Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
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Sul fallimento della società cancellata dal registro delle imprese a seguito di fusione per incorporazione (di Maria Laura Micucci)


La nota analizza la sentenza della Corte d’Appello di Catania del 29 aprile 2022, in tema di fusione per incorporazione e fallimento della società incorporata. La pronuncia afferma la natura non esclusiva del rimedio del­l’op­posizione per i creditori e reputa fallibile la società incorporata, argomentando dalla natura successoria della fusione per incorporazione con conseguente applicazione dell’art. 10 legge fall. alla società estinta. La decisione non è esente da critiche, poiché il chiaro tenore letterale dell’art. 2504-bis c.c. e la previsione di uno strumento di tutela specifica per i creditori impongono di optare per una diversa interpretazione.

On the bankruptcy of the company deleted from the business register as a result of merger by incorporation

The note discusses the decision of the Court of Appeal of Catania, published in April 29, 2022 on the subject of merger by incorporation and bankruptcy of the incorporated company. The ruling affirms the non-exclusive nature of the remedy of opposition for creditors and deems the merged company bankrupt arguing from the “successor nature” of the merger by incorporation and application of Article 10 of the bankruptcy law to the extinguished company. The sentence is disputed as the article 2504-bis of the Civil Code and the provision of already specific protection of creditors’ interests point to a different interpretation.

MASSIMA: La fusione per incorporazione comporta l’estinzione della società incorporata e realizza un vero e proprio effetto successorio, che non esclude la fallibilità della società incorporata insolvente ai sensi dell’art. 10 l. fall. L’opposizione alla fusione rappresenta per i creditori un rimedio di natura aggiuntiva e non esclusiva. PROVVEDIMENTO: Con sentenza del 9/11.12.2021, n. 229/2021, il Tribunale di Catania, su istanza della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Catania, ha dichiarato il fallimento della D. S. Editore S.p.A. assumendo, a sostegno della decisione, la sussistenza delle condizioni soggettive, dei limiti dimensionali e dello stato di insolvenza. Con ricorso depositato il 10.1.2022, M. sia nella qualità di legale rappresentante della D. S. Editore S.p.A. che quale cessato amministratore unico della stessa, ha proposto reclamo avverso la detta sentenza, lamentando la nullità dell’i­stan­za di fallimento per la mancata individuazione del debitore nei cui riguardi è stato richiesto il fallimento; la nullità del decreto di convocazione del debitore; l’insus­si­stenza del presupposto soggettivo per la dichiarazione di fallimento della società incorporata e l’inapplica­bilità dell’art.10 l.f.; l’insussi­stenza del presupposto oggettivo ed ha conseguentemente chiesto la revoca dell’opposta statuizione. Fissata l’udienza di comparizione delle parti si è costituita la curatela fallimentare chiedendo il rigetto del reclamo. Si è costituita la Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Catania che ha insistito nella conferma del richiesto fallimento. Disposto rinvio ad altra udienza su richiesta della parte reclamante avendo la curatela, con la costituzione depositato svariati documenti, al fine di garantire il contraddittorio, il reclamo è stato posto in decisione all’udienza cartolare del 25.3.2022. 1) Preliminarmente va rilevato che la legittimazione processuale a proporre reclamo ai sensi dell’art. 2504 bis c.p.c. spetta alla società incorporante D. S. Editore Società per Azioni (cfr. Cass. sez. un. 30.7.2021, n. 21970) società costituitasi per resistere alla istanza di fallimento proposta dal Pubblico Ministero e notificata alla p.e.c. della società incorporata. 2) Con il 1° motivo la reclamante insiste nella eccezione, già proposta con la costituzione innanzi al Tribunale fallimentare, di nullità del­l’istanza di fallimento avanzata dal Pubblico Ministero per omessa individuazione nel ricorso introduttivo del soggetto destinatario della richiesta di fallimento risultando errata la statuizione del collegio fallimentare che aveva valorizzato sia i chiarimenti all’uopo resi dall’i­stante alla prima udienza, che il principio di [continua..]
SOMMARIO:

1. Il caso - 2. Il quadro normativo - 3. I precedenti giurisprudenziali - 4. La posizione della dottrina sugli effetti della fusione e il fallimento della società incorporata - 5. Segue. Sul rimedio dell’opposizione alla fusione e sulla fallibilità dell'incorporata - NOTE


1. Il caso

La Corte d’Appello di Catania si interroga sull’applicazione dell’art. 10 legge fall. ad una società cancellata dal registro delle imprese a seguito di fusione per incorporazione e sancisce la natura aggiuntiva, e non esclusiva, del rimedio dell’op­posizione ex art. 2503 c.c. Nello specifico, la Corte ritorna sull’annosa questione degli effetti della fusione, in quanto riconosce alla stessa un effetto estintivo-successorio e così dichiara il fallimento della società incorporata. Con tale decisione si respinge la tesi secondo cui la fusione per incorporazione ha natura modificativa e non estintiva della società, nonostante la continuazione dell’attività d’im­presa in capo alla società incorporante. I giudici catanesi confermano quanto sostenuto nel primo grado di giudizio, in linea con la recente pronuncia della Suprema Corte in ordine alla ricostruzione della fusione per incorporazione quale vicenda successoria [1].


