Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Il divieto di interlocking nel Decreto Salva Italia. Analisi normativa e criteri per l'applicazione (di Susanna Brugnoli)


SOMMARIO:

1. Introduzione. - 2. Le ragioni della nascita di un interlocking directorate. - 3. La disciplina del cumulo di cariche prima del Decreto Salva Italia. - 4. Il “Decreto Salva Italia”. - 4.1. I destinatari del divieto. - 4.2. La nozione di controllo, concorrenza e mercato rilevante. - 4.3. Decadenza dalle cariche e ruolo dell’AGCM. - 5. La prima applicazione del divieto di interlocking. - 6. Critiche all’art. 36. - 7. Gli interlocking directorates, le quote di genere, gli amministratori indi­pendenti: eccessive limitazioni all’autonomia privata nelle società quotate? - NOTE


1. Introduzione.

L’art. 36 del c.d. “Decreto Salva – Italia” (d.l. n. 201/2011, poi convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214), ha introdotto nell’ordi­namento italiano un esplicito divieto di interlocking. Un interlocking directorate può essere definito come il legame personale che si instaura tra due imprese nel momento in cui l’amministratore di una sieda anche nel consiglio di amministrazione dell’altra [1]. Legami di tale tipo possono presentarsi come orizzontali o verticali, a seconda che le imprese interlocked operino o meno ad un medesimo livello sul mercato [2]. L’art. 36 del Decreto Salva Italia è stato emanato per tutelare la concorrenza nei mercati del credito e finanziari. Le preoccupazioni in merito alla situazione concorrenziale in tali settori erano state portate all’attenzione pubblica dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) all’esito dell’Indagine Conoscitiva sulla corporate governance di banche e compagnie di assicurazione attive in Italia, nota come IC36 [3]. Tale indagine aveva evidenziato come più dell’80% dei gruppi esaminati (pari al 96% dell’attivo globale del campione analizzato) [4] presentassero al loro interno legami riconducibili alla tipologia degli interlocking directorates. E la situazione era aggravata dal fatto che ai legami personali si accompagnavano anche legami azionari, e questa rete di intrecci rendeva il mercato finanziario italiano una sorta di “foresta pietrificata” [5].


2. Le ragioni della nascita di un interlocking directorate.

Effettivamente un interlocking directorate può costituire uno strumento idoneo a falsare il gioco della concorrenza sul mercato almeno sotto due profili[6]: in primis, la condivisione di amministratori tra due società concorrenti crea un canale informale di comunicazione tra queste ultime (canale costituito appunto dall’amministratore interlocked), attraverso il quale le imprese possono venire reciprocamente a conoscenza di informazioni riservate e sensibili sulle strategie dell’impresa competitor, e in questo modo può essere facilitato il raggiungimento ed il mantenimento di un accordo limitativo della concorrenza. In secondo luogo, l’amministratore interlocked è legato da un vincolo fiduciario a ciascuna delle società nelle quali riveste l’incarico direttivo. Questo vincolo, unito all’intero set informativo a sua disposizione, fa sì che l’amministratore agisca in maniera sub ottimale, nel tentativo di non arrecare un pregiudizio ad alcuna delle due società. Ma non è solo un intento collusivo che spinge a creare legami personali tra società concorrenti. Tra le principali ragioni alla base di interconnessioni di tal genere vi sono anche [7]: – cooptazione; – controllo; – legittimazione. Riguardo alla cooptazione, essa viene vista come “un processo di assorbimento di nuovi elementi nella direzione o nella struttura che determinano la politica di un’organizzazione, come mezzo per prevenire minacce alla sua stabilità o alla sua esistenza” [8]. Gli interlocking directorates costituirebbero un utile strumento per realizzare forme di cooptazione, che sarebbero funzionali per eliminare le minacce esterne. Quanto invece al controllo [9], attraverso il canale creato dagli interlocking directorates, i creditori disporrebbero di un ulteriore mezzo particolarmente efficace per controllare come vengano utilizzati i finanziamenti concessi ai loro debitori. Il terzo punto che spingerebbe alla interconnessione nei consigli di amministrazione delle aziende, è quello della legittimazione: gli interlocking directorates verrebbero creati per inserire all’interno della società i manager con le migliori competenze sul mercato, la cui presenza nel consiglio potrebbe aumentare il prestigio della società sul mercato stesso, ed “influenzare la percezione circa la [continua ..]


