Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
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Limiti alla circolazione delle azioni nei trasferimenti mortis causa e diritto all'iscrizione nel libro dei soci (nota a Lodo Arbitrale, 3 marzo 2006) (di Lorenza Furgiuele)


LODO ARBITRALE, 3 marzo 2006

 

Emesso dal Collegio Arbitrale composto da

Prof. Avv. Niccolò Abriani (Presidente), Dott. Manfredo Turchetti e Antonio Zanarotti (Arbitri)

 

FATTO. – 1. In data 29 luglio 2004 è deceduto G. F., marito di S. C. e padre di E. e P. F. (d’ora in poi, «le eredi»), già titolare di n. 156.000 azioni ordinarie della V. S.p.A. e di n. 19.500 azio­ni ordinarie della B.L. S.p.A. (d’ora in poi, «le società»).

In assenza di disposizioni testamentarie, coniuge e figlie risultavano uniche eredi.

Alla data dell’apertura della successione, gli statuti di entrambe le società prevedevano la libera trasferibilità delle azioni, per atto tra vivi o mortis causa, ove il soggetto acquirente fosse stato un altro socio, il coniuge o parenti entro il primo grado del socio cedente, contemplando un diritto di prelazione unicamente per i trasferimenti a soggetti diversi da quelli ora indicati.

(Omissis).

  1. Indata 7 dicembre 2004 le assemblee straordinarie delle società deliberavano la modificazione delle clausole statutarie relative al trasferimento delle partecipazioni. Il riferimento è agli artt. 8, 9 e 10 dei due statuti, aventi identico contenuto.

L’art. 8, nella formulazione attualmente vigente, dispone:

«Le azioni sono nominative.

Le azioni sono liberamente trasferibili nel caso di trasferimento per atto tra vivi agli altri soci.

In tutti i casi di trasferimento delle azioni per atto tra vivi, spetta il diritto di prelazione da parte degli altri soci a’ sensi del successivo art. 9».

(Omissis).

L’art. 10 disciplina il trasferimento delle azioni mortis causa richiamando prelazione e gradimento del precedente n. 9. La norma statutaria stabilisce, infatti: «Le azioni trasferite per successione testamentaria e legittima – sia a favore di eredi, sia di legatari – a soggetti diversi da quelli indicati all’art. 8, devono – entro un anno dall’apertura della successione – essere offerte in prelazione, con le modalità di cui al precedente art. 9, agli altri soci.

Per l’esercizio del diritto di prelazione valgono i termini e le condizioni di cui al precedente art. 9. In caso di mancato esercizio della prelazione, si applica la clausola di gradimento di cui al punto 9.7. Fino a quando non sia stata fatta l’offerta e non risulti che questa non è stata accettata e fino a quando non sia espresso il giudizio sul gradimento, l’erede o il legatario non sarà iscritto nel libro dei soci e non sarà legittimato al­l’eser­cizio del diritto di voto e degli altri diritti amministrativi inerenti alle azioni e non potrà alienare le azioni con effetto verso la società.

Per la determinazione del prezzo delle azioni offerte in prelazione, si applica la disposizione di cui al successivo art. 39; il relativo pagamento dovrà essere effettuato in tre rate di uguale importo, scadenti rispettivamente dodici, ventiquattro e trentasei mesi dalla data della definitiva determinazione della somma da liquidare. Su tali rate sarà dovuto ai successori del defunto, dal giorno della morte sino a quello dell’effettivo pagamento, l’interesse in misura pari a quella del tasso EURIBOR mensile (o altro tasso equivalente) rilevato da “Il Sole 24 Ore” o pubblicazioni equipollenti per il mese precedente a quello in cui si è verificato il decesso».

Va infine segnalato l’art. 39, richiamato ai fini della determinazione del prezzo delle azioni offerte in prelazione da eredi o legatari, che nei suoi due ultimi commi dispone:

«Il valore delle azioni con riferimento alle quali è esercitato il recesso viene stabilito mediante l’applicazione dei criteri fissati dall’art. 2437-ter Codice civile.

Il procedimento di liquidazione è disciplinato dall’art. 2437-quater Codice civile».

  1. Indata 24 dicembre 2004 venivano iscritte nel Registro delle imprese pressola Camera di Commercio di Vicenza le deliberazioni adottate dalle assemblee straordinarie delle Società in data 7.12.2004.
  2. Tra il 28 e il 29 dicembre 2004 le società ricevevano(omissis) lettere raccomandate recanti la data di redazione del 21 dicembre 2004 (e il timbro di spedizione del 23 dicembre 2004) con le quali le eredi – allegando l’atto di notorietà n. 94.811 del 9.12.2004, a rogito del Notaio B. B. di Vicenza, dal quale emergeva che esse erano le uniche eredi legittime del de cuius – comunicavano di non avere intenzione di cedere il pacchetto azionario dalle stesse acquisito per successione legittima. Le raccomandate non contengono formale istanza di iscrizione nel libro soci, né è ad esse allegato il certificato di morte.
  3. Indata 1° febbraio 2005 le società ricevevano lettere raccomandate recanti la data di redazione del 25 gennaio 2005 (e di spedizione del 31.1.2005), con le quali le eredi provvedevano alla nomina del proprio rappresentante comuneex art. 2347 c.c. (anche in questa occasione, senza produrre il certificato di morte e senza avanzare formale e rituale richiesta di iscrizione nel libro soci).

Con successive raccomandate ricevute in data 21 marzo 2005, recanti la data di redazione del 17 marzo 2005 (e di spedizione del 18.3.2005) le eredi sollecitavano le società a procedere alla loro «annotazione nel registro azioni ai sensi e agli effetti dell’art. 2022 c.c.», allegando nuovamente l’atto di notorietà n. 94.811 del 9.12.2004, a rogito del Notaio B. B.

Tale richiesta veniva respinta dagli organi amministrativi delle società con lettere raccomandate datate 25 marzo 2005, nelle quali, da un lato, si eccepiva che nella comunicazione in data 21 dicembre 2004 le eredi non avevano formulato rituale richiesta di iscrizione a libro soci e che alle società emittenti non erano stati comunque sino a quel momento presentati i documenti richiesti dall’art. 7 del R.D. 239/42 (e, segnatamente, il certificato di morte); dall’altro, si invocava il doveroso rispetto da parte dell’organo amministrativo delle regole dettate dallo statuto in ordine all’iscrizione nel libro soci e al trasferimento anche a causa di morte delle partecipazioni sociali, divenute efficaci dal giorno della iscrizione nel registro delle imprese delle nuove disposizioni statutarie.

  1. Atali lettere replicavano le eredi con raccomandate del 31 marzo 2005 (inviate in data 1° aprile 2005 e le cui date di ricezione non risultano dagli atti), nelle quali si contestava il fondamento delle eccezioni opposte dalle società, si rinnovava l’invito all’immediata iscrizione nel libro soci e si allegava – per la prima volta – il certificato di morte delde cuius (unitamente ad ulteriore copia del richiamato atto di notorietà n. 94.811).

Le società procedenti non provvedevano all’iscrizione delle eredi e, sempre invocando le nuove norme statutarie, inviavano loro in data 21 aprile 2005 lettere raccomandate nelle quali si invitavano le eredi stesse a procedere all’offerta in prelazione delle azioni ricevute in successione, ai sensi degli artt. 10 dei rispettivi Statuti sociali, entrati entrambi in vigore il 24.12.2004, e altresì a provvedere alla consegna dei titoli in oggetto onde procedere all’annotazione sugli stessi dei limiti statutari al trasferimento.

