Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Questioni in tema di opposizione dei creditori alla fusione: deposito delle somme in pendenza di opposizione, concorso con l'azione di nullità proposta dal creditore opponente e fondamento dell'istituto (note a Trib. Roma, 11 novembre 2008; Trib. Roma, 10 marzo 2009; Trib. Roma, 26 maggio 2009) (di Stefano Cacchi Pessani)


TRIBUNALE DI ROMA (Ufficio del Giudice del Registro), decr., 11 novembre 2008 – Vannucci Giudice del Registro – Vianini Lavori S.p.A. (avv.ti Ravaioli e Sorrentino)

Società per azioni – Fusione – Opposizione dei creditori – Deposito delle somme in pendenza di opposizione – Irrilevanza

(Artt. 2503, 2445 c.c.)

Il deposito presso un istituto di credito delle somme dovute al creditore opponente, effettuato dopo l’opposizione, non rimuove il divieto legale di attuare la fusione che consegue all’op­posizione e non legittima da solo l’iscrizione dell’atto di fusione nel registro delle imprese, essendo a tal fine comunque necessaria l’autorizzazione del tribunale ai sensi dell’art. 2445, ult. cpv., c.c. (1).

15064/2008 vol. giur.

 

TRIBUNALE DI ROMA
UFFICIO DEL GIUDICE DEL REGISTRO DELLE IMPRESE
TENUTO DALLA CAMERA DI COMMERCIO,
INDUSTRIA, ARTIGIANATO E AGRICOLTURA
DI ROMA

 

Il giudice del registro delle imprese, in persona del magistrato Marco Vannucci,

visto il ricorso depositato il 6 novembre 2008 dalla Vianini Lavori s.p.a. (procuratori: avvocati Marco Ravaioli e Domenico Sorrentino) contro il rifiuto opposto il 24 ottobre 2008 dal conservatore del registro all’iscrizione del­l’atto di fusione, redatto il 22 settembre 2008, fra la Vianini Lavori s.p.a. e la Società Italiana Metropolitane (S.I.M.E.) s.p.a.; esaminati i documenti allo stesso ricorso allegati e quelli trasmessi dal conservatore con nota dell’11 novembre 2008;

OSSERVA

Il 24 ottobre 2008 il conservatore del registro delle imprese di Roma ha rifiutato l’iscrizione in tale registro dell’atto di fusione fra la Vianini Lavori s.p.a. e la Società Italiana Metropolitane (S.I.M.E.) s.p.a. (mediante incorporazione della seconda società nella prima), redatto il 22 settembre 2008 dal notaio Maurizio Misurale, di Roma: e ciò sul presupposto che, in presenza di tempestiva opposizione di un creditore di S.I.M.E. alla deliberata fusione, il tribunale non aveva emesso il decreto di cui all’art. 2445, ultimo comma, c.c. (richiamato dall’art. 2503, secondo comma, c.c.).

Tale decisione è stata comunicata a Vianini Lavori il 29 ottobre 2008.

Con ricorso depositato il 6 novembre 2008 tale società ha chiesto l’iscrizione rifiutata dal conservatore (art. 2189, ultimo comma, c.c.).

Premessa la tempestività del ricorso, la decisione del conservatore è da condividere, dal momento che:

a) il giorno 12 marzo 2008 sono state iscritte nel registro delle imprese le deliberazioni di fusione rispettivamente assunte dalle società sopra indicate;

b) con ordinanza depositata il 3 giugno 2008 il tribunale di Roma (in composizione monocratica) ha accertato che la curatela del fallimento della G. Manfredi s.p.a., qualificandosi creditore di S.I.M.E. ha proposto tempestiva (entro quindi il termine di sessanta giorni dal 12 marzo 2008: art. 2503, secondo comma, c.c.) opposizione alla fusione nelle forme del processo ordinario di cognizione;

