Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Sez. II – Osservatorio sulla corporate governance (di Matteo L. Vitali)


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SOMMARIO:

Riflessioni in tema di responsabilità degli amministratori senza deleghe - 1. Premessa. - 2. La procedimentalizzazione delle informazioni. - 3. (Segue): la clausola generale relativa al dovere di agire in modo informato. - 4. Alcune considerazioni in merito all’art. 2392 c.c. - 5. La nozione di amministratori “deleganti”. - 6. L’ampiezza dei poteri-doveri d’informativa e il ruolo dell’autonomia statutaria. - 7. Le attività valutative … - 8. (Segue): … e quelle di esame. - 9. La «prevedibile evoluzione» del generale andamento della gestione e le «operazioni di maggior rilievo». - 10. L’applicazione della business judgement rule agli amministratori senza deleghe. - 11. Norme di rango primario e loro rapporto con la regolamentazione di settori (vigilati) nella determinazione dei criteri di valutazione della responsabilità degli amministratori deleganti. - 12. Cenni in merito ai doveri e alle responsabilità dei deleganti nella società a responsabilità limitata. - NOTE


Riflessioni in tema di responsabilità degli amministratori senza deleghe

1. Premessa.

Il tema dei doveri e della responsabilità degli amministratori senza deleghe di società di capitali coinvolge uno degli ambiti della corporate governance maggiormente incisi dalla riforma societaria e ancora caratterizzato, a oltre dieci anni dall’intervento riformatore, da incertezze applicative. Il nuovo quadro normativo di riferimento (artt. 2381, 2391 e 2392 c.c.; art. 2476, 1° comma, c.c.) porta infatti con sé varie implicazioni, sotto diversi punti di vista: oltre a quello (scontato) dell’interpretazione delle nuove regole, rilevano anche gli aspetti concernenti il loro impatto sistematico e il rapporto tra le disposizioni (ora decisamente differenziate) contemplate per società per azioni e a responsabilità limitata [2]. L’interesse per, e la complessità di, questi profili – con riguardo ai quali in letteratura si sono registrati approcci differenziati e orientamenti spesso contrapposti [3] – discende sia dall’evoluzione che, proprio in ragione delle modifiche intervenute, ha subito il regime dei doveri e della responsabilità degli amministratori con riguardo alla formulazione delle regole e (anche) alle tecniche adottate per disciplinare il fenomeno; sia dal coinvolgimento di aspetti attinenti alla dimensione delle scienze aziendalistiche. Tale ultimo profilo, in particolare, emerge nitidamente considerando lo stretto legame che si è venuto instaurando tra le nuove disposizioni (soprattutto della s.p.a.) e profili, come quello dell’organizzazione societaria, che assumono sempre maggior rilevanza anche nell’ottica di prevenzione delle crisi da parte dei gestori [4]. Di questo vi sono evidenze, in generale, con riguardo al “gioco” di pesi e contrappesi con cui le norme dedicate alla composizione dell’organo di gestione – e, in particolare, quelle contemplate dall’art. 2381 c.c. – consentono una precisa ripartizione di ruoli e una definita allocazione delle funzioni, distinguendo tra quelli strettamente gestionali e quelli propriamente di monitoraggio (duty to monitor) [5], come confermato tra l’altro dal dato normativo nella distinzione tra materie delegabili e non [6]; nonché, in particolare, con riferimento alla centralità assunta dai diversi “assetti” che caratterizzano l’impresa esercitata in forma societaria e, quanto alla s.p.a., [continua ..]


