Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
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Invalidità e impugnazione delle decisioni degli amministratori nelle società a responsabilità limitata (note a Trib. Palermo, 24 novembre 2014 e 12 maggio 2015) (di Valeria Bisignano)


(I)

TRIBUNALE DI PALERMO, Sez. V civ., Sezione Spec. in materia di imprese, 24 novembre 2014 – G.I. Galazzi – G.M. c. L.C. s.r.l. convenuto

Società a responsabilità limitata – Impugnazione di delibera assembleare – Amministratore Unico – Decisione direttamente lesiva del diritto del socio – Legittimazione – Applicazione analogica disciplina s.p.a. – Sussistenza

(Artt. 2388 e 2475-ter c.c.).

Le decisioni dell’organo amministrativo della s.r.l. non possono essere impugnate dai soci ai sensi dell’art. 2388, 4° comma, c.c., sul presupposto della sua appli­cabi­lità analogica nei casi di pregiudizio diretto, ma solo nell’ipotesi di conflitto di interessi ed alle condizioni previste dall’art. 2475-ter. La limitazione deve ritenersi frutto di un’espressa scelta giustificata dal fatto che la disciplina della s.r.l. attribuisce ai soci una possibilità di controllo sulla gestione e di tutela rispetto agli atti dannosi degli amministratori che non ha riscontro nelle società per azioni. (1)

(II)

TRIBUNALE DI PALERMO, Collegio Sez. V civ., Sezione Spec. in materia di imprese (ord.), 12 maggio 2015 – Ajello Presidente – De Gregorio Relatore – G.M. c. L.C. s.r.l. convenuti

Società a responsabilità limitata – Impugnazione di delibera assembleare – Amministratore Unico – Decisione direttamente lesiva del diritto del socio – Esclusione di socio moroso – Legittimazione – Applicazione analogica disciplina s.p.a. – Sussistenza

(Artt. 2388. 2475-ter e 2466 c.c.).

L’art. 2475-ter c.c. non preclude l’impugnazione delle decisioni dell’organo ammi­nistrativo della s.r.l. da parte di soggetti diversi dagli amministratori e per ragioni ulteriori rispetto al conflitto di interesse. (2)

La delibera di esclusione del socio moroso ex art. 2466 c.c., in quanto direttamente lesiva della sua posizione, è impugnabile dal socio stesso in applicazione analogica dell’art. 2388 c.c., a ciò non ostando i poteri di informazione e i rimedi concessi al socio di s.r.l. dall’art. 2476 c.c. (3)

Il socio può esperire l’impugnazione ex art. 2388 c.c. anche nei confronti di una decisione dell’amministratore unico, nei casi in cui la stessa non sia prodomica al compimento di un atto della società a rilevanza esterna, ma piuttosto idonea a ledere direttamente la posizione dei singoli soci. (4)

(I)

(Omissis)

Con ricorso depositato in data 26.9.2014, G.M. ha chiesto, sia ex art. 2378, III co., c.c. sia ex art. 700 c.p.c., la sospensione della delibera resa in data 9.8.2014 dall’amministratore di L.C. s.r.l. con la quale è stata ridotta la quota intestata alla M. alla quota di capitale sociale di € 12.000,00, con esclusione della sua quota di partecipazione, sottoscritta e non versata, pari ad € 59.000,00, assumendo:

> che con detta delibera la M. è stata sostanzialmente esclusa dalla società;

> che l’esclusione del socio è materia riservata all’assemblea dei soci giusta art. 31 dello Statuto;

> che ad essa non si applica la clausola compromissoria prevista dall’art.35 dello Statuto;

> che sussiste quindi il fumus boni iuris presupposto del provvedimento cautelare richiesto in considerazione della violazione delle norme procedurali che assistono, per legge e per l’e­sclusione del socio moroso e dell’avere operato l’amministratore unico in conflitto di interessi;

> che sussiste altresì il periculum in mora, posto che, nonostante quanto previsto dall’art. 31 dello Statuto circa l’effetto sospensivo automatico della proposizione del ricorso delibera di esclusione, gli organi sociali hanno convocato l’assemblea l’8.9.2014 la riduzione del capitale sociale e, quindi, la riduzione della quota di partecipazione della M. alla compagine sociale a vantaggio degli altri soci.