c) alla luce del contenuto degli artt. 2503 e 2445, ultimo comma, c.c., la tempestiva opposizione (necessariamente giudiziale) alla fusione da parte di uno o più creditori delle società partecipanti a tale procedimento determina (come già evidenziato, con condivisibile affermazione, dal tribunale di Roma con la sopra indicata ordinanza e con quelle successivamente emesse nel corso del processo fra l’oppo­nente e S.I.M.E.) divieto legale di procedere alla stipulazione dell’atto di fusione (art. 2504 c.c.), rimuovibile solo con decreto (emesso nelle forme del procedimento camerale nei confronti di più parti di cui agli artt. 25, 26, 30, 31, 32 e 33 del D.lgs. n. 5 del 2003) con il quale il tribunale autorizzi la stipulazione dell’atto di fusione nonostante l’opposizione e previa valutazione dei presupposti richiesti dall’art. 2445, ultimo comma, c.c. (la norma è chiaramente imperativa);

d) è quindi da escludere, in mancanza di tale necessaria valutazione giudiziale, che l’atto di fusione possa essere stipulato, dopo la proposizione dell’opposizione, in conseguenza del solo deposito presso una banca del danaro necessario a soddisfare integralmente il debitore; oltretutto avvenuto dopo la proposizione dell’oppo­si­zio­ne;

e) la regola recata dal primo comma dell’art. 2503 c.c. è funzionale solo ad elidere il termine di sessanta giorni previsto dalla stessa disposizione di legge per il divieto di attuazione della fusione, non certo a consentire che la fusione possa aver luogo, in assenza del decreto autorizzativo del tribunale sopra richiamato, in presenza di tempestiva opposizione di uno o più creditori;

f) nel caso concreto, il versamento di somma di danaro a disposizione dell’opponente alla fusione è avvenuto il 19 settembre 2008, dopo che era da tempo elasso il termine indicato dal più volte citato art. 2503, primo comma, c.c. e che la curatela del fallimento della G. Manfredi s.p.a. aveva proposto opposizione avanti il tribunale di Roma;

g) il 24 ottobre 2008 (giorno del rifiuto opposto al­l’iscri­zione nel registro delle imprese dell’atto di fusione redatto dal notaio Misurale, di Roma, il 22 settembre 2008) nessun decreto autorizzativo della fusione il tribunale di Roma aveva emesso ai sensi dell’art. 2445, ultimo comma, c.c.

Il rifiuto del conservatore all’iscrizione dell’atto di fusione sopra indicato è quindi legittimo.

P.Q.M.

visti gli artt. 2189 c.c. e 11, tredicesimo comma, D.P.R. n. 581 del 1995, conferma il rifiuto opposto il 24 ottobre 2008 (decisione n. 269804/2008) dal conservatore del registro delle imprese all’iscrizione dell’atto di fusione della Società Italiana Metropolitane (S.I.M.E.) s.p.a. nella Vianini Lavori s.p.a. redatto il 22 settembre 2008 dal notaio Maurizio Misurale, di Roma.

 

TRIBUNALE DI ROMA, ord., 10 marzo 2009 – Dell’Orfano Giudice Delegato – Sicilcassa S.p.A. in l.c.a. c. Farsura Costruzioni S.p.A. in liq.

Società per azioni – Fusione – Situazione patrimoniale – Falsità – Nullità della decisione di fusione

La “falsità” della situazione patrimoniale rende nulla per illiceità dell’oggetto la decisione dei soci sulla fusione. (2)

Società per azioni – Esecuzione delle deliberazioni impugnate – Sospensione ex art. 2378 c.c. – Azione di nullità – Applicabilità

La disciplina della sospensione dell’esecuzione delle deliberazioni dell’assemblea, prevista dal­l’art. 2378 per l’azione di annullamento, trova applicazione anche all’azione di nullità di cui al­l’art. 2379(3)

Società per azioni – Fusione – Opposizione dei creditori – Azione di nullità – Domanda di sospensione dell’esecuzione della delibera impugnata – Concorso – Ammissibilità

La domanda di sospensione della decisione di fusione, proposta dal creditore sociale che, insieme all’opposizione, chieda la dichiarazione di nullità della decisione per la falsità della situazione patrimoniale di fusione, è ammissibile, nonostante – e in concorso con – il divieto legale di attuare la fusione che già consegue all’opposizione. (4)

(omissis)

La Sicilcassa S.p.A. in l.c.a. ha chiesto, con ricorso ex art. 24 d.lvo 5/2003, in corso di causa, la sospensione, ai sensi dell’art. 2378, 3° comma, c.c. dell’«esecuzione della deliberazione del 19 novembre 2008 con cui l’assemblea straordinaria di Farsura Costruzioni S.p.A. in liq. ha approvato il progetto di fusione mediante incorporazione di Finimp S.p.A. in liq».

