Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


Caveat socius! L´efficacia ultra partes della pronuncia di condanna di società personale (nota a Trib. Pisa, 10 luglio 2012) (di Luca Della Tommasina)


TRIBUNALE DI PISA, 10 luglio 2012 – Sammarco Presidente – Balsamo Relatore

Società in nome collettivo – Responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali – Titolo esecutivo – Efficacia riflessa – Iscrizione di ipoteca giudiziale sui beni del socio

(Artt. 2674-bis, 2291, 2304 c.c.; art. 477 c.p.c.)

La sentenza di condanna pronunciata contro una società in nome collettivo costituisce titolo esecutivo anche in confronto dei singoli soci: sulla base di essa, il creditore potrà iscrivere ipoteca giudiziale sui beni del socio, ancorché quest’ultimo sia rimasto estraneo al relativo giudizio di cognizione. (1)

Il Tribunale di Pisa, riunito in camera di consiglio nelle persone dei Sigg. Magistrati:

Dott. M. Sammarco Presidente

Dott. M. Balsamo Giudice rel.

Dott. M. Viani  Giudice,

ha emesso la seguente

Ordinanza

sul ricorso presentato dalla società COFAPI SOC. COOP. diretto ad ottenere l’accertamento dell’iscrizione ipotecaria sui beni di proprietà di Paola Barbieri e Catia Sparapani ai sensi degli art. 2674-bis c.c. e 113-ter disp. att. c.c.; sentite le parti e sentito il P.M.:

la sentenza di condanna pronunciata in un processo tra il creditore della società ed una società di persone costituisce titolo esecutivo anche contro il socio illimitatamente responsabile, in quanto dall’esistenza del­l’ob­bligazione sociale deriva necessariamente la responsabilità del socio e quindi ricorre una situazione non diversa da quella che, secondo l’art. 477 c.p.c., consente di porre in esecuzione il titolo in confronto di soggetti diversi dalla persona contro cui è stato formato (cfr. Cass. 2009, n. 1040; Cass. 6 ottobre 2004, n. 19946; Cass. 17 gennaio 2003, n. 613; Cass. 8 agosto 1997, n. 7353 ed altre).

L’art. 2304 cod. civ. dispone che, nelle società in nome collettivo, i soci rispondono solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni sociali. Vale a dire che i creditori sociali hanno davanti a loro più patrimoni su cui soddisfarsi: il patrimonio della società e quello dei singoli soci illimitatamente responsabili.

È pur vero che la responsabilità della società e quella dei soci non stanno sullo stesso piano, manifestandosi in questo senso uno degli aspetti della cosiddetta soggettività delle società di persone, e che i soci, pur essendo responsabili (art. 2267, primo comma, e 2291, primo comma, cod. civ.), lo sono in via sussidiaria verso la società, nel senso che godono del beneficio della preventiva escussione del patrimonio sociale (2268 e 2304 cod. civ.). Il beneficio opera nel senso che il creditore sociale può rivolgersi direttamente al socio, il quale ha l’onere d’invocare la preventiva escussione, indicando i beni sui quali il creditore possa agevolmente soddisfarsi (art. 2268 cod. civ.). Il beneficio di escussione opera, in altre parole, in via di eccezione ed il socio sarà tenuto a pagare, ove non provi – indicandoli specificamente – che nel patrimonio sociale esistono beni, non solo sufficienti, ma prontamente ed agevolmente aggredibili dal creditore istante.

L’esistenza dell’obbligo della società, quindi, è costitutiva dell’obbligo del socio, fatte salve le eccezioni personali di costui. Sul piano processuale, inoltre, la sentenza emessa nei confronti della società in nome collettivo spiega, come titolo esecutivo, effetti riflessi anche nei confronti del socio, la posizione del quale dipende da quella della società, nel senso che qualunque obbligo sociale, in qualsiasi modo sorto, fa nascere in lui l’obbligo corrispondente. Quindi, la sentenza emessa contro la società produce effetti nei confronti del socio e per questi è indifferente essere pregiudicato da un atto compiuto dal rappresentante sociale o da un processo condotto contro di lui (per questi aspetti si veda già Cass. 17 gennaio 2203, n. 613).

