TRIBUNALE DI MILANO, 18 giugno 2008 – Ciampi Presidente e Relatore – Formest Milano S.r.l. (Avv. A. Pascucci) c. D’Orsi, Formenti, Cirielli (Avv. Paganini), Giovanetti (Avv. Lanci), Cambiaghi (Avv. Mussi) nonché Agresti, terzo chiamato (Avv. C. Pascucci)
Società a responsabilità limitata – Azione di responsabilità – Legittimazione della società in caso di socio unico – Sussistenza
(Art. 2476 c.c.)
La legittimazione a promuovere l’azione di responsabilità sociale nei confronti degli amministratori di s.r.l., spettante ora esclusivamente ai singoli soci (i quali ne debbono anche sopportare integralmente gli oneri sino a positivo esito dell’azione), può essere riconosciuta anche in capo alla società, quando questa sia unipersonale, poiché sull’unico socio si riverberano comunque le spese dell’iniziativa giudiziaria (1).
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI MILANO
SEZIONE 8a CIVILE
Composto dai Signori magistrati:
Dott. F. Ciampi Presidente relatore
Dott. U. Ferrarsi Giudice
Dott. F. Fiecconi Giudice
ha pronunciato, ai sensi degli artt. 16 D.Leg.vo n. 5/2003 e 281 sexies cod.proc.civ., la seguente
SENTENZA
Nella causa civile iscritta al numero di ruolo generale sopra riportato, assunta in decisione all’udienza odierna, promossa con atto di citazione redatto ai sensi dell’art. 2 D.Leg.vo n. 5/2003;
DA
Formest Milano s.r.l. – PARTE ATTRICE
elettivamente domiciliata in Milano presso lo studio dell’Avv. A. Pascucci
dal quale è rappresentata e difesa per delega
CONTRO
Fabrizio D’Orsi, Walter Formenti e Elisabetta Cirielli – PARTE CONVENUTA
elettivamente domiciliata in Milano presso Io studio dell’Avv. G. Paganini
dal quale è rappresentata e difesa per delega
CONTRO
Angelo Giovanetti – PARTE CONVENUTA
elettivamente domiciliata in Milano presso lo studio dell’Avv. M. Lanci
dal quale è rappresentata e difesa per delega
CONTRO
Donatella Cambiaghi – PARTE CONVENUTA
elettivamente domiciliata in Milano presso lo studio dell’Avv. L.Mussi
dal quale è rappresentata e difesa per delega
CONTRO
Vincenzo Agresti – PARTE TERZA CHIAMATA
elettivamente domiciliata in Milano presso lo studio dell’Aw. C. Pascucci
dal quale è rappresentata e difesa per delega OGGETTO: az. resp.tà.
All’udienza i Procuratori delle parti hanno discusso
la vertenza
IN FATTO ED IN DIRITTO
Giudica il Collegio che la domanda attorea sia molto parzialmente fondata e meriti, quindi, di essere accolta nei limitati termini di cui appresso.
Si discute in giudizio dell’assunta responsabilità dei convenuti amministratori sociali e direttore generale per atti di “mala gestio”.
Va premesso che parte attrice non risulterebbe più legittimata a promuovere un’azione quale quella “de qua” che, nel nuovo sistema delineato dall’art. 2476 c.c., è attribuita alla legittimazione surrogante dei singoli soci (che ne debbono anche sopportare personalmente gli oneri sino a positivo esito della stessa);
tuttavia, tenuto conto del fatto che, nel caso di specie, la società ha un unico socio (Comune di Cernusco s.N.) e che, quindi, le spese dell’affrontata iniziativa giudiziaria si riverbereranno esclusivamente sul medesimo (nello stesso modo in cui sarebbero state a suo carico se avesse assunto direttamente l’iniziativa di promuovere l’azione di responsabilità sociale), si può ritenere, comunque, integrata la legittimazione attiva.
Nel merito va ricordato che è stata svolta in giudizio una C.T.U. (sostanzialmente incontestata da parte convenuta) la quale, con copia di convincenti argomenti e relazione tecnica circostanziata, ha concluso su alcuni punti oggetto degli addebiti attorei riscontrandone solo una ben limitata fondatezza e solo con riferimento ad uscite non giustificate, per gli anni 2003-2004, per complessivi €16.038,42.
Di tali non giustificate uscite devono rispondere, in solido, sia il convenuto Giovanetti, che, pacificamente si occupava della gestione operativa, sia gli altri convenuti, per “culpa in vigilando” (convenuti che, stante la loro negligenza, non hanno alcun diritto a percepire i compensi per attività amministrativa, azionati in via riconvenzionale).