Il ricorso appare, sia pure nei limiti della sommaria delibazione consentita in questa sede, fondato e deve essere accolto per i motivi di cui infra.

È d’uopo in primo luogo evidenziare che in data 19.11.2008 l’assemblea straordinaria della Farsura Costruzioni S.p.A. in liquid. ha deliberato “di approvare la situazione patrimoniale della società alla data del 31 ottobre 2008, come sopra allegata sotto “B” al presente verbale; di approvare il sopraindicato progetto di fusione per incorporazione della “FINIMP S.p.A. in liquidazione” con sede in Palermo … nella “FARSURA COSTRUZIONI S.p.A. in liquidazione” con sede in Roma, progetto che comporta l’annullamento senza concambio di tutte le azioni costituenti l’intero capitale sociale della società incorporanda, già possedute interamente dalla società incorporante, e l’imputazione delle operazioni della società incorporanda al bilancio della incorporante con effetto, ai soli fini contabili e fiscali, a decorrere dal primo gennaio dell’anno in cui la fusione avrà efficacia; …….”.

Orbene, appare destituita di fondamento l’eccezione pregiudiziale della società resistente, la Farsura Costruzioni S.p.A., relativa all’inammissibilità della richiesta di sospensione delle delibere innanzi menzionate, posto che, essendo stata proposta dalla medesima società ricorrente (quale creditore della Farsura Costruzioni S.p.A.), oltre che l’im­pu­gnazione del predetto deliberato, anche l’opposizione alla fusione ai sensi dell’art. 2503 c.c., la deliberazione in questione risulterebbe già sospesa sino all’esito di que­st’ul­timo giudizio.

Sul punto, come recentemente affermato, con argomentazioni del tutto condivisibili, dalla giurisprudenza del Tribunale di Roma (cfr. ordinanza collegiale depositata in data 28.1.2009, all’esito della fase di reclamo, ai sensi dell’art. 669 terdecies c.p.c. e 25 d.lvo 5/2003, nel procedimento nr. R.G. 75156/2008), è d’uopo evidenziare la diversità del diritto la cui tutela è alla base del ricorso ex art. 2503 c.c. da quello invocato attraverso la proposizione del presente ricorso ex art. 2378 c.c. e ciò anche nel caso in cui, come nella fattispecie, il titolare di ciascun diritto si identifichi nello stesso soggetto (nella fattispecie, un creditore sociale).

Nel primo caso, infatti, l’iniziativa giudiziaria promana da un creditore della società debitrice che si ritiene pregiudicato nella sua pretesa, non ritenendosi adeguatamente garantito, dalla operazione di fusione, mentre nella seconda ipotesi è il medesimo creditore, quale terzo interessato, che, sulla base di una non corretta rappresentazione contabile delle vicende patrimoniali della società, agisce per far dichiarare la nullità della delibera in questione in contrasto con norme imperative poste a tutela dell’inte­resse dei soci e dei terzi.

Trattasi quindi di differenti rapporti giuridici che devono essere valutati separatamente l’uno dall’altro, operando su piani e riferimenti sistematici diversi e distinti.

La circostanza che sussista già la sospensione ex lege dell’efficacia della delibera di fusione (art. 2503 c.c.) non preclude, nella vicenda per cui è lite, l’esame e la valutazione dei presupposti che consentono l’adozione della diversa cautela ex art. 2378 c.c. con riferimento alla sospensione dell’efficacia della delibera riguardante la fusione per incorporazione della Finimp S.p.A. in liq. nella Farsura Costruzioni s.p.a. in liq.