Ed è poi appena il caso di aggiungere che, per pacifica giurisprudenza della Suprema Corte, il beneficio d’escus­sione previsto dal citato art. 2304 c.c. ha efficacia limitatamente alla fase esecutiva, nel senso che il creditore sociale non può procedere coattivamente a carico del socio se non dopo aver agito infruttuosamente sui beni della società, ma non impedisce allo stesso creditore d’agire in sede di cognizione per munirsi di uno specifico titolo esecutivo nei confronti del socio, sia per poter iscrivere ipoteca giudiziale sugli immobili di que­st’ultimo sia per poter agire in via esecutiva contro il medesimo, senza ulteriori indugi, una volta che il patrimonio sociale risulti incapiente o insufficiente al soddisfacimento del suo credito (cfr. tra le altre Cass. 26 novembre 1999, n. 13183 e Cass. 4 marzo 2003, n. 3211).

L’accertamento del debito in capo alla società comporta il sorgere dell’anzidetta responsabilità sussidiaria del socio, posto che la sentenza di condanna pronunciata in un processo tra il creditore della società ed una società di persone costituisce titolo esecutivo anche contro il socio illimitatamente responsabile, in quanto dall’esistenza dell’obbli­ga­zione sociale deriva necessariamente la responsabilità del socio e quindi ricorre una situazione non diversa da quella che, secondo l’art. 477 c.p.c. consente di porre in esecuzione il titolo in confronto di soggetti diversi dalla persona contro cui è stato formato (cfr. Cass. 6 ottobre 2004, n. 19946; Cass. 17 gennaio 2003, n. 613; Cass. 8 agosto 1997, n. 7553 ed altre).

In conclusione, la sentenza di condanna (ovvero il decreto ingiuntivo esecutivo) pronunciata nei confronti di una s.n.c. costituisce titolo esecutivo anche contro il socio illimitatamente responsabile che non abbia partecipato al processo (Cassazione civile, Sez. III, 17/01/2003, n. 613).

Trattandosi di un provvedimento conclusivo di un procedimento che non comporta esplicazione di una attività giurisdizionale in sede contenziosa, in quanto non ha ad oggetto la risoluzione di un conflitto di interessi, ma il regolamento secondo legge dell’interesse pubblico alla pubblicità immobiliare, non si procede al regolamento di spese.

P.Q.M.

Dichiara la legittimità dell’iscrizione ipotecaria sui beni di proprietà dei soci illimitatamente responsabili della società Farmacia Bertelli snc e dichiara l’inefficacia della riserva apposta dal Conservatore dei Registri Immobiliari.

SOMMARIO:

1. Il “caso” - 2. Gli argomenti di diritto sostanziale: la dottrina … - 3. … e la giurisprudenza - 4. Il contributo del “diritto processuale” - 4.1. Il giudicato e i terzi - 4.2. Il titolo esecutivo e i terzi - 5. Il commento - 5.1. Soggettività giuridica e responsabilità per le obbligazioni sociali - 5.2. Tra ripensamenti della giurisprudenza e aporie del diritto positivo - 5.3. Riflessioni conclusive - NOTE


1. Il “caso”

Il provvedimento del Tribunale di Pisa affronta una questione di puro diritto: la legittimità o meno dell’iscrizione di ipoteca sugli immobili dei soci di una s.n.c. a fronte di una sentenza che condanna la sola società. A norma dell’art. 2818 c.c., la condanna giudiziale al pagamento di una somma di danaro o all’adem­pimento di altra obbligazione costituisce titolo «per iscrivere ipoteca sui beni del debitore». Nel caso di specie, debitrice è la società in nome collettivo, convenuta in giudizio dal creditore sociale per l’accer­tamento dell’obbligazione e per la condanna al suo adempimento; i beni che il creditore intende vincolare a garanzia del proprio credito appartengono, invece, ai singoli soci, nei cui confronti, almeno apparentemente, non si è formato alcun titolo esecutivo, data la loro estraneità al contraddittorio sviluppatosi in ordine all’accer­ta­mento del debito sociale: circostanza, questa, che, secondo le valutazioni del conservatore dei registri immobiliari, giustifica l’iscri­zione di ipoteca «con riserva», prevista dal­l’art. 2674-bis c.c. a fronte di «gravi e fondati dubbi» circa la sussistenza delle condizioni richieste dalla legge per la costituzione della garanzia reale. Cionondimeno, tra il debito sociale e la posizione del singolo socio intercorre una relazione qualificata: un nesso di stretta dipendenza, disciplinato dal­l’art. 2291 c.c., ai sensi del quale i soci della collettiva rispondono “tutti”, solidalmente e illimitatamente, per le obbligazioni sociali. I rapporti tra socio e società sono regolati in modo tale che il perfezionamento dell’obbligo in capo a que­st’ultima determina una correlativa responsabilità personale del singolo socio, insuscettibile di deroga pattizia con efficacia verso i terzi. Su questo dato normativo fa perno la motivazione del provvedimento in commento, con cui il Tribunale di Pisa accoglie il ricorso promosso dal creditore ai sensi degli artt. 2674-bis, 2° comma, c.c. e 113-ter disp. att., dichiarando l’inefficacia della riserva apposta dal conservatore. Il percorso logico su cui si fonda il provvedimento muove dalla configurazione della posizione del socio illimitatamente responsabile in termini di dipendenza permanente rispetto alla società, per desumerne un’efficacia [continua ..]


