Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Socio di controllo, investitori istituzionali, gruppi di società: i flussi informativi (di Paolo Montalenti)


The article analyses the role of information in Corporate Law and Financial Markets Law, with particular reference to company management, monitoring functions, financial statements and groups.

The author outlines the framework of soft and hard laws on the relationship between institutional investors and management with a comparative approach. He puts forward a proposal in order to revitalize the shareholders’ meeting and, as a final point, brings into focus the serious problems related to the dialogue between shareholders, investors and management, still mainly left to best practice and neither regulated by statutes nor by analytic rules of the Italian Corporate Governance Code for Listed Companies (Codice di Autodisciplina).

SOMMARIO:

1. L’informazione e il diritto societario: dall’inquadramento tradizionale alla “mutazione genetica” - 2. Informazione e funzione di amministrazione - 3. Informazione e funzione di controllo - 4. Informazione e gruppi di società - 5. Le operazioni con parti correlate - 6. Informazione e mercati: le informazioni privilegiate e i gruppi - 7. L’informazione non finanziaria: il c.d. bilancio sociale - 8. Mercati finanziari, investitori istituzionali e società quotate: il quadro internazionale - 9. Investitori istituzionali, proxy advisors, Corporate Governance: le proposte comunitarie - 10. Prime valutazioni - 11. L’EFAMA Code for external governance e i Principi italiani di stewardship di Assogestioni - 12. Investitori istituzionali, amministratori e Codici di Autodisciplina in Europa: un timido approccio - 13. Il Codice di Autodisciplina di Borsa Italiana: una proposta - 14. L’assemblea nelle società quotate: proposte di riforma - 15. Una recente critica e una replica - 16. Il dialogo tra amministratori e investitori: un’area da esplorare - NOTE


1. L’informazione e il diritto societario: dall’inquadramento tradizionale alla “mutazione genetica”

L’informazione nel diritto societario e nel diritto dei mercati finanziari  [[1]] ha trovato, con il Testo Unico della Finanza e con la riforma societaria del 2003, una regolamentazione pervasiva ed una razionalizzazione sistematica che hanno impresso ad essa una sorta di “mutazione genetica” tale da imporre all’interprete una diversa qualificazione della fattispecie, in termini radicalmente diversi da quanto sinora esplicitamente o implicitamente assunto nell’elaborazione dottrinale. Tradizionalmente l’informazione è stata – a me pare – per definizione espressa o per formante presupposto, qualificata come mero insieme di dati conoscitivi strumentali all’esercizio di un diritto, di una facoltà, di un potere-dovere, di una funzione. In altre parole l’informazione emergeva nell’ordinamento societario o come elemento tecnico-materiale necessario per l’esercizio di una prerogativa giuridicamente rilevante e tipizzata (diritto, facoltà, potere-dovere, ecc.) o come declinazione per così dire secondaria di alcune fattispecie, eminentemente, se non unicamente, del diritto di informazione del socio. L’informazione - intesa come insieme di dati conoscitivi, come processo acquisitivo e distributivo e come supporto documentale - si inserisce ora invece, “ontologicamente”, per così dire, nella fattispecie - diritto, facoltà, potere-dovere o funzione - sì da divenirne parte integrante, tratto distintivo, elemento qualificante. E il tema, nei gruppi, assume una particolare rilevanza.