Dalla diversità di tali diritti e rapporti discende infatti una diversità di tutele dall’ordinamento rispettivamente da­te per l’uno ovvero per l’altro rapporto quanto a presupposti, natura ed effetti.

Di conseguenza, l’opposizione del creditore alla fusione determina la sospensione ex lege dell’esecuzione della deliberazione di fusione rimuovibile da parte del Tribunale con il decreto di cui all’art. 2445 u.c. c.c. e 33 D.Lgs. n. 5/03 mentre la deliberazione assembleare di approvazione del progetto di fusione è invece ex se esecutiva una volta iscritta nel Registro delle Imprese e tale esecuzione può essere sospesa dal Tribunale, adìto dal socio o da un terzo per l’annullamento della deliberazione, sino alla sentenza di merito (art. 2378 c.c.).

Passando alla trattazione nel merito, si rileva che la Sicilcassa ha censurato la suddetta deliberazione sulla base di argomentazioni che possono essere così riassunte: mancata indicazione, nella situazione patrimoniale allegata al progetto di fusione, del credito della società ricorrente relativo alla contabilizzazione degli interessi derivanti da una pregressa concessione di credito, in favore della Farsura, per importi in linea capitale pari ad oltre € 25 milioni.

Premesso che la sospensione dell’esecuzione di una deliberazione assembleare di società di capitali è ammessa anche con riguardo alle azioni di nullità, non potendosi negare la configurabilità di siffatta esigenza cautelare anche nei casi, ben più gravi, come quello in esame, nei quali sia dedotta la nullità del deliberato assembleare anziché invocato il solo annullamento, si rileva che la censura, seppure con valutazione sommaria imposta dall’attuale fase procedimentale, appare fondata ed è quindi idonea a consentire l’accoglimento della richiesta di sospensione dell’esecu­zione delle deliberazioni suddette sotto il profilo del c.d. fumus boni iuris.

In primo luogo è opportuno evidenziare che la situazione patrimoniale di ciascuna delle società che partecipano alla fusione deve essere sottoposta da ciascun organo amministrativo alle relative assemblee e deve essere riferita ad una data non anteriore di oltre centoventi giorni al giorno in cui il progetto di fusione è depositato nella sede della società (art. 2501 quater c.c.); essa deve contenere l’espo­sizione delle vicende patrimoniali della società, sviluppando quelle stesse caratteristiche di chiarezza, correttezza e veridicità imposte per il bilancio d’esercizio dagli artt. 2423 e segg. c.c. al fine di soddisfare l’inderogabile funzione di fornire non solo ai soci ma anche ai creditori delle società coinvolte nella fusione informazioni aggiornate, onde consentire loro di esprimere il proprio giudizio sulla convenienza dell’operazione, eventualmente proponendo l’op­po­sizione prevista dall’art. 2503 c.c.

Secondo l’orientamento maggioritario della giurisprudenza di merito, tra cui quella di questo Tribunale, indirizzo peraltro condiviso da autorevole dottrina, la situazione patrimoniale della società, per la stessa finalità di misurazione del patrimonio sociale che vi è insita, ha la valenza di un vero e proprio bilancio d’esercizio straordinario infrannuale, (c.d. bilancio di fusione), ragione per cui essa deve essere redatta secondo i criteri sostanzialmente uguali a quelli prescritti per il bilancio di esercizio, ricalcandone la struttura (stato patrimoniale, conto economico, e nota integrativa) e prevedendo, altresì, i criteri prudenziali di valutazione contemplati per il bilancio stesso.

Nella fattispecie, la situazione patrimoniale allegata al verbale assembleare del 19 novembre 2008, a rogito del notaio M. Terzi di Roma, rep. 4282/ racc. 9752, non soddisfa i requisiti suddetti, non contenendo alcuna indicazione circa il debito della Farsura nei confronti della Sicilcassa costituito dagli interessi moratori maturati sul credito – pari ad € 25.010.326,00 – elargito in suo favore da quest’ul­tima, riportato nel bilancio della Farsura al 31 dicembre 2007 (cfr. pag. 11 nota integrativa del bilancio 2007, doc. 4 fasc. Sicilcassa).