2. Gli argomenti di diritto sostanziale: la dottrina …

La soluzione prospettata dal Tribunale di Pisa è ormai decisamente prevalente in dottrina e in giurisprudenza. Tuttavia, gli argomenti sviluppati da­gli interpreti a sostegno dell’efficacia del giudicato “sociale” in danno dei soci non sono espressione di un punto di vista concorde e univoco. La dottrina meno recente ha affrontato la questione partendo dalla natura giuridica della responsabilità del socio per le obbligazioni di società personali. Secondo alcuni autori, l’obbligazione sociale è, in quanto tale, un’obbligazione propria del singolo socio [3]. Non vi sarebbero due distinti rapporti obbligatori: l’obbligazione sociale graverebbe direttamente sui soci, senza alcuna mediazione dello schermo societario. La duplicità si coglierebbe esclusivamente sotto il profilo oggettivo, ossia sotto il profilo della garanzia patrimoniale offerta dal­l’uni­co debitore, il socio: il creditore potrà soddisfarsi dapprima sul complesso dei beni che i soci “hanno riunito nel patrimonio sociale” e, in seconda battuta, sui beni facenti capo al patrimonio personale del socio [4]. Unicità dell’obbligazione significa, dal punto di vista processuale, unicità di petitum e causa petendi: il creditore sociale disporrebbe pertanto di un’unica pretesa, e agire giudizialmente nei confronti della società – che per tale via assume la qualifica di parte formale del processo – significherebbe ipso facto azionare il credito nei confronti del singolo socio quale parte sostanziale del relativo giudizio. Si tratta di una ricostruzione teorica fondata su un postulato di ordine più generale: l’idea, cioè, che nelle società di persone, diversamente da quanto accade nelle società di capitali, siano i soci gli esclusivi contitolari delle situazioni soggettive, attive e passive, derivanti dal contratto sociale e dallo svolgimento dell’attività d’im­presa. Il mancato riconoscimento normativo del più impegnativo attributo della personalità giuridica precluderebbe la possibilità di vedere nelle società personali soggetti di diritto pieni e autonomi [5]. La tesi della responsabilità del socio come responsabilità per debito proprio, unitamente alla predicata inidoneità della società a costituire centro di imputazione [continua ..]


