Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
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Patto parasociale di prelazione e di covendita e denuntiatio (di Enrico Macrì)


Tribunale di Milano, 25 giugno 2006

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI MILANO – SEZIONE OTTAVA

 

nelle persone dei seguenti magistrati

Dott. Gemma GUALDI Presidente

Dott. Francesca FIECCONI Giudice relatore

Dott. Alessandra DAL MORO Giudice

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nella causa civile di I Grado promossa da GP elettivamente domiciliato in Via xy – MILANO, presso e nello studio dell’avv. MF che lo rappresenta e difende,

ATTORE

contro:

 

SG SARL

elettivamente domiciliata in Via xy – MILANO, presso e nello studio dell’avv. MA che la rappresenta e difende;

CONVENUTA

BF

CONVENUTO CONTUMACE

BG

CONVENUTO CONTUMACE

C SPA

elettivamente domiciliata in Via xy – MILANO, presso nello studio dell’avv. SM che la rappresenta e difende;

CONVENUTA

in punto a:

“153120 – Cause in materia di rapporti societari, ivi compresi quelli concernenti le società di fatto nonché l’accerta­mento, la costituzione, la modificazione o l’estinzione del rapporto societario”

 

CONCLUSIONI

 

Le parti hanno concluso come da verbale in atti

 

IL TRIBUNALE

Udita la relazione della causa fatta dal Giudice relatore Dott. Francesca FIECCONI.

Udita la lettura delle conclusioni prese dai procuratori delle parti.

Esaminati gli atti e i documenti di causa, confermati i provvedimenti istruttori del giudice relatore, ha ritenuto:

 

Svolgimento del processo

 

L’attore PG ha convenuto in giudizio SG SARL (SG), C. F e GB perché fosse accertato il suo diritto a procedere alla vendita delle azioni detenute in (PE92) SPA e condannata SG al risarcimento dei danni derivanti dalla mancata vendita, provocata dalla procedura di blocco prevista nei patti parasociali attivata da SG in qualità di socia. Si costituivano rispettivamente C, depositaria delle azioni, che si è rimessa alla decisione del Tribunale, e SG, la quale ha chiesto il rigetto delle domande. Rimanevano contumaci i soci B, nonostante la regolarità della notifica.

La controversia giunge al Collegio dopo lo scambio di memorie e sulla base della documentazione in atti versata, essendo stata ritenuta superflua ogni attività istruttoria.

Motivi

 

Reputa il Tribunale che sia assorbente e decisiva la constatazione dell’inidoneità della denuntiatio, trasmessa dall’attore alla convenuta SG in forza degli accordi parasociali che prevedono il diritto di prelazione in favore dei soci in caso di vendita di partecipazioni sociali in PE92; in secondo luogo, riscontra il Tribunale che la procedura di blocco, correlata al diritto di co-vendita di cui all’accordo in atti, sia stata attivata in conformità di quanto pattuito, innescando la procedura di offerta dell’in­tero pacchetto della società che ha vanificato la possibilità di GP di procedere all’alienazione parziale della sua partecipazione.

Da una parte, difatti, e condivisibile l’assunto della convenuta SG in base al quale la denuntiatio inviata ai soci, contenente l’offerta formulata dal terzo aspirante acquirente, fosse insuscettibile di essere oggetto di accettazione ai fini del perfezionamento del contratto di compravendita.

Costituisce principio pacifico in giurisprudenza il fatto che 13 denuntiatio debba consistere nella comunicazione dei precisi termini del contratto che si intende concludere con il terzo, che il destinatario può accettare o rifiutare (Trib. Napoli 21 gennaio 1995, n. 622 Giur. Mer., 1997, I, 82) In sostanza, la denuntiatio assolve alla funzione di proposta contrattuale rispetto alla quale l’oblato ha solo la scelta tra l’accettazione e il rifiuto, escludendo ogni possibilità di ulteriore trattativa con l’aspirante venditore (Trib. Milano, ord., Le società, 2001, p. 873).

La proposta formulata da GP, nel caso che occupa, non si presta certamente a una pura adesione, ai fini del perfezionamento del contratto, da parte dell’oblato, ove essa fa riferimento alla lettera di patronage da parte del sig. GM, socio di controllo della società acquirente (doc. 4 conv.). Essa, inoltre, non riflette neanche esattamente il contenuto della garanzia personale gravante sul terzo GM che nella proposta offerta dal terzo si riferiva alla solidità della società acquirente e al fatto che il socio intendesse mantenerne il controllo sulla società acquirente.

