Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Gruppi e minoranze non di controllo: dalla tutela risarcitoria a quella “organizzativa” e “procedimentale” (all´alba delle azioni a voto po-tenziato) (di Vincenzo Cariello)


SOMMARIO:

1. Una premessa: Alibaba e la quack corporate governance - 2. L’inappagante (e non efficiente) tutela risarcitoria delle minoranze esterne o estranee al potere di direzione e coordinamento (rinvio) - 3.1. A favore di un rafforzamento della tutela “organizzativa” e “procedimentale” (vote and rights, formal minority protection and substantive minority protection) - 3.2. (Segue): paradox of voting e tutela delle minoranze non di comando - 3.3. (Segue): il diritto di minoranze a divenire maggioranza - 3.4. (Segue): una (risalente) prospettiva: sottrazione di ogni diritto di natura amministrativa alle minoranze non di comando e “compensazione riequilibratrice” della maggiorazione della responsabilità del o dei soci di comando - 4.1. Azioni a voto potenziato in funzione di dominio - 4.2. (Segue): azioni a voto potenziato e fisiologica esigenza di accrescimento della (normale) tutela delle minoranze non di comando? Azioni a voto potenziato e “relazioni di potere” tra votanti? - 4.3. (Segue): connessioni e interferenze generiche tra azioni a voto potenziato e tutela delle minoranze non di controllo - 4.4. (Segue): azioni a voto potenziato, attivismo “difensivo” e “offensivo” di determinate minoranze non di comando - 4.5. (Segue): l’esigenza di una rigorosa disciplina delle condizioni, dei presupposti e dei limiti di creazione o emissione delle azioni a voto potenziato. Autotutela e/o eterotutela a protezione delle minoranze non di controllo in presenza di azioni a voto potenziato - 5.1. Tutela procedimentale e organizzativa delle minoranze nei gruppi (tre tesi generali) - 5.2. (Segue): gli attori della tutela procedimentale e organizzativa (cenni) - 5.3. (Segue): sintetici riferimenti ad alcuni strumenti di tutela procedimentale e organizzativa - 5.4. (Segue): uno strumento particolarmente innovativo (e dirompente): voti plurimi scissi dalle azioni, tutela delle minoranze non di controllo e di terzi non soci e l’utilità di una riflessione non prevenuta sul ricorso al Quadratic Voting nel diritto domestico delle s.p.a. - 5.5. (Segue): fattispecie, funzioni ed efficienza del Quadratic Voting - 5.6. (Segue): attivismo e Quadratic Voting - 5.7. (Segue): Quadratic Voting e non soci - 6. Conclusioni - NOTE


1. Una premessa: Alibaba e la quack corporate governance

IPO Alibaba. Sul New York Times del 16 settembre 2014, Lucian Bebchuk mette in guardia dai seri rischi di governance che accompagnano l’investimento nella società. Sulla stessa linea (fortemente critica) si attesta l’editoriale Out of Control, apparso su The Economist del 20-26 settembre 2014. I rischi per gli investitori deriverebbero da diversi fattori combinati: (i) Alibaba Partnership, che raggruppa un gruppo di circa trenta insiders (managers e società a loro affiliate), si è garantita un permanente controllo bloccato pur avendo una piccola percentuale del capitale 1; (ii) in Alibaba esistono diversi modi per stornare valore dalle società figlie e deboli meccanismi per evitarlo 2. Tra l’altro, gli investitori USA sono soci di un veicolo off-shore che neppure è azionista della parent Alibaba, ma che ha con questa un accordo contrattuale che prevede il diritto di ricevere parte del cash flow delle attività del gruppo; (iii) si afferma che gli investitori dovranno temere che un significativo ammontare del valore creato da Alibaba non sarà da loro partecipato e che la struttura della medesima Alibaba non garantisce un adeguata protezione dei pubblici investitori 3. Più specificamente, sotto il profilo della corporate governance: (iv) al centro della governance di Alibaba vi è una dual-class structure; (v) Alibaba Partnership ha il diritto esclusivo di indicare la maggioranza dei candidati amministratori. Ove non ottenga il consenso degli altri soci alle proprie candidature, avrà diritto, a propria discrezione e senza bisogno di un’ulteriore approvazione dei soci, di nominare unilateralmente I componenti del consiglio di amministrazione; (vi) Alibaba Partnership potrà adottare decisioni in disaccordo con tutti gli altri soci, incluse quelle riguardanti le remunerazioni, la successione manageriale, le acquisizioni strategiche, le strategie finanziarie e industriali. Questa operazione rinvigorisce il dibattito sulla tutela procedimentale e organizzativa delle minoranze nelle società monadi, nei gruppi e nei gruppi transnazionali come Alibaba. Ed è da questo “caso” di corporate governance 4 che desidero muovere per queste mie riflessioni, sparse e disorganiche (le definirei, piuttosto, spunti problematici) sulla tutela dei soci esterni, estranei al, distanti dal dominio ovvero al potere di direzione e [continua ..]


