Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
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È illegittimo l´art. 13, 2° comma, seconda parte, del d.lgs. n. 5/2003: il rito societario muta volto? (nota a Corte cost., 12 ottobre 2007, n. 340) (di Clarice Delle Donne)


CORTE COSTITUZIONALE, 12 ottobre 2007, n. 340 – Bile Presidente – Amirante Relatore – C.M. ed altro c. Banca Monte dei Paschi di Siena, S.p.a.

Rito societario – Mancata o intempestiva notifica della comparsa di costituzione – Conseguenze per l’attore tempestivamente costituito ed istante per la fissazione dell’udienza – Non contestazione dei fatti ex adverso dedotti – Decidibilità in base a concludenza della domanda – Illegittimità costituzionale – Contrasto con l’art. 76 Cost. – Sussistenza

(Art. 76 Cost.; art. 13, 2° comma, secondo periodo, d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5)

È costituzionalmente illegittimo l’art. 13, 2° comma, del d.lgs. n. 5/2003 nella parte in cui stabilisce che la mancata o intempestiva notifica della comparsa di costituzione comporta, a favore dell’attore tempestivamente costituitosi ed istante per la fissazione di udienza, che i fatti da lui affermati si intendono non contestati e il tribunale decide sulla domanda in base alla concludenza di questa. (1)

(omissis) Considerato in diritto – Il Tribunale di Catania, in composizione collegiale, ha sollevato, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, in via subordinata in riferimento all’art. 3 Cost. e, in via ancor più gradata, in riferimento all’art. 24 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 (Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione del­l’ar­ti­co­lo12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366).

Il remittente riferisce che soggetti privati hanno convenuto in giudizio un istituto bancario per sentir dichiarare la nullità di un contratto di acquisto di titoli mobiliari con esso concluso e per la condanna al risarcimento dei danni subiti per la dismissione dei medesimi; che il convenuto ha notificato in ritardo la comparsa di costituzione e gli attori hanno presentato istanza di fissazione dell’udienza, la quale, ai sensi della disposizione censurata, comporta che i fatti dedotti dagli attori devono ritenersi come ammessi.

Secondo il remittente, nello stabilire la cosiddetta ficta confessio in caso di mancata o tardiva notifica della suddetta comparsa, il legislatore delegato è andato al di là della delega di cui all’art. 12, comma 2, lettera a), della legge n. 366 del 2001, la quale prevedeva soltanto la concentrazione dei procedimenti e la riduzione dei termini, ma non anche una così sostanziale modifica del procedimento contumaciale, contraria alla tradizione giuridica italiana.

Una innovazione come quella introdotta con la disposizione impugnata avrebbe richiesto una specifica direttiva, come è anche dimostrato dal fatto che nel disegno di legge di delega per la generale riforma del processo civile, approvato dal Consiglio dei ministri il 24 ottobre 2003 (Atto Camera n. 4578), al punto 23 è indicato come criterio direttivo quello cui è autonomamente, e quindi illegittimamente, ispirata la disposizione in scrutinio.

In via subordinata, il Tribunale di Catania deduce il contrasto della disposizione suddetta con l’art. 3 Cost., in quanto attribuisce un ingiustificato privilegio alla parte attrice nei procedimenti che si svolgono con il cosiddetto rito societario; in via ancor più gradata, il remittente lamenta la violazione dell’art. 24 Cost., in quanto dalla disposizione impugnata consegue l’irragionevole e perciò illegittima compressione del diritto di difesa della parte convenuta.

2 – La questione è fondata con riferimento all’art. 76 della Costituzione.