2. Informazione e funzione di amministrazione

In materia di governance della società azionaria si può osservare che il legislatore del 2003 ha inteso assegnare all’informazione e alla trasparenza un ruolo centrale, sia come canone dell’agire del buon amministratore sia come strumento di “tracciabilità” dei comportamenti, sia come mezzo di ricostruzione dei profili di responsabilità [[2]]. Il canone dell’“agire in modo informato” (art. 2381, 6° comma) assurge a paradigma generale di comportamento del buon amministratore. Si pensi poi all’obbligo del presidente di provvedere affinché siano fornite “ade­guate informazioni” al consiglio (art. 2381, 1° comma), all’informativa periodica dovuta dai delegati al consiglio (art. 2381, 5° comma), alla funzione centrale assegnata all’informazione come strumento di valutazione sia degli assetti organizzativi sia del generale andamento della gestione (art. 2381, 3° comma), ai poteri-doveri di informazione degli amministratori, il cui limite è segnato dalla sede consiliare (art. 2381, 6° comma), agli obblighi informativi in tema di operazioni con amministratori interessati (art. 2391). E, con riferimento ai gruppi, si pensi alle operazioni motivate da ragioni di gruppo (art. 2497-ter) e al “sistema informativo” relativo alle operazioni con parti correlate (art. 2391-bis Reg. Consob n. 17221/ 2010 e s.m.) – di cui si dirà poco oltre [[3]] –. La carenza informativa è, addirittura, motivo autonomo di impugnativa della deliberazione assunta in presenza di amministratori interessati (art. 2391, 2° comma). Nell’oggettiva complessità della grande impresa moderna il potere di amministrazione, sia pure gerarchicamente organizzato, è fortemente articolato e diffuso, per cui ben si può affermare che anche la “direzione suprema degli affari” si estrinseca, da un lato, in linee direttrici generali, dall’altro nella verifica dell’efficienza e dell’efficacia dell’azione di altri soggetti (organi delegati, alta dirigenza, managers, responsabili di settore, amministratori di società controllate, ecc.) in particolare, nei gruppi, nell’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento: di nuovo il “processo informativo” assume [continua ..]


3. Informazione e funzione di controllo

Analoghe considerazioni possono svolgersi in relazione alla funzione di controllo [[5]]. La riforma del 2003 ha elevato i principi di corretta amministrazione a clausola generale di comportamento degli amministratori (arg. ex art. 2403 c.c.), prima espressamente contemplata soltanto per le società quotate [arg. ex art. 149, lett. b), t.u.f.]. Il controllo si emancipa dall’accezione tradizionale di “verifica ex post” (derivato del diritto amministrativo) e si evolve in elemento coessenziale dell’esercizio dell’impresa e del potere amministrativo, intrinseco alla funzione gestoria; in chia­ve assiologica la nozione dovrebbe evolvere da una concezione del controllo come “costo” all’idea del controllo come “opportunità”. Essenziale è poi la distinzione tra controllo diretto e controllo indiretto: una bipartizione che incrocia trasversalmente organi e funzioni e che vede però, nella tipologia economico-sociale, la netta prevalenza dei controlli indiretti sui controlli diretti. Nelle procedure di controllo molte istanze procedono non già ad atti di ispezione diretta bensì ad atti di accertamento presso le “istanze inferiori” volti a verificare il corretto svolgimento delle procedure di controllo e l’adeguatezza degli assetti organizzativi di cui le procedure stesse sono parti integranti. In definitiva anche l’attività dell’organo di controllo consiste prevalentemente nella disamina, valutazione, giudizio di documenti informativi che in parte sono elemento di giudizio diretto in parte strumento di verifica di operato altrui: si pensi ai reports delle funzioni audit e compliance, ai documenti e/o relazioni informative richieste ad organi di controllo di società del gruppo, alle relazioni dell’ODV, a eventuali specifici report richiesti alla società di revisione, alle informazioni suppletive richieste al team operativo di un’operazione societaria e così via. Nuovamente: il corretto esercizio dell’attività di vigilanza si fonda su un sistema procedurale adeguato di “trattazione” dell’informazione.


