono essere incluse le amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001, e i loro consorzi o associazioni, gli [continua ..]


5. Alcune proposte de iure condendo anche alla luce delle più recenti iniziative legislative

In linea generale, è plausibile che il parziale insuccesso applicativo delle quote di genere nelle società a partecipazione pubblica sia prevalentemente da rintracciare nelle disposizioni concernenti le società a controllo pubblico non quotate, posto che le quotate pubbliche sono sottoposte alla medesima disciplina prevista per le private. In quest’ottica, un primo elemento non trascurabile è rappresentato da un apparato sanzionatorio certamente meno rigoroso di quanto non sia stato previsto dalle corrispondenti norme in tema di società quotate (ivi incluse le quotate a controllo pubblico): mentre per queste ultime il Testo unico della finanza attribuisce ampi poteri di controllo e monitoraggio alla Consob, prevedendo al contempo, in caso di mancato adeguamento entro certi termini, l’irrogazione di sanzioni amministrative pecuniarie in capo alle società inadempienti (v. artt. 147-ter e 148 t.u.f.) [[58]], per le società a controllo pubblico non quotate, pur essendo previsto un articolato sistema di monitoraggio (v. art. 4, commi 2 e 3, d.p.r. n. 251/2012), l’unica sanzione riconducibile al mancato adempimento è rappresentata dalla decadenza dei componenti dell’organo amministrativo [[59]]. In ragione di quanto sopra, sarebbe opportuno introdurre un efficace regime sanzionatorio, che magari si applichi anche “in anticipo”, cioè già a fronte dell’ina­dempimento degli obblighi di comunicazione verso le strutture investite del monitoraggio. Peraltro, anche da tale ultimo punto di vista – i.e. le autorità deputate al controllo e destinatarie delle relative comunicazioni –, la disciplina concernente le società a controllo pubblico (non quotate) meriterebbe un intervento legislativo atto a chiarire il non facile coordinamento tra l’art. 4 del d.p.r. n. 251/2012 e l’art. 15 t.u.s.p., al fine di definire meglio le competenze e i poteri delle differenti strutture che – almeno fino a quando sarà in vigore anche per le società a controllo pubblico la disciplina di cui all’attuale art. 147-ter, comma 1-bis, t.u.f. – coesistono ed esercitano un ruolo di controllo sul rispetto delle quote. A ciò si aggiunga che nulla è previsto per quel che concerne le sanzioni eventualmente applicabili nei confronti delle pubbliche amministrazioni inadempienti rispetto alle [continua ..]


6. Sintetiche conclusioni

Alla luce di quanto sin qui argomentato, si ritiene utile riepilogare sinteticamente le proposte de iure condendo, che, nell’opinione di chi scrive, potrebbero contribuire al raggiungimento di una più significativa parità tra uomini e donne negli organi delle società a controllo pubblico. In linea generale, sarebbe opportuno ridefinire il perimetro soggettivo di applicazione della disciplina sulle quote di genere nelle società a controllo pubblico, prevedendo che: (i) il rispetto delle quote di genere si applichi inequivocabilmente anche alle società sottoposte a “controllo pubblico congiunto”; (ii) il rispetto della percentuale di amministratori unici (attualmente 1/3) da riservare al genere meno rappresentato in relazione al complesso delle nomine effettuate dalla p.a. sia esteso a tutte le ipotesi di nomina di amministratori e sindaci ex art. 2449 c.c., a prescindere dal controllo esercitato dall’amministrazione pubblica sulla relativa società; (iii) la disciplina sulle quote di genere ad oggi contenuta nel t.u.s.p. sia estesa anche a tutte le società quotate a controllo pubblico, e di conseguenza, anche alle società non quotate indirettamente controllate dalla p.a. per il tramite di società quotata. Quanto ai criteri di fissazione, calcolo e applicazione delle quote riservate, si propongono le seguenti modifiche: (i) allineare le percentuali di cui all’art. 11, comma 4, t.u.s.p. a quelle attualmente previste per le società quotate, quantomeno in relazione alle quote da riservare al genere meno rappresentato in seno agli organi collegiali (secondo quanto già disposto dall’art. 6 legge n. 162/2021); (ii) modificare i criteri di calcolo dell’art. 11, comma 4, prima parte, secondo quanto sopra proposto (§ 5); (iii) evitare di ricorrere alla tecnica normativa del rinvio ad altre leggi istitutive delle quote di genere, o, comunque, chiarire che la disciplina delle quote obbligatorie nelle società a controllo pubblico non è da intendere temporalmente circoscritta; (iv) estendere le quote di genere agli organi di controllo nelle medesime percentuali attualmente previste per le società quotate; (v) prevedere un congruo apparato sanzionatorio – eventualmente allineandolo a quello attualmente previsto per le società quotate – ed introdurre apposite sanzioni per le omesse comunicazioni [continua ..]


NOTE