3. La disciplina del cumulo di cariche prima del Decreto Salva Italia.

Il fenomeno del cumulo di cariche era disciplinato nell’ordinamento italiano già prima dell’emanazione del “Decreto Salva Italia” da norme di varia fonte. Innanzitutto, dall’art. 2390, c.c. La norma, rubricata “Divieto di concorrenza”, ha assunto per lungo tempo la funzione di limite a situazioni che avrebbero potuto portare a conflitti di interessi e a distogliere l’amministratore dal suo obiettivo principale, cioè l’interesse della società. L’articolo ad oggi dispone che «gli amministratori non possono assumere la qualità di soci illimitatamente responsabili in società concorrenti, né esercitare un’attività concorrente per conto proprio o di terzi, né essere amministratori o direttori generali in società concorrenti, salvo autorizzazione dell’assemblea. Per l’i­nos­servanza di tale divieto l’amministratore può essere revocato dall’ufficio e risponde dei danni» [11]. Affermare che il 2390 fosse uno strumento pienamente efficace per limitare il fenomeno del cumulo di cariche, non è però possibile, per due motivi: – la disposizione può essere agevolmente derogata da un’autorizzazione assembleare. Si tratterebbe inoltre di una autorizzazione che “può anche essere rilasciata “in bianco” una tantum nello statuto, ed è implicita nella nomina di un consigliere che già ricopra cariche in altre società” [12]; – la finalità della norma non è comunque quella pubblicistica di tutelare la concorrenza sul mercato, ma quella di preservare il vincolo fiduciario che si crea tra la società e l’amministratore [13]. Altre disposizioni che venivano considerate idonee a limitare il fenomeno del cumulo di cariche nell’ordinamento erano l’art. 2391 c.c., l’art. 148-bis, d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (t.u.f.) e la nozione di amministratore indipendente. Anche queste norme però – come il 2390 c.c. – tutelano interessi interni [14] alla società stessa e non potevano quindi considerarsi idonee a proteggere un interesse pubblico quale la concorrenza sul mercato. L’art. 2391 c.c. impone agli amministratori di dare notizia – agli altri amministratori e al collegio sindacale – di natura, [continua ..]


4. Il “Decreto Salva Italia”.

Con l’affidamento del Governo al Professor Monti invece, il 6 dicembre 2011 è stato emanato il c.d. Decreto “Salva Italia” (d.l. n. 201/2011, poi convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214). L’art. 36 di tale decreto, rubricato “Tutela della concorrenza e partecipazioni incrociate nei mercati del credito e finanziari” ha introdotto nell’ordinamento italiano un esplicito divieto di interlocking. Esso dispone che: «1. È vietato ai titolari di cariche negli organi gestionali, di sorveglianza e di controllo, e ai funzionari di vertice di imprese o gruppi di imprese operanti nei mercati del credito, assicurativi e finanziari di assumere o esercitare analoghe cariche in imprese o gruppi di imprese concorrenti. 2. Ai fini del divieto di cui al comma 1 si intendono concorrenti le imprese o i gruppi di imprese tra i quali non vi sono rapporti di controllo ai sensi dell’art. 7, legge 10 0ttobre 1990, n. 287 e che operano nei medesimi mercati del prodotto e geografici». In sede di conversione, sono stati aggiunti due commi ulteriori: 2-bis. «Nell’ipotesi di cui al comma 1, i titolari di cariche incompatibili possono optare nel termine di 90 giorni dalla nomina. Decorso inutilmente tale termine, decadono da entrambe le cariche, e la decadenza è dichiarata dagli organi competenti degli organismi interessati nei trenta giorni successivi alla scadenza del termine o alla conoscenza dell’inosservanza del divieto. In caso di inerzia, la decadenza è dichiarata dall’autorità di vigilanza di settore competente. 2-ter. In sede di prima applicazione, il termine per esercitare l’opzione di cui al comma 2-bis, primo periodo, è di 120 giorni decorrenti dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto». La norma ha da subito presentato dubbi sulla sua corretta interpretazione, e in data 20 aprile 2012 un Documento Congiunto [19] emanato da Banca d’Italia, Isvap e Consob (con la partecipazione dell’AGCM) ha provveduto a risolverne alcuni. Ciò che non è mai stato messo in dubbio, è la finalità per la quale la norma è stata emanata: essa si evince dalla rubrica dell’art. 36, ed è appunto quella di tutelare (se non di promuovere) la concorrenza nei mercati del credito e finanziari. Gli interlocking directorates dunque vengono [continua ..]