È noto che il c.d. patronage, nei suo contenuto minimo, si riferisce a una garanzia personale che esula dal concetto di fideiussione in senso proprio, ove il terzo si presta a garantire patrimonialmente l’adempimento di un’obbligazione. Poiché il patronage offerto nella garanzia richiesta non si limitava a garantire l’adempimento di un’obbligazione altrui, ma si estendeva a garantire una performance inerente alla qualità di socio (solidità patrimoniale del medesimo), essa risulta infungibile e non immediatamente accettabile dagli oblati, i quali comunque avrebbero dovuto offrire una prestazione equivalente. Pertanto, la denuntiatio, cosi come formulata, non poteva essere idonea a determinare un effettivo esercizio della prelazione in capo ai soci oblati. che non avrebbero potuto integrare in via autonoma il contenuto di detta garanzia.

La garanzia offerta, pertanto, si presentava agli occhi degli oblati infungibile e comunque non immediatamente accettabile, stante il contenuto personale e caratterizzato “intuitu personae” della medesima. Come tale, essa veniva a snaturare il meccanismo della prelazione, che esclude apriori l’infungibilità del compratore e dei suoi garanti. Diversamente da quanto sostenuto dall’attore, non si trattava, dunque, di offrire una garanzia diversa da un minimale e non vincolante patronage, ma di riproporre una garanzia personale di contenuto necessariamente diverso da quella, di carattere prettamente personale, offerta dal terzo.

Dall’altra parte, si osserva come la stessa procedura di blocco azionata dagli oblati trovi la sua naturale giustificazione nel successivo paragrafo 2.4 dell’accordo in esame, laddove prevede il meccanismo della co-vendita dell’intero capitale sociale, come sorta di commodus discessus in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi degli investitori. Difatti, poiché al terzo acquirente non sarebbe possibile opporre il contenuto dell’accordo parasociale, il meccanismo della co-vendita (che prevede la facoltà dei soci di imporre un’OPA interna) deve considerarsi come una pattuizione complementare che contempera detta possibilità, tendendo ad assicurare la compattezza della compagine sociale e ad evitare che divengano azionisti soggetti sgraditi agli altri aderenti al patto parasociale. Pertanto, alla luce del tenore delle clausole contenute nell’ac­cordo, tutte tra esse interdipendenti, non è condivisibile l’as­sunto dell’attore in base al quale l’eser­cizio dei diritto di vendita oggetto della prelazione, essendo stato temporalmente precedente rispetto all’esercizio del diritto di co-vendita, avrebbe di fatto vanificato quest’ultimo. Difatti, l’accor­do medesimo non prevede alcun obbligo del fatto del terzo a carico degli azionisti storici per l’adesione dell’acquirente di una loro partecipazione all’accordo medesimo. Sarebbe dunque irragionevole che SG non potesse più far valere l’obbligo di co-vendita in caso di opposizione del terzo acquirente subentrato e non aderente all’accordo.

In ultimo, si osserva che, come ben argomentato dalla convenuta SG, la fonte di responsabilità delle convenute non potrebbe in ogni caso derivare semplicemente dal mancato esercizio del diritto degli azionisti storici di procedere alla vendita nel caso in cui gli oblati non avessero comunicato la propria intenzione di accettare l’offerta in prelazione. In forza del medesimo accordo, difatti, la C, depositaria delle azioni in via fiduciaria, aveva ricevuto mandato irrevocabile di ricevere istruzioni congiunte ed irrevocabili in caso di alienazione a terzi e si era obbligata ad astenersi in caso di ricezione di una contestazione scritta da parte di uno o più degli oblati, senza che avesse alcuna facoltà di sindacato.

Pertanto, il danno da mancata vendita a terzi lamentato dal­l’attore non potrebbe certamente essere conseguenza diretta e immediata di un comportamento illecito o inadempiente del­l’oblato, che aveva un diritto di veto in questione, regolato nei suoi effetti impedienti.

Per tutti i motivi di cui sopra, la domanda deve essere rigettata, con ogni conseguenza in merito alle spese di lite, che vengono poste a carico dell’attore e in favore delle convenute costituite

 

P.Q.M.