  1. Le eredi, deducendo l’illegittimo diniego all’iscrizione da parte delle società e lamentando grave pericolo nel ritardo, adivano il Tribunale di Vicenza, con due distinti ricorsi per provvedimento d’urgenzaexart. 700 c.p.c., depositati in data 11 aprile 2005, nei quali si richiedeva l’ordine di immediata iscrizione nel libro soci delle società le cui partecipazioni avevano acquisito iure successionis.

Tali ricorsi, ai quali le società si opponevano, conducevano a due coevi ma difformi provvedimenti cautelari da parte del Tribunale di Vicenza

(Omissis).

 

DIRITTO. – 1. La decisione sulle domande sottoposte al Collegio impone di affrontare e risolvere tre distinte questioni di diritto riguardanti:

a) l’efficacia della clausola di prelazionemortis causaprevista dal combinato disposto degli artt. 9 e 10 dello Statuto sociale;

b) l’efficacia della clausola di gradimento contemplata dalle richiamate disposizioni degli artt. 9 e 10 dello Statuto sociale, per l’ipotesi di mancato esercizio del diritto di prelazione da parte degli altri soci;

c) l’opponibilità delle clausolesub a) eb) nei confronti di soggetti che hanno acquistato la proprietà dei titoli mortis causa anteriormente alla introduzione e iscrizione nel registro delle imprese delle stesse.

Pare opportuno muovere dall’esame dell’intrinseca efficacia e validità delle limitazioni statutarie introdotte negli statuti sociali: la questione assume infatti carattere preliminare sotto il profilo logico giuridico e assorbente ai fini della decisione; soltanto ove tale scrutinio conduca ad esito positivo – con riferimento ad entrambe o anche a una soltanto delle clausole in esame – occorrerà affrontare l’ulteriore e distinto problema relativo alla opponibilità della nuova disciplina statutaria agli eredi.

  1. Sulla efficacia delle clausole di prelazione e di gradimento di cui agli artt. 9 e 10 dello Statuto sociale. Considerazioni introduttive.

La valutazione della astratta efficacia e validità della limitazioni statutarie alla circolazione delle azioni introdotte, anche con riferimento ai trasferimenti a causa di morte, dai nuovi artt. 9 e 10 degli Statuti sociali, va condotta alla luce delle regole enunciate nell’art. 2355-bis del codice civile, introdotto dal d.lgs. n. 6 del 2003.

Tale norma – rubricata «Limiti alla circolazione delle azioni» – così dispone:

«Nel caso di azioni nominative ed in quello di mancata emissione dei titoli azionari, lo statuto può sottoporre a particolari condizioni il loro trasferimento e può, per un periodo non superiore a cinque anni dalla costituzione della società o dal momento in cui il divieto viene introdotto, vietarne il trasferimento.

Le clausole dello statuto che subordinano il trasferimento delle azioni al mero gradimento di organi sociali o di altri soci sono inefficaci se non prevedono, a carico della società o degli altri soci, un obbligo di acquisto oppure il diritto di recesso dell’alienante; resta ferma l’applicazione dell’articolo 2357. Il corrispettivo dell’acquisto o rispettivamente la quota di liquidazione sono determinati secondo le modalità e nella misura previste dall’articolo 2437-ter.

La disposizione del precedente comma si applica in ogni ipotesi di clausole che sottopongono a particolari condizioni il trasferimento a causa di morte delle azioni, salvo che sia previsto il gradimento e questo sia concesso.

Le limitazioni al trasferimento delle azioni devono risultare dal titolo».

È alla luce di tale innovativa disposizione che occorre considerare l’impianto delineato sul punto dalle già richiamate norme statutarie, da una lettura congiunta delle quali è dato constatare che entrambi gli Statuti attualmente introducono – in termini del tutto coincidenti – una duplice condizione al trasferimento delle partecipazioni, prevedendo, in sequenza: a) una clausola di prelazione a favore dei soci in ogni ipotesi di trasferimento delle partecipazioni a non soci; b) in ipotesi di mancato esercizio del diritto di prelazione, una clausola di mero gradimento con correttivo del recesso (art. 9).

Entrambe le clausole sono espressamente richiamate per i trasferimenti a causa di morte dall’art. 10. Il confronto tra le due norme statutarie segnala peraltro alcune differenze testuali – tutte relative alla clausola di prelazione – che meritano di essere poste in rilievo. Nell’art. 10 si precisa infatti:

a1) il termine entro il quale gli acquirenti mortis causa devono procedere all’offerta in prelazione ai soci (con modalità corrispondenti a quelle previste per il trasferimento inter vivos), individuato in un «un anno dall’apertura della successione»;

a2) il prezzo delle azioni offerte in prelazione, per la determinazione del quale si richiamano i criteri dettati dall’art. 2437-ter c.c. ai fini della determinazione del valore di liquidazione delle azioni cui ha diritto il socio receduto (artt. 10, ult. co. e 39, comma 3), laddove, nell’ipotesi di trasferimento inter vivos, l’art. 9 preveda che la prelazione abbia luogo al prezzo indicato dall’acquirente, ove il negozio traslativo preveda un corrispettivo in denaro, ovvero, in mancanza di tale previsione, al prezzo determinato di comune accordo o in mancanza dal Collegio arbitrale, con funzioni di arbitratore ex art. 1349 c.c.;

a3) i termini entro i quali i soci che esercitano la prelazione devono effettuare il pagamento del prezzo, come sopra definito, agli eredi o ai legatari, suddiviso «in tre rate di uguale importo, scadenti rispettivamente dodici, ventiquattro e trentasei mesi dalla data della definitiva determinazione della somma da liquidate», oltre a interessi dal giorno della morte sino a quello del­l’effettivo pagamento (in misura pari al tasso EURIBOR mensile rilevato da “Il Sole 24 Ore” o pubblicazioni equipollenti per il mese precedente a quello in cui si è verificato il decesso).

Per la clausola di gradimento, viene invece operato un integrale richiamo a quanto disposto dall’art. 9.7 dello Statuto, ribadendosi che il meccanismo è destinato a trovare applicazione «in caso di mancato esercizio della prelazione» (il mancato riferimento all’ipotesi di prelazione «parziale» – espressamente contemplata per i trasferimenti inter vivos – risulta infatti irrilevante alla luce del richiamo operato dall’art. all’intero art. 9, e dunque all’art. 9.5 che richiede che la prelazione sia «esercitata …, comunque, per tutte le azioni poste in vendita») e soggiungendosi – nel solco peraltro del principio già desumibile dal sistema – che «fino a quando non sia espresso il giudizio sul gradimento, l’erede o il legatario non sarà iscritto nel libro dei soci e non sarà legittimato all’esercizio del diritto di voto e degli altri diritti amministrativi inerenti alle azioni e non potrà alienare le azioni con effetto verso la società».

  1. Sulla validità ed efficacia della clausola di prelazionemortis causacontemplata dagli artt. 9 e 10 degli Statuti sociali.

Ciascuna delle clausole in esame merita di essere separatamente considerata.