È stata chiesta la condanna al pagamento della somma con rivalutazione monetaria ed interessi.
Giudica, in proposito, il Tribunale che, trattandosi di debito di valuta (rimborso di somme), in presenza di un tasso di interesse legale quale quello attuale, al di sopra dell’inflazione media ed in difetto di una prova specifica di un maggior danno (art. 1224, 2°, c.c.), la rivalutazione non possa essere riconosciuta.
Per il resto le pretese attoree risultano, in base agli esiti della C.T.U. ed a giudizio del Collegio, infondate:
infondate quelle relative ai progetti “multimisura” ed “operatore socio-sanitario” in quanto l’obbligo della relativa rendicontazione non incombeva su Formest e, quindi, non emerge alcun valido motivo per cui gli Enti committenti non dovrebbero pagare a quest’ultima le prestazioni rese;
infondate quelle relative al progetto “Formatemp”, alle spese di affitto e telefoniche (peraltro neppure documentate) ed ai costi pubblicitari assuntamente eccessivi, in quanto gli esborsi effettuati (peraltro minori di quanto assunto) ben possono considerarsi incensurabili scelte d’impresa (tenuto anche debitamente conto, da un lato, dei contatti, che potevano far sperare nell’acquisizione dell’affare e, dall’altro, dei ristretti limiti entro cui è possibile all’A.G.O. censurare il merito delle scelte d’impresa e cioè solo quando le medesime appaiano del tutto ingiustificate ed assolutamente irrazionali);
infondata quella relativa al “contratto di servizio”, in quanto, come ritenuto dal C.T.U., non emergono ragioni per cui parte attrice non possa legittimamente pretendere il saldo delle sue spettanze;
infondate quelle relative alle sanzioni per mancati versamenti fiscali, in quanto l’addebito supporrebbe la dimostrazione (completamente mancante nella specie) della sussistenza, all’epoca, dei fondi per farvi fronte;
infondate quelle relative al danno non patrimoniale, che non si intende in cosa possa essere consistito;
infondate, infine, quelle relative alle spese “ante causam” per gli stessi motivi che giustificano la disciplina delle spese del presente processo.
Le considerazioni e le valutazioni fatte dal C.T.U. qui, come già detto, ben condivise, sono state oggetto di richiesta di supplemento d’indagine della parte attrice (previa rimessione in termini per produzione documentale), ma tale richiesta, secondo questo Collegio, come già secondo il Giudice Relatore, merita di essere disattesa:
invero,come già chiarito dal C.T.U., parte attrice, la quale, peraltro, ha presentato alla disposta consulenza contabile un ammasso di documentazione alla rinfusa e priva di indice (rendendo l’attività del C.T.U. non semplice e giustificando, così, l’adottata disciplina della correlative spese), in nessun precedente momento del giudizio ha mai sostenuto la rilevanza e l’indisponibilità delle ulteriori schede contabili, che ora vorrebbe produrre e sulle quali chiede il supplemento di indagine.
I convenuti D’Orsi, Formenti e Cirielli hanno chiamato in giudizio l’attuale amministratore Agresti perché, unitamente al Giovanetti, li manlevi dalla condanna per la mancata accettazione della proposta conciliatoria del Giovanetti stesso, ma tale domanda appare infondata:
per un verso, infatti, i suddetti amministratori debbono rispondere della propria negligenza e non possono essere manlevati da alcuno;
per altro verso, poi, le intenzioni conciliatorie del Giovanetti si sono rivelate, anche nel corso del presente processo,come prive di ogni serietà e determinanti un comportamento meramente dilatorio.
I convenuti D’Orsi, Formenti e Cirielli hanno anche svolto una riconvenzionale domanda attinente a non percepiti compensi, il cui ammontare non è contestato, ed in ordine ai quali si contesta solo il difetto di prova del diligente svolgimento dell’incarico ricoperto:
ritiene, in proposito il Collegio, che, avuto riguardo al ridotto accoglimento della domanda ed al fatto che non vi è prova che gli ammanchi riscontrati dal C.T.U. siano addebitabili a tali parti, tale riconvenzionale risulta accoglibile, con la compensazione richiesta dall’attore.
Ne consegue che l’importo della condanna deve essere per €9.371,77 (€16.038,42 – €3.333,33 – €1.666,66 – €1.666,66).
Queste considerazioni hanno convinto il Tribunale della ridottissima fondatezza della domanda attorea e ne giustificano l’accoglimento nei sopradetti termini, unitamente al rigetto delle altre domande.