2. L’inappagante (e non efficiente) tutela risarcitoria delle minoranze esterne o estranee al potere di direzione e coordinamento (rinvio)

Nei gruppi, le minoranze non di controllo continuano a rilevare, essenzialmente e prevalentemente, come beneficiarie di tutele risarcitorie, pur non essendo confutabile che, sul piano teorico e pratico, tale genere di tutela non è, di necessità e di per sé, né l’unica praticabile come principale 6, né la più efficiente ed efficace. Ciò che viene tutelato non è la minoranza ma la minoranza “danneggiata”; ciò che viene accordato – si badi, non agevolato – non è l’azione corporativa della minoranza, bensì l’azione processuale diretta alla tutela di perduranti danni ingiustamente patiti. Sennonché, agendo per il proprio risarcimento ovvero prospettando di agire per il proprio risarcimento, le minoranze non si affrancano dal loro essere apatiche, ignare, amorfe (recedendo tanto meno). Ciò in quanto l’autotutela risarcitoria (di certo, da noi) non funziona perché non risultano soddisfatti i presupposti sui quali essa dovrebbe basarsi 7. Le regole legali e le prassi giudiziali che presiedono alla tutela risarcitoria paiono, in diversi Paesi, tutt’altro che adeguate. Guardando al diritto domestico, difettano, ad esempio, prescrizioni legali di inversione dell’onere della prova – presenti invece, in una certa misura, nell’esperienza tedesca 8 (cfr. §§ 93 Abs. 2 S. 2, 117 Abs. 2 S. 2, 309 Abs. 2 S. 2, 310 Abs. 1 S. 2 AktG) 9 – e non si assiste, nel contempo, guardando al diritto pretorio, a un allentamento degli oneri processuali dei legittimati attivi 10. D’altronde, in alcune esperienze come la nostra, vi sono minoranze alle quali è precluso anche l’esercizio della tutela risarcitoria accordata dalla disciplina specifica dei gruppi. Evidente il riferimento alla norma interpretativa o d’interpretazione autentica dell’art. 19, 6° comma, d.l. n. 78/2009, idonea a esonerare lo Stato dal­l’ap­plicazione dell’art. 2497, 1° comma, c.c. 11. D’altra parte, in plurimi ordinamenti, soci esterni o estranei al potere di direzione e coordinamento o alla direzione unitaria possono divenire legittimati passivi di azioni promosse per l’abuso di tale potere 12. Ma pure laddove la tutela risarcitoria funzionasse, essa, come appureremo più avanti, non appagherebbe. Tale giudizio, [continua ..]


3.1. A favore di un rafforzamento della tutela “organizzativa” e “procedimentale” (vote and rights, formal minority protection and substantive minority protection)

Piuttosto, assieme ai o disgiunti dai correttivi “in aumento” del principio “un’a­zio­ne – un voto” 13, altri correttivi – come accennerò oltre – potrebbero parimenti, e forse più peculiarmente, fare lievitare il potere (almeno d’impulso, d’inter­dizione e/o di controllo) del socio estraneo/esterno al controllo o al potere di direzione e coordinamento, in via autonoma e diretta, in modo da imprimere alla tutela di tali soci un’effettività ed efficacia altrimenti non esplicata. Più in generale, solo forse combinando Vote and Rights 14, unicamente coniugando la Formal Minority Protection (attuata con maggioranze qualificate, diritti di partecipazione, diritti di controllo, diritti di informazione 15 con la Substantive Minority Protection (alla quale dovrebbero attendere preclusioni di voto per conflitto di interessi, diritti/poteri di contestazione delle decisioni della maggioranza, risarcimenti) 16 si potrebbe aspirare a prefigurare una tutela non deficitaria e stentata. Occorre allora ripensare, per modificarlo, l’approccio. E per farlo credo sia proficuo partire da lontano, sebbene in estrema sintesi, muovendosi lungo un percorso che permetta – qui almeno ed esclusivamente in via di impostazione e traendo spunto da una tripartizione di metodologia generale proposta di recente in Germania 17 – di “decontestualizzare”, “dare consistenza” e “riconcretizzare” la tutela dei soci estranei ed esterni al potere di direzione e coordinamento o direzione unitaria. In altre parole. Il rinnovo della riflessione “sulle tutele delle minoranze” non di comando nei gruppi (ma non unicamente) transita, di necessità dalla “tutela procedimentale e organizzativa” 18. È solo così che dalla statica della shareholders protection si può passare alla dinamica della shareholders partecipation. Nella prima prospettiva il minoritario è soggetto passivo anche quando agisce (per essere risarcito; ovvero quando recede), nella seconda è soggetto davvero attivo. Ci si deve impegnare a ricostruire i “diritti di partecipazione” delle minoranze all’orga­niz­za­zione strutturale corporativa (rectius, alla formazione e alla attuazione dell’orga­nizzazione) e al procedimento decisionale (rectius, alla [continua ..]


3.2. (Segue): paradox of voting e tutela delle minoranze non di comando

Sennonché, è noto il paradox of voting 20: nelle società – intese come comunità sociali a base allargata – il voto è irrilevante perfino se il costo è basso, perché le possibilità che esso si riveli decisivo sono infinitesimali. Il tendenzialmente scarso, se non nullo, peso del potere di voto delle minoranze non di comando potrebbe denunciare che discorrere di una loro tutela in una prospettiva prevalentemente procedimentale e organizzativa costituirebbe, di per sé, un proposito destinato alla frustrazione. Questa frettolosa conclusione, però, non sarebbe nulla di più che una patente approssimazione. Parimenti, si rivelerebbe del tutto insoddisfacente, se non sbrigativa, l’ulteriore, eventuale affermazione che volesse la tutela delle minoranze non di controllo questione rimessa, essenzialmente, al “potere di negoziazione” delle parti private (in primis, maggioranza di controllo e minoranze di non controllo), da affrontare in termini di capacità di una parte (le minoranze) di negoziare, in via di autotutela, le soluzioni da essa ritenute più adeguate per la protezione dei propri interessi corporativi. E ancora, non toglierebbe nulla alla persistente centralità della questione di strumenti più adeguati (rispetto alla tutela risarcitoria) per realizzare un’efficiente protezione delle minoranze non di controllo l’altra considerazione che, ribaltando l’atteggiamento culturale e metodologico più praticato, scegliesse di indagare, con priorità o maggiore urgenza, la questione della tutela della maggioranza “dalle” (o da certe) minoranze. Questione, questa, senz’altro degna di attenzione e trattazione, ma non in modo escludente ovvero posticipante quella qui in esame.