2. La procedimentalizzazione delle informazioni.

Nell’ambito del regime di amministrazione pluripersonale della società per azioni, l’art. 2381 c.c. contempla l’articolazione dei rapporti intra-organici, con particolare riguardo alle posizioni soggettive in capo ai componenti del consiglio di amministrazione (3° comma), agli amministratori delegati (5° comma), oltre che al presidente (1° comma) [15] e detta le regole relative alla circolazione delle informazioni all’interno dell’organo gestorio [16]. Sotto il primo profilo, le previsioni dell’art. 2381 c.c. contribuiscono a qualificare il sistema di flussi informativi attraverso: la definizione di ruoli (presidente, amministratori delegati e, genericamente, consiglio di amministrazione); l’indivi­dua­zione delle rispettive posizioni giuridiche soggettive (da intendersi, secondo le ricostruzioni più convincenti, in termini di doveri o, meglio, di poteri-doveri) [17]; la specificazione dei rispettivi obblighi e delle competenze (con particolare riferimento ai limiti di “modulazione” delle delega e alla determinazione delle materie riservate al consiglio: cfr. art. 2381, 4° comma, c.c.); la previsione, infine, di un “arsenale”, differenziato e progressivamente più intenso, di strumenti per incidere sul modello della delega (determinazione dei suoi contenuti, delle modalità di esercizio, potere di impartire istruzioni e di avocare operazioni oggetto di delega) che risulta funzionale a confermare, da una parte, la natura “derivata” della delega rispetto al consiglio di amministrazione e a sottolineare, dall’altra parte, il ruolo necessariamente attivo che è ora richiesto in capo ai deleganti nei confronti dei delegati. Quanto al modello informativo – che finisce per caratterizzare, trasversalmente, tutte le prescrizioni dell’art. 2381 c.c. – va rilevato che, accanto al dovere generale di «agire in modo informato» (6° comma), è stato disegnato un assetto che consente di enucleare tre diverse prospettive che devono assumere gli amministratori, in ragione del loro concreto ruolo e in funzione di situazioni specifiche, per adempiere diligentemente la prestazione alla quale sono tenuti: l’informare (prospettiva propria dei delegati); l’informarsi (quanto al consiglio di amministrazione e, quindi, anche ai deleganti); il far informare (con riferimento al [continua ..]


3. (Segue): la clausola generale relativa al dovere di agire in modo informato.

La previsione del 6° comma dell’art. 2381 c.c. – segnando il passaggio dal sistema fondato sul dovere di vigilare sul generale andamento della gestione (così, l’art. 2392 c.c. ante riforma) all’attuale modello dell’azione informata – consente di cogliere i tratti caratterizzanti il nuovo regime dei doveri degli amministratori privi di deleghe prescritto, nel dettaglio dalle altre disposizioni della medesima norma (e, in particolare, dalle regole contenute nel 3° comma). Sotto questo profilo, infatti, la clausola di chiusura riveste una significativa portata sistematica e ben si presta, a mio avviso, a essere utilizzata quale “chiave di lettura” per interpretare le altre prescrizioni contenute nell’art. 2381 c.c.: l’una e le altre, infatti, si specificano a vicenda, acquistando in questo modo di contenuto. In effetti, le nuove regole sono formulate su un impianto normativo del tutto nuovo diretto a disciplinare la circolazione delle informazioni sotto vari profili; attraverso specifiche prescrizioni vengono infatti individuate le fonti informative, specificati i destinatari e determinata, infine, la scansione temporale (art. 2381, 5° comma, c.c.) con cui i flussi informativi devono essere scambiati tra i componenti del consiglio di amministrazione. Da questo punto di vista, diviene allora del tutto secondario soffermarsi sul raffronto tra il regime vigente e quello ante riforma. Sebbene quest’ultimo sia ancor oggi invocato da alcuni quale parametro per interpretare le previsioni del vigente modello e per valutarne le “ricadute” in termini di responsabilità degli amministratori deleganti, ritengo che tale esercizio – se non effettuato dando il giusto rilievo alla portata della clausola generale di cui al 6° comma dell’art. 2381 c.c. – possa ridursi (solamente) a un giudizio in termini di maggiore, o di minore, rigidità (rectius: severità) rispetto all’originario regime [24], precludendo un’analisi di più ampio respiro delle nuove previsioni e l’individuazione dei tratti salienti che caratterizzano i profili qui presi in esame. Piuttosto, le differenze tra i due regimi si possono riscontrare da altri punti di vista. Se, infatti, da una parte, si è sostituita una clausola generale (ossia il dovere di vigilare sull’andamento della gestione), con un’altra (l’agire [continua ..]