4.1. I destinatari del divieto.

Il divieto è rivolto ai titolari di cariche negli organi gestionali, di sorveglianza e di controllo, e dunque ai componenti il consiglio di amministrazione e il collegio sindacale, ed eventualmente ai componenti il consiglio di sorveglianza e il consiglio di gestione. Tra i soggetti passivi dell’art. 36, la figura che ha creato più dubbi per la sua corretta identificazione è stata quella dei “funzionari di vertice”. Di certo tra essi andrebbero ricompresi i direttori generali [20], ma non era chiaro se anche altri soggetti (comunque in grado di esercitare un’influenza sulle operazioni della società) vi potessero essere inclusi. Il Documento Congiunto ha risposto definendo come funzionari di vertice i direttori generali e i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili ex art. 154-bis t.u.f. Questi ultimi devono essere obbligatoriamente previsti negli emittenti quotati che hanno l’Italia come stato membro d’origine, e la loro inclusione tra i funzionari di vertice è giustificata proprio in ragione della finalità della norma. Se infatti l’art. 36 è stato emanato per tutelare la concorrenza nei mercati del credito e finanziari, l’inclusione di questi soggetti tra quelli che sono interessati dal divieto di interlocking è giustificata dal fatto che il dirigente preposto si trova in una posizione privilegiata per poter entrare in possesso di informazioni sensibili (di carattere finanziario) [21], che potrebbero permettergli di alterare il gioco della concorrenza sul mercato. Ciò che rileva insomma non è solo il ruolo che formalmente un soggetto riveste, ma le informazioni di cui egli concretamente viene in possesso nello svolgimento delle sue funzioni, e la possibilità che lo stesso sia effettivamente in grado di incidere sulle decisioni assunte dalla società [22]. Il Documento Congiunto ha provveduto comunque a ridurre l’ampiezza della portata dell’art. 36, introducendo delle limitazioni. Per quel che concerne il profilo soggettivo, vengono ad essere escluse dal­l’am­bito di applicazione dell’art. 36 le società che svolgono «servizi accessori o strumentali, quali – ad esempio – i servizi di back office, consulenza, informazione finanziaria, recupero crediti, gestione sinistri e immobili» [23]. Dal [continua ..]


4.2. La nozione di controllo, concorrenza e mercato rilevante.

Affinché l’art. 36 possa essere applicato, tra le imprese che condividono un amministratore (o uno degli altri soggetti indicati dal 1° comma) non deve intercorrere un rapporto di controllo riconducibile a quello descritto dall’art. 7, legge n. 287/1990 [28]. Le due imprese interlocked, inoltre, devono essere considerate tra loro in concorrenza, ovvero operare nel medesimo mercato del prodotto o geografico. E qui viene in rilievo uno dei punti più controversi della disposizione oggetto di analisi: nei Criteri Applicativi infatti, le Autorità di Vigilanza hanno richiamato (per l’individuazione dei due mercati rilevanti) anche le nozioni elaborate a livello comunitario dalla Commissione europea (con la definizione contenuta nella “Commission Notice of relevant market for the purposes of community competition law”). Per mercato del prodotto, deve intendersi dunque quello comprendente non soltanto prodotti che sono tra loro identici, ma anche «tutti i prodotti e/o servizi che sono considerati intercambiabili o sostituibili dal consumatore, in ragione delle caratteristiche dei prodotti, dei loro prezzi e dell’uso al quale sono destinati» [29]. Per mercato geografico si intende invece quello comprendente «l’area nella quale le imprese in causa forniscono o acquistano prodotti o servizi, nella quale le condizioni di concorrenza sono sufficientemente omogenee e che può essere tenuta distinta dalle zone geografiche contigue perché in queste ultime le condizioni di concorrenza sono sensibilmente diverse» [30]. Ora, se l’art. 36 dev’essere applicato a due imprese singole, sarà agevole individuare se le stesse si trovino ad operare nei medesimi mercati del prodotto o geografici. Ma quando il soggetto interlocked ricopre cariche in società che appartengono a gruppi diversi, la situazione si complica. Potrebbe infatti accadere che le due società in cui vengono rivestite plurime cariche non siano tra loro in concorrenza, poiché operano in due distinti mercati del prodotto o geografici; ma allo stesso tempo le società potrebbero appartenere a due gruppi che sono tra loro in concorrenza. A questo punto il soggetto interlocked si troverebbe comunque costretto ad optare per una o l’altra carica, pur trovandosi concretamente in una situazione per la quale non potrebbe in alcun [continua ..]