3.1. In primo luogo, occorre esaminare la validità della clausola di prelazione mortis causa, come sopra descritta e scomposta nei suoi elementi caratterizzanti, in relazione al già ricordato dettato dell’art. 2355-bis c.c.

Al riguardo, va osservato come, da un confronto tra il secondo e il terzo comma di tale disposizione, si evinca che con riferimento ai trasferimenti mortis causa le clausole di prelazione sono sottoposte a requisiti di validità indubbiamente più stringenti rispetto alle corrispondenti clausole destinate ad operare in ipotesi di trasferimenti per atto tra vivi.

Il terzo comma dell’art. 2355-bis c.c. configura infatti l’ob­bli­go di acquisto o il diritto di recesso come condizione di efficacia di tutte le clausole che limitano la circolazione a causa di morte, ivi incluse clausole (come quella di prelazione o di gradimento non mero) la cui efficacia nei trasferimenti inter vivos non soggiace ad alcun condizionamento normativo.

Come la dottrina ha già avuto modo di porre lucidamente in rilievo, non solo le clausole «di mero gradimento» (di cui al secondo comma della disposizione in esame), ma ogni clausola statutaria idonea a limitare il diritto degli acquirenti a causa di morte di richiedere e ottenere l’iscrizione nel libro dei soci può produrre tale effetto limitativo soltanto ove preveda il diritto degli eredi (o dei legatari) di ottenere, in caso di rifiuto di iscrizione, il controvalore delle azioni.

Più precisamente, da una lettura congiunta dei commi 2 e 3 del­l’art. 2355-bis c.c., da un lato, e dell’art. 2437-ter c.c., dal­l’altro, è dato desumere che le clausole di prelazione restano inefficaci rispetto ai trasferimenti mortis causa se non prevedono:

a) il diritto di recesso degli eredi (o dei legatari) o, in alternativa, un obbligo di acquisto a carico della società o dei soci delle partecipazioni acquistate a causa di morte;

b) la determinazione della quota di liquidazione (o, in ipotesi di acquisto, del corrispettivo) secondo le modalità e nella misura previste dall’articolo 2437-terc.

Più analiticamente, la clausola di prelazione, al pari di ogni altra clausola di limitazione ai trasferimenti mortis causa, deve garantire agli eredi o ai legatari di essere posti nell’alternativa «secca» tra ottenere l’iscrizione nel libro soci ovvero la liquidazione della partecipazione acquisita mortis causa, a un valore congruo (secondo i criteri di cui all’art. 2437-ter c.c., a cui fa rinvio il secondo comma dell’art. 2355-bis c.c.) ed entro termini ragionevolmente brevi.

3.2. Alla luce di tali premesse l’efficacia della clausola di prelazione ai sensi dell’art. 2355-bis, terzo comma, c.c. va verificata guardando alla struttura della clausola e alla congruità del corrispettivo-quota di acquisto-liquidazione.

La clausola in esame sembra indubbiamente superare il vaglio normativo sotto il secondo profilo, con riferimento al quale – come si è detto – l’efficacia della clausola di prelazione rispetto ai trasferimenti mortis causa presuppone che lo statuto preveda già la determinazione del prezzo d’esercizio della prelazione in base all’art. 2437-ter c.c. In mancanza di tale precisazione la clausola di prelazione deve considerarsi tamquam non esset rispetto agli eredi.

Resta peraltro da considerare se tale precisazione statutaria integri una condizione, oltre che indubbiamente necessaria, altresì sufficiente ai fini della efficacia della clausola statutaria di prelazione nei confronti dei trasferimenti a causa di morte.

Sotto il profilo strutturale, l’art. 2355-bis subordina, come si è detto, l’efficacia di ogni vincolo al trasferimento mortis causa alla previsione alternativa dell’obbligo di acquisto da parte della società o del diritto di recesso a favore degli eredi. Il dato testuale imporrebbe dunque di prevedere il diritto di recesso a favore agli eredi ovvero il diritto al riscatto da parte della società o dei soci superstiti, quali alternative alla denuntiatio o, tutt’al più, come immediata conseguenza del mancato esercizio della prelazione da parte degli altri soci. In altre parole, la lettera della legge sembra condizionare l’efficacia della prelazione al contestuale riconoscimento statutario del diritto di recesso in favore di eredi o legatari che non intendano offrire in prelazione le partecipazioni acquisite a causa di morte o comunque quale diretto corollario del mancato esercizio del diritto di prelazione ad opera dei soci superstiti.

Dal punto di vista strutturale va dunque segnalata una non perfetta corrispondenza al modello legale della clausola introdotta negli statuti delle società ricorrenti, che si limitano a contemplare un meccanismo di prelazione «impura», in quanto prevede la predeterminazione del valore secondo i criteri di cui all’art. 2437-ter c.c., che non determina quel vero e proprio obbligo di acquisto in capo agli altri soci che la legge richiede come alternativa all’immediato diritto di recesso, ma si limita ad accordare ai soci superstiti, pro quota, un «diritto di acquisto» sui titoli caduti in successione.

Gli eredi non sono posti nell’alternativa tra recedere o subentrare al de cuius nella compagine sociale, ma vedono il loro ingresso in società sottoposto a un duplice «filtro», rappresentato dalla scelta discrezionale a) degli altri soci (che possono impedirlo, esercitando il diritto di prelazione, seppur pagando le azioni al prezzo di mercato); b) degli amministratori (che possono impedirlo, negando il gradimento).

3.3. Pur nella consapevolezza della irriducibilità formale della clausola in esame al tenore letterale dell’art. 2355-bis, comma 3, c.c., alla luce delle ricordate peculiarità strutturali, il Collegio ritiene nondimeno che l’efficacia della disposizione statutaria debba essere considerata alla luce della ratio sottesa alla nuova disciplina introdotta dalla riforma societaria. In particolare, sotto il profilo assiologico, vanno considerati gli interessi a tutela dei quali il legislatore è intervenuto, concordemente ravvisati dai più autorevoli commentatori – nel solco delle indicazioni offerte dalla Relazione tecnico-illustrativa al d.lgs. n. 6/2003 – nell’esigenza di garantire agli eredi una pronta e congrua liquidazione del valore delle azioni acquisite in conseguenza dell’accettazione dell’eredità.

Da questo angolo visuale, occorre pertanto verificare se la disposizione statutaria ponga gli eredi in condizioni analoghe a quelle richieste dalla legge, garantendo loro il diritto di ottenere il controvalore della partecipazione acquistata mortis causa al prezzo di mercato ed entro termini ragionevolmente brevi.

Al riguardo il Collegio ritiene che il richiamo operato dallo statuto ai criteri di legge per la liquidazione del socio receduto ai fini della determinazione del prezzo da corrispondersi nel­l’ipotesi di prelazione mortis causa possa considerarsi idoneo a garantire l’efficacia della clausola. È ben vero che la clausola di prelazione mortis causa determina un semplice diritto «di call» di fonte statutaria a favore dei soci superstiti, con speculare posizione di soggezione in capo a quegli eredi che il legislatore intenderebbe presidiare con il riconoscimento di un diritto «di put» finalizzato alla realizzazione del valore reale della partecipazione; ma è altresì indiscutibile che, in base al procedimento previsto dallo stesso codice civile nell’art. 2437-quater, l’atto unilaterale ricettizio mediante il quale il socio esercita il diritto di recesso determina in primo luogo l’obbligo degli amministratori di offrire le azioni per le quali è stato esercitato il diritto di recesso agli altri soci, con il conseguente insorgere in capo a questi ultimi di un diritto di opzione sui titoli del recedente (ovvero degli eredi, stante il richiamo operato dall’art. 2355-bis, comma 3) in proporzione alla partecipazione da ciascuno di essi posseduta al momento dell’esercizio del diritto di recesso (ovvero della apertura della successione).