4. Alcune considerazioni in merito all’art. 2392 c.c.

Nell’ottica della posizione degli amministratori privi di deleghe, le considerazioni che precedono assumono consistenza se (anche) rapportate al regime della responsabilità. Il primo profilo rilevante, da questo punto di vista, riguarda l’eliminazione del “… vero punto focale della definizione degli amministratori non investiti di poteri delegati”, ossia il dovere di vigilanza “sul generale andamento della gestione”, secondo una formula che veniva condivisibilmente riferita (solamente) agli “aspetti salienti della gestione” – in ragione del possibile aggravarsi della posizione dei deleganti sulla base di sue letture più estensive [28] – e che, per una parte della dottrina, permane ancora oggi implicitamente contemplata tra le trame della norma [29]. La posizione degli amministratori privi di deleghe rileva altresì con riguardo alla previsione riguardante il grado di diligenza, i confini della cui nozione sono ora condizionati dall’abbandono del riferimento a quella del mandatario e dal riferimento espresso a due nuovi criteri di valutazione della condotta – da combinarsi tra loro – e pertinenti, rispettivamente, alla sfera oggettiva e soggettiva: la «natura del­l’incarico e [le] specifiche competenze». In via generale, con riferimento alla «diligenza» – e senza addentrarsi in riflessioni circa la sua “composizione” (nel difficile bilanciamento tra il profilo della perizia e quello della prudenza) – riterrei che – a maggior ragione in relazione agli amministratori deleganti – l’espressione debba essere letta in controluce con le disposizioni dell’art. 2381 c.c. Piuttosto che collegarla al concetto di «capacità tecniche», dunque, essa dovrebbe più correttamente intendersi come riferita alle modalità di corretta assunzione delle decisioni e, quindi, nel caso in osservazione, sulla base del maggior numero di (pertinenti) informazioni acquisite nel rispetto delle prescrizioni della norma da ultima richiamata [30]. Con specifico riferimento alla «natura dell’incarico», è evidente la necessità di distinguere, al fine di valutarne la responsabilità, i ruoli di volta in volta assunti dagli amministratori all’interno dell’organizzazione: questi ultimi sono da intendersi riferiti [continua ..]


5. La nozione di amministratori “deleganti”.

Vale la pena occuparsi anche del profilo relativo all’identificazione dei destinatari dei precetti previsti dal terzo e dal 6° comma dell’art. 2381 c.c.: chi sono infatti i deleganti dei cui doveri e responsabilità ci si occupa [36]? Il quesito pare legittimato alla luce del fatto che le disposizioni di riferimento non si riferiscono mai direttamente a (organi o soggetti) deleganti, bensì esclusivamente (e genericamente) agli «amministratori», oppure al «consiglio di amministrazione». Ciò richiede, pertanto, che la nozione di amministratore «delegante» si debba trarre – per “differenza” e sotto il profilo funzionale – dal dato normativo e, in particolare, dall’art. 2381 c.c.: ciò consente di poter considerare tale esclusivamente il membro del consiglio di amministrazione che non risulti destinatario di deleghe, o di incarichi specifici – essendo tuttavia possibile riconoscerlo quale titolare di particolari funzioni, aventi rilievo organizzativo e interno al consiglio di amministrazione (come nel caso, ad esempio, in cui l’amministratore sia dotato di poteri propositivi per favorire le dinamiche dei lavori all’interno del consiglio) – e che, al contempo, non faccia parte dell’organo collegiale delegato [37]. Quest’ultima precisazione pare opportuna al fine di sgombrare il campo dal possibile equivoco di una sovrapposizione dei deleganti con amministratori titolari di altri ruoli o funzioni, anche tenendo conto di quanto emerge dalla c.d. soft law e, in particolare, dal Codice di Autodisciplina che – nell’ambito dei Criteri Applicativi dell’art. 2 dedicato alla composizione del consiglio di amministrazione (cfr. Art. 2-2.C.1) – prevede che possano essere qualificati come amministratori esecutivi anche amministratori che, pur senza esserlo di fatto, facciano parte del comitato esecutivo dell’emittente [38]. Il contorno della nozione di “delegante” si definisce ancora più nettamente precisando che non vi è un rapporto bi-univoco con la qualificazione di amministratore “indipendente”, nel senso che – anche nelle società “aperte” (e, in particolare, in quelle con azioni quotate) – gli amministratori deleganti non necessariamente devono, ma eventualmente possono, rivestire tale qualifica – sia con [continua ..]