4. Informazione e gruppi di società

E veniamo più specificamente all’informazione nei gruppi di società [[6]]. La classificazione dell’informazione secondo (i) la struttura, (ii) il contenuto, (iii) la funzione trova, nei gruppi, un’applicazione elettiva. Sotto il profilo della struttura possiamo individuare anzitutto l’informazione codificata a contenuto vincolato [si pensi all’informazione puramente quantitativa nello stato patrimoniale; con riferimento ai gruppi: debiti verso controllate (art. 2424); proventi da partecipazioni (art. 2425, C, 15); proventi da crediti in controllate, controllanti, collegate (art. 2425, C, 16); fideiussioni e garanzie verso imprese di gruppo (art. 2425, 3° comma)]. Vi è poi l’informazione descrittiva a contenuto “aperto” [si pensi alla relazione sulla gestione svolta anche “attraverso società controllate” (art. 2428, 1° comma); alla descrizione dei rapporti di gruppo (art. 2428, 2° comma, n. 2)]; l’informazione valutativa [si pensi alle partecipazioni in imprese del gruppo (art. 2424, B, III, 1, a, b, c); ai crediti verso le medesime imprese (art. 2424, B, III, 2, a, b, c), alle partecipazioni che non costituiscono immobilizzazioni nelle imprese di gruppo (art. 2424, C, III, 1, 2, 3), appostazioni che richiedono tutte operazioni valutative (art. 2426)]; l’informazione prospettica [si pensi all’evoluzione prevedibile della gestione che deve risultare dalla relazione sulla gestione che correda il bilancio consolidato (art. 40, 2° comma, lett. c), d.lgs. n. 127/1991). Sotto il profilo del contenuto dobbiamo segnalare, in primo luogo, l’informa­zione contabile (e si pensi qui, ovviamente, a tutte le informazioni di gruppo nel bilancio individuale e nel bilancio consolidato), l’informazione gestionale [si pensi alle informazioni sulla gestione di gruppo che devono essere rese nei bilanci, ma anche alle informazioni endoconsiliari periodiche dovute dai delegati anche sulle operazioni di maggior rilievo effettuate dalle società e dalle sue controllate (art. 2381, 5° comma; art. 150, 1° comma, t.u.f.)] l’informazione organizzativa [si pensi all’informazione sugli assetti organizzativi (art. 2381, 3° comma)]. Particolare rilievo assume poi [continua ..]


5. Le operazioni con parti correlate

Ho affrontato il tema delle operazioni con parti correlate in altra sede [[9]]. Richiamo qui gli elementi essenziali della disciplina. Definizione autonoma – ma ispirata ai principi IAS – di parti correlate, concetto ampio di “operazione”, distinzione tra operazioni di “maggiore rilevanza” e operazioni di “minore rilevanza” (e di valore esiguo), parere vincolante (o obbligatorio) degli amministratori indipendenti, whitewash opzionale, possibili esclusioni: questi i cardini del Regolamento Consob n. 17221 del 12 marzo-10 giugno 2010. Sintetizzo le soluzioni che ho in altra sede più ampiamente argomentato sottolineando che il focus della disciplina è rappresentato dal parere degli amministratori indipendenti e, più precisamente, dallo standard valutativo a cui esso deve conformarsi, dovendosi quindi puntualizzare il paradigma della “correttezza sostanziale” e il significato della valutazione della “convenienza delle condizioni” [art. 8, 1° comma, lett. c), Reg. Consob n. 17221, 2010 cit.]: i flussi informativi tra struttura aziendale, Consiglio di Amministrazione, Comitato per le Operazioni con Parti Correlate e Collegio Sindacale assumono un ruolo centrale. Il problema fondamentale consiste nello stabilire che cosa debba intendersi con la formula «correttezza sostanziale e procedurale» delle «condizioni» dell’opera­zione [art. 8, lett. c), Reg.] che riprende, letteralmente, con l’aggiunta del sintagma “condizioni”, il testo dell’art. 2391-bis. Correttezza sostanziale significa, a mio parere, che, le procedure tecniche istruttorie e valutative devono essere appropriate alla specifica operazione e “tailor-made”, non già standardizzate senza una puntuale valutazione dell’idoneità al caso di specie. Ma il problema più delicato concerne la valutazione di «convenienza … delle relative condizioni». Convenienza delle condizioni significa congruità dei prezzi, delle forme di pagamento, dell’impatto finanziario, che si inserisce come elemento dell’analisi della tipologia di articolazione dell’operazione stessa e della sua ragionevolezza ed economicità complessiva. Ma l’operazione e la sua convenienza complessiva [continua ..]


