Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Sez. I – Osservatorio sulla corporate governance (di Eva Desana)


In Italy the Golfo-Mosca decree n. 120/2001 prescribes mandatory rules in gender representation within board of directors of listed companies and State owned companies. The article argues that the law, in its first years of application, had many positive effects and brings evidences in this regard noting in particular an enhancement of indipendence of the board members, an increased inclination to issue long term investments and, at the same time, a reduction of possible conflict of interests within members of the board and the company.

The author also analyzes the compliance with Italian constitutional principles (art. 3 and 41 Cost) and with UE rules, in particular with rules imposed by CRD IV Directive (2013/36 UE) as far as women representation is concerned and of 2014/95/UE Directive as regards disclosure of non-financial and diversity informations by certain large undertakings and groups and argues on the capacity of women in the board to be more sensitive about social issues.

SOMMARIO:

La legge n. 120 del 2011: luci, ombre e spunti di riflessione * - 1. Premessa. - 2. Il quadro europeo: cenni. - 3. Le opzioni di fondo della legge Golfo-Mosca. - 4. L’ambito di applicazione della legge. - 5. L’efficacia del sistema sanzionatorio: società con azioni quotate versus società a controllo pubblico. - 6. Un’ultima questione: sarebbe ammissibile una nuova legge Golfo-Mosca? - NOTE


La legge n. 120 del 2011: luci, ombre e spunti di riflessione *

1. Premessa.

La legge n. 120/2011, conosciuta come legge Golfo-Mosca dal nome delle sue proponenti [1], ha introdotto in Italia regole sull’equilibrio tra i generi negli organi di amministrazione e di controllo delle società con azioni quotate e a controllo pubblico destinate a incidere sui meccanismi di reclutamento dei relativi componenti. È stato così imposto a tali imprese di inserire nei propri statuti apposite clausole in materia di composizione dei loro organi idonee ad assicurare la presenza, a regime, di almeno un terzo di membri appartenenti al genere meno rappresentato [2] costituito nelle predette società al momento dell’approvazione della legge dalle donne. Benché la legge sia laconica quanto alle finalità perseguite, la ratio sottostante a tali disposizioni è duplice. Da un lato, infatti, pur trattandosi di un provvedimento legislativo dichiaratamente volto ad aumentare la presenza del “genere meno rappresentato” qualsivoglia esso sia – e non dunque tout court di quello femminile – esso aveva l’impli­cito, ma evidente obiettivo di riservare alle donne un numero adeguato di poltrone. La legge è stata varata, infatti, in un momento in cui la presenza femminile nelle “stanze dei bottoni” era decisamente esigua: i dati rilevati dalla Consob al 30 giugno del 2011 dimostravano che la presenza del cosiddetto “gentil sesso” all’interno dei consigli di amministrazione delle società con azioni quotate era attestata nella sconfortante percentuale del 7,4% [3]; inoltre, nel 2012 l’Italia risultava collocata al­l’80° posto su 135 Paesi nell’indice Global Gender Gap elaborato annualmente dal World EconomicForum ed era penalizzata sia dalla posizione relativa all’indice “partecipazione e opportunità economica” (101° posto) sia da quella della “rappresentanza politica” (71° posto) [4]; ancora nel 2013 il nostro Paese deteneva il demoralizzante primato di “fanalino di coda” dei Paesi dell’Unione Europea [5] in termini di raggiunta parità di genere. In questo scenario, pertanto, la legge Golfo-Mosca ben poteva annoverarsi tra le cosiddette azioni positive [6]. Dall’altro lato, però, la legge sembrava raccogliere anche le suggestioni che emergevano da [continua ..]


2. Il quadro europeo: cenni.

Le Istituzioni dell’Unione Europea hanno da tempo puntato i riflettori sulla parità di genere nelle posizioni apicali delle società a più elevato impatto sistemico [12], quali sono le società con azioni quotate, gli enti creditizi, nonché le imprese nelle quali sono investiti capitali pubblici. Tra i provvedimenti già adottati dall’UE spicca la Direttiva 2013/36/UE del 26 giugno 2013, sull’accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento (la c.d. CRD IV attuata in Italia con il d.lgs. n. 72/2016), ove nel Considerando n. 60 si legge che «per favorire l’indipendenza delle opinioni e il senso critico, occorre che la composizione degli organi di gestione degli enti sia sufficientemente diversificata per quanto riguarda età, sesso, provenienza geografica e percorso formativo e professionale, in modo da rappresentare una varietà di punti di vista e di esperienze» [13], e ove si sostiene come «l’equilibrio tra uomini e donne sia particolarmente importante al fine di garantire una rappresentazione adeguata della popolazione», evocando la necessità che anche “l’altra metà del cielo” [14] trovi giusti riconoscimenti nella società. L’art. 88, § 2, 2° comma della Direttiva stabilisce, inoltre, che «il comitato per le nomine decide un obiettivo per la rappresentanza del genere sottorappresentato nel­l’organo di gestione ed elabora una politica intesa ad accrescere il numero dei membri del genere sottorappresentato nell’organo di gestione al fine di conseguire tale obiettivo. L’obiettivo, la politica e la sua attuazione sono resi pubblici conforme­mente all’art. 435, paragrafo 2, lettera c) del regolamento (UE) n. 575/2013 […]». Un secondo interessante intervento è costituito dalle previsioni innestate dalla Direttiva 2014/95/UE (sulla comunicazione di informazioni di carattere non finanziario e di informazioni sulla diversità da parte di talune imprese e di taluni gruppi di grandi dimensioni) nella Direttiva 2013/34/UE relativa ai bilanci di esercizio e ai bilanci consolidati: l’art. 20 della Direttiva 2013/34/UE, così come da ultimo emendata, impone alle società di grandi dimensioni, che costituiscono enti [continua ..]