4.3. Decadenza dalle cariche e ruolo dell’AGCM.

Ai sensi del comma 2-bis dell’art. 36 – aggiunto in sede di conversione del Decreto –, si dispone che, entro il termine di 90 giorni (120 in caso di “prima applicazione” ex comma 2-ter) i soggetti interessati dal fenomeno di interlocking directorates debbano esercitare un’op­zione tra le diverse cariche rivestite, pena la decadenza da tutte le cariche ricoperte. Viene dunque introdotta nell’ordinamento una nuova causa di incompatibilità [35]. La norma non pone particolari problemi interpretativi per quel che concerne l’individuazione dei soggetti competenti a dichiarare detta decadenza. Essi sono «gli organi competenti degli organismi interessati nei trenta giorni successivi alla scadenza del termine o alla conoscenza dell’inosservanza del divieto». In caso di inerzia di questi ultimi, la competenza nel dichiarare la decadenza è rimessa invece alle Autorità di vigilanza di settore competenti. Anche l’AGCM ha un ruolo importante nell’applicazione dell’art. 36, seppure non possa direttamente dichiarare la decadenza da un incarico per violazione del divieto di interlocking. È difatti rimessa all’AGCM l’individuazione del mercato rilevante – che (come si è visto) dev’es­sere appunto valutato ai sensi della legge n. 287/1990 – in cui operano le imprese. Dunque un cumulo di cariche individuato come lesivo dell’art. 36 dalle autorità settoriali, potrebbe poi essere valutato tollerabile dall’AGCM perché le due società non sono concorrenti dal punto di vista dei mercati (sia geografico sia del prodotto) in cui le stesse operano. Consob, Banca d’Italia e Isvap hanno tutte provveduto a disciplinare la procedura di decadenza dei soggetti interlocked che non optino per l’una o l’altra carica nel termine stabilito. La Consob ha emanato un apposito provvedimento con la Delibera n. 18390, disciplinando la procedura in quattro brevi articoli. Per quel che concerne la Banca d’Ita­lia, anch’essa ha provveduto ad emanare le regole per il procedimento di decadenza conseguente a violazioni dell’art. 36 con il Provvedimento Banca d’Italia del 22 giugno 2012. Infine, l’ISVAP ha disciplinato la procedura di decadenza con Regolamento n. 42 del 18 giugno 2012. Il procedimento è [continua ..]


5. La prima applicazione del divieto di interlocking.

Il 26 aprile 2012 è scaduto il termine per la prima applicazione del divieto di interlocking nell’ordina­mento italiano. La disposizione ha comportato molti cambiamenti negli organi di direzione e controllo delle società destinatarie del divieto, e – secondo quanto riportato da Assonime [36] – nel corso del primo anno di applicazione, il divieto ha riguardato 25 società (di cui 18 Blue Chips) dalle quali si sono dimessi: – 43 amministratori (di cui 33 nel paniere Ftse Mib); – 15 sindaci (10 nel paniere Ftse Mib). Tra questi 58 grandi nomi della finanza, se ne citano alcuni: Carlo Pesenti si è dimesso dal Cda di Unicredit, Marina Berlusconi ha lasciato il proprio incarico in Mediobanca, che è però stato “recuperato” dal fratello Pier Silvio, il quale ha a sua volta lasciato il Cda di Fininvest; Vincenzo Bollorè ha optato per mantenere il proprio incarico in Generali, lasciando invece quello rivestito in Mediobanca; Giovanni Bazoli, presidente di Intesa San Paolo e consigliere di sorveglianza in Ubi, si è dimesso da quest’ultima carica per rimanere presidente di Intesa. Infine, l’ammi­ni­stratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel, anche vicepresidente di Generali, ha lasciato quest’ultima per mantenere il proprio incarico in Mediobanca. Oltre a queste 58 personalità, sono stati colpiti dal divieto di interlocking, e dunque costretti a optare per una sola carica, altre centinaia di soggetti nelle società minori, soprattutto controllate da quotate negli ambiti specifici (come SIM, SGR e SICAV) [37]. L’art. 36 ha dunque trovato subito concreta applicazione nell’ordinamento, dimostrando la forza della norma, la quale non è rimasta “lettera morta”.