6. Informazione e mercati: le informazioni privilegiate e i gruppi

In uno scritto di qualche anno addietro [[13]] segnalavo delicate questioni in materia di informazione e mercati finanziari che mi paiono ancora attuali e problemi ancora oggi irrisolti nella disciplina degli abusi di mercato. In primo luogo credo che, ancora oggi, il nodo cruciale, e più difficile da sciogliere, consista nella opposizione immanente al sistema societario e finanziario tra diritto all’informazione e diritto alla riservatezza, tra tutela della trasparenza e tutela del segreto aziendale. Uno dei temi più delicati – in particolare all’interno dei gruppi dove il problema assume particolare rilievo – consiste nella individuazione dell’area di legittima circolazione dell’informazione, da un lato “libera”, all’interno del perimetro del gruppo, dall’altro tuttavia “riservata”, all’esterno: un tema classico che assume, come dirò, profili inediti alla luce della disciplina del market abuse. Con una disposizione fortemente innovativa, contenuta nel 4° comma dell’art. 114 t.u.f., introdotto dalla legge 18 aprile 2005, n. 62, il legislatore ha aperto nuovi spazi di circolazione dell’informazione e cioè nuovi spazi per una regolamentazione pattizia della circolazione dell’informazione sia in generale sia, in particolare, per le ipotesi in cui il problema si pone in via permanente come nei gruppi dove il regolamento di gruppo può divenire uno strumento prezioso. In base a tale disposizione emittenti, loro rappresentanti, loro consulenti, loro dipendenti possono comunicare informazioni price sensitive a un terzo purché legato da un vincolo di riservatezza anche contrattuale. Si deve dunque inferire, a contrario, che la previsione contrattuale di un vincolo di riservatezza con un soggetto terzo, sia pure qualificato, consente una circolazione selettiva dell’informazione privilegiata, senza obbligo di divulgazione al pubblico. Dalla disposizione si evince che (i) deve ricorrere una causa di giustificazione, (che ben può ravvisarsi nella relazione di gruppo), (ii) che deve esservi obbligo di riservatezza ex lege o contrattualizzato ed infine, a mio parere, (iii) che devono predisporsi misure idonee a garantire la segregazione dell’informazione [[14]]. In questo più ampio quadro sistematico la regolazione dei [continua ..]


7. L’informazione non finanziaria: il c.d. bilancio sociale

Il d.lgs. 30 dicembre 2016, n. 254 ha dato attuazione alla direttiva 2014/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2014, recante modifica alla direttiva 2013/34/UE per quanto riguarda la comunicazione di informazioni di carattere non finanziario e di informazioni sulla diversità da parte di talune imprese e taluni gruppi di grandi dimensioni. La normativa sul c.d. bilancio sociale, contenuta nel d.lgs. n. 254/2016 riguarda gli enti di interesse pubblico (ex art. 16, 1° comma, d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 39) e i gruppi di grandi dimensioni, con più di 500 dipendenti e con un bilancio consolidato che soddisfi almeno uno dei due seguenti criteri: 1) attivo superiore a € 20 milioni; 2) totale dei ricavi netti superiore a € 40 milioni. La nuova disciplina prevede informazioni in materia di «temi ambientali, sociali, attinenti al personale, al rispetto dei diritti umani, alla lotta contro la corruzione attiva e passiva». Richiede inoltre che siano descritti «a) il modello aziendale; b) le politiche praticate dall’impresa; c) i principali rischi» (art. 3, 1° comma). Di particolare interesse, oltre alle politiche energetiche, l’obbligo di trattare gli «aspetti sociali e attinenti alla gestione del personale» e, in particolare «le modalità cui è realizzato il dialogo con le parti sociali» [art. 3, 2° comma, lett. d)]: un ritorno ai temi della democrazia industriale [[16]]? Sicuramente un tassello normativo rilevante per la rivisitazione del tema, antico ed attuale, dell’interesse sociale [[17]].