3. … e la giurisprudenza

La concezione della responsabilità del socio di società personali quale responsabilità per debito proprio, ormai decisamente recessiva nel panorama dottrinario, riaffiora a più riprese nella giurisprudenza, anche recente [12], indipendentemente – peraltro – dal riconoscimento o meno della soggettività giuridica ai tipi societari in discorso. Infatti, è possibile registrare, in particolare nella giurisprudenza di legittimità, un filone interpretativo che, pur riconoscendo lo statuto di autonomo soggetto di diritto alle società di persone, ribadisce con for­za l’immediata afferenza al socio dei debiti d’im­pre­­sa alla stregua di un qualunque debito proprio, sì da giustificare, in ultima analisi, un’effi­cacia nei suoi confronti della sentenza di condanna della società. L’attributo della soggettività giuridica, con riguardo alle società di persone, avrebbe pertanto una valenza meramente relativa: la separazione reciproca tra le sfere giuridiche dei soci e della società risponderebbe ad un’esclusiva finalità di tutela dei creditori sociali. Opererebbe, cioè, nei confronti dei creditori particolari del socio, concretandosi nel vincolo al soddisfacimento prioritario delle obbligazioni assunte dalla società, vincolo impresso al patrimonio sociale dagli artt. 2270 e 2305 c.c. in ragione della sua destinazione all’e­ser­cizio in via stabile di una comune attività d’im­presa. Per i creditori sociali, invece, – e in ciò si apprezzerebbe l’unidirezionalità (dunque, la non assolutezza) della soggettività giuridica – la distinzione tra patrimonio della società e patrimonio dei soci tenderebbe ad annullarsi, «risolvendosi essa nella sola esistenza del beneficio del­l’e­scussione, nei limiti in cui è ammesso, e nella pos­sibilità che taluni soci non rispondano delle obbligazioni sociali con il proprio patrimonio (artt. 2267 e 2313 c.c.)» [15].L’idea di fondo di questa giurisprudenza, che fa da cornice a tutta una serie di pronunce, eclettiche e ambigue, delle corti di merito [13], è che il potere di gestione attribuito ai soci dalla disciplina positiva delle società di persone consenta una sostanziale imputazione ai medesimi dei debiti sociali. In [continua ..]


4. Il contributo del “diritto processuale”

4.1. Il giudicato e i terzi

Il problema dei limiti soggettivi del giudicato si pone con riferimento ai terzi titolari di situazioni giuridiche: a) dipendenti, per ragioni di diritto sostanziale, dall’oggetto di una precedente statuizione, e b) sorte anteriormente all’instaurazione del relativo giudizio[25]. In altre parole, si tratta di stabilire, nel silenzio del dato normativo (che si limita a regolare ipotesi di successione nel diritto controverso lite pendente e post rem iudicatam), se (e in presenza di quali presupposti) la sentenza resa inter alios sul rapporto pregiudiziale renda quest’ultimo incontestabile nel successivo processo avente ad oggetto il rapporto dipendente. Secondo una prima ricostruzione, ogniqualvolta un rapporto intercorrente tra due soggetti sia giuridicamente rilevante ai fini dell’esistenza o del modo di essere di un distinto rapporto intercorrente tra soggetti parzialmente diversi, l’esigenza di coordinamen­to tra diritto sostanziale e processo impone di perimetrare l’efficacia soggettiva del giudicato adottando come unità di misura i suoi limiti oggettivi: la sentenza che accerta il contenuto del rapporto pregiudiziale tra i suoi legittimi contraddittori sarebbe in grado di spiegare un’efficacia riflessa generalizzata, condizionando – pregiudicando, appunto – il mo­do di essere di tutte le situazioni giuridiche che da esso dipendono per scelta del diritto sostanziale [26]. Altri interpreti, invece, lamentando un ingiustificato sacrificio del diritto di difesa e valorizzando la lettera dell’art. 2909 c.c., escludono, al di fuori dei casi espressamente previsti dal legislatore [27], qualsivoglia dilatazione ultra partes del­l’ef­fi­­cacia del giudicato: la mera sussistenza, a livello di diritto sostanziale, di un nesso di pregiudizialità-dipendenza tra distinti rapporti giuridici non sarebbe sufficiente a fondare un’esten­sione del giudicato al titolare del rapporto dipendente che non sia stato posto in condizione di contraddire in ordine alla configurazione del rapporto pregiudiziale [28]. Infine, una soluzione di compromesso tra le delineate ipotesi ricostruttive è stata tentata all’ini­zio degli anni ’80 attraverso una distinzione qualitativa delle fattispecie di pregiudizialità-dipen­denza. Postulare un’efficacia ultra partes del giudicato civile – si è detto [continua ..]