2. Il quadro normativo

Il disposto dell’art. 2504-bis c.c. in ordine agli effetti della fusione è stato più volte modificato. La sua attuale formulazione si deve alla riforma delle società del 2003, attraverso la quale il legislatore ha eliminato il riferimento alle società estinte, prevedendo che la società risultante dalla fusione assume diritti e obblighi delle società partecipanti e prosegue in tutti i loro rapporti, anche quelli processuali anteriori alla stessa [2]. Siffatta previsione tende a scongiurare l’assimilazione con le vicende inerenti alla persona fisica ed alla successione universale, evidenziando altresì come sia del tutto assente nella fusione la definizione dei rapporti sociali. Nondimeno, il tenore dell’art. 2504-bis c.c. non è ritenuto dirimente ai fini degli effetti della fusione, essendosene segnalato il carattere lacunoso, e pertanto sussistono ancora margini per discutere sulla natura dell’operazione [3]. Un ulteriore aspetto su cui si soffermano i giudici catanesi concerne la natura del rimedio dell’opposizione alla fusione, ai fini dell’applicazione dell’art. 10 legge fall.: non è sufficiente concludere per la vicenda estintiva della fusione per incorporazione, ma bisogna altresì ritenere che l’opposizione ex art. 2503 c.c. sia uno strumento di carattere non esclusivo e, quindi, ammettere per i creditori anche altri strumenti. La norma fa riferimento alla tutela riservata ai creditori sociali, i quali entro sessanta giorni possono sollevare le proprie contestazioni all’operazione, lamentando la possibile riduzione del loro grado di soddisfacimento sul patrimonio della società incorporante. In merito alla natura del rimedio, dal tenore letterale della norma non si evince se l’opposizione debba essere interpretata quale strumento aggiuntivo ad altri, come ad esempio l’azione revocatoria ed il fallimento, oppure esclusivo. Ne discende uno spazio per ritenere applicabile, al caso di specie, l’art. 10 legge fall.; peraltro, alla luce del codice della crisi, la conclusione non muta con il disposto dell’art. 33 c.c.i.i. che riproduce, al comma 1, pedissequamente l’art. 10, comma 1, legge fall. [4]. Dunque, le considerazioni che seguono possono ritenersi valide anche nel sistema concorsuale vigente.


3. I precedenti giurisprudenziali

Ad avviso dei giudici catanesi, la fusione per incorporazione ha natura estintiva della società incorporata e realizza un vero e proprio effetto successorio con annesso trasferimento di tutti i rapporti giuridici attivi e passivi in capo alla società incorporante [5]. La sentenza si basa sulla recente pronuncia della Suprema Corte con cui si è statuito l’effetto estintivo della fusione al fine dell’interruzione del processo, anziché con l’obiettivo di sottoporre al fallimento la società incorporata. Le principali argomentazioni riportate nella sentenza in commento risiedono in una rigida interpretazione dell’art. 2504-bis, comma 1, c.c. secondo cui la continuazione di ogni rapporto giuridico dell’incorporata in capo all’incorporante non comporta l’estinzione della prima come soggetto giuridico, nonostante la cancellazione dal registro delle imprese. Viene esclusa, quindi, la riconduzione ad un fenomeno modificativo evolutivo della società, contrariamente a quanto sostenuto da altra giurisprudenza sia di legittimità [6], che di merito [7], con l’orientamento accolto per la prima volta dalla Suprema Corte nel 2006, in base alla lettura del novellato art. 2504-bis, comma 1, c.c. Questa norma non fa più riferimento all’estinzione delle società che si fondono, evidenziando come attraverso la fusione si realizza un’integrazione reciproca delle compagini sociali, nonché una modifica del contratto di società. Il riconoscimento dell’effetto estintivo alla fusione permette di applicare alla società incorporata, ove ne ricorrano i presupposti, l’art. 10 legge fall., il cui termine inizia a decorrere dal momento della cancellazione dal registro delle imprese, a nulla rilevando la prosecuzione dell’attività nella società incorporante, né l’assun­zione dei debiti in capo a quest’ultima. Né, tantomeno, è considerata decisiva da questa tesi la mancata opposizione all’operazione da parte dei creditori, attribuendo alla stessa carattere aggiuntivo e non esclusivo, come evidenziato in un precedente orientamento della Suprema Corte in tema di scissione [8]. L’accogli­mento dell’o­rien­tamento favorevole al fallimento della società incorporata trova conferma in diversi precedenti giurisprudenziali [9], in [continua ..]