8. Mercati finanziari, investitori istituzionali e società quotate: il quadro internazionale

A livello internazionale emerge − come meglio in seguito precisato − l’interesse a valorizzare le strategie long term degli investitori istituzionali, a rafforzare i diritti degli azionisti, a favorire forme di rapporto più diretto e attivo tra investitori istituzionali e management delle società quotate. Dall’andamento dei mercati finanziari e, più precisamente, dalle linee di policy d’investimento dei principali investitori istituzionali, emerge la necessità di strategie maggiormente indirizzate verso obiettivi di lungo termine, di uno sviluppo esponenziale dell’attività dei proxy advisors, di un confronto sistematico e puntuale con gli amministratori sugli indirizzi gestionali [[18]]. Si fa strada il convincimento che il tema del ruolo delle minoranze azionarie qualificate in tema di corporate governance abbia assunto dimensioni e declinazioni innovative rispetto al passato. Il tema dei proxy advisors [[19]] è pressoché inesplorato in Europa, dove tuttavia essi operano, in diversi paesi, dal Regno Unito alla Francia, dall’Olanda alla Svezia. Il fenomeno si è invece da tempo sviluppato negli Stati Uniti, dove ha iniziato ad emergere negli anni ’80, in particolare nel 1988 quando, in relazione all’ERISA Act (Employee Retirement Income Security Act del 1974), l’Autorità di Vigilanza stabilì che l’esercizio del diritto di voto era incluso nei doveri fiduciari del gestore del fondo. Obblighi di trasparenza sull’esercizio del diritto di voto e quindi sull’influenza sulla gestione delle società quotate furono imposti ai mutual funds dalla SEC nel 2003. Si è poi sviluppata la prassi, da parte dei principali proxy advisors, di rendere pubbliche, prima della stagione delle assemblee, le proprie guideline e a rilasciare poi voting recommendation su singole proposte anche attraverso contatti diretti con gli amministratori. Ma la regolamentazione di un’attività che implica profili delicati di responsabilità è in fieri. La SEC ha emanato nel giugno 2014 Linee Guida che statuiscono la responsabilità dei gestori relativamente all’impiego di proxy advisors e [continua ..]


9. Investitori istituzionali, proxy advisors, Corporate Governance: le proposte comunitarie

Qualche dato sul quadro europeo. Il rapporto del Council Working Party del 6 maggio 2014 segnala che il general turnout nelle assemblee dei soci è pari in media al 60% in Europa di contro al­l’81% negli Stati Uniti e al 74% in Giappone, che il voto dissenziente è pari al 2-3%, che il livello di diretto coinvolgimento nelle strategie delle società non è molto elevato, anche se i “responsible investors” rappresentano il 39%, e che il periodo medio di detenzione delle azioni è di 8 mesi. Per queste ragioni l’Unione europea ha formulato la Proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio di modifica della Direttiva 2007/36/CErelativamente all’incoraggiamento dell’impegno a lungo termine degli azionisti e della Direttiva 2013/34/UE in merito a taluni elementi della relazione sul governo societario, del 10 aprile 2014 [[20]]. L’obiettivo è «contribuire alla sostenibilità a lungo termine delle Società del­l’UE, creare condizioni propizie per gli azionisti e migliorare l’esercizio transfrontaliero del diritto di voto accrescendo l’efficienza della catena dell’investi­mento azionario al fine di contribuire alla crescita, alla creazione di posti di lavoro e alla competitività della UE». Si indicano altresì i seguenti obiettivi più specifici: «1) aumentare il livello e la qualità dell’impegno dei proprietari e dei gestori degli attivi nei confronti delle società partecipate; 2) instaurare una migliore correlazione tra la remunerazione e i risultati degli amministratori delle società; 3) migliorare la trasparenza e la sorveglianza delle operazioni con parti correlate da parte degli azionisti; 4) garantire l’affidabilità e la qualità delle consulenze dei consulenti in materia di voto; in particolare, in relazione ai gruppi, 5) agevolare la trasmissione delle informazioni transfontaliere (compreso l’esercizio del voto) attraverso la catena dell’investi­men­to, in particolare mediante l’identificazione degli azionisti». La valutazione di impatto effettuata dai servizi della Commissione ha individuato cinque aree problematiche principali: 1) insufficiente impegno degli investitori istituzionali e dei gestori di attivi; [continua ..]