Sentite le parti ed anche l’amministratore della società, deve rilevarsi quanto segue.

In via preliminare, va rigettata l’eccezione spie­gata dalla società resistente improcedibilità del ricorso per l’esistenza di una clausola arbitrale.

Va altresì rigettata l’eccezione relativa alla carenza di legittimazione ad agire della Mostaccio. (Omissis).

Va invece accolta l’ulteriore eccezione di carenza del potere di impugnativa ex art. 2378, III co., c.c. trattandosi di delibera assunta dall’am­ministratore di una S.R.L. non in conflitto di interessi ai sensi dell’art. 2475 ter c.p.c.

A fronte dell’esplicita codificazione di tale ipotesi di impugnazione, infatti, nella disciplina dettata dalla riforma sulle S.R.L. non eÌ piuÌ previsto (a differenza che nel testo della vecchia art. 2487 c.c.) alcun rinvio all’art. 2388 c.c. che disciplina la validità delle delibere del consiglio di amministrazione nelle SPA prevedendone l’impugna­bilità. Che non si tratti di una lacuna normativa da colmare tramite ricorso all’ana­lo­gia con le norme della s.p.a., emerge dal fatto che la disciplina dettata dal legislatore della riforma, ai commi 2° e 3° dell’art. 2476 c.c., prevede per il socio di S.R.L. strumenti alternativi – quali il potere di consultazione e informazione e la possibilità di esercitare l’azione di responsabilità e chiedere, in caso di gravi irregolarità, la revoca in via cautelare degli amministratori – idonei a garantire una tutela quanto meno analoga a quell’assi­curata ai soci di spa dall’art. 2388 c.c. (cfr. in tal senso Corte Cost. 481/05).

Alla luce di tale premessa, ritiene il Tribunale di escludere la sussistenza del fumus boni iuris con riferimento alla delibera impugnata, posto che non eÌ stata allegata l’esistenza di un valido conflitto di interessi, certo non ravvisabile nel mero aumento di percentuale di quota societaria di proprietà dell’amministratore – passata dal 25% al 31,25% –, quindi senza che l’am­mi­ni­stratore sia nemmeno divenuto socio di maggioranza.

Alla luce di tali considerazioni va dunque rigettata la richiesta di sospensione ex art. 2378 c.c. della delibera resa in data 9.8.2014 dal­l’am­ministratore unico di L.C. s.r.l.

Va altresì rigettata l’analoga domanda formulata ex art. 700 c.p.c. per carenza del requisito della residualità/sussidiarietà, essendo appunto disponibile la cautio nominata della sospensione della delibera medesima ex art. 2378, comma 3 c.c. (Omissis)

(II)

Il Tribunale (omissis)

Il reclamo è fondato.

Esaminando le diverse questioni secondo l’ordine seguito dal giudice di prima istanza, va anzitutto confermato il rigetto dell’eccezione di “difetto di giurisdizione”, sollevato dalla società resistente in riferimento all’art. 35 dello Statuto (omissis).

Deve invece pervenirsi a diverse conclusioni per quanto attiene all’ammissibilità della impugnazione della determinazione dell’amministra­tore unico, che, col provvedimento impugnato, viene limitata alla sola ipotesi di conflitto di interessi ex art. 2475 ter c.p.c.

Difatti, se è vero che la norma sopra indicata prevede solo l’impugnazione, ad opera degli am­ministratori, delle decisioni adottate dall’or­gano amministrativo con voto determinante di amministratore in conflitto di interesse con la società, tuttavia non può trarsene alcuna limitazione e alla facoltà di impugnazione di altri soggetti (qui, un socio intaccato nella sua quota di partecipazione) e per ragioni diverse a quelle riconducibili al conflitto di interessi.

Ritiene invero il Collegio che la decisione di esclusione del socio moroso (e di esclusione parziale – riduzione della quota), adottata dal­l’or­gano gestorio ex art. 2466 c.c. di società a responsabilità limitata, ben può essere impugnata dal socio stesso, dovendo ritenersi applicabile analogicamente l’art. 2388 c.c., che consente al socio di impugnare le deliberazioni del­l’organo amministrativo (potenzialmente) lesive dei suoi diritti, contrariamente a quanto deduce la società (in questo senso ad es. Tribunale Catania sez. IV 10/04/2013 in Giurisprudenza Commerciale 2014, 6, II, 1055).