 

1) Respinge le domande dell’attore;

2) condanna l‘attore alla rifusione delle spese processuali in favore delle convenute costituite, liquidate in € 7 000,00, di cui € 1.200, per esborsi e € 1.318,00 per diritti in favore di C e in € 15.103,00, di cui € 1.600,00 per esborsi e € 1.318,00 per diritti in favore di SG.

Così deciso in data 25/06/2006 nella Camera di Consiglio della sezione OTTAVA del TRIBUNALE ORDINARIO di Milano.

 

il Presidente Dott. Gemma GUALDI

il Giudice estensore Dott. Francesca FIECCONI

 

 

 

 

 

 

Tribunale di Milano, 25 giugno 2006 – Pres. Gualdi, Rel. Fiecconi – G.P. c. Sg Capital Europe Investments II, B.F., B.G., Carini s.p.a.

 

Società – Società per azioni – Patti parasociali – Prelazione – Denuntiatio – Contenuto – Procedura di vendita. (Artt. 2341-bis c.c. e 122 t.u.f.)

 

La denuntiatio, che il promittente fa sulla base di un patto parasociale di prelazione, costituisce proposta contrattuale rispetto alla quale il promissario può soltanto accettare o rifiutare; pertanto la denuntiatio contenente la prestazione di una garanzia infungibile non è idonea a consentire l’esercizio del diritto da parte del promissario.

 

In presenza di una clausola volta a determinare la cessione unitaria delle partecipazioni di tutti i soci aderenti ad un patto parasociale (patto c.d. di co-vendita), l’atti­vazione della relativa procedura di vendita impedisce al socio di alienare autonomamente le proprie azioni.

SOMMARIO:

1. Il caso - 2. Normativa di riferimento - 3. Precedenti giurisprudenziali e dottrina - 4. Commento - NOTE


1. Il caso

Da quanto sembra emergere dalla stringata motivazione della sentenza in commento, i soci di una società per azioni stipulano un patto parasociale di prelazione e di co-vendita. I patti di co-vendita (c.d. piggy back o tag along), sono accordi con cui uno o più soci si obbligano, per il caso in cui decidano di vendere la propria partecipazione, a far sì che l’acquirente acquisti anche le azioni di quei soci che dichiarino di voler aderire alla vendita [1]. Le azioni oggetto del patto vengono depositate presso una società fiduciaria cui viene dato «mandato irrevocabile di ricevere istruzioni congiunte […] in caso di alienazione a terzi» e che si obbliga «ad astenersi in caso di ricezione di una contestazione scritta da parte di uno o più degli oblati, senza» avere «alcuna facoltà di sindacato» [2]. L’attore decide di vendere la sua partecipazione ed effettua la denuntiatio dell’offerta ricevuta, contenente anche una garanzia (una lettera di patronage) offerta dal socio di controllo della società disponibile all’acquisto delle azioni. Uno dei soci aderenti al patto parasociale ritiene che la denuntiatio sia «insuscettibile di essere oggetto di accettazione ai fini del perfezionamento del contratto di compravendita» (rectius, non idonea ad adempiere l’obbligo assunto contrattualmente dal promittente), perché l’offerta effettuata dal terzo disponibile all’acquisto non risulta fungibile, contenendo una garanzia personale da patronage non avente equivalenti. Inoltre, tale socio decide di attivare la procedura di co-vendita, obbligando l’attore ad effettuare la vendita del pacchetto azionario oggetto del patto parasociale. Avendo tale ultima decisione impedito all’attore di vendere la sua partecipazione separatamente, questi conviene in giudizio i soci aderenti al patto parasociale in questione e la società fiduciaria, per fare accertare nei loro confronti il suo diritto a vendere la partecipazione nella società per azioni. L’attore chiede, inoltre, che il socio che ha avviato la procedura di co-vendita sia condannato a risarcire il danno derivante dalla mancata vendita cagionata dalla procedura di blocco attivata da tale partner del sindacato. Il tribunale adito respinge entrambe le domande.