6. L’ampiezza dei poteri-doveri d’informativa e il ruolo dell’autonomia statutaria.

La determinazione dei confini della clausola generale dell’«agire in modo informato» è oggetto di vivaci discussioni in dottrina. Sul punto, si possono individuare tre differenti orientamenti che prendono l’avvio da altrettanti angoli visuali. Secondo alcuni autori – che focalizzano la loro attenzione sul profilo della frequenza dei flussi informativi – il dovere generale di agire in modo informato prescrive l’instaurazione di un flusso informativo continuo tra i deleganti e i delegati: in tale senso, il 6° comma sarebbe posto a presidio e chiusura del sistema per “catturare” al proprio interno tutte quelle fattispecie, relative allo scambio di informazioni, previste dal primo, dal terzo e dal 5° comma dell’art. 2381 c.c. [41]. A mio avviso, si tratta di una tesi che se, da una parte, ha il pregio di valorizzare la portata della clausola generale, dall’altra parte, rischia tuttavia di contribuire – nella fase applicativa – a giustificare l’adozione di un criterio oggettivo nella valutazione della responsabilità dei deleganti sortendo effetti del tutto analoghi a quelli registrati in vigenza dell’obbligo di vigilare sul generale andamento della gestione (laddove, peraltro, era comunque previsto un meccanismo di mitigazione al dovere di vigilanza consistente nell’espresso riferimento al solo «andamento generale»). Essa, infine, non sembra tenere nel dovuto conto l’inconciliabilità tra l’effettiva attività degli amministratori senza deleghe (non coinvolti nella vita societaria a tempo pieno) e la richiesta di flussi informativi continui con gli amministratori delegati; flussi che, per di più – e nel migliore dei casi – potrebbero tradursi in un onere per questi ultimi (e, quindi, in un intralcio all’attività gestionale), ovvero in un costo per la società, a seconda della prospettiva a cui si abbia riguardo. Altra parte della dottrina ha invece privilegiato il profilo relativo al perimetro del dovere informativo: secondo tale orientamento infatti gli amministratori senza deleghe sarebbero tenuti a informarsi – sollecitando pertanto i flussi informativi dai delegati – solo qualora ciò risultasse funzionale a un’attività oggetto di attribuzione delegata e strumentale all’adempimento dei doveri a cui sono tenuti i deleganti. [continua ..]


7. Le attività valutative …

Alcune rilevanti questioni si pongono anche con riguardo all’interpretazione delle prescrizioni contenute nel 3° comma dell’art. 2381 c.c.: si tratta in particolare di soffermarsi sul significato di alcune espressioni contemplate nella disposizione, in quanto (anche) da esse dipende la determinazione dei doveri (e quindi della responsabilità) dei deleganti. A questo riguardo, è dunque legittimo chiedersi cosa significhi valutare l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile sulla base delle informazioni ricevute [57]; esaminare i piani strategici, industriali e finanziari, quando elaborati; e, ancora, valutare il generale andamento della gestione sulla base della relazione degli organi delegati [58]. Ci si deve inoltre interrogare in merito al ricorso a tali richiamate espressioni quali sinonimi [59], oppure circa la possibilità di valorizzarne le differenze sino a ritenere eventualmente implicito – perlomeno con riguardo all’attività di esame – il riferimento a(lla necessaria formalizzazione di) una manifestazione di volontà degli amministratori. Innanzitutto, mi pare che sia il tenore della norma, sia una sua lettura sistematica escludano che la valutazione si possa tradurre nell’assunzione di una formale delibera da parte del consiglio di amministrazione rispetto all’adozione di determinati assetti organizzativi e all’approvazione dei piani [60]. Ciò non significa, tuttavia, che gli amministratori deleganti non debbano “lasciare traccia”, nel verbale consigliare, delle proprie considerazioni valutative, in quanto ciò sarà indispensabile per ricostruire il percorso logico-argomentativo caratterizzante la loro attività di disamina e, quindi, anche per valutare la loro eventuale responsabilità nel caso in cui, ad esempio, nell’ambito di tale attività, siano sorti dubbi in capo ad essi in relazione all’adeguatezza degli assetti e, a ciò, non abbia poi fatto seguito una richiesta di informativa ai delegati. La “valutazione” si traduce, infatti, in un’attività complessa che non può limitarsi a una mera presa d’atto della situazione rappresentata dai delegati in relazione agli assetti. Tale complessità discende da diversi elementi che contribuiscono a caratterizzare l’attività a cui sono [continua ..]