4.2. Il titolo esecutivo e i terzi

In ordine al secondo profilo di indagine, è affermazione costante della stessa giurisprudenza di legittimità che la condanna resa in confronto della società (personale) sia eseguibile anche contro il socio, ricorrendo in proposito un’analogia di presupposti con l’art. 477 c.p.c. [34]. L’affermazione ha una notevole rilevanza sistematica, nella misura in cui postula una coincidenza tra la portata soggettiva del giudicato e la portata soggettiva del titolo esecutivo: superato il principio di necessaria rappresentatività del titolo, sarebbe possibile concepire un’esecuzione ultra partes anche al di fuori delle disposizioni che espressamente la prevedono, e in particolare estendere al processo esecutivo le stesse premesse e gli stessi meccanismi che presiedono al fenomeno della “riflessione” del giudicato civile. In verità, il punto non è affatto pacifico in dottrina. Osservano alcuni autori che “dall’efficacia della cosa giudicata per un terzo non si può mai desumere la sua efficacia per questo terzo come titolo esecutivo” [35]. La ragione è che l’eterointegrazione del titolo-do­­cumento presupporrebbe una cognizione preliminare circa la sussistenza dei presupposti del­l’e­sten­sione ai terzi, laddove invece il nostro ordinamento non istituisce alcun controllo preventivo ai fini del­l’i­den­tificazione dei legittimati, attivo e passivo, alla procedura di esecuzione forzata. La conseguenza è che l’ufficio esecutivo, strutturalmente inadatto ad una cognizione in senso tecnico della fattispecie sostanziale oggetto di tutela, non può che limitarsi ad attuare, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, la “lettera” del titolo, salvo diversa previsione di legge (da ritenersi, pertanto, eccezionale) [36]. L’opposta ricostruzione muove dalla constatazione che il titolo non è in grado di fornire l’im­magine del­l’effettivo sviluppo del processo esecutivo. L’a­na­­­lisi del sistema positivo porta alla luce tutta una serie di ipotesi in cui l’esecuzione forzata diverge strutturalmente e legittimamente dalle risultanze documentali, in cui cioè si preferisce “correre l’alea di un’e­secuzione ingiusta piuttosto che costringere il creditore a munirsi di un altro titolo [continua ..]


5. Il commento

5.1. Soggettività giuridica e responsabilità per le obbligazioni sociali

Nel complesso, la motivazione del provvedimento in esame, facendo leva sull’applicazione ana­logica del­l’art. 477 c.p.c., muove implicitamente da un presupposto del tutto condivisibile: la ter­zietà del socio rispetto alle obbligazioni di società personali. Il socio illimitatamente responsabile è un garante ex lege di debiti imputabili ad un distinto e autonomo soggetto di diritto, la società. La sostanziale compenetrazione tra socio e società, l’istituzionale difetto di un diaframma corporativo tra le rispettive sfere giuridiche, l’attribu­zione in via suppletiva del potere gestorio a tutti i soci della semplice e della collettiva, non valgono a giustificare l’orientamento giurisprudenziale che vede nel socio illimitatamente responsabile il sog­getto passivo di un’obbligazione propria [41]: ogni altra considerazione cede di fronte all’assor­bente rilievo che “la società acquista diritti e assume obbligazioni per mezzo dei soci che ne hanno la rappresentanza e sta in giudizio nella persona dei medesimi”. In altre parole, l’art. 2266 c.c., ascrivendo in via diretta alla società la titolarità di situazioni sostanziali attive e passive nascenti dal­l’attività negoziale dei suoi rappresentanti e riconoscendole expressis verbis una propria capacità processuale, scolpisce nitidamente un modello normativo incompatibile con l’im­ma­gine di una responsabilità unitaria – gravante indistintamente sulla società e sui singoli soci – per le obbligazioni contratte nel comune esercizio dell’im­pre­sa [42]. È evidente che il socio altro non debba sopportare se non le conseguenze dell’inadempimento della società: dalla previsione di un nesso di sussidiarietà tra le due posizioni sostanziali si evince che titolare del debito d’impresa è la società stessa, rispetto alla quale il socio assume la veste di garante per l’ipotesi di infruttuosa aggressione del patrimonio sociale. Detto diversamente, il beneficium excussionis non varrebbe ad identificare un ordine oggettivo di soddisfacimento del creditore, una mera gerarchia tra masse patrimoniali distinte (e riconducibili, in ipotesi, al medesimo referente soggettivo), ma rafforzerebbe, sotto il profilo operativo, il dato formale [continua ..]