3.3. (Segue): il diritto di minoranze a divenire maggioranza

Esiste poi una prospettiva giuridica (e, prima ancora, filosofica) secondo la quale “la minoranza” ha bisogno della maggioranza per sostituirsi a essa: in fondo, “la minoranza” non avrebbero alcun diritto che quello di diventare maggioranza a loro volta 21. Nel contempo, vi sono però minoranze a cui è negata non solo la possibilità di recedere dal “gruppo” di appartenenza, ma pure di cercare di diventare maggioranza 22. D’altra parte, gli studiosi (soprattutto costituzionalisti ed ecclesiasticisti) del principio maggioritario – nella sua doppia valenza chiarificata, in particolare, dalla dottrina duvergeriana, di “regola per governare” e “regola per eleggere” 23 – conoscono l’esistenza dell’assunto secondo il quale sarebbe la maggioranza a non avere naturalmente alcun diritto e ad acquisirlo solo con una forzatura e fittiziamente. E così, a ridosso degli anni trenta del XX secolo, si insegnava che “la comunissima regola, per cui in una collettività debba prevalere quello che vogliono i più e non quello che vogliono i meno, racchiude uno dei più singolari problemi che abbiano affaticato la mente umana. Di ciò ben pochi sembrano essersi accorti, troppi essendo coloro che la considerano con lo stesso occhio con il quale il fisico guarda la risultante di due forze contrarie, e pertanto si appagano dicendo che il principio maggioritario è qualcosa di naturale e di intuitivo. Ma qui c’è un malinteso fondamentale. Il principio maggioritario è naturale e ovvio fino a tanto che lo si contrappone al suo assurdo inverso, il principio minoritario” 24. E ancora prima: “Noi consideriamo oggi il principio maggioritario come qualcosa di ovvio … non fu peraltro sempre così … il principio maggioritario certo non possiede un valore assoluto fondato sull’essenza delle corporazioni umane, ma solo un valore relativo storicamente condizionato” 25.


3.4. (Segue): una (risalente) prospettiva: sottrazione di ogni diritto di natura amministrativa alle minoranze non di comando e “compensazione riequilibratrice” della maggiorazione della responsabilità del o dei soci di comando

Ora, la tutela procedimentale e organizzativa delle minoranze non di comando nei gruppi transita da una rivisitazione e innovazione dei paradigmi teorici della riflessione sul “principio maggioritario”, sulle modalità tradizionali della sua applicazione e del suo funzionamento e sulle deviazioni e correzione che lo stesso subisce (per via legislativa o regolatoria, oppure statutaria) a vantaggio della medesima maggioranza. Invero, l’idea di proporre argomentazioni a favore della tutela procedimentale e organizzativa delle minoranze nelle società di gruppo tramite l’attribuzione, per via legislativa regolatoria o dell’autonomia privata, di specifici diritti/poteri potrebbe essere osteggiata, tuttavia, non solo continuando a professare l’efficacia della tutela risarcitoria e di quella di exit, ma anche privilegiando una prospettiva esattamente inversa, e radicale, vale a dire quella favorevole a che le minoranze siano private di ogni tipo di diritto e potere a rilevanza procedimentale e/organizzativa. In questo senso, apparentemente abbandonandosi a un paradosso, nel gruppo la specialità dovrebbe risiedere non nell’incremento, ma nella sottrazione dei diritti e poteri di rango e genere “amministrativo”. Ma una simile radicale impostazione parrebbe potere reggere non semplicemente corroborando i diritti di natura patrimoniale a fronte della perdita genetica di quelli amministrativi, bensì solo se la sottrazione di questi ultimi (e, in primo luogo, il voto) alle minoranze fosse equilibrata da una responsabilità “maggiorata” degli azionisti di comando dotati in esclusiva dei diritti amministrativi: azionisti di comando, a loro volta, magari beneficiati da una correzione a proprio vantaggio del principio maggioritario tramite strumenti che potenzino, innanzitutto, il loro diritto di voto, quali ad esempio le azioni a voto multiplo 26.