Sostiene la società resistente che non sussisteva alcun obbligo di indicare nella situazione patrimoniale gli interessi moratori sul predetto credito, che erano stati sospesi in forza di un pactum de non petendo (cfr. lettere Sicilcassa del 29.1.1990 e del 15.3.1991; doc. 12 fasc. Sicilcassa) risolutivamente condizionato, in via alternativa, al verificarsi di uno dei seguenti eventi: “Allorquando il Gruppo (ndr. del quale è parte la Farsura) avrà riscosso in tutto o in parte (…) il residuo credito vantato dalla Farsura nei confronti del Comune di Palermo, nonché qualora il credito della Cassa sul quale detti interessi maturano dovesse formare oggetto di recupero in sede di procedura concorsuale”.

Si allega pertanto che entrambe le condizioni si sarebbero realizzate, la prima a far data dal dicembre 1990-gennaio 1991, allorché la Farsura incassò dal Comune di Palermo £. 95 miliardi in virtù di un lodo arbitrale poi impugnato, l’altra a far data dal 26.2.2000, allorché era stato dichiarato dal Tribunale di Palermo il fallimento della Arturo Cassina Estero s.r.l., società del Gruppo Cassina al quale appartiene anche la Farsura e che aveva parimenti firmato nel 1988 un accordo cd. di consolidamento tra la Sicilcassa e tutte le società del Gruppo Cassina per un importo, riferito alla sola Farsura, superiore ad € 25 milioni, così come riportato nel bilancio 2007 innanzi citato.

Ciò avrebbe quindi determinato l’avvenuta prescrizione dei diritti vantati dalla Sicilcassa per il pagamento degli interessi moratori, stante l’avvenuto decorso del termine previsto dall’art. 2948, n.4 c.c.

Le argomentazioni appaiono prive di fondamento.

In primo luogo non risulta che la Sicilcassa abbia già ottenuto il rimborso del credito elargito in favore della Farsura, neppure in sede concorsuale; al contrario la persistenza del credito della società ricorrente per sorte capitale non è contestato dalla Sicilcassa. La seconda condizione per la risoluzione del pactum de non petendo non si può quindi ritenere realizzata.

Parimenti non sembrerebbe essersi verificata neppure la prima condizione atteso che la Sicilcassa, nella lettera inviata in data 15.3.1991, protocollata al nr. 049200 E 18.3.1991, sopra citata (cfr. doc. 12 atto di citazione), menzionando il residuo credito ”vantato dalla Farsura nei confronti del Comune di Palermo”, non poteva che fare riferimento alle somme che erano rimaste a carico di tale Ente a seguito del parziale pagamento effettuato tra il dicembre 1990 ed il gennaio 1991; in base alla documentazione prodotta, ed in particolare dall’esame del bilancio 2007, è dato dunque rilevare che la Farsura, al 31.12.2007, risultava creditrice nei confronti del Comune di Palermo per i seguenti importi: “Lodo parziale Comune di Palermo emesso il 2/7/88 con sentenza 7/7/95, quanto ad € 8.770.425=; Lodo Comune di Palermo emesso il 31/7/96, quanto ad € 25.166.260=; Interessi legali Comune di Palermo, quanto ad € 22.307.315” (cfr. nota integrativa al bilancio 31.12.2007, pag. 6; doc. 4 fasc. Sicilcassa); nel predetto documento contabile fu inoltre espressamente dato atto di quanto segue: “I detti crediti immobilizzati per Lodi in contenzioso non hanno subito decrementi rispetto allo scorso esercizio”(cfr. nota integrativa, pag. 6).

Con evidenza, se al 31.12.2007 risultava ancora indicato il predetto credito nei confronti del Comune di Palermo, ciò significa che a quella data non si era ancora verificata alcuna riscossione degli importi sopra indicati da parte della Farsura.

