Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Azioni e diritto di voto nella riforma delle banche popolari (di Marco Lamandini)


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SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Opportunità di un mero rinvio alla dottrina sulla riforma e qualche dato fattuale preliminare - 3.   La trasformazione obbligatoria in s.p.a. e l’adesione piena (salvo il regime transitorio) al modello ponderale per le popolari maggiori è disciplina proporzionata all’obiettivo di interesse generale perseguito? - 4. Il tetto di voto “speciale” di cui all’art. 1, 2°-bis comma della legge 24 marzo 2015, n. 33 alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia - 5. Il rapporto tra il tetto di voto “speciale” e la disciplina generale dei tetti di voto di cui all’art. 2351 c.c. - NOTE


1. Premessa

Il tema della riforma delle banche popolari, e in particolare quello della trasformazioneobbligatoria in s.p.a. per le popolari di maggiore dimensione, è divenutopurtroppo – unitamente al tema della gestione delle crisi bancarie e dell’interventopubblico in relazione allo stock di crediti in sofferenza accumulatosi nei bilancibancari a seguito della poderosa crisi economica in atto – una questione assai poco“tecnica” e molto “ideologica” o, comunque a spiccata “valenza politica”. Vorreisottrarmi del tutto a condizionamenti di quest’ultima natura e cercare viceversa diconcentrare la mia analisi su di un piano squisitamente tecnico-giuridico. In questaprospettiva la domanda che mi pongo è triplice: a) da un lato, se la trasformazione obbligatoria da cooperativa a s.p.a. al fine di favorire il ricorso al mercato del capitale di rischio, evidentemente disposta sul presupposto che l’applicazione del voto ponderale e la contendibilità del controllo fossero condizione necessaria per attrarre grandi investitori, costituisse davvero una scelta senza alternative, o comunque quella più proporzionata, considerando, da una parte, che la società azionaria, anche quotata, manifesta di recente molteplici deviazioni dal principio ponderale e di apertura alla contendibilità del controllo e, dall’altra parte, che lo statuto generale della cooperativa avrebbe consentito già un, seppur ben delimitato, ricorso al principio ponderale mediante gli strumenti di cui all’art. 2526 c.c., la cui emissione viene non a caso autorizzata ora dal 2° comma dell’art. 150-bis (come introdotto dall’art. 1, 1° comma, lett. d) della legge 24 marzo 2015. n. 33); b) dall’altro lato, se la previsione dell’art. 1, 2° comma, che prevede un singolare regime transitorio in punto di “tetto di voto” sia compatibile e in quali limiti con la giurisprudenza della CGUE in tema di diritto di stabilimento e libera circolazione dei capitali; c) infine, che tipo di relazione sussista tra il regime speciale del “tetto di voto” testé richiamato e il regime generale di cui all’art. 2351, 3° comma, c.c., reso applicabile come è noto anche alle società che fanno ricorso al mercato di rischio dal c.d. “decreto competitività” (d.l. 24 giugno 2014, n. 91 [continua ..]


2. Opportunità di un mero rinvio alla dottrina sulla riforma e qualche dato fattuale preliminare

Conviene, a me sembra, concentrarsi esclusivamente su questa, seppur articolata, domanda, dal momento che un’analisi approfondita della riforma (anche in punto di azioni e voto) è già ampiamente disponibile in letteratura 1, sicché è sufficiente fare ad essa rinvio. Del pari è possibile omettere qui una trattazione generale delle deviazioni dal principio ponderale dell’impresa azionaria e delle tecniche di isolamento della stessa dal mercato del controllo, facendo anche qui semplice rinvio all’ampia letteratura di diritto azionario che tratta dei tetti di voto, magistralmente ripercorsa e discussa assai di recente da Giuseppe Rescio 2, nonché a quella, ormai molto ampia – che riguarda un istituto concettualmente prossimo e che, come ha prima d’ora correttamente rilevato Andrea Sacchi Ginevri 3 potrebbe prestarsi ad un ampio utilizzo nell’ambito delle popolari soggette a trasformazione obbligatoria – sul voto plurimo e maggiorato 4. Per accompagnare le considerazioni che seguono può essere invece utile offrire, a mo’ di semplice introduzione fattuale al tema degli assetti proprietari e di governo, un’illustrazione sinottica di essi in relazione alle banche popolari soggette a trasformazione obbligatoria quotate (non ho rinvenuto, tuttavia, i dati di UBI Banca) e alle prime tre banche s.p.a. Questi dati di confronto sembrano interessanti dal momento che misurano tutti il grado di dispersione della proprietà e del controllo in realtà d’impresa indipendenti; e la riforma, a mio giudizio, va proprio valutata e misurata (principalmente) in relazione a tale questione. Viceversa, la forma giuridica della popolare non è – né è mai stata – ostacolo giuridicamente insormontabile a processi di acquisizione che determinassero la perdita dell’indipendenza, e con essa, della forma cooperativa della banca, beninteso ove la maggioranza dei soci fosse d’accordo con tale esito. A ciò risponde adeguatamente, dal punto di vista giuridico, l’istituto dell’OPA totalitaria condizionata alla delibera di trasformazione in s.p.a. della banca target. Ciò vale quanto dire che, in termini astratti, la necessità o opportunità della trasformazione obbligatoria non deriva, a ben vedere, tanto dalla necessità di rimuovere ostacoli legali [continua ..]