Come sottolineato da una autorevole dottrina, che ha significativamente contribuito a definire il nuovo assetto normativo, la corresponsione al socio receduto del valore della partecipazione – e dunque, nell’ipotesi di cui all’art. 2355-bis, comma 3, la corresponsione agli eredi del valore della partecipazione acquisita a seguito dell’accettazione dell’eredità – avviene in primo luogo mediante l’acquisto della medesima da parte degli altri soci e, solo in mancanza, a spese del patrimonio sociale. Sicché sembra corretto ritenere parimenti legittimo un diretto riconoscimento ai soci superstiti di un diritto di prelazione, purché a un corrispettivo da determinarsi in base ai criteri indicati dalla legge per definire il valore delle azioni del socio receduto.

La determinazione del prezzo d’esercizio della prelazione sulla base dei criteri di cui all’art. 2437-ter c.c. può pertanto considerarsi come un omologo funzionale rispetto ai correttivi del recesso o dell’obbligo di acquisto, alternativamente richiesti dal legislatore ai fini dell’efficacia delle limitazioni statutarie al trasferimento mortis causa, permettendo agli eredi (o ai legatari) di ottenere comunque il controvalore delle partecipazioni a un prezzo (non espropriativo, ma) equo poiché di mercato.

Le considerazioni sin qui svolte inducono a ritenere che il meccanismo contemplato dagli statuti sociali valga comunque a garantire gli interessi a presidio dei quali si pone la nuova disciplina e debba pertanto considerarsi in linea di principio pienamente legittimo ed efficace.

3.4. Un profilo di criticità viene tuttavia ravvisato dal Collegio nella peculiare scansione dei termini previsti dalla clausola in esame ai fini del pagamento della partecipazione agli acquirenti mortis causa: per la prelazione esercitata nei confronti degli acquirenti mortis causa (e non anche per la prelazione relativa ai trasferimenti inter vivos, a cui si applica invece l’art. 9.2), i due statuti sociali prevedono infatti una dilazione del pagamento in tre rate scadenti dopo dodici, ventiquattro e trentasei mesi dalla data della definitiva determinazione della somma da liquidare (così l’art. 10, comma 3, seconda parte, ove la contestuale previsione della spettanza agli eredi altresì degli interessi a far data dalla apertura della successione). Sotto questo profilo, è legittimo il dubbio se la clausola di prelazione sia effettivamente articolata in maniera tale da consentire sempre una corresponsione del capitale entro termini compatibili con quelli, relativamente acceleratori, indicati dalla disciplina in materia di recesso. Ora, poiché il terzo comma dell’art. 2355-bis ha cura di precisare che per ogni clausola che condiziona il trasferimento mortis causa devono valere, ai fini del­l’ef­ficacia, le disposizioni del secondo comma dell’art. 2355-bis, e poiché questa norma rinvia all’art. 2437-ter – e, per il tramite di questa norma, anche all’art. 2437-quater – pare ragionevole concludere che il termine contemplato da quest’ul­tima disposizione rappresenti anche l’arco cronologico entro il quale deve comunque corrispondersi agli eredi o ai legatari il valore della partecipazione ricevuta in successione.

La soluzione alla questione di diritto ora enunciata induce pertanto il Collegio a segnalare un profilo di incompatibilità dell’art. 10, terzo comma, seconda parte, rispetto al combinato disposto degli artt. 2355-bis, secondo e terzo comma, da un lato e 2437-ter e 2437-quater, dall’altro, in quanto la richiamata previsione statutaria consente di procedere alla liquidazione della quota entro termini (dodici, ventiquattro e trentasei mesi) che si rivelano incompatibili rispetto alla dimensione cronologica delineata dall’art. 2437-quater (e, in tema di s.r.l., dall’art. 2473 c.c.) ai fini della liquidazione della partecipazione al socio receduto. E a tale riguardo pare significativo che, in sede di successiva integrazione della novella societaria, il legislatore abbia avvertito l’esigenza di estendere anche al rimborso delle azioni del socio recedente dalla s.p.a. il termine di «centoottanta giorni dalla comunicazione del recesso» (e v. infatti il testo definitivo dell’art. 2437-quater, comma 5, come integrato dall’art. 5, lett. c) del d. lgs. 6 febbraio 2004, n. 37), che la riforma aveva originariamente contemplato nel solo art. 2473, comma 4, ai fini del rimborso delle partecipazioni al socio receduto dalla società a responsabilità limitata.

Osserva peraltro il Collegio che l’accoglimento di tale criterio interpretativo non vale a determinare l’inefficacia dell’intera clausola di prelazione, potendosi espungere dal tessuto statutario, in ossequio ai principi generali, la sola precisazione relativa ai termini di pagamento, rimanendo per contro efficace, sotto ogni altro profilo e per le ragioni sopra esposte, il meccanismo statutario della prelazione.

Per tali ragioni, il Collegio ritiene di considerare tamquam non esset l’inciso finale dell’ultimo comma dell’art. 10 degli statuti delle società procedenti (laddove prevede che: «il relativo pagamento dovrà essere effettuato in tre rate di uguale importo, scadenti rispettivamente dodici, ventiquattro e trentasei mesi dalla data della definitiva determinazione della somma da liquidate. Su tali rate sarà dovuto ai successori del defunto, dal giorno della morte sino a quello dell’effettivo pagamento, l’inte­resse in misura pari a quella del tasso EURIBOR mensile (o altro tasso equivalente) rilevato da “Il Sole 24 Ore” o pubblicazioni equipollenti per il mese precedente a quello in cui si è verificato il decesso»), con il corollario che il richiamo operato nell’inciso iniziale del medesimo comma all’art. 39 dello Statuto e, per suo tramite, alle regole legali in tema di recesso va riferito non soltanto alla determinazione del prezzo ma altresì ai termini di pagamento dello stesso.

In ogni caso, deve soggiungersi che anche ove si accedesse a una diversa impostazione, non condivisa in questa sede, che ritenesse di estendere l’inefficacia all’intera clausola di prelazione, tale rigorosa conclusione non trascinerebbe comunque con sé la previsione statutaria che contempla il meccanismo del gradimento, la cui validità ed efficacia deve pertanto essere oggetto di autonoma considerazione.

  1. Sulla validità ed efficacia della clausola di gradimento mortis causa contemplata dagli artt. 9 e 10 degli Statuti sociali.

Più agevole è lo scrutinio al quale il Collegio è chiamato in ordine alla validità e all’efficacia della clausola di mero gradimento contemplata, nel contesto dei medesimi articoli 9 e 10, dalle più volte ricordate disposizioni statutarie.

Osserva infatti il Collegio che la clausola di gradimento prevede espressamente il correttivo richiesto dal legislatore ai fini della sua efficacia, in quanto accorda agli eredi che si vedano opposto il rifiuto all’iscrizione nel libro soci il diritto di ottenere il controvalore della partecipazione acquisita mortis causa, in base ai criteri indicati dalla legge per definire il valore delle azioni del socio receduto, nonché nei tempi e secondo il procedimento a tal fine prescritto dall’art. 2437-quater (richiamato per intero, in tal caso, dall’art. 39 degli Statuti sociali).