Essendo dunque emersa, pur nel limite di una cognizione sommaria e di una prova imperfetta, l’esistenza di un credito della Sicilcassa per interessi moratori, seppure condizionato rispetto alla sua esigibilità, in misura pari a circa € 200 milioni (nessuna obiezione è stata formulata dalla società resistente quanto alla suddetta quantificazione del credito operata da parte ricorrente), si rileva che non poteva non darsi conto, nella situazione patrimoniale allegata al progetto di fusione, ed in particolare nel fondo rischi, della prevedibile passività derivante dal verificarsi della condizione risolutiva del pactum de non petendo riferito all’esigibilità degli interessi di cui si è detto.

All’esistenza di una siffatta grave irregolarità nella redazione della situazione patrimoniale deve essere associata la sussistenza di quell’imprescindibile elemento che l’art. 2378, 4° co., c.c., riassume nell’espressione “gravi motivi” e che impone al Giudice una valutazione discrezionale degli interessi in contestazione mediante bilanciamento della gravità delle conseguenze che potrebbero derivare al soggetto impugnante dall’esecuzione della delibera rispetto a quelle che deriverebbero alla società dalla sospensione della medesima.

Sul punto è allora opportuno evidenziare che la proposizione di un’impugnazione del bilancio, che si afferma nullo, da parte di un creditore della società (terzo legittimato ai sensi dell’art. 2379 c.c.) non è condizionata dall’esi­stenza di un interesse concreto ad agire, consistente nella necessità di rimuovere uno specifico pregiudizio patrimoniale, giacché, come precedentemente motivato, esiste un complesso di diritti ed interessi generali, tutelati da norme imperative e aventi natura non esclusivamente patrimoniale, dei quali anche un terzo, come un creditore della società, è titolare e la cui violazione, anche se perpetrata mediante una delibera pur vantaggiosa per la società, attribuisce non solo ai soci ma anche ai terzi, che siano titolari di una posizione giuridicamente qualificata come un diritto di credito nei confronti della società, l’interesse ad agire.

Nel caso di specie, pertanto, non varrebbe invocare la mancanza di un danno economico in capo ai creditori a fronte della convenienza dell’operazione di fusione “al fine di realizzare una maggiore economia ed efficienza nella attività di liquidazione” (cfr. pag. 1 memoria di replica della Farsura), né varrebbe paventare un possibile corrispondente danno dalla sospensione della delibera in questione sulla base del fatto che “qualora le procedure concorsuali di FARSURA e FINIMP rimanessero distinte gli organi direttivi di ciascuna di esse potrebbero avere visioni diverse e non concordare sulle modalità delle vendite e/o dei recuperi, così indirettamente ed involontariamente pregiudicando una massa rispetto all’altra” (cfr. pag. 2 memoria di replica Farsura).

L’azione di nullità, come si è detto, non è preordinata allo scopo di rimuovere uno specifico pregiudizio economico subìto dal socio o da un terzo ma è funzionale all’interesse, non solo individuale ma anche e soprattutto generale, al regolare svolgimento del rapporto sociale, al fine di impedire una deviazione dallo scopo essenziale economico-pratico del rapporto societario. Ciò non significa che, in relazione all’azione di nullità, l’interesse ad agire può identificarsi con quello generico ed astratto alla mera attuazione della legge o alla semplice legalità dell’atto (che porterebbe all’annullabilità della delibera), bensì con quello generale, trascendente quello dei singoli soggetti, diretto ad impedire la violazione di norme che individuano i principi essenziali della società per azioni o di norme poste a tutela dei creditori o, ancora, di norme primarie delle società di capitali, tra le quali si possono sicuramente includere gli artt. 2423 ss. c.c.

All’esito di detta comparazione appaiono, dunque, allo stato prevalenti le gravi implicazioni che l’esecuzione della delibera in questione, in presenza di una netta censura tra la reale consistenza complessiva della società ed i dati rappresentati nella situazione patrimoniale, comporterebbe per l’interesse collettivo (di cui sono portatori i soci ma anche i creditori sia della Farsura che della Finimp), tenendo conto del ben maggiore pregiudizio che potrebbe derivare dal continuare ad attribuire efficacia ad una delibera destinata, alla stregua di quanto s’è detto, ad essere dichiarata nulla, specie nell’ipotesi in cui il Tribunale, chiamato a pronunciarsi su di un eventuale ricorso ex art. 2445, 4° comma c.c. (richiamato dall’ultimo comma dell’art. 2503 c.c.) da parte della società – allo stato del tutto possibile –, autorizzasse la fusione nonostante l’opposizione del creditore, odierno ricorrente, il che determinerebbe una certa lesione per tutti i soggetti che, coinvolti, come soci o creditori, nell’operazione di fusione, abbiano fatto affidamento su di una situazione patrimoniale della Farsura Costruzioni non vera.