Questa Corte ha più volte affermato che «il giudizio di conformità della norma delegata alla norma delegante, condotto alla stregua dell’art. 76 Cost., si esplica attraverso il confronto tra gli esiti di due processi ermeneutici paralleli: l’uno relativo alla norme che determinano l’oggetto, i principi e i criteri direttivi indicati dalla delega, tenendo conto del complessivo contesto di norme in cui si collocano e individuando le ragioni e le finalità poste a fondamento della legge di delegazione; l’altro relativo alle norme poste dal legislatore delegato, da interpretarsi nel significato compatibile con i principi e criteri direttivi della delega» (ex plurimis sentenze n. 7 e n. 15 del 1999, n. 276, n. 163, n. 126, n. 425, n. 503 del 2000, n. 54 e n. 170 del 2007). E, in considerazione della varietà delle materie riguardo alle quali si può ricorrere alla delega legislativa, non è possibile enucleare una nozione rigida valevole per tutte le ipotesi di “principi e criteri direttivi”. In questo ordine d’idee si è anche affermato che «il Parlamento, approvando una legge di delegazione, non è certo tenuto a rispettare regole metodologicamente rigorose…» (sentenza n. 250 del 1991).

Siffatti principi, che la Corte ribadisce, vanno però applicati non disgiuntamente da altri che pure, come si è affermato, debbono presiedere allo scrutinio di legittimità costituzionale di disposizioni di provvedimenti legislativi delegati sotto il profilo della loro conformità alla legge di delegazione e che delimitano il cosiddetto potere di riempimento del legislatore delegato. Infatti, per quanta ampiezza possa a questo riconoscersi, «il libero apprezzamento del legislatore delegato non può mai assurgere a principio od a criterio direttivo, in quanto agli antipodi di una legislazione vincolata, quale è, per definizione, la legislazione su delega» (sentenza n. 68 del 1991; e, sul carattere derogatorio della legislazione su delega rispetto alla regola costituzionale di cui all’art. 70 Cost., cfr. anche la sentenza n. 171 del 2007).

Tutto ciò premesso, si rileva che la disposizione censurata – stabilendo che, se il convenuto non notifica la comparsa di risposta o lo fa tardivamente, i fatti affermati dall’attore si reputano non contestati – detta una regola del processo contumaciale in contrasto con la tradizione del diritto processuale italiano, nel quale alla mancata o tardiva costituzione mai è stato attribuito il valore di confessione implicita.

La legge di delegazione era finalizzata all’emanazione di norme che, senza modifiche della competenza per territorio o per materia, fossero dirette ad assicurare una più rapida ed efficace definizione di procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria nonché in materia bancaria e creditizia (art. 12, comma 1, lettere a e b, della legge n. 366 del 2001).

Per raggiungere le suindicate finalità, si stabiliva che il Governo era delegato a dettare regole processuali che, in particolare, potessero prevedere «la concentrazione del procedimento e la riduzione dei termini processuali».

La censurata disposizione del decreto delegato, mentre è evidentemente estranea alla riduzione dei termini processuali, neppure può essere ritenuta conforme alla direttiva della concentrazione del procedimento. La considerazione della «più rapida ed efficace definizione dei procedimenti», indicata come finalità della delega, costituisce un utile criterio d’interpretazione sia della legge di delegazione, sia delle disposizioni delegate, ma non può sostituirsi alla valutazione dei principi e criteri direttivi, così come determinati dalla legge di delegazione. Tutto ciò anche a voler trascurare il rilievo secondo il quale non sempre l’introduzione della ficta confessio contribuisce alla rapida ed efficace definizione dei procedimenti.

L’accertamento della fondatezza della questione per violazione dell’art. 76 Cost. assorbe l’esame degli altri profili di illegittimità costituzionale, del resto dallo stesso remittente prospettati in via subordinata.

Deve essere, pertanto, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, del d.lgs. n. 5 del 2003, nella parte in cui stabilisce: «in quest’ultimo caso i fatti affermati dall’attore, anche quando il convenuto abbia tardivamente notificato la comparsa di costituzione, si intendono non contestati e il tribunale decide sulla domanda in base alla concludenza di questa».