4.1. Azioni a voto potenziato in funzione di dominio

E allora mi limito anche qui a svolgere minime riflessioni sulle interferenze tra azioni a voto potenziato e tutela delle minoranze non di controllo, nei gruppi e in società non raggruppate 27. Da sempre 28, le azioni a voto potenziato sono state considerate, essenzialmente, e non solo dai loro oppositori, azioni “di controllo”. Più precisamente, tenendo conto di questa configurazione funzionale, nel corso del tempo, nel panorama europeo e nord-americano 29, risultano ricorrenti, non solo nelle osservazioni degli oppositori, alcune affermazioni. A) Le azioni a voto potenziato sono azioni “di comando, di direzione”30, un “formidabile strumento di dominio economico”31 di maggioranze (di capitale) di controllo su minoranze (di capitale) non di controllo ovvero (non necessariamente più spesso) di minoranze (di capitale) di controllo su maggioranze (di capitale) non di controllo, di acquisizione e difesa del controllo 32, che “tutelano i gruppi di controllo, invece di disciplinarli” 33, creano “oligarchie di azionisti” 34 e determinano “l’infeudamento” delle società 35. B) Le azioni a voto potenziato sono uno strumento che altererebbe ovvero comprometterebbe il principio di eguaglianza36 (sostanziandosi in un “sistema discriminatorio di voto”), il principio di maggioranza e il rapporto, di tendenziale proporzionalità, potere – rischio – responsabilità, reso “rigido37, se non automatico” 38, dal divieto di emissione delle azioni a voto plurimo; là dove le azioni a voto limitato intaccherebbero già lo stesso principio, ma in misura considerata, in prevalenza (ma non da tutti 39, più moderata e accettabile 40. Riprendendo quanto affermato dal legislatore tedesco del 1998 nel contesto del commento al nuovo § 12 2 AktG (Mehrstimmrechte sind unzulässig), le azioni a voto plurimo (i diritti di voto plurimo) non preserverebbero la piena corrispondenza tra la misura dell’investimento di capitale di rischio e il potere di influenza societaria; non soddisferebbero le aspettative degli operatori economici nel corretto funzionamento dei mercati finanziari; non assicurerebbero un più efficace controllo da parte della proprietà azionaria 41. Con riguardo alla nostra disciplina delle sp.a., va detto, per inciso, [continua ..]


4.2. (Segue): azioni a voto potenziato e fisiologica esigenza di accrescimento della (normale) tutela delle minoranze non di comando? Azioni a voto potenziato e “relazioni di potere” tra votanti?

Ora, ragionando in questi termini intuitiva e immediata si potrebbe rivelare la stretta correlazione tra azioni a voto potenziato e tutela delle minoranze non di comando, almeno in società (i) a controllo di diritto e (pure) di fatto “bloccato” (inteso come controllo “più che stabile”), (ii) nelle quali il numero dei voti potenziati attribuiti dall’insieme delle corrispondenti azioni di titolarità del socio o dei soci di comando soverchi i voti complessivamente accedenti alle azioni a voto singolo (di titolarità esclusivamente di soci non di comando); ovvero, nel caso di socio o soci di comando titolari di azioni a voto sia potenziato sia unico o singolo (altrimenti dette “a voto ordinario”), il numero complessivo dei loro voti ecceda quello di spettanza dei soci con azioni a voto ordinario, e in entrambi i casi l’eccedenza garantisca la soddisfazione dei quorum deliberativi necessari per esercitare un’influenza di controllo sulla società 46. E, alla luce di questa constatazione, altrettanto intuitiva e immediata dovrebbe essere la definizione delle interferenze tra azioni a voto potenziato e tutela delle minoranze non di controllo (e specificamente nei gruppi, tenendo conto peraltro che, ancora una volta già nella loro genetica, tali azioni si presentavano come strumento che permetteva la creazione di un “facile controllo” di una “società centrale” su “filiali o derivate” 47; e, da qui, l’esigenza di coesistenza tra queste azioni, da una parte, e diritti e poteri idonei a salvaguardare gli azionisti esterni o estranei al controllo quali “gruppo vulnerabile” 48 (id est, i loro interessi quali interessi “vulnerabili”), dall’altra. In queste situazioni, inoltre, fino a che il socio o i soci di comando non intendano dismettere il controllo, alle minoranze ovvero ad alcune minoranze non di comando è precluso (nelle s.p.a. a controllo di diritto) ovvero tendenzialmente impedito (nelle s.p.a. a controllo di fatto “bloccato”) di divenire maggioranza di comando 49. All’opposto, e mantenendosi per il momento sempre sul piano di osservazioni immediate e intuitive, si potrebbe affermare però che, in realtà, la presenza di azioni a voto potenziato non alimenterebbe, in generale (bensì, semmai, in relazione a singole e specifiche [continua ..]


4.3. (Segue): connessioni e interferenze generiche tra azioni a voto potenziato e tutela delle minoranze non di controllo