A questo riguardo il Collegio reputa priva di fondamento l’argomentazione opposta dalle ricorrenti, secondo la quale l’art. 10 degli statuti in commento richiamerebbe unicamente il meccanismo di gradimento contemplato dall’art. 9.7, ma non opererebbe per contro alcun richiamo al distinto istituto del diritto di recesso, previsto dalla stessa norma per il caso di trasferimento per atto tra vivi negato tramite il rifiuto del gradimento. Osserva infatti il Collegio che la clausola in esame opera in termini assolutamente inequivoci un rinvio integrale alla clausola dettata per i trasferimenti inter vivos, senza procedere ad alcuna esclusione selettiva dei distinti profili di disciplina in essa contemplati, che devono pertanto ritenersi oggetto di traslazione ai trasferimenti a causa di morte, pur con i dovuti adattamenti conseguenti connessi alla non omogeneità della fattispecie.

Al riguardo le ricorrenti hanno invocato un argomento di ordine formale, fondato sul rilievo che la lettera dell’art. 9.7 riferisce testualmente il diritto di recesso al soggetto «alienante» la partecipazione sociale; e da tale premessa hanno ritenuto di poter desumere il preteso corollario dell’inapplicabilità dell’isti­tuto all’erede e della conseguente inefficacia della prelazione mortis causa per difetto del correttivo richiesto dalla legge.

Tale rilievo tuttavia si rivela, a giudizio del Collegio, privo di consistenza. L’esclusivo riferimento alla figura dell’«alienante» contenuto nell’art. 9 si giustifica infatti in ragione della destinazione di quella disposizione ai trasferimenti per atto tra vivi. Tale espressione varrebbe dunque a giustificare l’impossibilità di applicare in via analogica l’intera clausola di gradimento agli acquisti a causa di morte in un contesto statutario (ben diverso da quello in esame) che omettesse di estendere la limitazione statutaria anche a tali trasferimenti. A diversa conclusione deve invece pervenirsi laddove, come nel caso di specie, il testo dello statuto operi una espressa ed inequivoca estensione ad ogni ipotesi di trasferimento mortis causa delle clausole in esame, che andranno pertanto traslate agli eredi (o ai legatari) nella loro integralità: e, dunque, tanto nel meccanismo limitativo, quanto nel correttivo posto a presidio dell’efficacia della limitazione: correttivo che deve dunque intendersi coerentemente contemplato, nei trasferimenti per atto tra vivi, a favore dei soci «alienanti» e, nei trasferimenti a causa di morte, a tutela degli eredi (o dei legatari) che abbiano ricevuto le partecipazioni azionarie iure successionis.

È del resto significativo che lo stesso legislatore equipari le due condizioni, allorché nel terzo comma dell’art. 2355-bis impone di prevedere a favore di eredi e legatari «il diritto di recesso dell’alienante», richiesto dal secondo comma della stessa disposizione ai fini dell’efficacia della clausola che subordina al mero gradimento di organi sociali o di altri soci i trasferimenti delle azioni per atto tra vivi (e v. anche, in tema di società a responsabilità limitata, l’art. 2469, primo comma, c.c., che considera unitariamente i «soci» e i loro «eredi» ai fini del riconoscimento imperativo, in tale forma societaria, del diritto di recesso «qualora l’atto costitutivo preveda l’intra­sferibilità delle partecipazioni o ne subordini il trasferimento al gradimento di organi sociali, di soci o di terzi senza prevederne condizioni o limiti, o ponga condizioni o limiti che nel caso concreto impediscono il trasferimento a causa di morte»).

  1. Sulla opponibilità della nuova disciplina statutaria nei confronti degli acquirentimortiscausa che siano succeduti nella titolarità delle azioni in data anteriore all’iscrizione nel registro delle imprese del nuovo statuto e abbiano richiesto l’iscrizione nel libro soci in data successiva.

Appurata dunque la generale conformità alle regole imperative dettate dall’art. 2355-bis c.c. delle limitazioni statutarie alla circolazione delle azioni introdotte, anche con riferimento ai trasferimenti a causa di morte, dai nuovi artt. 9 e 10 degli Statuti sociali, occorre procedere nell’esame per valutare se tali clausole – in astratto valide ed efficaci – siano altresì opponibili agli eredi.

5.1. Ai fini di un corretto inquadramento del problema, pare innanzi tutto opportuno sgombrare il campo da un equivoco concettuale potenzialmente fuorviante. Non si pone qui un problema di «retroattività» delle modificazioni statutarie, essendo pacifico che il nuovo regime può trovare applicazione soltanto dal giorno nel quale le limitazioni statutarie, a seguito della loro iscrizione nel registro delle imprese, sono divenute pienamente efficaci, ai sensi art. 2436, ult. comma, c.c.

Non si tratta dunque di assegnare una pretesa «retroattività» alla modificazione statutaria, bensì di valutare se debba o meno riconoscersi in capo all’acquirente delle partecipazioni azionarie il diritto di essere iscritto nel libro soci sulla base della disciplina risultante dallo statuto sociale (e dal contesto letterale dei titoli) allorché egli ha acquisito la titolarità delle azioni o se assuma per contro rilievo la disciplina vigente nel giorno in cui viene richiesta l’iscrizione nel libro soci.

5.2. Con riferimento alla fattispecie concreta occorre ancora preliminarmente rilevare che risulta pacificamente dagli atti che alla data di entrata in vigore delle nuove disposizioni statutarie – da individuarsi nel 24 dicembre 2004, giorno di iscrizione della stessa presso il registro delle imprese – alle società emittenti dei titoli azionari non era ancora pervenuta richiesta alcuna da parte degli eredi di iscrizione nel libro soci.

La prima raccomandata con la quale gli eredi hanno manifestato la volontà di non alienare le partecipazioni agli altri soci risulta infatti ricevuta da entrambe le società in data successiva (rispettivamente, il 28 dicembre da V. S.p.A. e il 29 dicembre da B. L. S.p.A.) al giorno dell’iscrizione delle modificazioni dello statuto, allorquando cioè tali modificazioni dovevano ritenersi in linea di principio efficaci e vincolanti, in primis per gli organi sociali, alla stregua del principio codificato dal nuovo art. 2436, ultimo comma c.c.

La natura della domanda di iscrizione quale atto ricettizio – pacificamente riconosciuta da dottrina e giurisprudenza – induce il Collegio ad attribuire a tale circostanza un rilievo decisivo, sotto il profilo in esame, ed esonera da ulteriori considerazioni sulla ritualità e completezza della istanza avanzata in quella occasione dalle eredi (che per vero non conteneva un’espressa richiesta di iscrizione nel libro soci e non era corredata dalla presentazione del certificato di morte, come richiesto ai fini dell’iscrizione dall’art. 7 RD 239/42).

5.3. Delineato dunque in termini più puntuali il problema di diritto che deve in questa sede essere affrontato, ritiene il Collegio che decisive argomentazioni di ordine letterale e sistematico impongano di riconoscere all’acquirente di partecipazioni azionarie il diritto di richiedere ed ottenere l’iscrizione nel libro dei soci sulla base della disciplina statutaria vigente nel giorno in cui egli ha acquistato – per atto tra vivi o a causa di morte – la titolarità delle azioni, senza la possibilità per la società emittente di opporre modificazioni dello statuto iscritte successivamente a tale data.