Come si è già detto ma pare opportuno ribadire, non può invero in alcun modo trascurarsi che l’odierna controversia ha ad oggetto interessi, dei soci e dei terzi, di natura pubblicistica, protetti da norme inderogabili, la cui violazione determina una reazione dell’ordinamento svincolata da qualsiasi iniziativa di parte, quali le norme dirette a garantire la chiarezza e la precisione del bilancio di esercizio.

La fondatezza della censura esaminata è idonea e sufficiente per l’accoglimento della richiesta cautelare formulata dalla Sicilcassa S.p.A. in liquid., il che, stante la natura assorbente della stessa, esonera, allo stato, dall’esaminare le altre questioni di merito disputate tra le parti.

(omissis)

 

TRIBUNALE DI ROMA, 26 maggio 2009 (ord.) – Covelli Presidente – Vannucci Giudice Relatore – Sicilcassa S.p.A. in l.c.a. (prof. avv. Guaccero) c. Farsura Costruzioni S.p.A. in liq. (avv.ti Grazzini, Picca e Bottai)

(Artt. 2501-ter, 2378, 2379, 2503 e 2445 c.c.)

Società per azioni – Fusione – Situazione patrimoniale – Falsità – Nullità della decisione di fusione

La “falsità” della situazione patrimoniale rende nulla per illiceità dell’oggetto la decisione dei soci sulla fusione. (2)

Società per azioni – Esecuzione delle deliberazioni impugnate – Sospensione ex art. 2378 c.c. – Azione di nullità – Applicabilità

La disciplina della sospensione dell’esecuzione delle deliberazioni dell’assemblea, prevista dal­l’art. 2378 per l’azione di annullamento, trova applicazione anche all’azione di nullità di cui al­l’art. 2379(3)

Società per azioni – Fusione – Opposizione dei creditori – Azione di nullità – Domanda di sospensione dell’esecuzione della delibera impugnata – Concorso – Ammissibilità

La domanda di sospensione della decisione di fusione, proposta dal creditore sociale che, insieme all’opposizione, chieda la dichiarazione di nullità della decisione per la falsità della situazione patrimoniale di fusione, è ammissibile, nonostante – e in concorso con – il divieto legale di attuare la fusione che già consegue all’opposizione. (4)

1) La materia del contendere del processo di merito e l’istanza cautelare. (omissis)

Con ordinanza emessa il 10 marzo 2009 il giudice designato per la trattazione di tale incidente cautelare ha sospeso, nel contraddittorio con Farsura, l’esecuzione delle citate deliberazioni (l’ordinanza contiene, in dispositivo, un errore materiale: essa indica che le deliberazioni sono state emesse “ex art. 2051 e ss. c.c.”, mentre intende chiaramente che la disposizione di legge rilevante è quella contenuta nell’art. 2502 c.c.).

Tale ordinanza è stata reclamata da Farsura (artt. 669-terdecies c.p.c.).

2) L’opposizione del creditore alla fusione e le relative conseguenze. L’impugnazione della deliberazione di approvazione del progetto di fusione da parte del creditore sociale. Premessa la tempestività tanto dell’azione di accertamento della nullità delle deliberazioni sopra indicate (con riferimento al termine indicato nell’art. 2379, primo comma, c.c.) che dell’opposizione del creditore alla fusione (con riferimento al termine fissato dall’art. 2503, secondo comma, c.c.) congiuntamente esercitate da Sicilcassa, si osserva:

a) che gli amministratori di società per azioni sono obbligati a dare esecuzione a deliberazioni assembleari che abbiano acquistato efficacia;