Se così fosse, le interferenze e le connessioni tra le azioni a voto potenziato e la tutela delle minoranze (non di controllo) si collocherebbero su un piano generale, se non generico. Essa sarebbero, essenzialmente, o almeno prevalentemente, di due generi, identificabili dalle seguenti affermazioni. A) Una disciplina espressa della azioni a voto potenziato si traduce, già di per sé, in una tutela dei soci non di controllo, proprio perché (in quanto) queste azioni, appunto, vengono “disciplinate”. Di qualunque estensione fosse la normativa del fenomeno, queste azioni verrebbero a costituire meccanismi “trasparenti” di governo dell’impresa, di acquisizione, conservazione e rafforzamento del controllo, diversamente da altri strumenti, diffusi nel panorama comparatistico, i quali resterebbero opachi, prime tra tutte le cc.dd. piramidi societarie58. Privilegiando questa prospettiva, problemi rilevanti di salvaguardia delle minoranze non di controllo, necessitanti di interventi in via di autotutela e/o di eterotutela, potrebbero nascere, al più, dall’abbinamento delle azioni a voto potenziato con uno o più degli altri tipici strumenti di controllo, compresi i patti parasociali, dei quali, invece, è frequente, negli ultimi tempi, sentire ripetere, in Italia, che sarebbero destinati al tramonto o, quanto meno, a un radicale ridimensionamento, “rimpiazzati”, proprio dalle azioni a voto potenziato. Vaticinio che però, a mio avviso, sarà tutto da verificare nella sua esattezza (rectius, nella sua portata generale e indifferenziata rispetto a tutte le società nelle quali, attualmente, i patti parasociali costituiscono strumento di conservazione del controllo solitario ovvero congiunto). Anzi, a me non pare previsione del tutto infondata quella che prefiguri, pure per i tempi futuri, un rinvigorimento dell’impiego dei patti parasociali (proprio) tra titolari di azioni a voto potenziato. Nel contempo, nessuno è stato capace di dimostrare il supposto rapporto di (tendenziale o addirittura necessaria) reciproca esclusione tra azioni a voto potenziato e piramidi societarie. Al contrario, è del tutto ammissibile ipotizzare, e anzi è in questo caso empiricamente comprovabile, la concreta possibilità (rectius, predisposizione) di funzionalizzazione o comunque di abbinamento delle azioni a voto potenziato alla (con la) [continua ..]


4.4. (Segue): azioni a voto potenziato, attivismo “difensivo” e “offensivo” di determinate minoranze non di comando

B) Un secondo genere di interferenza tra azioni a voti potenziato e tutela delle minoranze estranee al controllo si coglierebbe ipotizzando – “di sicuro, con modificazione della genetica e fisiologica funzione, in prospettiva storica e comparatistica59, tipica e più ricorrente, anche se non esclusiva, di queste azioni – la titolarità di azioni a voto potenziato in capo a “specifiche” minoranze”. L’uso “diretto” dei voti incorporati dalle azioni potrebbe assurgere, meglio di altri diritti e/o a scelte di riduzione ovvero diluizione dei poteri dei soci di controllo, a principale strumento (con alternativa espressione, a diritto “supremo”) di rafforzamento dell’au­totutela dei soci non di comando, sia in preventiva funzione “difensiva” rispetto a condotte tiranniche, o comunque pregiudizievoli, del socio o dei soci di controllo60, sia in funzione “offensiva”, quindi con lo scopo ultimo d’insidiare la titolarità del potere di controllo o dominio. Ragionando alla luce di alcune anche più recenti riflessioni sull’agency problem e sull’agency capitalism 61, le minoranze che si possono immaginare fruitrici delle azioni a voto potenziato sono, essenzialmente (se non naturalmente), quelle identificabili con gli activist shareholders e institutional investors, con i secondi “a traino” dei primi. L’anomalia, rispetto alla genesi e alla fisiologia funzionale delle azioni a voto potenziato, dell’impiego di queste azioni quale pratica o strategia d’incoraggia­mento, realizzazione e promozione dell’attivismo è ben colta almeno da chi abbia cognizione della tesi secondo la quale, appunto nella loro configurazione funzionale genetica e fisiologica (almeno nelle società che già presentano un socio o una coalizione di soci di controllo), tali “dual-class shares tend to turn shareholders into passive shareholders” 62. Si potrebbe poi preconizzare una seconda anomalia richiamata da questo utilizzo, tale addirittura da ridurre i margini di effettivo ricorso alle azioni a voto potenziato da parte da soci attivisti di minoranza. Essa concerne il persistente atteggiamento – in alcuni casi, direi “ideologico” e culturale – critico, diffusamente manifestato dagli investitori istituzionali, verso le dual-class structures quale [continua ..]


4.5. (Segue): l’esigenza di una rigorosa disciplina delle condizioni, dei presupposti e dei limiti di creazione o emissione delle azioni a voto potenziato. Autotutela e/o eterotutela a protezione delle minoranze non di controllo in presenza di azioni a voto potenziato

Diverse, e più pregnanti, interferenze e connessioni tra azioni a voto potenziato e tutela delle minoranze non di controllo sono identificabili ove si muova da un presupposto contrapposto a quello fin qui considerato: alla creazione o emissione di queste azioni si correlerebbe, tendenzialmente, l’esigenza di predisporre, in via di autotutela e/o eterotutela, appositi diritti/poteri di difesa dei soci estranei al controllo. Più precisamente, si potrebbero ipotizzare interferenze e connessioni almeno di (ulteriori e alternativi) due generi.   A) Sotto un primo profilo, la tutela delle minoranze non di comando dipende non da una disciplina qualunque, bensì dalle concrete scelte normative in materia di azioni a voto potenziato. Tali scelte dovrebbero essere realmente ed efficacemente orientate verso una prevenzione degli (eccessi degli) effetti distorsivi del principio di maggioranza a favore del gruppo di controllo prodotti o producibili da queste azioni e delle potenziali derive così innescate. In questa prospettiva di valutazione, la tutela delle minoranze non di controllo si estrinsecherebbe in limiti o contenimenti del potere di comando riflesso nelle azioni a voto potenziato, i quali nel contempo non dovrebbero essere però tali, in definitiva, da sguarnire queste azioni di qualunque attrattiva. Si tratta di considerazioni assai risalenti. Se ne colgono evidenti tracce, oltre che nell’esperienza tedesca e francese dei primi decenni del Secolo trascorso, anche in quella italiana77. Con l’attenzione rivolta alla nostra attuale disciplina delle azioni a voto potenziato (maggiorato e plurimo), interpretata in combinato col complesso di diritti e poteri ad appannaggio (anche) di azionisti esterni al controllo (di società quotate e non quotate), non mi pare irragionevole sostenere che essa risulti carente o, comunque, insoddisfacente e non efficiente ed efficace sul piano della tutela delle minoranze non di comando in quanto disciplina non calibrata in modo da assicurare, a fronte dell’impiego delle superiori azioni come azioni di dominio, un riequilibrio dei rapporti di potere tra i soci; e, di conseguenza, che una soddisfacente difesa di questi soci necessiti di essere incrementata e migliorata, in via di autotutela e, possibilmente, pure di eterotutela legislativa e/o regolamentare. In altre parole, a me pare che la recente disciplina italiana possa suscitare ragionevoli riserve, se [continua ..]