8. (Segue): … e quelle di esame.

Oltre alle attività valutative, l’art. 2381, 3° comma, c.c. prescrive anche l’esame, da parte dei deleganti, di piani strategici, industriali e finanziari della società; l’attività dei deleganti, tuttavia, è in questo caso solo eventuale, essendo subordinata alla circostanza che i delegati li abbiano effettivamente predisposti. In altri termini, il tenore della norma è chiaro nel riconoscere in capo agli amministratori delegati la discrezionalità circa l’elaborazione di tali documenti e, in capo ai deleganti, il potere-dovere di prenderli in esame qualora essi siano stati effettivamente formulati. Anche in questo caso, si pongono tuttavia alcuni problemi individuabili, in prima battuta, nella determinazione della condotta a cui sono tenuti i deleganti nel caso in cui i piani non siano elaborati; e, in secondo luogo, nell’individuazione della portata dell’attività di esame prescritta dalla norma. Quanto al primo aspetto, riterrei che gli amministratori deleganti (i) non possono in alcun modo sostituirsi ai delegati nell’elaborazione dei piani e, in caso di omissione nella loro elaborazione, non possano essere ritenuti responsabili ad alcun titolo per tale circostanza; (ii) debbano invece attivarsi, sollecitando informazioni o, addirittura, richiedendo espressamente – e tramite il presidente – la formulazione dei piani sia quando (a) la loro predisposizione risulti funzionale al corretto esercizio delle altre attività di valutazione a cui sono chiamati e, in particolare, a quelle aventi a oggetto il generale andamento della gestione; sia qualora (b) ritengano necessario un livello minimo di formalizzazione dei piani: il che potrà accadere ad esempio con riguardo alle società quotate, di grandi dimensioni, o semplicemente caratterizzate da un’organizzazione complessa. In altri termini, riterrei che i deleganti abbiano il dovere di attivarsi ogni qual volta ritengano necessaria la predisposizione dei piani sia sotto il profilo della loro strumentalità rispetto al perseguimento dell’oggetto sociale e all’assetto della società, sia in ragione della loro utilità per l’assunzione di altre informazioni di cui i deleganti risultano destinatari (i piani strategici potrebbe ad esempio essere idonei a mettere i deleganti a conoscenza di aspetti relativi all’evoluzione della gestione o [continua ..]