10. Prime valutazioni

Le proposte che mi paiono degne di maggiore considerazione riguardano le strategie degli investitori istituzionali in relazione alle linee di politica di gestione dell’impresa e dei proxy advisors. Quanto infatti al tema delle remunerazioni – peraltro spesso condito nel dibattito da un certo populismo diffuso – ritengo che l’ordinamento italiano sia adeguato, in particolare là dove prevede che la Relazione sulla Remunerazione, nella seconda sezione, deve fornire «un’adeguata rappresentazione di ciascuna delle voci che compongono la remunerazione, compresi i trattamenti previsti in caso di cessazione dalla carica o di risoluzione del rapporto di lavoro» (art. 123-ter,t.u.f.), trattamenti “di fine rapporto” che la prassi ci dimostra essere, non di rado, la voce più critica. Interessanti allora l’obbligo per gli investitori istituzionali a «rendere pubblico in che modo la loro strategia di investimento azionario è in linea con il profilo e la durata delle loro passività e contribuisce al rendimento dei loro attivi a medio e lungo termine»; gli obblighi informativi dei gestori di attivi a favore degli investitori istituzionali; l’innovativa imposizione di obblighi di trasparenza ai proxy advisors: si vedano l’art. 3-septies sulla “Politica d’impegno” e l’art. 3-octiessulla strategia d’in­vestimento degli investitori istituzionali e accordi con i gestori di attivi. Una riflessione attenta deve essere riservata a due elementi della politica d’impegno: «le modalità secondo le quali gli investitori istituzionali e i gestori di attivi: (c) dialogano con le società partecipate; (f) collaborano con altri azionisti; (d) esercitano i diritti di voto». Si auspica un rafforzamento del principio generale «comply or explain». Sono elementi che evocano il tema dei rapporti tra azionisti rilevanti e amministratori, della selective information, della cooperazione tra azionisti. Un passaggio storico nel lungo cammino dalla Wall Street Rule all’attivismo partecipativo [[21]]? Credo che ci si trovi ancora a muovere i primi passi ma la sfida merita di essere accettata.


11. L’EFAMA Code for external governance e i Principi italiani di stewardship di Assogestioni

Nel 2011 l’EFAMA − European Fund and Asset Management Association − ha approvato un Code for external governance [[22]] allo scopo di formulare principi e raccomandazioni di best practice diretti a migliorare la trasparenza e l’interazione tra Investment Management Companies e società in cui le stesse investono. I principi prevedono che le Società di Investimento «should have a documented policy available to the public on whether, and if so how, they exercise their ownership responsibilities» (Principle 1), «should monitor their investee companies» (Principle 2), «should establish clear guidelines on when and how they will intervene with investee companies to protect and enhance value» (Principle 3), «should consider cooperating with other investors, where appropriate, having due regard to applicable rules on acting in concert» (Principle 4), «should exercise their voting rights in a considered way» (Principle 5), «should report on their exercise of ownership rights and voting activities and have a policy on external governance disclosure» (Principle 6). Assogestioni, nel 2013, ha approvato un documento − Principi italiani di stewardship [[23]] − rivolto alle «società che prestano servizi di gestione collettiva del risparmio o di gestione di portafogli al fine di stimolare il confronto e la collaborazione tra le società di gestione e gli emittenti quotati in cui esse investono». I principi sono allineati e del tutto analoghi ai principi contenuti nel Code for external governance dell’EFAMA di cui sono, sostanzialmente, una traduzione [[24]]. I principi contengono sicuramente una indicazione di policy apprezzabile, perché sono volti a stimolare strategie di investimento fondate su di una valutazione della gestione delle società in cui gli investitori istituzionali investono, sull’eser­cizio “ragionato” e motivato dei diritti di voto e, quindi, sulla elaborazione di linee di indirizzo long term, che possono favorire gestioni da parte delle imprese quotate non meramente mirate allo shareholder value inteso in chiave speculativa. I “Principi” [continua ..]