Se è vero, infatti, che parte della dottrina (e così anche della giurisprudenza) nega la possibilità di integrazione della disciplina dell’invalidità delle deliberazioni consiliari valorizzando l’idea che l’intento del legislatore del 2003 fosse volto a distinguere nettamente il regime delle s.r.l. da quello delle s.p.a., tuttavia una soluzione diversa da quella che qui si ritiene di dover condividere, configgerebbe, all’evidenza, con il diritto di difesa garantito dall’art. 24 della Costituzione, a nulla rilevando il richiamo della resistente ai rimedi contemplati dall’art. 2476, 2° comma, c.c. (poteri di informazione e di consultazione), esperibili dal singolo socio, che, diretti ad assicurare la corretta gestione della società e prodomici all’azione di responsabilità, non costituiscono, tuttavia, uno strumento di tutela specifica del socio sulle sue quote di partecipazione azionaria.

Ritenuta ammissibile la tutela invocata, da ricondurre allo schema di cui all’art. 2378 c.c. deve, quindi, verificarsi se sussistono i presupposti per disporre l’invocata sospensiva.

Al riguardo va in primo luogo rilevato il contrasto fra le parti in ordine alla stessa applicabilità della disciplina di cui all’art. 2466 c.c., la reclamante deducendo l’applicabilità alla sola fase iniziale di costituzione della società, e la resistente a qualsivoglia momento della vita del­l’im­­presa societaria, in cui vengano richiesti conferimenti ai soci.

Ebbene, il dato letterale della norma (Conferimenti, e non già aumenti) e l’inquadramento nel novero delle disposizioni concernenti la costituzione della società, sembrano deporre (in base ala limitata disamina propria di questa fase) per una lettura limitata al solo momento di conferimenti iniziali, stante il rigore interpretativo che deve connotare la lettura della norma per le refluenze che può comportare per il socio (ancorché moroso).

Pare cioè doversi ritenere inapplicabile la disciplina di cui all’art. 2466 c.c. all’aumento, in quanto il legislatore, pur avendo dettato un’ap­posita disciplina per la mora in caso di costituzione del capitale, nulla ha detto a proposito dell’aumento effettivo di capitale, a seguito di sua riduzione per perdite, contrariamente ad altre fattispecie, quali quella dell’art. 2440 c.c.

A questo proposito, è stato sostenuto in giurisprudenza che “la ricostituzione del capitale sociale, azzerato a seguito di perdite, per sua natura non sembra poter tollerare la mora nel versamento delle quote sottoscritte. Né appare possibile mantenere in vita la partecipazione in relazione, ed in proporzione, alle sole somme effettivamente corrisposte dal socio” (Trib. Bari 3.11.2006).

E comunque ance nel caso in cui la norma di cui si controverte dovesse ritenersi applicabile pure ai conferimenti successivi, resi necessari dalla perdite del capitale, non risulta sia stato rispettato il particolare iter procedimentale previsto (dalla stessa norma) per l’accertamento della morosità del socio, che può sfociare nel­l’e­sclusione del medesimo. (omissis)

Vero è che ciò non ha condotto alla esclusione totale della socia Mostaccio, ma preclude soltanto alla riduzione della sua quota di partecipazione, atteso che la decisione deve essere adottata dai soci.

Ma è altrettanto vero che nell’arco temporale che va dall’adozione della determinazione impugnata alla delibera del capitale sociale, la posizione del socio è da considerare “quiescente”, il che comporta una notevole limitazione delle prerogative proprie del socio non solo in ordine alla mera (eventuale) partecipazione alla distribuzione degli utili, ma soprattutto relativamente al concreto esercizio dei poteri gestori connessi alla titolarità complessiva delle quote, che nelle more (della deliberazione assembleare) sono già sospesi.

Ciò, all’evidenza, consente di ritenere sussistente il profilo del periculum in mora.

Non è, infatti, superfluo rilevare che la disposizione di cui al comma 4 dell’art. 2466 c.c., in base al quale il socio in mora con i versamenti non può partecipare alle decisioni del soci, viene interpretata nel senso che tale diritto è sospeso per l’intera partecipazione, anche nel caso che la stessa sia stata inizialmente liberata integralmente e successivamente integrata con una quota per la quale si sia verificata la mora nei versamenti; di guisa che è irrilevante la deduzione ella società in ordine alla mera riduzione della quota della Mostaccio.