Sotto il profilo letterale occorre innanzi tutto sottolineare l’esigenza di un’interpretazione coordinata dell’art. 2436, com­ma 5 condotta alla luce degli artt. 2448 e 2193, da un lato, e dell’art. 2355-bis, ultimo comma, dall’altro.

Se infatti la disposizione contenuta nel penultimo comma dell’art. 2436 – che rappresenta una indubbia e importante novità della riforma societaria – vale oggi a chiarire che la deliberazione modificativa dello statuto di s.p.a. «non produce effetti se non dopo l’iscrizione», è pacifico che tale precisazione non incida in alcun modo sul principio codificato nell’art. 2448 – che costituisce del resto una norma di rango sovraordinato nella gerarchia delle fonti, in quanto di derivazione comunitaria e corrispondente al previgente art. 2457-ter – ai sensi del quale «gli atti per i quali il codice prescrive l’iscrizione o il deposito nel registro delle imprese sono opponibili ai terzi soltanto dopo tale pubblicazione, a meno che la società provi che i terzi ne erano a conoscenza».

La disposizione ora ricordata è del resto espressione del più generale principio dell’efficacia dichiarativa della pubblicità legale, dettato dell’art. 2193 c.c., il cui primo comma stabilisce, com’è noto, che «i fatti dei quali la legge prescrive l’iscri­zione, se non sono stati iscritti, non possono essere stati opposti ai terzi da chi è obbligato a richiederne l’iscrizione, a meno che questi provi che i terzi ne abbiano avuto conoscenza».

Se già una lineare applicazione di tali principi alla fattispecie in esame indurrebbe a constatare come la presunzione relativa di ignoranza della previsione statutaria da parte degli eredi sia evidentemente insuscettibile di prova contraria nel caso concreto – posto che l’acquisto della proprietà delle azioni è intervenuto anteriormente non soltanto alla iscrizione delle ricordate limitazioni alla loro circolazione, ma finanche alla adozione della deliberazione modificativa dello statuto che tali limitazioni ha assunto –, non si può omettere la considerazione di un’ul­teriore indicazione di ordine letterale, offerta dalla parimenti innovativa previsione dettata dall’ultimo comma dell’ultimo comma dell’art. 2355-bis, ai sensi del quale «le limitazioni al trasferimento delle azioni devono risultare dal titolo».

Da questo angolo visuale è dato rilevare che, al momento del trasferimento della proprietà delle azioni, le limitazioni statutarie non trovavano alcun riscontro (e non potevano trovarlo, per le ragioni testé richiamate), né negli statuti sociali né nella lettera dei titoli pervenuti in successione alle eredi.

La ratio sottesa all’ultimo comma dell’art. 2355-bis è resa esplicita dalla Relazione tecnico-illustrativa al d.lgs. n. 6/2003, nella quale viene puntualmente chiarito che tale precetto è posto a tutela «dei terzi», «al fine di prevenire il pericolo di pregiudizio per l’affidamento degli acquirenti» dei titoli azionari. L’effettiva portata della disposizione ora richiamata è ancora ampiamente discussa in dottrina. Al riguardo osserva peraltro il Collegio che la soluzione della presente controversia non presuppone l’accoglimento della interpretazione – invero minoritaria, per quanto autorevole – che reputa la menzione sul titolo necessaria ai fini della opponibilità da parte della società della limitazione ai terzi. Infatti, quand’anche si aderisse all’opinione tradizionale – tuttora prevalente e condivisa dal Collegio – secondo la quale la determinazione dei diritti dell’azionista deve aver luogo non in base alla lettera del documento, ma con riferimento all’effettivo rapporto sociale, rimarrebbe comunque ferma la rilevanza del regime circolatorio qual era plasticamente e unitariamente scolpito nello statuto al momento del­l’acqui­­sto delle partecipazioni.

L’iscrizione nel registro delle imprese della clausola di limitazione al trasferimento rimane dunque condizione sufficiente, ma pur sempre necessaria ai fini della opponibilità agli acquirenti delle partecipazioni di limitazioni alla circolazione non menzionate nei titoli acquistati: e ciò in perfetta sintonia con la richiamata prescrizione di cui all’art. 2448 c.c.

È del resto la stessa natura causale dei titoli azionari, la cui letteralità si completa per relationem attraverso l’integrazione di disposizioni statutarie soggette a un peculiare regime pubblicitario, che impone di determinare la posizione dell’azio­nista sulla base della dichiarazione cartolare in funzione dello statuto: sicché essa può mutare soltanto con il modificarsi di questo, reso pubblico attraverso l’iscrizione nel registro delle imprese.

Sotto questo profilo, la letteralità – ancorché incompleta e per relationem – del titolo vale a coprire e tutelare la consistenza del rapporto sociale al momento dell’acquisto delle partecipazioni. Come limpidamente chiarito da un’autorevole dottrina, la caratteristica tipica modificabilità a maggioranza  o addirittura modificabilità unilaterale – del rapporto cartolare azionario può valere a spiegare l’opponibilità di eccezioni desunte da una modificazione del rapporto medesimo non anche di quelle desunte da modificazioni avvenute prima del momento indicato e non risultanti né dal titolo stesso né dai documenti che lo integranoColui che acquista il titolo azionario sa di acquistare la titolarità di un rapporto modificabile anche senza o contro la sua volontà, e purché siano rispettate certe regole: ma ciò non toglie che egli abbia diritto di fare affidamento sul fatto che la consistenza attuale del rapporto è quella risultante dal titolo, o comunque dalla dichiarazione cartolare.

Il negozio di cessione delle partecipazioni azionarie determina in effetti il trasferimento delle posizioni giuridiche soggettive rappresentate dalle azioni, tra le quali fa spicco la prerogativa di ottenere la piena legittimazione all’esercizio dei diritti sociali in base alle leggi statutarie risultanti dallo statuto sociale al momento dell’acquisto delle partecipazioni sociali. Viene così a profilarsi una posizione attiva vantata da ogni acquirente, indipendentemente dalla circostanza che il trasferimento sia avvenuto per atto tra vivi o a causa di morte, alla quale corrisponde una speculare posizione di soggezione da parte della società; ed è conforme ai principi che quest’ultima non possa incidere sul rapporto obbligatorio senza il concorso della volontà di chi è titolare del suo lato attivo.

La soluzione delineata dal sistema viene così a realizzare un adeguato contemperamento degli interessi in gioco. Da un lato, l’interesse della società a poter modificare il proprio statuto a maggioranza – e finanche unilateralmente, come conferma la fattispecie in esame – introducendo regole organizzative destinate ad assumere efficacia reale dal momento della loro iscrizione nel registro delle imprese. Dall’altro, l’interesse dei terzi e, più in generale, le trascendenti istanze di certezza dei rapporti giuridici e di tutela del mercato al quale si rivolgono, elettivamente e naturalmente, le società a base azionaria: esigenze che impongono di tutelare l’affidamento di chi abbia acquistato le azioni facendo riferimento al regime circolatorio quale risultava dallo statuto alla data in cui – anche in considerazione del regime circolatorio così risultante – è stato sottoscritto il contratto di acquisto delle azioni o è stata accettata l’eredità nel cui asse si trovavano le partecipazioni.