12. Investitori istituzionali, amministratori e Codici di Autodisciplina in Europa: un timido approccio

I codici di Autodisciplina dedicano ancora scarsa attenzione al tema, con un certo ritardo, a mio parere, rispetto alla realtà dei mercati. Il Codice di Borsa Italiana s.p.a., nell’ultima versione approvata nel giugno 2014, contiene un riferimento alle prospettive long-term oriented, ma non fornisce raccomandazioni specifiche sul rapporto con gli investitori istituzionali, anche perché si ritiene «che non rientri nella sua competenza prendere in considerazione i comportamenti degli investitori istituzionali». In Spagna il Código Unificado de buen gobierno de las sociedades cotizadas raccomanda sia la trasparenza delle proposte da illustrare analiticamente con l’ordine del giorno sia la previsione espressa del diritto al voto divergente per favorire l’intervento attivo degli investitori istituzionali che, frequentemente, possono avere istruzioni divergenti. Nel Regno Unito the UK Corporate Code contiene una generica raccomandazione “to recognise the contribution made by other (than shareholders) providers of capital” e a confermare “the board’s interest in listening to the view of such providers”, in una logica ormai comune di perseguimento di un interesse sociale per così dire allargato agli interessi degli stakeholders. Qualche analogia riscontriamo con il Code de Gouvernement d’entreprise des sociétés cotées francese in cui si sottolinea la responsabilità de l’actionnaire majoritaire à l’égard des autres actionnaires in particolare quanto alla «transparence de l’information fournie au marché». Più interessante, forse, per i profili che qui ci occupano, la raccomandazione del Deutscher Corporate Governance Kodex in cui si prevede una limitazionealla selected information precisandosi che «all new facts made known to financial analysts and similar addresses shall also be disclosed to the company withoutdelay». Un principio che può [continua ..]


13. Il Codice di Autodisciplina di Borsa Italiana: una proposta

Come ho ricordato, il Codice di Borsa Italiana s.p.a. contiene un riferimento alle prospettive long-term oriented, ma non fornisce raccomandazioni specifiche sul rapporto con gli investitori istituzionali, anche perché si ritiene «che non rientri nella sua competenza prendere in considerazione i comportamenti degli investitori istituzionali». Ritengo, per contro, che una posizione “attiva” nei confronti degli investitori istituzionali assunta dagli amministratori di società quotate, nel quadro degli orientamenti comunitari, non sia incoerente con gli obiettivi del Codice. Il codice di Autodisciplina di Borsa Italiana s.p.a. potrebbe cioè fornire un contributo “anticipatore”. Si potrebbe inserire una indicazione, anche soltanto di carattere programmatico del seguente tenore: «Gli amministratori, allo scopo di favorire un rapporto più intenso e continuativo con gli investitori qualificati, promuovono incontri periodici con i soci detentori di partecipazioni significative, in particolare con gli investitori istituzionali, per un confronto sulle linee strategiche di gestione, nel rispetto della disciplina delle informazioni privilegiate».


14. L’assemblea nelle società quotate: proposte di riforma

Da tempo si osserva da più parti che l’assemblea nelle società quotate rischia di svilirsi in un inutile rito. In realtà i segnali di cambiamento, in sede sovranazionale ed interna, non sono irrilevanti. Dalla evoluzione della Direttiva Shareholders’Rights alla disciplina dell’infor­mativa preassembleare un processo di razionalizzazione è avviato. Il punto critico che permane consiste, a mio parere, nell’“egualitarismo” vigente in materia di diritto di intervento in assemblea. L’azionista minimo dispone, in base ai regolamenti assembleari, del medesimo spatium temporis del socio detentore di partecipazioni qualificate, socio di controllo o investitore istituzionale. La realtà dimostra − purtroppo − che la qualità e significatività degli interventi è, di regola, direttamente proporzionale alla rilevanza della partecipazione. Un’attenta analisi empirica sulle prime 10 società italiane non assoggettate a controllo di diritto e sulle prime 10 assoggettate a controllo di diritto, con riferimento alle assemblee di bilancio 2013, ha dimostrato che i soci rilevanti e gli investitori qualificati non colgono l’occasione dell’assemblea per manifestare la propria posizione sulla policy gestionale delle società: l’assemblea rimane terreno elettivo di azionisti individuali e, al più, di rappresentanti di associazioni di azionisti per manifestare «il proprio parere (generalmente negativo) sulla conduzione della società» [[25]]. Come ho già avuto modo di sostenere [[26]], si dovrebbe allora prevedere che, anche in materia di diritto di intervento in assemblea, è legittimo graduare il dritto di partecipazione in misura proporzionale alla quota azionaria posseduta. Si potrebbe, ad esempio, consentire, con una norma espressa, di introdurre clausole statutarie che consentano di subordinare il diritto di intervento ad un possesso azionario minimo e di regolarlo, sopra la soglia, a scaglioni attraverso il regolamento assembleare. Analogamente è stato proposto di subordinare «il diritto di partecipazione alla discussione» «al raggiungimento (anche da parte di più azionisti insieme) di una determinata soglia, pari a quella richiesta per le impugnazioni delle deliberazioni [continua ..]