Gli elementi considerati inducono, quindi, (in base alla limitata disamina propria di questa fase) ad accogliere l’istanza cautelare della predetta reclamante e, dunque, a sospendere l’e­secutività della determinazione impugnata. (omissis).

 

SOMMARIO:

Invalidità e impugnazione delle decisioni degli amministratori nelle società a responsabilità limitata - 1. Il caso - 2. La normativa di riferimento - 2.1. Cenni alla normativa delle s.p.a. ed attuale contesto normativo - 3. Gli orientamenti della giurisprudenza, della dottrina e della prassi - 4. Il commento - 4.1. L’applicabilità al tipo s.r.l. della disciplina prevista per l’invalidità delle delibere consiliari di s.p.a. - 4.2. Segue. Il rapporto con i nuovi controlli e con gli altri strumenti di tutela dei soci di s.r.l. – tutele invalidative e tutele alternative - 4.3. Segue. Le regole di invalidità e i diversi modelli organizzativi. Esistenza di una delibera impugnabile – Le decisioni dell’Amministratore Unico di s.r.l. - Conclusioni. Applicabilità dell’art. 2388, 4° comma, c.c. - NOTE


Invalidità e impugnazione delle decisioni degli amministratori nelle società a responsabilità limitata

1. Il caso

La controversia trae origine dall’impu­gnazione della determina dell’Amministra­tore Unico della L.C. s.r.l. del 9 agosto 2014, con la quale è stata ridotta la quota intestata alla socia G.M. ad euro 12.000, con esclusione della sua quota di partecipazione, sottoscritta e non versata, di euro 59.000. La socia esclusa lamentava l’ille­gittimità della decisione assunta ex art. 2366 c.c. per violazione dell’art. 31 dello Statuto, che riservava detta materia alla competenza dell’assemblea, e per la sussistenza di un confitto di interesse in capo al­l’A.U. L’attrice fondava la propria richiesta di sospensione ex art. 2378 c.c. sull’esistenza sia del fumus boni iuris, in virtù del ritenuto conflitto di interessi nell’operato del­l’A.U. e della violazione delle norme procedurali che assistono, per legge e per statuto, l’e­sclusione del socio moroso, sia del periculum in mora, posto che, nella fattispecie de qua, nonostante la previsione di cui all’art. 31 dello Statuto della L.C. s.r.l. (che prevede l’effetto sospensivo automatico della delibera di esclusione in caso di sua impugnazione) gli organi sociali hanno convocato l’assemblea deliberando la riduzione del capitale sociale e della quota partecipativa della socia attrice a vantaggio degli altri soci. Nel caso di specie – esclusione del socio moroso e riduzione forzosa della sua quota – la decisione dell’A.U. non si estrinsecava nel compimento di un successivo negozio annullabile, non rappresentandone il suo antecedente giuridico, com’è per il contratto concluso dagli amministratori in conflitto d’interessi (art. 2475-ter, 1° comma, c.c.) in cui la fase deliberativa e quella contrattuale si distinguono logicamente e cronologicamente: l’atto dell’A.U. (come in tutti in cui la decisione del­l’or­gano amministrativo è, per così dire, self-execut­ing), produceva infatti direttamente gli effetti giuridici programmati e quindi pregiudicava, secondo la socia attrice, ex se ed immediatamente la sua sfera individuale, in quanto atto di esercizio abusivo di un potere privato. La domanda ripropone all’esame del Tribunale, tra altre questioni prettamente procedurali – quali la competenza del giudice ordinario a pronunciarsi sulle istanze cautelari di sospensione delle delibere consiliari [continua ..]