6. Critiche all’art. 36.

Parte della dottrina ritiene che il divieto di interlocking contenuto all’art. 36 sia eccessivamente rigido. Perplessità nascono in primo luogo dal fatto che viene vietato ex ante qualsiasi tipo di legame (anche potenzialmente non anti-concorrenziale) tra imprese competitors, senza che sia data la possibilità di discernere tra le varie situazioni concrete. Secondo Falce difatti, “il cumulo di cariche in sé non viola la disciplina posta a tutela del mercato, assumendo una valenza pro concorrenziale o al più neutra” [38]. Anzi, è addirittura il “principio dell’autonomia privata a riconoscere piena libertà ai soggetti che operano sul mercato di avvalersi delle migliori competenze disponibili per ridurre il rischio d’impresa e, dunque, vincere la selezione sul mercato”, ed è proprio in questa prospettiva che gli interlocking directorates possono comportare effetti pro concorrenziali sul mercato, consentendo addirittura di promuovere forme di coesione sociale [39]. Secondo la dottrina maggioritaria, sarebbe stato dunque preferibile seguire l’e­sem­pio statunitense [40] e prevedere una disposizione a contenuto generale (quale è la Section 8), lasciando poi alle Autorità di vigilanza settoriali la possibilità di sviluppare nelle proprie aree di competenza una disciplina più specifica, anche prevedendo esenzioni generali o individuali. In tale ottica, sono stati bene accolti alcuni “accorgimenti” all’art. 36 apportati dai Criteri Applicativi, quali ad esempio l’esenzione de minimis dei 47 milioni di fatturato. A sostegno della rigidità del divieto introdotto dall’art. 36 si era invece pronunciato il Direttore Generale della Banca d’Italia Fabrizio Saccomanni che il 25 Settembre 2012 affermava: “i vincoli, severi, previsti dalla legge possono tradursi in opportunità. Offrono un’occasione ulteriore per ripensare più in generale alla composizione del board, sia in termini quantitativi sia sotto il profilo qualitativo: possono entrare nuove competenze e professionalità, se ne può ridurre la dimensione” [41]. Invero, il divieto di interlocking presenta sia aspetti positivi che negativi: da un lato, esso funge da limite ad eventuali situazioni di [continua ..]


7. Gli interlocking directorates, le quote di genere, gli amministratori indi­pendenti: eccessive limitazioni all’autonomia privata nelle società quotate?

Risulta infine utile inquadrare il divieto di interlocking nel panorama normativo di modernizzazione della corporate governance delle società quotate (che nell’ultimo decennio ha visto inserire in Italia anche le disposizioni sugli amministratori indipendenti e le disposizioni sulle quote di genere) al fine di poter comprendere quale sia lo spazio di autonomia privata lasciato alle società quotate nella scelta dei componenti dei propri board. a) Per quel che riguarda gli amministratori indipendenti, per le società quotate la nuova disciplina stabilita dal t.u.f. prevede che: – nelle società che adottano il sistema tradizionale, almeno un amministratore (o almeno due, se i membri del CdA sono più di sette) deve possedere i requisiti di indipendenza richiesti dall’art. 148, 3° comma, t.u.f. [48] per i sindaci, nonché – se lo statuto lo prevede – gli ulteriori requisiti previsti da codici di comportamento redatti da società di gestione di mercati regolamentati o da associazioni di categoria (art. 147-ter, 4° comma, t.u.f.); – nelle società che adottano il sistema dualistico, nel consiglio di gestione almeno un amministratore deve possedere i requisiti di indipendenza stabiliti per i sindaci dall’art. 148, 3° comma, qualora i membri del consiglio di gestione siano più di quattro; – nelle società che adottano il sistema monistico infine, almeno 1/3 dei componenti il consiglio di amministrazione deve possedere i requisiti di indipendenza stabiliti per i sindaci [49]. Diversamente dall’indipendenza richiesta ai componenti degli organi di controllo (che devono tutti possederla) quella richiesta agli amministratori riguarda soltanto alcuni di essi. La perdita del requisito dell’indipendenza comporta la decadenza dalla carica. Gli articoli del t.u.f. che disciplinano la figura degli amministratori indipendenti, omettono però di precisare quale sia la finalità di questa previsione. Secondo la dottrina (e in tal senso si è pronunciata anche la Consob), si affida agli amministratori indipendenti una funzione di “tutela dell’interesse sociale, a fronte delle possibili prevaricazioni – e dei relativi conflitti di interessi – del socio di maggioranza e dell’alta dirigenza” [50], dando dunque loro il compito di tutelare gli [continua ..]


NOTE