5.1. Tutela procedimentale e organizzativa delle minoranze nei gruppi (tre tesi generali)

Volendo scendere ancora più nel dettaglio delle linee programmatiche di una tutela procedimentale e organizzativa delle minoranze nei gruppi, proseguo limitandomi (i) prima a formulare delle tesi generali; (ii) poi, in connessione o meno con queste tesi, a indicare gli attori della tutela delle minoranze non di controllo; (iii) infine, a proporre l’identificazione di possibili strumenti atti a realizzare, sul piano organizzativo e procedimentale, tutele più equilibrate ed efficienti dei soci estranei alla titolarità del potere di direzione e coordinamento. Inizierò, pertanto, da tre tesi estremamente generali, alcune delle quale potrebbero suonare scontate. A) “L’elaborazione delle regole di azione, di organizzazione e di procedimento, nel e del gruppo, deve risultare costantemente orientata ai e conformata dai principi di corretta gestione societaria imprenditoriale. Il rispetto di questi principi non deve essere considerato unicamente parametro di valutazione per l’azionabilità di pretese risarcitorie, bensì criterio che ispira la regola di azione del e nel gruppo, intesa come regola di formazione della struttura di gruppo e di formazione dei procedimenti che presiedono all’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento”84. “Tali principi devono essere interpretati e impiegati a presidio della creazione, del funzionamento e della cessazione, totale o parziale, della struttura di gruppo”85. B) “I principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale devono condizionare l’invocazione dei vantaggi compensativi non solo nella loro rilevanza risarcitoria, ma pure nella loro preliminare portata organizzativa. Vi è una correlazione tra organizzazione del gruppo e vantaggi compensativi, la quale, tuttavia, stenta a emergere, anche per l’assenza di una disciplina della pianificazione o programmazione di gruppo”86. In questo contesto, deve essere ancora più approfondita la correlazione tra “tutele delle minoranze di società dirette e coordinate e meccanismo compensativo” al di là dell’effetto, tipizzato dal legislatore, della determinazione della mancanza del danno87. L’invocazione e l’impiego del meccanismo compensativo deve essere conforme ai e supportato dai principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale del e nel gruppo. Così, sarebbe necessario [continua ..]


5.2. (Segue): gli attori della tutela procedimentale e organizzativa (cenni)

Dedico ora qualche brevissima riflessione sugli “attori” della tutela delle minoranze esterne ed estranee alla titolarità del potere di direzione e coordinamento. Si tratta di osservazioni le quali, peraltro, ricalcano quanto già precedentemente osservato sull’attivismo “difensivo” e “offensivo” delle minoranze che si avvalgano delle azioni a voto potenziato 91. E, pertanto, ripeterò, in estrema sintesi, che esistono institutional record owners e beneficial owners; gli activist shareholders sono governance intermediaries; gli institutional shareholders non sono o non sono più rationally apathetic, bensì rationally reticent, nel senso che rispondono alle proposte, ma raramente le formulano. Anche nelle società di gruppo, gli activist shareholders possono interagire con gli institutional investors perché approvino le strategie e usino i diritti di governance, così contribuendo a un maggiore coinvolgimento degli azionisti.


5.3. (Segue): sintetici riferimenti ad alcuni strumenti di tutela procedimentale e organizzativa

Passando dagli “attori” agli “strumenti” della tutela dei soci esterni o estranei alla titolarità del (diritto-dovere) potere di direzione e coordinamento, non mi trattengo più di tanto su cinque piani di indagine che coinvolgono, rispettivamente, la riflessione: (i) su peculiari specifiche soluzioni organizzative che garantiscano, alle minoranze non di controllo di società di gruppo, diritti e poteri proprio in ragione del fatto di essere minoranza di una società diretta e coordinata (ad esempio, art. 37 Regolamento Mercati 92; (ii) sull’assenza di peculiari strumenti apprestati dalla disciplina del Capo IX. In funzione propositiva (de iure condendo), qui rileverebbe, tra l’altro, il riconoscimento esplicito di un diritto individuale di impugnazione (della delibera assembleare o di quella consiliare) per carenza/difetto contenutistico e/o procedimentale della motivazione ex art. 2497-ter c.c. 93; (iii) su strategie di tutela procedimentale e organizzativa ricavabili, al contrario, dalla disciplina generale (in forza, in particolare, degli artt. 2367, 2374, 2408, 2° comma, 2377, 2° comma, 2409, 1° comma, c,c.; come pure dell’art. 2341-bis, lett. a), c.c.; nonché dell’art. 2341 c.c., ove si ritenga che la modifica subita dalla disposizione con la riforma del 2003 permetta l’attribuzione anche di benefici amministrativi); (iv) sulla tutela delle minoranze – quella che potremmo definire “tutela integrativa” 94 – che transiti da una rivitalizzazione dell’assemblea come organo di controllo. Coinvolgimento assembleare non necessariamente veicolato da scelte statutarie ex art. 2364, n. 5, c.c. Mi riferisco non tanto alla praticabilità d’interventi assembleari consultivi ovvero arbitrali, con o senza “neutralizzazione” del voto dei titolari dell’attività di direzione e coordinamento 95, bensì al white wash: il quale reputo costituisca uno degli strumenti meritevoli di più diffuso ampliamento in una prospettiva di tutela assembleare delle minoranze. Al contrario, scettico continuano a lasciarmi prospettive di tutela delle minoranze (nei gruppi o meno) veicolate tramite il riconoscimento di cc.dd. competenze assembleari non scritte o implicite 96. Questo a prescindere da quanto sia accaduto e stia accadendo in Germania. Penso ovviamente alla [continua ..]