2. La normativa di riferimento

2.1. Cenni alla normativa delle s.p.a. ed attuale contesto normativo

Il tema della invalidità delle delibere del consiglio di amministrazione nelle società di capitali ha dato luogo, già prima della riforma del diritto societario, ad accesi dibattiti [1], cui pare opportuno accennare in quanto in parte riproponibili nel contesto della nuova disciplina in tema di s.r.l. In assenza di qualsivoglia indicazione da parte del legislatore, era controverso se nelle s.p.a. – e, pertanto, in ragione del rinvio generale contenuto nel vecchio art. 2487, 2° comma, c.c., nelle s.r.l. [2] – le deliberazioni del consiglio di amministrazione potessero essere impugnate anche al di là dell’ipotesi legislativamente prevista del conflitto di interessi, analogamente a quanto previsto per le deliberazioni assembleari. Parte degli interpreti, supportati, poi, da una certa giurisprudenza [3], negando in radice tale possibilità, faceva leva – oltre che sul dato testuale – sulla esigenza di evitare la paralisi dell’attività sociale conseguente a possibili impugnazioni infondate e sull’in­te­resse teso a garantire quanto piuÌ possibile la salvezza degli atti e l’affi­da­mento dei terzi nel traffico giuridico. Enfatizzando dette coordinate ermeneutiche, codesti Autori tentavano di individuare nel sistema rimedi alternativi in grado di tutelare gli interessi che potevano essere lesi da delibere consiliari viziate [4], scontrandosi tuttavia con quanti correttamente evidenziavano come tali rimedi non sempre fornissero al socio una tutela effettiva [5]. L’inefficacia di un simile apparato rimediale [6] aveva così indotto una altra parte della dottrina a ritenere che la disciplina dettata in tema di delibere assembleari dagli artt. 2377 ss. c.c. fosse, assieme agli artt. 2391 e 2373 c.c., un “sistema speciale delle impugnative di tutte quante le deliberazioni delle società di capitali” [7], così da rendere la stessa estensibile alle delibere consiliari, pur nella difficoltà circa l’esatta identificazione dei soggetti legittimati al­l’azione [8]. Anche nella giurisprudenza di merito, una volta ammessa l’impugnabilità delle delibere consiliari al di là degli angusti limiti di cui all’art. 2391 c.c., si assisteva ad una significativa evoluzione che, da una posizione volta ad individuare nei soli componenti del consiglio [continua ..]


3. Gli orientamenti della giurisprudenza, della dottrina e della prassi

La mancanza di una disposizione simile al­l’art. 2388, 4° comma, c.c. [24] ha indotto di­versi Autori a rilevare l’esistenza di molteplici lacune che devono necessariamente essere colmate dall’interprete [25]. Tuttavia, l’in­dividuazione sia dell’esistenza stessa di una asserita lacuna, sia della disciplina in tal caso applicabile, in mancanza di un adeguato intervento da parte dei soci nel­l’am­bito dell’atto costitutivo, appare alquanto difficile e problematica. Ne sono prova i due arresti giurisprudenziali che ivi si commentano, che pervengono sul punto ad una conclusione diametralmente opposta. Il legislatore ha cercato di costruire la nuova s.r.l. quale tipo autonomo rispetto alla s.p.a. [26]. In alcuni casi, pertanto, quello che puoÌ apparentemente sembrare un vuoto normativo in considerazione della disciplina prevista per le s.p.a. puoÌ, invero, essere un aspetto intenzionalmente non regolato dal legislatore: in tale ipotesi, un rinvio alle norme del modello capitalistico tradirebbe l’intento sotteso alle nuove nor­me, volte – come si eÌ già ricordato – a dare una peculiare caratterizzazione al tipo in questione [27]. Il Collegio, tuttavia, decidendo sul reclamo della socia M., in un’ottica maggiormente garantista e protezionista, ha ritenuto di poter individuare un’effettiva lacuna, da colmare tramite il ricorso al procedimento analogico. Invero, per addivenire ad una conclusione affermativa in merito all’esistenza di una lacuna e, conseguentemente, in merito alla bontà della tesi sposata dall’ordinanza sul reclamo, occorre esaminare capillarmente le disposizioni della s.r.l., verificare se il silenzio del legislatore non possa essere spiegato e giustificato alla luce di alcune di queste [28] e, in definitiva, dimostrare che non vi siano strumenti alternativi in grado di garantire una tutela se non coincidente, almeno analoga. Non puoÌ d’altra parte essere trascurato che, con la riforma, l’intento del legislatore eÌ stato – come sopra si eÌ ricordato – quello di dare alla s.r.l. una autonoma disciplina, sotto molti profili diversa da quella in essere per le s.p.a. [29]. L’affievolimento del collegamento tra s.p.a. e s.r.l. implica che non ogni silenzio della legge rispetto a quanto regolato nel­l’altro tipo possa essere interpretato come lacuna [continua ..]