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 (Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell’articolo 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366), nella parte in cui stabilisce: «in quest’ul­ti­mo caso i fatti affermati dall’attore, anche quando il convenuto abbia tardivamente notificato la comparsa di costituzione, si intendono non contestati e il tribunale decide sulla domanda in base alla concludenza di questa». (omissis).

 

(1) È illegittimo l’art. 13, 2° comma, seconda parte, del d.lgs. n. 5/2003: il rito societario muta volto?

  
SOMMARIO:

1. Il caso. La pronuncia. La normativa di riferimento - 2. (Segue). Le linee ispiratrici della pronuncia: critica. La dottrina - 3. Commento. Il rito societario dopo la declaratoria di illegittimità - NOTE


1. Il caso. La pronuncia. La normativa di riferimento

Chiamata ancora una volta a valutare la costituzionalità di un frammento di disciplina del processo societario, la Consulta stringe stavolta il cerchio intorno all’art. 13, 2° comma, d.lgs. n. 5/2003. La disposizione è stata infatti dichiarata illegittima nella parte in cui prevede che la mancata o tardiva notifica della comparsa di risposta del convenuto consente, a beneficio dell’attore che abbia proposto istanza di fissazione di udienza, di considerare non contestati i fatti da lui affermati, così che il tribunale decide in base alla semplice concludenza della domanda. Il 2° comma dell’art. 13 cit. era stato in verità censurato dal remittente sotto più profili. La Corte ha ritenuto però assorbente quello dell’eccesso di delega, in riferimento al tenore dell’art. 12, 2° comma, lett. a della legge n. 366/2001. Sulla scia di un percorso argomentativo ormai consolidato in tema di conformità della legislazione delegata a quella delegante, la Corte fa riferimento al confronto tra “gli esiti di due processi ermeneutici paralleli”, quello sull’oggetto ed i principi e criteri direttivi della delega, anche alla luce delle ragioni e finalità che ne sono a fondamento, e quello sulle norme delegate, in prima battuta da leggersi in conformità ai principi della delega. Tutto ciò tenendo presenti due linee guida: che la varietà delle materie oggetto di delega non consente di enucleare una nozione rigida e generalmente valida di tali principi e criteri; che però il “potere di riempimento” del legislatore delegato, pur ut supra molto ampio, non può mai esso stesso assurgere a principio e criterio direttivo, trattandosi pur sempre di potere vincolato. Il legislatore dell’art. 13, 2° comma cit. non si è attenuto a questi criteri. La legge di delegazione era infatti finalizzata esclusivamente all’adozione di una disciplina delegata che assicurasse una più rapida ed efficace definizione dei procedimenti ivi indicati, in particolare attraverso «la concentrazione del procedimento e la riduzione dei termini processuali». La scelta del legislatore delegato invece, nel mentre è estranea alla riduzione dei termini processuali, neppure realizza una concentrazione del procedimento, ma si sostituisce ai criteri direttivi della delega, creandone di nuovi. Ciò in [continua ..]