5.4. (Segue): uno strumento particolarmente innovativo (e dirompente): voti plurimi scissi dalle azioni, tutela delle minoranze non di controllo e di terzi non soci e l’utilità di una riflessione non prevenuta sul ricorso al Quadratic Voting nel diritto domestico delle s.p.a.

La mia attenzione si concentra piuttosto su strumenti più radicali, e assieme forse più innovativi, apprestabili dall’autonomia privata e, in prospettiva futura, dalla legislazione. Alludo, come già altrove di recente proposto 100, alla possibilità di cominciare a riflettere, anche in Italia, di “voti plurimi scissi dalla partecipazione azionaria e acquistabili da soci esterni o estranei al controllo” (ma pure da “terzi non soci”). Per la precisione, risulta matura, a mio avviso anche in Italia, una seria riflessione, “non solo” e “da una parte”, sui “limiti al principio di maggioranza” (soprattutto “semplice”) 101 nel suo possibile funzionamento di tecnica procedimentale che agevola la prevaricazione del socio o dei soci di controllo su quelli esterni ed estranei a esso, oltre che degli interessi del socio o dei soci di controllo sugli interessi di stakeholders esterni o estranei alla s.p.a.; “ma anche e dall’altra”, sul­l’apertura almeno verso “forme” di “personalizzazione” della partecipazione azionaria 102, la quale peraltro neppure è concesso affermare risultare del tutto estranea – anzi, al contrario – alla legittimazione delle azioni a voto potenziato 103. Nel presente contesto espositivo, ciò costituisce stimolo a riflettere sull’adozio­ne statutaria (rectius, sulla compatibilità dell’adozione statutaria) e su una proposta di previsione legislativa e regolatoria, nelle società quotate e non quotate, di quel particolare “sistema di voto” denominato, in USA, Quadratic Voting (QV). Anticipo subito che, allo stato attuale, la soluzione statutaria – ma pure eventuali interventi normativi riformatori – dovrebbe(ro) essere però adattata(i) al e resa(i) compatibile(i) con il nostro ordinamento, dal momento che l’eventuale introduzione in statuto – o con modifica legislativa – del QV non potrebbe avvenire, a oggi, nei termini “puri ed estremi” teorizzati in USA, dove parrebbe che la proposta di adozione di tale meccanismo di voto presupponga che tutte le azioni siano private del diritto di voto e che ogni azione, appunto, nasca, o divenga, scissa dal voto. Ritengo che, in una prima fase della riflessione, occorra cominciare a ragionare sulla possibilità di [continua ..]


5.5. (Segue): fattispecie, funzioni ed efficienza del Quadratic Voting

Nell’esperienza statunitense, la proposta di legittimazione di adozione della tecnica di voto del QV nella corporate law ha presupposti e ragioni d’ispirazione non equivocabili. Nelle istituzioni democratiche il principio one person-one vote, associato a quello maggioritario 106, tratta (rectius, dovrebbe condurre a trattare) le persone in modo tendenzialmente uguale. Ma – si sostiene 107 – entrambi i principi falliscono poiché concedono potere proporzionale alle persone i cui interessi sono più forti di quelli di altri, conducendo, non di rado, alla tirannia della maggioranza. Più in generale, il diritto di voto, quale strumento di controllo dell’agent presenta “an obvious problem … A voter (or coalition of voters) with a majority of shares (and hence votes) can outvote the minority and so cause the corporation to make decisions that transfer value from minority to majority” 108. È avvertito come necessario, pertanto, predisporre strumenti che prevengano l’op­portunismo manageriale e le alterazioni tiranniche del principio maggioritario 109 a favore, rispettivamente, dei directors e del o dei soci di comando. Negli USA, il QV è stato teorizzato dapprima nel diritto pubblico, come meccanismo di tutela dei cc.dd. gruppi vulnerabili. Ormai, però, il tema ha assunto, in modo nettamente percepibile, una sua autonoma dignità di proposta e trattazione nel diritto societario, con posizioni favorevoli 110 e contrarie 111. Per evitare fraintendimenti, dirò, in estrema sintesi, dapprima (i) “cosa non è” il QV; quindi (ii) “cos’è”; infine, (iii) “a cosa dovrebbe/potrebbe servire” (vale a dire la “funzione” o le “funzioni”).  (i) Il QV – fondato sul Quadratic Mechanism – non è la vendita del voto (o frazioni di voto) del socio al socio ovvero a un terzo non socio, bensì l’acquisto di voti dalla società da parte di soci ovvero non soci. Chi vende è la società, e il compratore, pertanto, paga la società, incrementandone la dotazione patrimoniale. L’iden­tifi­cazione delle differenze agevola il superamento delle obiezioni che risultassero fondate su presunte similitudini ovvero convergenze del QV con la vendita del voto. Il prezzo del voto è una Quadratic [continua ..]