4. Il commento

4.1. L’applicabilità al tipo s.r.l. della disciplina prevista per l’invalidità delle delibere consiliari di s.p.a.

Affermare la non impugnabilità delle delibere consiliari di s.r.l. sulla base del principio ubi lex volui tacuit è tecnica interpretativa che non tiene conto del contesto normativo di riferimento: se difatti si presceglie, quale criterio metodologico per l’inter­pretazione della novella, il silenzio del legislatore o se ne fa derivare la non applicabilità di alcuna delle norme dettate per il c.d.a. delle s.p.a. alle s.r.l. o si sostiene – più correttamente – che il silenzio su tale profilo di disciplina sia il frutto di una normazione non puntualmente coordinata [35]. D’altronde, ammettere un rinvio implicito alle disposizioni del c.d.a. della s.p.a. non equivarrebbe per ciò solo ad affermare l’applicazione indiscriminata ed automatica di tutte quelle regole alla s.r.l., atteso che l’applicazione analogica di norme dettate per un tipo societario diverso deve pur sem­pre essere preceduta da un giudizio di compatibilità e di convenientia rationis delle disposizioni da trasporre con il sistema di destinazione. Partendo cioè dalla constatazione del­l’e­si­stenza della lacuna, desumendone la necessità di individuare nel sistema una norma applicabile per analogia, diviene necessario superare il vaglio di compatibilità: solo un tale iter interpretativo potrebbe conciliarsi con la ricercata autonomia della s.r.l. dal modello s.p.a. L’interprete deve allora verificare se le norme di cui all’art. 2388, 4° e 5° comma, c.c., siano: non eccezionali, stante il divieto di applicazione analogica delle norme eccezionali ex art. 14 disp. sulla legge in generale; compatibili con le disposizioni regolanti la nuova s.r.l. Per quanto attiene il primo problema, non pare possa ritenersi eccezionale la disposizione di cui all’art. 2388 c.c., poiché come rilevato da autorevole dottrina non sovverte principi idonei a costituire la regola (non impugnabilità) applicabile agli atti unilaterali, quali le delibere consiliari. A prescindere dall’ulteriore constatazione che, anche a voler qualificare come eccezionale la norma, qui non si tratterebbe di un’applicazione analogica vera e propria (quale trasposizione della disposizione al di fuori del contesto o fuori dal caso per il quale è stata dettata), dovendosi pur sempre operare all’interno di detto contesto, ovverosia [continua ..]


4.2. Segue. Il rapporto con i nuovi controlli e con gli altri strumenti di tutela dei soci di s.r.l. – tutele invalidative e tutele alternative

Il provvedimento di primo grado si fonda invero su un assunto non condivisibile, ovverosia l’asserita capacità del nuovo sistema di controlli introdotto dalla riforma del 2006 nell’ambito delle società di capitali e, per quel che interessa, nelle s.r.l. di far fronte alla carenza di strumenti di tutela reale dinnanzi a delibere consiliari invalide, seguendo quella parte della dottrina e della giurisprudenza che, per tal via, giunge a negare l’applicazione dell’art. 2388, 4° comma, c.c. alle s.r.l. Secondo tale approccio, come visto, il legislatore avrebbe cioè agito secondo un disegno compensativo, laddove all’eli­mina­zione di alcune forme di controllo (come il mancato richiamo [39] dell’art. 2409 c.c. nella s.r.l.) avrebbe contrapposto l’en­fa­tizzazione e la creazione di nuovi presidi di vigilanza [40]. Ma, invero, sulla correttezza di una tale impostazione è lecito riporre dubbi. In primo luogo, il presunto assorbimento del potere di denuncia nelle prerogative riconosciute al socio dall’art. 2476, 3° comma, c.c. è negato dalla più attenta dottrina, la quale ha messo in luce come la facoltà del singolo socio di promuovere l’azione sociale (o anche individuale) di responsabilità – e a corredo una richiesta di revoca cautelare – presuppone l’attualità del danno, mentre la denuncia rappresenta una forma di tutela anteriore al verificarsi dello stesso, essendo necessario per la sua attivazione un danno solo potenziale. Sorvolando inoltre sulla varietà ed eterogeneità dei provvedimenti adottabili dal giudice, ben più ampi ed incisivi nel caso di denuncia al collegio. Come noto, tuttavia, la questione della possibile applicazione analogica dell’art. 2409 alle s.r.l. è stata risolta negativamente dalla Consulta, la quale ha decretato l’au­tonomia e non la lacunosità della disciplina della s.r.l. in siffatto contesto. Ma tale conclusione, seppur pone fine al contrasto insorto sull’art. 2409 c.c., non fornisce indici né positivi né negativi per la soluzione del problema oggetto della nostra indagine. È pur vero però che gli strumenti riconosciuti al singolo socio dal 3° comma del­l’art. 2476 c.c., ritenuti anche dalla Consulta perfettamente equivalenti al potere di denuncia, pur condividendo [continua ..]