9. La «prevedibile evoluzione» del generale andamento della gestione e le «operazioni di maggior rilievo».

Mentre il 3° comma dell’art. 2381 c.c. prevede – in sintonia con il 5° comma – che i deleganti siano destinatari di informazioni sul «generale andamento della gestione», non è possibile riscontrare analoga simmetria con riguardo alla «prevedibile evoluzione» della gestione e alle «operazioni di maggior rilievo» per dimensioni o caratteristiche con riguardo sia alla società sia alle controllate (art. 2381, 5° comma, c.c.) [68]. Queste ultime informazioni, infatti, sono oggetto di prescrizioni applicabili ai soli amministratori delegati e – non comparendo nella lettera del 3° comma – potrebbe ritenersi dubbio che, rispetto ad esse, i deleganti debbano tenere quel comportamento “attivo” che si è visto caratterizzare le disposizioni ad essi destinate. In altri termini, delle informazioni relative all’evoluzione della gestione e alle operazioni più rilevanti i deleganti risulterebbero – se si adottasse un’interpretazione letterale delle disposizioni – esclusivamente destinatari ma non “valutatori”. Le opinioni registratesi sul punto da parte della dottrina sono diversificate. Mentre alcuni autori enfatizzano l’asimmetria tra le due disposizioni mettendone in luce il difetto di coordinamento [69], per altri la violazione di tale dovere da parte dei delegati non comporterebbe alcuna responsabilità in capo ai deleganti: secondo tale orientamento, dunque, l’asimmetria delle due disposizioni risulterebbe giustificata dal diverso ruolo riconosciuto agli uni e agli altri con la conseguenza che solamente gli amministratori delegati potrebbero essere ritenuti responsabili – quanto all’evoluzione della gestione – per eventuali valutazioni prospettiche ritenute positive e poi non rivelatesi tali e – con riguardo alle operazioni di rilievo – in ragione del ruolo di amministratori muniti di delega (e in dipendenza del contenuto di quest’ultima) in forza dell’autonomia e discrezionalità nell’assunzione di decisioni imprenditoriali [70]. Ciò detto, propenderei, sul punto, per un’altra tesi ancora, in quanto tiene conto sia del dato letterale (e, in particolare, del riferimento al «generale andamento della gestione»), sia di una lettura sistematica tra il terzo e il 5° comma dell’art. 2381 c.c., [continua ..]


10. L’applicazione della business judgement rule agli amministratori senza deleghe.

Sotto il profilo della valutazione della condotta degli amministratori privi di deleghe, meritano ancora un cenno due questioni, la prima delle quali – per il cui inquadramento non posso che rinviare alle trattazioni sistematiche dedicate al tema [78] – riguarda l’applicazione nei loro confronti della business judgement rule. In via generale, il principio di insindacabilità del merito delle scelte gestorie in cui, in definitiva, si può cogliere l’essenza della regola giurisprudenziale americana [79], presenta “sfaccettature” tali da rendere problematica l’individuazione dei suoi elementi caratteristici – quanto meno quando se ne verifica la compatibilità e la portata con le regole dell’ordinamento interno [80] – nonché, a maggior ragione, la sua applicazione agli amministratori privi di deleghe. Qualora, infatti, si prenda in esame l’applicazione della business judgement rule alla figura degli amministratori senza deleghe – collegandone i principi ai doveri di cui essi sono destinatari (sotto il profilo della valutazione dei flussi informativi e delle loro modalità di acquisizione) e al rapporto tra il modello “organizzativo” della delega e il regime della responsabilità ex art. 2392 c.c. – allora, la questione si fa decisamente più complessa. In effetti, non vi è uniformità di vedute sul punto. Vi è infatti chi nega che la business judgement rule possa trovare spazio nei confronti di amministratori privi di deleghe, in ragione del fatto che lo spazio di discrezionalità gestionale riconosciuto in capo ad essi, e che ne potrebbe giustificare l’applicazione, sarebbe piuttosto ristretto (e ciò, essenzialmente, in conseguenza della prescrizione di condotte specifiche da parte dell’art. 2381 c.c., con particolare riguardo al dettaglio delle norme che regolano le modalità con cui le informazioni possono, e devono, essere ottenute dai deleganti; nonché alla portata delle attività di esame/valutazione che sulla base di queste ultime i deleganti sono tenuti a compiere) [81]. Un’altra corrente di pensiero, invece, reputa applicabile la business judgement rule anche nei confronti dei deleganti, alla luce della nuova dimensione “soggettiva” che, specialmente dopo la riforma, caratterizza il regime di responsabilità [continua ..]


11. Norme di rango primario e loro rapporto con la regolamentazione di settori (vigilati) nella determinazione dei criteri di valutazione della responsabilità degli amministratori deleganti.