Le considerazioni sistematiche sin qui svolte, unitamente al riconoscimento normativo del ruolo dello statuto quale mezzo per la protezione dell’affidamento dei terzi operato dall’art. 2448 – ed ora ulteriormente valorizzato dall’obbligo imposto agli amministratori di procedere a un tempestivo adeguamento del contenuto letterale del titolo, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 2355-bis – inducono il Collegio a ritenere che nuove regole statutarie limitative del trasferimento delle azioni siano opponibili unicamente ai trasferimenti che si realizzino successivamente alla loro entrata in vigore; esse non possono per contro produrre effetti nei confronti di vicende traslative – siano esse inter vivos o mortis causa – perfezionatesi anteriormente all’iscrizione nel registro delle imprese delle nuove disposizioni statutarie, allorquando il regime circolatorio delle partecipazioni risultante dai titoli e dallo statuto non contemplava siffatte limitazioni.

Alla luce di tali premesse ritiene il Collegio che le società ricorrenti non possano opporre le intervenute modificazioni statutarie alle eredi, le quali erano già subentrate, a seguito del­l’ac­cettazione della eredità (e dunque ben prima dell’en­trata in vigore delle limitazioni alla circolazione dei titoli), nelle posizioni giuridiche soggettive incorporate nelle azioni ricevute in successione, ivi inclusa quella di ottenere la legittimazione al­l’esercizio dei diritti sociali in base alle leggi di circolazione e alle regole di iscrizione nel libro soci risultanti dallo statuto sociale al momento dell’acquisto delle partecipazioni sociali.

 

 

(Omissis).

 

 

 

 

 

Lodo arbitrale, 3 marzo 2006

 

Società per Azioni – Azioni – Limiti alla circolazione – Trasferimenti Mortis causa – Iscrizione a libro soci. (Artt. 2355-bis, 2347-ter, 2347-quater c.c.)

 

(1) Ogni clausola statutaria idonea a limitare il diritto degli acquirenti mortis causa delle azioni di richiedere e ottenere l’iscrizione nel libro dei soci può produrre tale effetto limitativo soltanto ove preveda il diritto degli eredi (o dei legatari) di ottenere, in caso di rifiuto di iscrizione, il controvalore delle azioni. Pertanto, la sola determinazione del prezzo di esercizio della prelazione sulla base dei criteri di cui all’art. 2437-ter cod. civ. può considerarsi come un omologo funzionale rispetto ai correttivi del recesso o dell’obbligo di acquisto, prescritti alternativamente dall’art. 2355-bis, secondo e terzo comma, cod. civ. ai fini dell’efficacia delle limitazioni statutarie al trasferimento mortis causa, permettendo agli eredi (o ai legatari) di ottenere il controvalore delle partecipazioni ad un prezzo equo.

 

(2) È valida la clausola di mero gradimento operante nei trasferimenti mortis causa di partecipazioni azionarie qualora preveda espressamente il correttivo richiesto ai sensi del terzo comma dell’art. 2355-bis cod. civ., accordando agli eredi che si vedano opposto il rifiuto all’iscrizione nel libro dei soci il diritto di ottenere il controvalore della partecipazione acquisita, in base ai criteri indicati dalla legge per definire il valore delle azioni del socio receduto (art. 2437-ter cod. civ.), nonché nei tempi e secondo il procedimento a tal fine prescritto dall’art. 2437-quater cod. civ.

 

(3) Con il trasferimento della partecipazione azionaria si realizza l’acquisto delle posizioni giuridiche soggettive rappresentate dalle azioni, tra le quali è compresa la prerogativa di ottenere la piena legittimazione all’esercizio dei diritti sociali, in base alle leggi risultanti dallo statuto sociale al momento dell’acquisto delle partecipazioni sociali.

SOMMARIO:

1. Il caso. Validità ed efficacia delle clausole di prelazione e gradimento nei trasferimenti mortis causa delle azioni - 1.1. Normativa di riferimento. Precedenti giurisprudenziali. Dottrina. Commento - 2. Il caso. Il diritto del titolare delle azioni all'iscrizione nel libro dei soci - 2.1. Normativa di riferimento. Dottrina. Com­mento - 3. Commento - NOTE


1. Il caso. Validità ed efficacia delle clausole di prelazione e gradimento nei trasferimenti mortis causa delle azioni

In via preliminare il lodo si sofferma ad analizzare la validità ed efficacia delle clausole di prelazione e gradimento relative ai trasferimenti mortis causa delle azioni, introdotte nell’ordinamento delle società con apposite modifiche statutarie. L’indagine – particolarmente quella relativa alla validità della clausola di prelazione – è condotta in primo luogo alla verifica del dato letterale, ricercando la corrispondenza del tenore delle clausole con il dettato del­l’art. 2355-bis, 2° e 3° comma, c.c., di poi sul piano della individuazione degli interessi sottesi alla regolamentazione dei correttivi posti ai limiti ai trasferimenti mortis causa, nella prospettiva di colmare le lacune della disciplina contenuta negli statuti delle due società. Il Collegio Arbitrale rileva che, rispetto al disposto dell’art. 2355-bis, 3° comma, c.c., in base al quale in ogni ipotesi di clausole che sottopongono a particolari condizioni il trasferimento a causa di morte devono essere previsti, a carico della società o dei soci, un obbligo di acquisto o la facoltà di recesso per gli eredi o i legatari, fissando i criteri di determinazione del corrispettivo dell’acquisto o della quota di liquidazione secondo quanto previsto all’art. 2437-ter c.c., la clausola di prelazione mortis causa contenuta negli statuti prevede unicamente una facoltà di acquisto per i soci delle azioni cadute in successione ad un prezzo da determinarsi in base ai criteri di cui all’art. 2437-ter c.c. La valutazione degli interessi sottostanti la disciplina di cui all’art. 2355-bis, 3° comma, c.c. conduce il Collegio giudicante a considerare sufficiente, al fine di ritenere integrato il diritto delle eredi ad ottenere un equo controvalore delle partecipazioni, la sola determinazione del prezzo al quale è esercitata la prelazione in base al meccanismo previsto all’art. 2437-ter c.c. La posizione assunta dal lodo, volta a privilegiare, rispetto al dato letterale, quello interpretativo, consiglia di ripercorrere l’evoluzione dottrinaria e giurisprudenziale che ha condotto alla nuova formulazione normativa e alla sua traduzione nei principi posti in evidenza nella decisione in commento.