15. Una recente critica e una replica

In un articolo di recente pubblicazione [[28]] dal titolo accattivante Tersite in assemblea? Marco Spolidoro critica infatti la proposta da me recentemente formulata, che riprende anche un intervento di Mario Notari in un convegno del 2013 [[29]], per la graduazione del diritto di intervento in assemblea e cioè la attribuzione del diritto di intervento in termini proporzionati al possesso azionario [[30]]. Preciso che la proposta da me formulata prevede anche di distinguere due fasi dell’assemblea – la prima aperta a tutti ma con diritto di intervento riservato agli investitori istituzionali e agli azionisti qualificati, la seconda a tutti gli azionisti – e di istituzionalizzare incontri intermedi tra azionisti rilevanti e management. In sintesi le critiche di Spolidoro possono così sintetizzarsi: (i) la limitazione del diritto di intervento è – se ho ben compreso – compressione di un diritto fondamentale di “espressione”; (ii) gli investitori istituzionali non partecipano all’assemblea perché o ricorrono alla Wall Street Rule o al mero voto contrario o a pressioni extra assembleari; (iii) tutta la questione si risolve nel “polso del presidente”; (iv) il diritto di intervento è espressione dell’attività in comune, dello scopo comune anche con valore etico. Gli argomenti di critica non mi paiono convincenti. In sintesi, per le seguenti ragioni. (i) il diritto di intervento di Tersite è stato limitato anche nel diritto costituzionale che non si fonda più, da tempo, sulla ἀγορά ma sulla democrazia rappresentativa; (ii) l’equiparazione tra democrazia politica e democrazia societaria, come tra i molti ci ha dimostrato Galgano, è del tutta impropria; (iii) il diritto di intervento in assemblea è già disciplinato sia in base ai principi – il diritto del singolo non può conculcare il diritto di tutti gli altri azionisti – sia in base ai regolamenti assembleari che fissano un tempo contingentato; (iv) in fondo si tratta di una questione di policy: o si vuole mantenere un rito curiale e obsoleto ed allora si può mantenere lo status quo o si vuole rivitalizzare l’assemblea ed allora qualche intervento [continua ..]


16. Il dialogo tra amministratori e investitori: un’area da esplorare

Come si è accennato il dialogo tra amministratori e investitori istituzionali è uno dei temi cruciali del funzionamento dei mercati finanziari [[31]]. Infatti la prospettiva long-term che caratterizza l’epoca successiva al periodo dello shareholder value, favorita dalla prassi e dalla legislazione, la conseguente necessità di forme più intense di verifica delle policies delle società quotate e di confronto più frequente tra le parti in gioco, sollevano delicati problemi, proprio in tema di informazione, che richiedono un particolare approfondimento. La direttiva MAR sugli abusi di mercato «non vieta discussioni di carattere» (però) «generale riguardanti l’evoluzione societaria e di mercato tra azionisti e dirigenza» (cfr. Considerando n. 19), così come la SEC consente espressamente la divulgazione di informazioni agli analisti ma purché non material. Tuttavia non v’è dubbio che l’individuazione del discrimen tra informazioni non meramente ripetitive di quanto espresso nei bilanci, nei prospetti e nei comunicati e informazioni price-sensitive – allora da comunicare immediatamente al mercato – è questione, quanto meno operativamente, da affrontare con attenzione. Altrettanto dicasi in merito ai rapporti tra azionista di controllo e altri azionisti. Vi è uno spazio per rapporti privilegiati? Si pensi, per scegliere un esempio paradigmatico, alle operazioni di aumento del capitale sociale o di emissione di convertible bond in cui conoscere la posizione del socio di controllo è di indiscutibile interesse per la società. Il nostro ordinamento conosce in realtà un safe-habour, anche se spesso trascurato in dottrina: l’«obbligo di riservatezza» «contrattuale» di cui all’art. 114, 4° comma, t.u.f. Ma la materia è densa di risvolti teorici e operativi complessi: la via del­l’affinamento dei codici di Corporate Governance e degli Stewardship Codes merita – a mio parere – di essere ulteriormente esplorata.


NOTE