2. (Segue). Le linee ispiratrici della pronuncia: critica. La dottrina

L’estrema laconicità della motivazione cui la Consulta affida la censura di una norma cruciale come l’art. 13, 2° comma in parte qua desta senz’altro sconcerto, ma è anche, da altro punto di vista, profondamente rivelatrice [1]. In primis. L’enucleazione dei motivi di contrasto tra decreto delegato e legge-delega, fulcro della dichiarazione di illegittimità, è oggetto di una motivazione solo apparente. Ad onta del richiamo al consolidato orientamento in tema di sindacato sull’eccesso di delega [2], il punto rimane infatti in ombra in quanto non vi è traccia dell’applicazione dei principi ispiratori di quell’orientamento allo specifico versante della rispondenza dell’art. 13, 2° comma cit. ai limiti posti dalle norme deleganti. Non può infatti definirsi tale il fugace accenno alla circostanza che il regime della contumacia [3] sarebbe estraneo alla riduzione dei termini processuali ed alla concentrazione del procedimento: in tal modo si è dato infatti per scontato, a stregua di postulato, proprio ciò che avrebbe invece dovuto essere dimostrato. Ed anzi, a ben vedere, tale dimostrazione appariva tanto più impegnativa già in ragione del semplice tenore letterale dell’art. 12, 2° comma, lett. a della legge delega ed anche senza alcun riferimento al più ampio contesto normativo in cui si inserisce e che pure la Corte ha fatto mostra, attraverso il richiamo a specifici precedenti in tal senso, di voler tenere in conto. Finalità della delega era la più rapida ed efficace definizione dei procedimenti nelle materie ivi indicate; mezzo al fine la riduzione dei termini processuali e la concentrazione del procedimento. Sic stantibus, avrebbe dovuto allora valutarsi l’idoneità del regime introdotto dall’art. 13, 2° comma, cit., a favorire tale definizione [4]. Ebbene, prevedendo che la mancata o tardiva notifica della comparsa del convenuto desse all’attore istante per la fissazione dell’udienza il “beneficio” della non contestazione dei fatti da lui affermati, il legislatore delegato aveva realizzato un’ipotesi di relevatio ab onere probandi [5]. L’art. 13, 2° comma in parte qua appariva perciò, in questa luce, come null’altro che il viatico del­l’eliminazione di una intera fase del processo [continua ..]


3. Commento. Il rito societario dopo la declaratoria di illegittimità

Veniamo ora al concreto impatto della pronuncia sui congegni del processo societario [12]. L’art. 13, 2° comma in parte qua collegava alla mancata o tardiva notifica della comparsa di costituzione i noti effetti sul piano dell’accoglibilità della domanda. La caducazione della disposizione nella parte in cui prevede l’effetto della non contestazione dei fatti ex adverso dedotti non cancella tuttavia la possibilità di una mancata o tardiva notifica della comparsa di risposta: quid allora se ciò si verifica? La risposta, sul piano dei possibili sviluppi del processo, va comunque ricercata nell’ambito del d.lgs. n. 5/2003 [13]. Anzitutto l’attore ha facoltà di notificare, ex art. 8, 1° comma, lett. a, e 13, 2° comma nella parte non censurata, istanza di fissazione di udienza. In tal caso il convenuto patisce comunque lo sbarramento preclusivo dell’art. 10, 2° comma. Anche se si è tempestivamente costituito depositando la comparsa di risposta, le difese ivi spiegate sono infatti tamquam non essent per la tardiva notifica dell’atto: ciò ai sensi del combinato disposto degli artt. 2, 1° comma, lett. c, 10, 2° comma e 13, 4° comma; a ciò si aggiunga che, ai sensi del 2° bis comma dell’art. 10, i fatti in precedenza non specificamente contestati si intendono pacifici [14]. Né tale ultima conclusione pare inficiata dalla dichiarazione di incostituzionalità: la mancata o tardiva notifica della comparsa di risposta resta infatti pur sempre uno dei possibili presupposti della notifica, a parte actoris, dell’istanza di fissazione di udienza con le relative conseguenze sul piano delle preclusioni. L’altra possibilità offerta all’attore dall’art. 13, 2° comma è la notifica al convenuto di una nuova memoria ex art. 6. Qui la ricostruzione dei possibili sviluppi del processo dipende dall’interpretazione del 2° comma dell’art. 13 nella parte censurata: ove se ne ammetta l’applicabilità [15] dovrebbe dedursene che anche dopo la prosecuzione dello scambio l’atto­re, instando per la fissazione dell’udienza, possa eccepire la decadenza del convenuto a seguito della mancata o tardiva notifica della comparsa, con le conseguenze già evidenziate; in caso contrario [16] dovrebbe invece dedursene l’accettazione [continua ..]


NOTE
Fascicolo 3 - 2008