5.2. Tra ripensamenti della giurisprudenza e aporie del diritto positivo

Constatata l’impossibilità di fondare una risposta appagante su valutazioni di natura tipologica tratte dalla disciplina positiva delle società personali, converrà ricercare una soluzione sul diverso terreno dei rapporti tra diritto sostanziale e diritto processuale, domandandosi se la disciplina della fattispecie in esame sia tale da giustificare un pregiudizio patrimoniale ultra partes in conseguenza di un provvedimento giurisdizionale di condanna. Dall’analisi della recente giurisprudenza di legittimità è emerso un orientamento complessivamente favorevole all’estensione al socio dell’ef­ficacia esecutiva della condanna sociale, sulla base di un ragionamento che è possibile sintetizzare nei punti seguenti: a) il socio illimitatamente responsabile subisce costantemente gli effetti, positivi e negativi, dell’attività negoziale dei rappresentanti della società: non potendosi invocare nei confronti dell’attività processuale una protezione maggiore di quella accordata in generale dal diritto sostanziale, l’accerta­mento dell’ob­bligo sociale, una volta intervenuto il passaggio in giudicato della relativa sentenza, vincolerà il socio nonostante il suo mancato coinvolgimento nella lite; b) data l’unitarietà degli effetti del­l’atto-sentenza, non ha senso postulare un’effi­ca­cia riflessa del giudicato disgiunta dalla sua idoneità esecutiva: pertanto, il creditore non ha alcuna necessità di procurarsi un nuovo titolo esecutivo nominativamente diretto contro il singolo socio; c) infine, anche l’iscrivibilità di ipoteca giudiziale è da annoverarsi tra gli effetti tipici della sentenza di condanna (della società), suscettibili, in quanto tali, di estendersi al rapporto dipendente (tra creditore e singolo socio). È significativo che la costituzione della garanzia reale venga accordata sulla base di un’argo­menta­zione che non distingue affatto tra efficacia preclusiva ed efficacia esecutiva del titolo giudiziale: del resto, se è vero che la sentenza pronunciata nei confronti della società è destinata a riverberarsi nella sfera patrimoniale del socio sotto entrambi i profili di efficacia, poco importa stabilire se l’idoneità a fondare l’iscrizione di ipoteca rinvenga la sua ratio nella [continua ..]


5.3. Riflessioni conclusive

Tullio Ascarelli, nel lontano 1937, osservava che l’esigenza di tutelare il terzo contro il pregiudizio che potrebbe derivargli dalla sentenza pronunciata nei riguardi dei titolari del rapporto pregiudiziale “non viene meno quando il presupposto dell’obbligo del terzo (quale è il socio) è costituito dalla sussistenza di un obbligo di altra persona (quale è la società)” [75]. Detto diversamente (e alla luce delle elaborazioni della dottrina successiva): il carattere permanente del vincolo di dipendenza tra situazioni sostanziali non può giustificare di per sé una proiezione ultra partes del giudicato. Del resto, il creditore sociale dispone ab initio di un utile strumento per rendere inattaccabile l’accerta­men­to del suo diritto: estendere il contraddittorio ai singoli soci in veste di litisconsorti (facoltativi) della società debitrice. Certo è che costringere il creditore a dimostrare ex novo, nei confronti dei soci non evocati nel primo giudizio, l’an e il quantum dell’obbliga­zione sociale, può apparire eccessivo. Sarebbe sufficiente enucleare, all’esito di un’a­na­­lisi sistematica dei dati di diritto positivo, un principio generale in base al quale l’accer­tamento inter partes del rapporto pregiudiziale fa stato anche nei confronti del terzo, titolare del diritto (od obbligo) dipendente, salva, per quest’ultimo, la possibilità di far valere le eccezioni non opposte nel primo giudizio [76]: esattamente ciò che l’HGB preclude al socio di öffene Handelsgesellschaft, comprimendo le sue difese entro i limiti delle Einwendungen spettanti alla società nello stato giuridico in cui si trovano al tempo del successivo giudizio. Ora, l’art. 1485 c.c. disciplina, da un punto di vista processuale, i rapporti tra compratore e venditore nell’ipotesi in cui un terzo vanti un diritto sulla cosa venduta: il compratore evitto, che non abbia chiamato in causa il venditore, perde la possibilità di rivalersi nei suoi confronti a titolo di garanzia sol che questi fornisca la prova che esistevano ragioni sufficienti per far respingere la domanda del terzo [77]. Una dinamica analoga caratterizza l’art. 2859 c.c., che disciplina la posizione del terzo acquirente di un bene ipotecato: questi, qualora non venga coinvolto nel giudizio di condanna [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2013