4. La posizione della dottrina sugli effetti della fusione e il fallimento della società incorporata

Nel vigore della disciplina precedente alla riforma del 2003, la dottrina ha assunto un orientamento consolidato in ordine alla natura degli effetti della fusione. Il riferimento alle società estinte del vecchio art. 2504-bis c.c. non lasciava molto spazio per negare l’effetto estintivo dell’operazione. In quest’ottica, la fusione era spesso assimilata alla successione mortis causa relativa alle persone fisiche, da cui l’estinzione della società e la successione dell’incorporante (o della risultante della fusione) a quella estinta, con annesso trasferimento di ogni rapporto preesistente [14]. Il disposto della norma incoraggiava il dibattito favorevole alla tesi sulla natura successoria della fusione, benché non fosse del tutto pacifico [15]. Con l’intervento riformatore del 2003, la nuova formulazione dell’art. 2504-bis c.c. rappresenta una frattura rispetto al sistema previgente, poiché viene meno ogni riferimento all’estinzione della società. La ratio è stata ravvisata in una presa di posizione del legislatore che, come detto, sostituisce la locuzione alle “società estinte” quella di “società partecipanti alla fusione”, facendo riferimento alla continuazione. Da qui, buona parte della dottrina attribuisce alla fusione un effetto evolutivo del contratto sociale, risolvendosi in una mera modifica statutaria di ogni società partecipante, in una prospettiva di riorganizzazione e prosecuzione dell’attività [16]. Tra le due tesi, in letteratura, vi è chi accoglie una posizione intermedia in ordine agli effetti, considerando, da un lato, la fusione come una vicenda modificativa idonea alla prosecuzione dell’attività e, dall’altro, necessaria comunque l’estin­zione della società incorporata [17]. È il caso di precisare che le varie ricostruzioni sugli effetti della fusione trovano applicazione, specie sul piano giurisprudenziale, anche in materia di scissione [18]. Questo scenario impone di osservare le diverse conseguenze degli effetti in ordine alla dichiarazione di fallimento della società incorporata, in quanto solo accogliendo il primo orientamento può trovare applicazione l’art. 10 legge fall., con conseguenze di notevole rilevanza applicativa. A conclusione diversa si giunge, invece, sia nella tesi favorevole ad [continua ..]


5. Segue. Sul rimedio dell’opposizione alla fusione e sulla fallibilità dell'incorporata

L’assetto normativo della fusione induce una parte della dottrina a ritenere, come già evidenziato, che il rimedio dell’opposizione sia l’unico strumento a disposizione dei creditori sociali [27]. La ratio dell’art. 2503 c.c. sembra essere, oltre alla conservazione della garanzia patrimoniale [28], quella di limitare il più possibile le ipotesi di invalidità dell’atto di fusione [29]. Ciò emerge anche dall’art. 28 d.lgs. n. 19/2023, di recente introduzione, che ha recepito la direttiva (UE) 2019/2121 in materia di operazioni transfrontaliere, dove riceve conferma la natura esclusiva del­l’opposizione, quale unico rimedio per i creditori sociali nell’ambito delle operazioni transfrontaliere [30]. Ulteriore argomentazione a favore della stabilità della fusione è la previsione di un arco temporale di soli sessanta giorni in cui possono essere sollevate le opposizioni ai sensi dell’art. 2503 c.c.; peraltro, secondo l’opinione prevalente, l’oppo­sizione non è esperibile in caso di invalidità della fusione iscritta in via anticipata nel registro delle imprese ex art. 2503, comma 1, c.c., in quanto interviene la sanatoria di cui all’art. 2504-quater c.c. [31]. Quest’ultima disposizione è volta, nell’am­bito delle operazioni straordinarie viziate, a sostituire la tutela invalidatoria con quella risarcitoria [32]. Diversamente, secondo un’altra corrente di pensiero, la tutela demolitoria non è sostituita da quella risarcitoria, ma è solo compressa dall’opposizione, restando impregiudicata la possibilità di far valere l’inefficacia relativa dell’atto o, in subordine, riconoscere ai creditori altri rimedi [33]. In effetti, una parte della dottrina considera il rimedio dell’opposizione dei creditori uno strumento concorrente con altri, come ad esempio l’azione revocatoria [34]. Le principali motivazioni a sostegno di tale idea si basano sull’insufficienza dell’opposizione a tutelare in modo efficace i creditori ai quali perciò deve riconoscersi una tutela aggiuntiva [35]. Proprio nel caso della revocatoria, al fine di sostenerne l’operatività, è stata sancita la natura non esclusiva del rimedio dell’opposizione con riferimento alla scissione non solo dalla Suprema [continua ..]


NOTE