2. Normativa di riferimento

La disciplina che viene in considerazione, pur non essendo richiamata espressamente dalla sentenza, è quella contenuta negli artt. 2341-bis c.c. e 122 t.u.f., dai quali si desume la validità dei patti parasociali che limitano la circolazione delle partecipazioni azionarie. Entrambi gli articoli, infatti, prevedono (il primo al 1° comma, lett. b, il secondo al 5° comma, lett. b) una particolare disciplina per i patti che «pongono limiti al trasferimento» delle azioni sindacate (anche se, nella fattispecie in esame, tali disposizioni non sembrano avere specifico rilievo). Tra i patti di tale tipo possono farsi rientrare oltre ai patti di blocco in senso stretto (ossia quelli che vietano il trasferimento delle partecipazioni sindacate), anche i patti che vietano la costituzione di pegno o usufrutto sulle azioni [3], quelli che sottopongono a prelazione [4] o a gradimento il trasferimento delle azioni, quelli che istituiscono obblighi di co-vendita o piggy back (su cui v. supra, n. 1) e quelli che istituiscono diritti di co-vendita o drag along [5]. Con riguardo alla prelazione convenzionale non vi è una norma generale che la preveda e la disciplini [6], ma norme specifiche (come, ad esempio, l’art. 2355-bis c.c., che concerne in generale le clausole statutarie limitative della circolazione delle azioni [7] o, in maniera più specifica, l’art. 1566 in tema di somministrazione).


3. Precedenti giurisprudenziali e dottrina

Presupposti essenziali della sentenza sono la validità dei patti parasociali in questione (cosa che conduce al conseguente rigetto delle domande dell’attore) e, soprattutto, la inidoneità della denuntiatio, effettuata dall’atto­re, ad assolvere all’impegno assunto dal paciscente. La denuntiatio, infatti, secondo opinione diffusa presso la giurisprudenza [8] – cui aderisce la sentenza in commento –, costituisce una proposta contrattuale e, pertanto, deve contenere la comunicazione dei precisi termini del contratto che si intende concludere con il terzo, termini che il destinatario dell’offerta può soltanto accettare o rifiutare. La tesi è ampiamente affermata anche in dottrina [9], anche se non manca chi avanza ricostruzioni differenti [10]. Quella in esame, secondo i giudici, non presentava le caratteristiche di un’offerta accettabile (rectius, di una offerta idonea ad assolvere l’obbligo assunto con il patto di prelazione), poiché conteneva un elemento (la garanzia da patronage [11]) che, per la sua infungibilità, non poteva essere fornito dal titolare del diritto di preferenza. Su quest’ultimo specifico aspetto si deve segnalare che non sembrano constare precedenti giurisprudenziali editi.


4. Commento

La sentenza in commento si caratterizza per il riconoscimento della validità dei patti parasociali di prelazione e di co-vendita. In tale ambito, si deve innanzitutto precisare che appare condivisibile il rigetto delle domande dell’attore – volte ad ottenere il riconoscimento del diritto di vendere la propria partecipazione e di ottenere il risarcimento del danno derivante dalla mancata alienazione –, perché in contrasto con il contenuto del patto parasociale in questione. La sentenza sposa l’orientamento secondo cui allorché la denuntiatio abbia ad oggetto una proposta contrattuale contenente l’assunzione da parte del potenziale terzo acquirente di un obbligo infungibile (nel caso in esame una lettera di patronage), essa, snaturando il meccanismo della prelazione, non possa considerarsi idonea ad assolvere l’obbligo dedotto in contratto. Secondo i giudici milanesi lo strumento della prelazione «esclude a priori l’infungibilità del compratore e dei suoi garanti». Ciò premesso, si deve evidenziare che l’affermazione sul punto contenuta nella pronuncia sembra costituire un obiter dictum. Le questioni concernenti il concreto esplicarsi del diritto di prelazione, la valenza della denuntiatio, il suo contenuto e la possibilità che gli elementi della «proposta» contrattuale che compongono la denuntiatio medesima siano sostituibili o meno (ai fini dell’esercizio del diritto da parte del beneficiario) appaiono irrilevanti sotto il profilo degli esiti del giudizio, poiché sono superate dalla circostanza per la quale, nella fattispecie concreta, era stata attivata una procedura di co-vendita, sulla base dello stesso accordo parasociale che aveva previsto il diritto di prelazione, e pertanto l’attore non avrebbe potuto procedere alla vendita autonoma delle azioni. Il riconoscimento della validità dell’accordo di co-vendita e della legittimità della attivazione della procedura in cui si concreta costituisce motivo assorbente nella decisione dei giudici ed è da solo sufficiente per respingere le richieste dell’attore. Venendo, però, ad esaminare l’opinione espressa dai giudici milanesi con riferimento alla portata della denuntiatio, si deve segnalare che la sentenza non tiene conto di quell’orientamento secondo cui se il titolare del diritto di [continua ..]


NOTE
Fascicolo 3 - 2007