La seconda questione rispetto alla quale mi sono proposto di fare almeno un cenno riguarda la valutazione della responsabilità di soggetti che rivestano la carica di amministratori privi di deleghe in settori in cui – venendo generalmente in rilievo anche interessi di natura pubblica – l’ordinamento ha previsto non solo il presidio di autorità indipendenti ma anche quello, riconosciuto in capo a queste ultime, di regolamentare il settore a esse affidato; il che dà vita, di volta in volta, a un corpus di norme di rango secondario il cui rapporto con le fonti primarie non è sempre chiarissimo e che, talora, non risulta pacificamente conciliabile con queste ultime (diritto societario comune o disciplina speciale di riferimento). Se, in generale, tali elementi contribuiscono a generare complessità dal punto interpretativo e applicativo, uno degli ambiti in cui le criticità possono emergere con maggior decisione mi sembra rappresentato proprio dalla definizione del regime di responsabilità degli amministratori senza deleghe con particolare riguardo agli obblighi di vigilanza e al profilo della gestione del rischio [89]. Tale conclusione mi parrebbe confermata sia dall’attenzione che la questione ha recentemente ricevuto da parte della dottrina straniera [90] sia, quanto al regime interno, dalla portata di alcune pronunce (di legittimità) che hanno affrontato tale aspetto del problema (e su cui immeditamente infra). Il profilo – che meriterebbe uno spazio ben più ampio di quello che è possibile accordargli in questa sede – riguarda, in particolare, l’individuazione dei limiti oltre ai quale la normativa secondaria – con riferimento al suo grado di dettaglio e alla sua coerenza sistematica con le fonti primarie – non possa spingersi oltre. Vi è infatti l’evidente rischio di travalicare l’obiettivo primario dell’integrazione del modello di responsabilità e di giungere a derogare il regime di diritto comune e della disciplina speciale di fonte primaria. A questo riguardo, ritengo che una delle possibili angolazioni da cui esaminare il fenomeno possa consistere nell’esame degli effetti della disciplina secondaria rispetto alla valutazione della responsabilità degli amministratori privi di deleghe: ciò potrebbe, in particolare, consentire di comprendere se la maggiore [continua ..]


12. Cenni in merito ai doveri e alle responsabilità dei deleganti nella società a responsabilità limitata.

Meno sofisticato sotto il profilo dell’articolazione delle disposizioni normative, ma affatto semplice da decifrare, è il sistema di responsabilità contemplato per gli amministratori dalle regole dettate per la società a responsabilità limitata [99]. Tale modello – che prescinde da qualsivoglia riferimento alla diligenza professionale – si compone delle prescrizioni dell’art. 2476, 1° comma, c.c. con la previsione della responsabilità solidale degli amministratori nei confronti della società per «i danni derivanti dall’inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo per l’amministrazione della società», fatta salva in ogni caso la dimostrazione di essere esenti da colpa e la possibilità di far constare il proprio dissenso [100]; nonché di quanto previsto dall’art. 2475, 1° e 2° comma, c.c. ai sensi del quale se la gestione è affidata a più persone il modello legale è quello del consiglio di amministrazione (cfr. 3° comma) [101]. Pare evidente che le regole dettate per la s.r.l. si atteggino in termini (almeno parzialmente) diversi – ponendo a loro volta distinte questioni interpretative – rispetto al regime contemplato per la s.p.a. Ciò in quanto: (i) non vi è alcun riferimento a specifici parametri sulla base dei quali valutare la responsabilità degli amministratori mancando riferimenti a competenze o incarichi ricoperti all’interno della società; (ii) manca qualsiasi prescrizione che detti agli amministratori criteri relativi alla loro modalità di agire, non essendovi tra l’altro alcun richiamo al dovere di agire in modo informato; (iii) la responsabilità degli amministratori viene attenuata attraverso la previsione di meccanismi assimilabili (ma non del tutto coincidenti) con quelli contemplati dall’art. 2392 c.c. (in particolare: dimostrazione di essere esenti da colpa supportata dalla (sola) manifestazione del proprio dissenso in dipendenza della conoscenza della prossima esecuzione dell’atto dannoso); (iv) non vengono espressamente prescritti doveri di intervento finalizzati alla rimozione degli atti e/o eventi dannosi; così come (v) meccanismi di esclusione e/o di attenuazione della responsabilità solidale analoghi a quelli discendenti dalle [continua ..]


NOTE