Avuto riguardo alle peculiarità del caso di specie ed alla ridottissima fondatezza della domanda attorea (relativamente ad un aspetto per nulla dibattuto), appare adeguata una totale compensazione delle spese di lite tra le parti e ciò anche con riferimento alla parte Agresti,che ha sostenuto le in gran parte infondate pretese attoree (art. 92, 2, cod.proc.civ.)
P.Q.M.
Il Tribunale,
definitivamente pronunciando sulle domande, respinta ogni altra richiesta ed eccezione;
accoglie
parzialmente la proposta domanda attorea e, per l’effetto,
condanna
le parti convenute, in solido, a pagare alla parte attrice l’importo di €9.371,77, con gli interessi,nella misura legale, dalla domanda al saldo;
dichiara
integralmente compensate, tra le parti, le spese di giudizio, confermando il disposto carico a parte attrice delle spese di C.T.U.
Sentenza esecutiva.
Così deciso in Milano il 18 giugno 2008.
(1) La legittimazione all’esercizio dell’azione sociale di responsabilità nella società a responsabilità limitata unipersonale
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1. Il caso - 2. La normativa di riferimento e la sua ratio - 3. Natura dell'azione esperita dal socio e legittimazione concorrente della società: gli orientamenti della dottrina e della giurisprudenza - 4. Il commento - NOTE
Con il provvedimento in epigrafe, la Sezione VIII del Tribunale di Milano ha accolto la domanda di condanna per atti di mala gestio proposta da una società a responsabilità limitata con unico socio verso i propri ex amministratori e il direttore generale. La società attrice aveva formulato nei confronti della precedente gestione plurime censure, ritenute solo parzialmente fondate dal Collegio giudicante, che ha condannato i soccombenti a risarcire i danni provocati alla società per effetto di alcune spese non giustificate, uniche condotte illecite accertate in esito alla consulenza tecnica disposta durante il procedimento. Il Tribunale, peraltro, in accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dai convenuti, ha dedotto dall’ammontare delle spese ingiustificate oggetto di risarcimento i compensi dovuti dalla società agli amministratori [1]. Il Collegio non ha, invece, ritenuto meritevoli di accoglimento tutte le altre pretese attoree e, proprio alla luce della limitata fondatezza delle domande proposte, ha disposto la compensazione delle spese di lite e confermato la sopportazione delle spese di C.T.U. a esclusivo carico dalla parte attrice. La sentenza contiene alcuni spunti meritevoli di approfondimento con riferimento alla statuizione con cui, in apertura, risolve positivamente la verifica in merito alla legittimazione ad agire in capo alla società attrice, ritenendola sussistente in virtù del suo status di società unipersonale.
Il referente normativo da cui muove la pronuncia è l’art. 2476 c.c., introdotto dal legislatore della Riforma societaria del 2003 in sostituzione del previgente art. 2487, che per un sessantennio aveva disciplinato l’amministrazione nelle società a responsabilità limitata e la conseguente responsabilità dei gestori rinviando integralmente alle norme dettate per la società per azioni. Attraverso la riformulazione dell’art. 2476 c.c., il legislatore delegato ha, come noto, innovato profondamente la materia, ponendo una cesura tra la disciplina della s.p.a. e quella della s.r.l., in ossequio all’obiettivo di rendere quella che fino a quel momento era sempre stata considerata una «piccola società per azioni senza azioni» [2] un tipo sociale effettivamente indipendente dal proprio modello di riferimento grazie (anche) alla elaborazione di «un autonomo ed organico complesso di norme» [3] ad esso dedicato. In particolare, in virtù del 3° comma dell’art. 2476, ciascun membro della compagine sociale si vede ora attribuita la legittimazione ad esercitare l’azione sociale di responsabilità nei confronti non solo degli amministratori, ma altresì – in virtù dell’estensione prevista dall’art. 2476, 7° comma, c.c. – dei soci che abbiano «intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi» (c.d. soci cogestori) [4]. La previsione non è, peraltro, del tutto nuova, trovando il proprio immediato precursore nell’art. 129, d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (ora abrogato e sostituito dall’art. 2393-bis c.c. per la generalità delle società azionarie), con cui l’istituto dell’azione sociale di minoranza venne introdotto nel nostro ordinamento inizialmente per le sole società quotate [5]. La ratio della disposizione contenuta nell’art. 2476, 3° comma, può essere ricondotta all’esigenza di creare un adeguato apparato strumentale volto a garantire l’effettività dei diritti di informazione e di controllo sullo svolgimento dell’attività gestoria che l’art. 2476, 2° comma, c.c. riconosce su base individuale ai soci della riformata s.r.l. [6]. L’attribuzione della legittimazione individuale all’esercizio [continua ..]