4.3. Segue. Le regole di invalidità e i diversi modelli organizzativi. Esistenza di una delibera impugnabile – Le decisioni dell’Amministratore Unico di s.r.l.

Ferma restando la soluzione cui si è giunti sopra, ossia l’applicabilità anche alle s.r.l. del rimedio di cui all’art. 2388 c.c., si può individuare un’ulteriore particolarità nel fatto che la controversia riguardava l’impu­gnabilità non già di una deliberazione consiliare, ma una decisione dell’ammini­stra­tore unico della s.r.l. Di qui la necessità di considerare l’espres­sio­ne dell’art. 2475-ter c.c., che parla di “decisioni adottate dal consiglio di amministrazione”. La disposizione sembra fare riferimento ad una ben precisa modalità di gestione. Ma i soci nella s.r.l. possono decidere tra diversi regimi amministrativi: si può, in sede di atto costitutivo [57], optare per una amministrazione congiuntiva o disgiuntiva, ovvero decidere per un amministratore unico o per un consiglio di amministrazione; in tale ultima ipotesi, il principio di collegialità puoÌ essere attenuato con la pre­visione (sempre contenuta nell’atto costitutivo) che le decisioni siano adottate mediante consultazione scritta o sulla base del consenso espresso per iscritto. Bisogna allora chiarire se l’espressione usata dal Legislatore circoscriva o meno la possibilità dell’impugnativa alla manifestazione di volontà dell’organo amministrativo strutturato in modo collegiale – il consiglio di amministrazione appunto – che secondo alcuni sarebbe anche l’unico a trasporre la propria manifestazione di volontà in una decisione [58]. Occorre cioè verificare se all’adozione di tali modelli organizzativi – nel determinare l’inapplicabilità delle regole proprie del principio della collegialità se non nelle materie di cui all’art. 2475, ultimo comma, c.c., ove tali regole sembrano comunque dover essere rispettate [59] – conseguano anche degli effetti in relazione al tipo di sanzione da prospettare nel caso di violazione delle regole di partecipazione deliberativa [60]. Si tratta, in tal caso, di stabilire se correttamente l’ordinanza sul reclamo abbia ritenuto applicabile l’art. 2388, 4° comma, c.c., che prima facie sembra presupporre una delibera consiliare. In relazione al tema in oggetto, ci si limita a ricordare che, prima della riforma, ad un orientamento certamente prevalente [61] che [continua ..]


Conclusioni. Applicabilità dell’art. 2388, 4° comma, c.c.

Le considerazioni sin ora svolte legittimano la conclusione che la disciplina cui far riferimento per colmare la lacuna normativa in merito all’invalidità delle delibere consiliari di s.r.l. sia quella che regola il regime dell’invalidità delle decisioni del c.d.a. di una s.p.a. e non quella dell’inva­lidità delle decisioni dei soci di s.r.l., nonostante questa sia interna al tipo. Difatti, come si è tentato di dimostrare nelle pagine che precedono, solo la disciplina contenuta nell’art. 2388, 4° e 5° com­ma, c.c., presenta la medesima ratio legis, che si ravvisa fondata non già su una precisa identità, ma “su una corrispondenza e congruenza della base logica del trattamento giuridico” [68], dal che pare potersi leggere il silenzio del legislatore sul punto come un rinvio implicito alla disciplina del modello capitalistico.


NOTE