3. Le opzioni di fondo della legge Golfo-Mosca.

Nel nostro Paese l’obiettivo dell’equilibrio tra i generi nella composizione degli organi di amministrazione e controllo delle grandi società viene perseguito, come si è visto, attraverso la strada dell’imposizione normativa, seguendo per certi versi l’impostazione di altri Paesi continentali dai quali, tuttavia, la legge n. 120/2011 si discosta significativamente per alcune opzioni di fondo. In via di estrema sintesi occorre sottolineare, in primo luogo, che le regole sul­l’equilibrio tra i generi si applicano in Italia a due insiemi di società molto diverse tra loro, le società con azioni quotate e quelle a controllo pubblico. In secondo luogo, la legge opta per l’introduzione di regole vincolanti e di quote rigide, che operano in modo neutro e non soltanto a favore delle donne; tali regole debbono tradursi nell’adozione da parte delle società di specifiche previsioni statutarie cosicché l’attuazione in concreto delle stesse può variare a seconda delle società, pur essendo vincolante il risultato da raggiungere (ovvero la riserva di poltrone a favore del genere sottorappresentato per tre mandati successivi all’entrata in vigore della legge). L’enforcement e dunque la vigilanza sul rispetto delle disposizioni viene affidato rispettivamente alla Consob, per le società con azioni quotate, e alla Presidenza del Consiglio dei Ministri o al Ministro incaricato per le Pari opportunità, per le società a controllo pubblico. Infine, essa introduce regole ad tempus, ovvero disposizioni destinate a cessare di avere efficacia decorsi tre mandati, che corrispondono, in linea di massima, a nove anni dalla prima applicazione della legge. Questa peculiarità, unita al fatto che le prescrizioni ivi contenute debbono essere implementate dagli statuti, ha indotto alcune società a costruire le clausole in modo tale che le stesse vengano meno una volta cessato il vincolo legislativo, senza necessità di ulteriori modifiche del­l’at­to costitutivo. Richiamate sinteticamente le previsioni della legge e rinviando alla dottrina che si è già ampiamente occupata dell’argomento per un’analisi esaustiva delle singole disposizioni [29], appare in questa sede interessante soffermarsi su alcuni profili critici, anche al fine di fornire possibili spunti de iure [continua ..]


4. L’ambito di applicazione della legge.

Una prima questione su cui è necessario interrogarsi, anche nella prospettiva di una futura modifica della legge, è se l’ambito di applicazione della nuova normativa sia coerente con gli obiettivi che il legislatore si prefiggeva. Sul punto la risposta non è univoca, dovendosi distinguere tra società con azioni quotate e società a controllo pubblico: soltanto per le prime la valutazione è positiva, mentre per le seconde si può formulare qualche rilievo. Innanzitutto, partendo dal dato formale, occorre rammentare che la legge n. 120/2011 è intitolata “Modifiche al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, concernenti la parità di accesso agli organi di amministrazione e di controllo delle società quotate in mercati regolamentati”; il titolo della legge è, per un verso, impreciso dal momento che utilizza l’espressione atecnica «società quotate» in luogo di «società con azioni quotate» [30] e, si potrebbe dire, fuorviante per un altro, in quanto non menziona in alcun modo il secondo rilevante insieme di società destinatarie delle nuove disposizioni, costituito, come si evince dalla rubrica del suo art. 3, dalle «società a controllo pubblico». L’impressione che se ne trae e che risulta confermata dalla lettura dell’articolato della legge è che il principale obiettivo della normativa fosse l’introduzione del­l’e­quilibrio tra i generi nelle società con azioni quotate e che l’inclusione nel­l’am­bito di applicazione delle suddette norme delle società a controllo pubblico, a cui è dedicato un unico articolo, sia stata frutto di «un’aggiunta a lavori in corso» [31]. L’art. 3 della legge, infatti, al 1° comma, si limita ad estendere le sue disposizioni alle «so­cietà, costituite in Italia, controllate da pubbliche amministrazioni ai sensi del­l’art. 2359, commi primo e secondo, del codice civile, non quotate in mercati regolamentati», demandando la sua attuazione ad un emanando regolamento [32]. L’unica disposizione della legge dedicata alle società a controllo pubblico appare quindi, anche per la sua collocazione, in qualche [continua ..]