1.1. Normativa di riferimento. Precedenti giurisprudenziali. Dottrina. Commento

Il tema della validità ed efficacia delle limitazioni alla circolazione relative ai trasferimenti mortis causa è stato oggetto di ampi dibattiti in dottrina, come in giurisprudenza, prima che la riforma delle società di capitali, attuata con d.lgs. n. 6/2003, arrivasse a chiarire in via definitiva ogni dubbio circa la legittimità delle clausole che condizionano detti trasferimenti. Le maggiori perplessità si coglievano in particolare sul piano della possibile conflittualità fra i principi del diritto successorio e la regolamentazione pattizia delle sorti delle partecipazioni al verificarsi della morte del socio. A tal proposito, parte della giurisprudenza considerava contrastante la limitazione dei trasferimenti per atto a causa di morte con il divieto dei patti successori introdotto all’art. 458 c.c. e con il principio di revocabilità delle disposizioni testamentarie ex art. 679 c.c. [1]. Ulteriore incertezza promanava dal dettato stesso del­l’art. 2355 c.c. previgente, ove era fatto esplicito riferimento alla «alienazione» delle azioni, discutendosi se la disciplina ivi contenuta fosse applicabile anche al trasferimento mortis causa, non rappresentando quest’ulti­mo un’alienazione in senso tecnico [2]. Il primo argomento contrario alla validità di clausole statutarie dirette a limitare la circolazione delle azioni mortis causa era del resto già confutato dalla dottrina [3], orientata a distinguere dette ipotesi dai patti successori, qualora agli eredi fosse assicurata un’equa liquidazione della partecipazione caduta in successione [4], o comunque ravvisando l’estraneità delle condizioni apposte al trasferimento alla successione del socio defunto [5]. La seconda delle eccezioni relative alla ammissibilità delle limitazioni in tema di circolazione mortis causa era per lo più respinta sulla base di una interpretazione ampia del termine «alienazione», estensibile anche ai trasferimenti mortis causa [6]. In una più ampia prospettiva, orientata a riconoscere la legittimità delle condizioni apposte ai trasferimenti mortis causa, la dottrina sottolineava la necessità di contemperare interessi diversi: da una parte quelli individuali degli eredi a realizzare il valore dei titoli azionari; [continua ..]


2. Il caso. Il diritto del titolare delle azioni all'iscrizione nel libro dei soci

La decisione in esame si occupa, inoltre, di individuare quale disciplina regoli il diritto del titolare delle azioni ad ottenere l’iscrizione nel libro dei soci, qualora fra l’acquisto delle stesse e la richiesta di annotazione siano introdotte, attraverso la modifica dello statuto, clausole limitative della circolazione. Il Collegio Arbitrale esclude l’opponibilità delle modifiche statutarie all’acquisto effettuato dalle convenute in base ad un’articolata argomentazione: le modifiche statutarie sono opponibili ai terzi solo a seguito della loro iscrizione nel registro delle imprese; l’acquisto mortis causa delle azioni si è perfezionato prima della iscrizione delle delibere modificative nel registro delle imprese; il regime circolatorio risultante dal titolo e dallo statuto al momento dell’acquisto rende inopponibile alle titolari delle azioni le modifiche statutarie. Ripercorrendo la sequenza delle argomentazioni del Collegio giudicante, la statuizione si offre ad un commento in ordine a due aspetti di particolare interesse: da una parte l’opponibilità alle eredi delle clausole di prelazione e gradimento introdotte con modifiche degli statuti; dall’altra, e logicamente presupposto al primo, l’op­­­­po­­nibilità alla società del trasferimento mortis causa delle azioni, ai fini dell’esercizio del diritto all’iscri­zio­ne nel libro dei soci.


2.1. Normativa di riferimento. Dottrina. Com­mento

Nella prospettiva della individuazione della disciplina applicabile al diritto ad ottenere l’annotazione – se quella vigente al momento dell’acquisto delle azioni, ovvero quella esistente al momento dell’esercizio del diritto –, il lodo esamina una pluralità di profili rilevanti in tema di circolazione azionaria. Il primo argomento affrontato nella decisione è quello della inopponibilità alle titolari delle azioni del nuovo regime circolatorio introdotto, attraverso le modifiche statutarie, successivamente all’acquisto mortis causa delle partecipazioni. La verifica della disciplina dell’iscrizione nel libro dei soci applicabile al caso specifico si sostanzia, dunque, nella individuazione della legge di circolazione operante rispetto all’acquisto effettuato dalle eredi. A seconda della diversa interpretazione del problema ne deriva il riconoscimento del diritto delle convenute ad ottenere l’annotazione per effetto dell’accettazione dell’eredità, ovvero la legittimazione della società ad opporre alla richiesta di iscrizione le clausole di prelazione e di gradimento. In merito a quanto ora precisato, il Collegio Arbitrale enuncia il principio per cui l’acquirente ha «il diritto di richiedere ed ottenere l’iscrizione nel libro dei soci sulla base della disciplina statutaria vigente nel giorno in cui egli ha acquistato – per atto tra vivi o a causa di morte – la titolarità delle azioni» e ne motiva il fondamento attraverso l’interpretazione coordinata degli artt. 2436, 5° comma, condotta alla luce degli artt. 2448 e 2193, e 2355-bis c.c. Ne deriva che il regime circolatorio delle azioni opponibile ai terzi è quello risultante, non solo dalla lettera del documento (ove questo sia esistente), ma soprattutto dallo statuto e dalle modifiche allo stesso, tanto in virtù della valenza dichiarativa della pubblicità sul registro delle imprese e del principio di tutela dell’affidamento di ogni soggetto terzo che entri in rapporti con la società [15]. Il profilo della inopponibilità delle nuove clausole statutarie ai titolari non iscritti non esclude, a nostro avviso, la loro validità ed efficacia rispetto agli stessi soggetti, piuttosto sottolinea la necessità che la disciplina della circolazione azionaria assuma portata [continua ..]


3. Commento

Risolta nei termini della inopponibilità delle modifiche statutarie la questione della iscrivibilità dell’acqui­sto mortis causa delle azioni, rimane da esaminare, sotto altro profilo non esplicitato nella statuizione, ma che ne costituisce il presupposto stesso, il quesito posto nel lodo circa la disciplina applicabile all’iscrizione nel libro dei soci: se quella vigente al momento dell’acquisto delle azioni, ovvero quella esistente alla data dell’esercizio del diritto. Si osserva, ora, che i principi espressi dal Collegio giudicante, e già sopra individuati, in merito alla inopponibilità delle clausole limitative della circolazione ai trasferimenti avvenuti prima della loro iscrizione presuppongono, per parte loro, una precisa ricostruzione della fattispecie traslativa di azioni e della rilevanza, per essa, dell’annotazione. L’argomento sotteso alla decisione in commento è di rilievo al fine di attribuire all’iscrizione nel libro dei soci una posizione, verosimilmente diversa, rispetto alla più ampia sfera dei diritti che ineriscono la partecipazione sociale. Interessa ora, e da altro punto di vista, esaminare il te­ma della opponibilità del trasferimento delle azioni nei confronti della società e dunque individuare quanto della vicenda traslativa rilevi per l’organizzazione [24] al fine del­l’esercizio del diritto all’iscrizione nel libro dei soci da parte del titolare delle azioni. Il lodo enuncia che al momento dell’acquisto si realizza «il trasferimento delle posizioni giuridiche soggettive rappresentate dalle azioni, tra le quali fa spicco la prerogativa di ottenere la piena legittimazione all’eser­cizio dei diritti sociali in base alle leggi risultanti dallo statuto sociale al momento dell’acquisto delle partecipazioni». L’affermata impossibilità di regolare il diritto ad ottenere l’annotazione in base ad una disciplina diversa da quella vigente al momento in cui si verifica il trasferimento della partecipazione esprime l’indissolubilità del­l’acquisto della titolarità delle azioni rispetto all’eser­cizio del diritto all’iscrizione. Secondo quanto dichiarato nella decisione in esame, e qui condiviso, la vicenda traslativa avente ad oggetto le [continua ..]


NOTE
Fascicolo 3 - 2007