Preliminare a ogni considerazione in merito alla sussistenza o meno della legittimazione attiva in capo alla società è un corretto inquadramento della natura giuridica dell’azione di responsabilità disciplinata dall’art. 2476. In proposito – se si fa eccezione per la pur autorevole tesi che ha inteso scorgere nell’azione esercitata dal socio una ipotesi di «gestione d’affari processuale» [19] – fin dall’introduzione dell’ormai abrogato art. 129 t.u.f. la dottrina si divise in due correnti. Secondo la prima, l’azione della minoranza (o del singolo socio, nella s.r.l.), in quanto finalizzata a perseguire la reintegrazione del patrimonio sociale, avrebbe natura surrogatoria [20], nonostante risulti impossibile applicare integralmente a tale azione la disciplina prevista dall’art. 2900 c.c. [21]. Secondo altra e più ampia parte della dottrina, che ha rimarcato la natura sociale dell’azione [22] – intendendosi con tale locuzione la completa identità tra l’azione esercitabile dalla minoranza e quella esercitabile dalla società – il socio agirebbe invece nelle vesti di sostituito processuale della società [23] ovvero di legittimato straordinario della medesima [24]. Quest’ultima tesi – al di là delle speculazioni circa la non assimilabilità tra sostituzione processuale e legittimazione straordinaria – si lascia indubbiamente preferire anche alla luce di un’analisi incentrata sulla considerazione degli interessi tutelati dalla norma [25]: così, con tale premessa metodologica, la posizione del socio (o della minoranza) legittimato a esercitare l’azione contro gli amministratori si distingue in maniera piuttosto netta da quella che tipicamente ricopre il creditore nell’azione surrogatoria. Mentre il creditore si vede attribuire dalla legge la legittimazione ad agire per tutelare un proprio interesse [26], il socio (o la minoranza) non vanta, infatti, un diritto di credito, ma un mero interesse a che, mediante la condanna degli amministratori, il patrimonio sociale sia reintegrato; a differenza, dunque, della legittimazione surrogatoria, con cui il creditore realizza un proprio interesse e solo indirettamente quello del proprio debitore al quale egli si sostituisce, nell’azione del socio [continua ..]
La pronuncia in commento, propendendo per una ricostruzione dell’azione sociale di responsabilità rimessa alla esclusiva «legittimazione surrogante» dei soci [52], aderisce alla tesi – come rilevato supra prevalente in seno al foro ambrosiano, anche se fino ad oggi priva di seguito nel complessivo panorama giurisprudenziale – che esclude la legittimazione attiva alla proposizione dell’azione sociale di responsabilità in capo alla società a responsabilità limitata. Si è già avuta l’occasione di notare come pure all’interno del foro meneghino non siano mancate pronunce di segno contrario: anzi, della sentenza in esame è certamente meritevole di apprezzamento il tentativo di smussare la rigidità della posizione dei giudici milanesi a favore di una linea interpretativa in grado di coniugare lo ius positum con la realtà sostanziale, approccio che si coglie nell’interesse manifestato dal Collegio giudicante per il tema – ancora inesplorato – del possibile impatto dello status unipersonale dell’ente sull’esperimento dell’azione di responsabilità [53]. Sennonché, per quanto l’intento di soddisfare esigenze operative di cui sembra volersi fare carico la corte ambrosiana sia indubbiamente commendevole, più di una perplessità desta l’iter argomentativo – peraltro esposto assai succintamente – attraverso il quale il Tribunale giunge a considerare legittima la deroga rispetto al proprio (ad oggi maggioritario) orientamento. Il ragionamento intessuto del Tribunale, infatti, appare viziato in partenza proprio dall’adesione alla tesi che nega, in generale, la legittimazione della s.r.l., e questa premessa costringe inevitabilmente l’organo giudicante ad articolare una motivazione che risulta nel complesso poco convincente. Un primo elemento di dubbio è, anzitutto, di ordine sistematico, ed è generato dalla decisione dei giudici di ricavare una nicchia all’interno della disciplina dell’azione di responsabilità specificamente applicabile alle società unipersonali, ma che non sembra in realtà trovare un valido fondamento giuridico. Tipicamente, infatti, l’ordinamento delle società di capitali prevede regole specifiche applicabili [continua ..]