5.6. (Segue): attivismo e Quadratic Voting

Mi preme, più in generale, anche in questo caso, richiamare l’attenzione sul­l’am­bivalenza tipologica e funzionale – diversa da quella, sopra accennata, delle azioni a voto potenziato – del QV come sistema di voto che si sostanzia nell’ac­qui­sto e nel­l’esercizio di voti plurimi scissi dal possesso di partecipazioni azionarie. Per quanto qui interessa, (i) soprattutto in società a controllo di diritto o comunque bloccato, il QV può assurgere a strumento di difesa di minoranze (attiviste o meno) nei confronti del socio o dei soci di comando, titolari o meno di azioni a voto potenziato; ovvero anche (ii) in specie in società a controllo di fatto non bloccato, il QV può divenire strumento che consente a certe minoranze attiviste (in senso non solo offensivo ma anche difensivo) di provocare uno spostamento dell’equilibrio dei poteri o di “porzioni del potere di influenza” sulla società e sull’impresa verso soci esterni ed estranei al controllo, pure in vista di una loro sostituzione al o ai soci di controllo. Nulla vieta, tuttavia, salvo che uno specifico divieto si formuli, che, come le azioni a voto potenziato, distaccandosi dalla funzione genetica e fisiologica a esse assegnata e da esse svolta almeno nelle società con uno o più soci di controllo, possono essere usate anche dai soci non di controllo a loro protezione; così il QV si può prestare al ricorso del o di soci di controllo, distanziandosi dalla tipica funzione che dovrebbe assolvere secondo i suoi teorici e sostenitori.


5.7. (Segue): Quadratic Voting e non soci

Credo poi che, con riferimento al nostro diritto 119, possa anche reggere, pur abbinata al menzionato intervento sulla disciplina, statutaria e/o legislativa, del conflitto di interessi dei votanti, la funzionalizzazione del QV a strumento che realizza la vendita di voti a non soci. Qui mi basta rilevare che sono dell’idea che la legittimità dell’attribuzione (mediante vendita), da parte della società, di voti a soggetti che non siano soci possa ricevere sostegno anche dalla considerazione che oggi l’assemblea, soprattutto oggi, non è più soltanto l’organo composto dai soli soci. Ciò non è mai stato del tutto vero (in primis, usufruttuari, creditori pignoratizi), lo è ancora di meno nei tempi correnti in forza della record date 120. Certo si potrebbe trattare di fattispecie comunque circoscritte, che non revocano in dubbio che, di norma, la partecipazione all’assemblea, con relativo diritto di voto, sia riservata essenzialmente ai soci titolari del diritto di voto (rectius, ai soci in quanto legittimati all’esercizio del diritto di voto). Ma, in realtà, la constatazione rilevante è di segno diverso: pensare che le decisioni adottate dalla assemblea dei soci siano quelle che sono votate dai soli soci è distonico rispetto a ciò che può accadere in ragione proprio di attuali (e pregresse) regole legali scritte. Diviene quindi necessario interrogarsi sulla compatibilità di ulteriori fattispecie nelle quali il voto, scisso dalla partecipazione azionaria, spetti a terzi non soci. Tra l’altro, come già rammentato, con il QV a beneficio di non soci, questi ultimi non riceverebbero alcun vantaggio patrimoniale diretto dalla vendita del voto di altri, poiché il guadagno si concentrerebbe solo nel patrimonio sociale. Inoltre, il voto agli esterni non soci potrebbe essere un modo per proporre finalmente una soluzione concreta alla esigenza di dare voce a ogni stakeholder: al riguardo, non si può trascurare che, nel panorama comparatistico, si sta diffondendo il convincimento che la distinzione tra corporate stakeholders e cc.dd. esterni non è mai stata davvero chiara; e, in ogni caso, si ripetono i tentativi di trovare modalità di realizzazione integrata ed equilibrata dei pivate or individual goods di tutti gli stakeholders.


6. Conclusioni

Un’apertura all’adozione nella prassi statutaria domestica, e nella stessa legislazione (in una prospettiva più complessiva di c.d. re-regolazione del diritto societario), del QV, oltre a prestarsi a generare d’istinto a diverse riserve di legittimità per difetto di compatibilità sistematica (con il tipo s.p.a.), può certo sospingere ad adottare quelli che un illustre economista tedesco recentemente scomparso 121 configura come i “tre modi della reactionary rhetoric”: perversity thesis (le riforme proposte peggiorano le condizioni di ciò che ambirebbero a migliorare); futility thesis (gli sforzi producono risultati minimi, irrisori o nulli); jeopardy thesis (le modifiche attentano o pregiudicano libertà o valori superiori). Ma è probabile che, più semplicemente, le opposizioni discendano dalla circostanza che “reforms of all types, and not just reforms to corporate law, often encounter a hostile reception simply because they are unfamiliar and are at variance with entrenchend norms. QV may face similar fate because of some of its unusual features” 122. Un esempio, insomma, di path dependence 123.


NOTE