3.   La trasformazione obbligatoria in s.p.a. e l’adesione piena (salvo il regime transitorio) al modello ponderale per le popolari maggiori è disciplina proporzionata all’obiettivo di interesse generale perseguito?

Renzo Costi 9 ha prima d’ora – e, a me sembra, correttamente – osservato come la riforma dello statuto della banche popolari abbia “da un lato, incrementato gli strumenti di patrimonializzazione e di buon governo e, dall’altro lato, concesso una libertà di trasformazione in società per azioni che l’ordinamento precedente non prevedeva” e come, sotto questo angolo visuale, il giudizio sulla riforma debba essere positivo. “Più incerto invece il giudizio per quanto concerne l’obbligo imposto per legge alle grandi banche popolari di abbondare la forma cooperativa”. Qui infatti, osserva giustamente Costi, sarebbe preferibile che il confronto fra l’effi­cienza di un modello e quella di un altro fosse riservato al mercato, che dovrebbe essere in grado di espellere i modelli organizzativi inefficienti, sicché a tal fine sarebbe bastato eliminare i vincoli alla trasformazione che prevedeva il precedente testo dell’art. 31 t.u.b. Mi pare che a questa giusta osservazione se ne possano aggiungere due. a) L’impressione che la riforma abbia prescelto uno strumento forse non del tutto proporzionato rispetto all’obiettivo (dichiarato) di assicurare una maggiore capitalizzazione delle popolari maggiori sembra, anzitutto, trovare conferma nel fatto che, in un eccesso di rigidità semplificatoria ispirata verosimilmente da un (malinteso) principio di precauzione, la trasformazione obbligatoria è disposta per tutte le popolari il cui attivo superi gli 8 miliardi di Euro. Nessuna deroga è prevista per le popolari che, pur superando tale valore dell’attivo, soddisfino già pienamente tutti i requisiti prudenziali in materia di fondi propri o, quantomeno, che presentino consistenze del patrimonio di vigilanza allineate ai migliori della classe, adottandosi come riferimento quella delle banche s.p.a. Come mai? Vi sono forse preoccupazio­ni prospettiche di tenuta patrimoniale del modello che non emergono dagli stress test reiteratamente effettuati negli ultimi anni dalle autorità di vigilanza? O si è finito per “fare di tutta l’erba un fascio”? È vero che si è dichiaratamente inteso, al tempo stesso che promuovere una più agevole capitalizzazione, rimuovere le condizioni di resistenza al cambiamento nellagovernancedelle popolari rappresentate dal voto capitario: ma [continua ..]


4. Il tetto di voto “speciale” di cui all’art. 1, 2°-bis comma della legge 24 marzo 2015, n. 33 alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia

Dubbi di non minor conto mi pare possano nutrirsi in relazione alla previsione dell’art. 1, 2°-bis comma, che prevede un singolare regime transitorio in punto di “tetto di voto”. E, qui, la prima questione che si pone, a mio giudizio, attiene al se e in quali limiti tale previsione possa dirsi compatibile con la giurisprudenza della Corte giust. UE in tema di diritto di stabilimento e libera circolazione dei capitali. Quanto al diritto di stabilimento, è noto che esso può essere invocato – secondo una giurisprudenza della Corte giust. UE tanto consolidata quanto discutibile e discussa 11 – solo a fronte di partecipazioni nel capitale che “conferiscano una sicura influenza sulle decisioni della società e consentano di indirizzarne l’attività” (v. di recente Corte giust. UE, 8 novembre 2012, in causa C-244/11, Commissione/Grecia, punto 21; già prima 10 novembre 2011, in causa C-212/09, Commissione/Portogallo, punto 42 e giurisprudenza ivi citata). Quanto alla libera circolazione dei capitali, è ben noto – e lo ha utilmente ribadito, di recente, la Grande Sezione della Corte giust. UE, con la sentenza 22 ottobre 2013 nelle cause riunite da C-105/12 a C-107/12, Essent, a seguito di un rinvio pregiudiziale che si interrogava sulla compatibilità con il diritto dell’Unione (e correlativamente sul dovere di disapplicazione) di una legislazione nazionale che vieta la vendita di azioni detenuti in gestori di sistemi di distribuzione di energia elettrica (c.d. divieto di privatizzazione) – che: a) in assenza, nel t.f.e.u., di una definizione del concetto di “movimenti di capitale” ai sensi dell’art. 63, § 1, t.f.e.u., la Corte ha riconosciuto un valore indicativo alla nomenclatura dei movimenti dei capitali di cui all’allegato I della direttiva 88/361/CEE del Consiglio del 24 giugno 1988 per l’attuazione dell’art. 67 Trattato CE. La Corte ha quindi dichiarato che costituiscono movimenti di capitale ai sensi dell’art. 63, § 1, t.f.e.u., in particolare gli investimenti c.d. “diretti”, ovvero gli investimenti sotto forma di partecipazione ad un’impresa attraverso un possesso di azioni che consenta di partecipare effettivamente alla sua gestione e al suo controllo nonché gli investimenti c.d. “di portafoglio”, ovvero gli [continua ..]


5. Il rapporto tra il tetto di voto “speciale” e la disciplina generale dei tetti di voto di cui all’art. 2351 c.c.

Ciò conduce all’ultima questione: quella del rapporto tra tetto di voto “speciale” e disciplina generale di cui all’art. 2351 c.c. La norma speciale vuole e può derogare al diritto societario generale, e, in particolare, vuole e può impedire alle popolari soggette a trasformazione obbligatoria di adottare i tetti di voto ai sensi dell’art. 2351, 3° comma, c.c.? A me pare che la risposta debba essere negativa per tre concorrenti ragioni. a) Anzitutto, da quanto precede emerge come un’interpretazione comunitariamente conforme possa condurre addirittura alla stessa disapplicazione della disciplina speciale di cui all’art. 1, 2°-biscomma, con conseguente, radicale, venir meno dell’apparente paradosso di una disposizione – per dirla con le parole di Giuseppe Rescio13 – “che si presenta come autorizzativi ma che in realtà restringe sia sul piano quantitativo (rendendo inammissibile un tetto inferiore al 5%) sia sul piano temporale (sino al 26 marzo 2017) una libertà oggi riconosciuta senza limiti del genere per tutte le altre s.p.a.”. b) In secondo luogo, un’interpretazione costituzionalmente adeguatrice, ispirata al principio di uguaglianza, mi pare renda evidente l’irragionevolezza dell’even­tuale pretesa di escludere l’applicabilità per le sole ex popolari maggiori, trasformate in s.p.a., di una facoltà statutaria ampiamente riconosciuta a tutte le società per azioni, anche se fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, dall’art. 2351, 3° comma, nella sua attuale formulazione. c) In ogni caso, infine, perché ilpropriumdella disposizione transitoria di cui al­l’art. 1, 2°-bis comma, sembra doversi cogliere nelle facilitazioni deliberative 14 previste per l’inserimento di tale tetto di voto transitorio dal coordinato disposto di tale disposizione con il nuovo art. 31 t.u.b., che consente l’adozione della modifica con una maggioranza ridotta rispetto a quella prescritta per le s.p.a. per le modifiche statutarie. Sarà dunque sempre possibile alla popolare trasformata in s.p.a. adottare i tetti di voto (ivi compresi quelli che prevedono un voto parziale per categorie di azionisti, in cui i legittimati al voto subiscono il tetto in relazione alla loro appartenenza a gruppi variamente determinati: dipendenti, azionisti [continua ..]


NOTE