5. L’efficacia del sistema sanzionatorio: società con azioni quotate versus società a controllo pubblico.

Un secondo aspetto che merita un serio dibattito è quello del sistema sanzionatorio: è indubbio infatti che l’efficacia delle disposizioni in questione dipende anche dal grado di enforcement che accompagna la relativa disciplina. Anche a questo proposito si può anticipare che la valutazione appare diversa a seconda che si tratti di società con azioni quotate o società a “controllo pubblico”. Per le prime la vigilanza è assegnata alla Commissione nazionale per le società e la borsa, alla quale i nuovi artt. 147-ter, 1°-ter comma e 148-1°-bis comma del t.u.f. n. 58/1998 demandano il compito di diffidare le società i cui organi non rispecchino nella loro composizione l’equilibrio tra i generi: la diffida dovrà contenere l’ordine di adeguarsi alle prescrizioni della legge entro il termine massimo di quattro mesi dal suo ricevimento [40], decorso invano il quale la Consob dovrà applicare una sanzione amministrativa pecuniaria e fissare alla società riottosa un nuovo temine ad adempiere (di tre mesi). Soltanto nel caso in cui perduri la violazione i componenti eletti decadranno dalla carica. L’art. 1 della legge n. 120/2011 ha peraltro demandato alla Consob il compito di statuire «in ordine alla violazione, all’applicazione ed al rispetto delle disposizioni in materia di quota di genere, anche con riferimento alla fase istruttoria e alle procedure da adottare […]». In attuazione della relativa delega, l’Autorità di vigilanza ha emanato la delibera n. 18098 del 2 febbraio 2012 con cui ha modificato alcuni articoli del proprio Regolamento Emittenti, introducendo, quanto alla procedura sanzionatoria, il nuovo Capo I-bis, rubricato “Equilibrio tra generi nella composizione degli organi di amministrazione e controllo” che consta di un solo articolo, il 144-undecies.1. Non è questa la sede per un approfondito commento delle regole sul procedimento sanzionatorio predisposte dal legislatore e dalla Consob per i casi di violazione delle norme sull’equilibrio di genere (procedimento la cui celebrazione è affidata alla Consob); è però interessante mettere in luce alcune criticità che potrebbero essere emendate dalla stessa Autorità di vigilanza, attraverso una semplice modifica del proprio Regolamento Emittenti, oppure [continua ..]


6. Un’ultima questione: sarebbe ammissibile una nuova legge Golfo-Mosca?

Vi è infine un ultimo nodo da sciogliere, che attiene alla natura temporanea della disciplina italiana. Per le società con azioni quotate, il nuovo art. 147-ter, 1°-ter comma del t.u.f. n. 58/1998 stabilisce che il criterio di riparto «si applica per tre mandati consecutivi» e l’art. 2 della legge n. 120/2011 impone che le relative disposizioni operino a «decorrere dal primo rinnovo degli organi di amministrazione e controllo delle società quotate in mercati regolamentati successivo ad un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge». La legge è entrata in vigore il 12 agosto 2011 [53], cosicché le relative prescrizioni sono divenute vincolanti a partire dalle nomine successive al 12 agosto 2012, e quindi per i rinnovi degli organi scaduti con l’approva­zione del bilancio dell’esercizio 2012. Pertanto, ove il mandato sia attribuito per tre anni e l’esercizio inizi il 1° gennaio, la legge sarà operativa sino all’esercizio riferito all’anno 2021 e, in difetto di ulteriori interventi, le società con azioni quotate non saranno più tenute a garantire l’equilibrio di genere a partire dalle nomine della primavera-estate 2022. Le regole riferite alle società “a controllo pubblico”, a loro volta, in forza del combinato disposto dell’art. 3 della legge e del d.P.R. n. 251/2012, varato il 30 novembre 2012 e in vigore dal 12 febbraio 2013 [54], hanno effetto per i rinnovi successivi a tale data [55]. In forza dell’art. 3 del d.P.R. n. 251/2012 le prescrizioni sembrerebbero destinate a valere per tre soli mandati anche se il dato va coordinato con il recente art. 11, 4° comma del T.U. n. 175/2016 sulle società partecipate pubbliche che, con riferimento alla composizione dell’organo amministrativo, sembrerebbe aver sancito una sorta di ultrattività delle regole sull’equili­brio tra i generi [56]. La temporaneità della disciplina costituisce uno dei caratteri peculiari della legge italiana [57]: il legislatore ha optato per l’imposizione “dall’alto” di una regola sulla composizione degli organi di amministrazione e controllo che assicuri una percentuale minima a favore del genere meno rappresentato per un lasso temporale circoscritto, auspicando che gli effetti positivi della legge [continua ..]


NOTE