b) che l’iscrizione nel registro delle imprese di deliberazione assembleare di approvazione di progetto di fusione determina l’efficacia della deliberazione medesima (art. 2502-bisc.);

c) che, salvi i casi tassativamente indicati dal primo comma dell’art. 2503, primo comma, c.c., agli amministratori della società la cui assemblea abbia deliberato l’appro­vazione del progetto di fusione è dallo stesso art. 2503, primo comma vietato di stipulare l’atto di fusione prima che sia decorso il termine di sessanta giorni dall’ultima delle iscrizioni previste dall’art. 2502-bis;

d) che nel caso di tempestiva opposizione dei creditori alla fusione “si applica… l’ultimo comma dell’articolo2445”(art. 2503, ultimo comma, c.c.);

e) che, pertanto (come già evidenziato dalla giurisprudenza cautelare di questo tribunale e da quella del giudice del registro tenuto dalla camera di commercio di Roma), la tempestiva opposizione, non avente necessariamente ad oggetto la demolizione giudiziale (mediante accertamento della nullità ovvero annullamento) della deliberazione autorizzativa della stipulazione dell’atto di fusione, consolida il divieto legale di procedere alla stipulazione dell’atto medesimo (art. 2504 c.c.), rimuovibile solo con decreto (emesso nelle forme del procedimento camerale nei confronti di più parti di cui agli artt. 25, 26, 30, 31, 32 e 33 del D.lgs. n. 5 del 2003) con il quale il tribunale, su istanza degli amministratori della società che ha deliberato la fusione, autorizzi la stipulazione dell’atto in questione nonostante tale opposizione e previa valutazione dei presupposti richiesti dall’art. 2445, ultimo comma, c.c. (la norma è chiaramente imperativa);

f) che, ricorrendo tale ipotesi, l’esecutività della deliberazione di fusione è sospesaex legefino all’emissione della decisione giudiziale a contenuto autorizzatorio (destinata quindi a rimuovere il vincolo legale in questione) da ultimo indicata;

g) che il rimedio dato dalla disposizione in esame al creditore non è incompatibile con il rimedio generale dato allo stesso creditore all’accertamento della nullità della deliberazione medesima che abbia, in ipotesi, oggetto illecito (art. 2379 c.c.);

h) che, inoltre, i due rimedi non sono neppure fra loro interferenti, in ragione della diversità degli accertamenti da ciascuno di essi postulati;

i) che, infatti, nel caso di opposizione ex art. 2503 c.c. il sollecitato accertamento giudiziale (nell’ambito di procedimento camerale, come tale non idoneo a determinare il formarsi di alcun giudicato) verte essenzialmente sull’esi­stenza di pregiudizio alle ragioni di credito del creditore nel caso di esecuzione della delibera di fusione; con la conseguenza che in funzione della decisione a contenuto autorizzatorio prevista dal citato art. 2445, ultimo comma, c.c. è necessariamente da valutare solo esistenza e consistenza di tale pregiudizio;

j) che, invece, quando il creditore sociale faccia valere, mediante processo di cognizione, la nullità della medesima deliberazione in ragione dell’illiceità del relativo oggetto, l’accertamento giurisdizionale (tendenzialmente suscettibile a dar luogo a giudicato sul merito della pretesa) prescinde dall’eventuale pregiudizio per le ragioni di credito in conseguenza dell’esecuzione della deliberata fusione per appuntarsi esclusivamente sulla liceità dello stesso oggetto in riferimento alle rispondenza dello stesso alle norme imperative di riferimento;

k) che nel caso di esercizio di tale ultima azione di merito la legge assicura al creditore che la nullità deduca il rimedio cautelare della sospensione dell’esecuzione della deliberazione impugnata (art. 2378, secondo comma, c.c., pacificamente applicabile anche quando sia da chiunque vi abbia interesse dedotta la nullità di deliberazione assembleare ex art. 2379 c.c.) quale misura a contenuto sostanzialmente anticipatorio della sollecitata decisione di accertamento della nullità, destinata ad essere immediatamente sostituita dalla sentenza che la nullità accerti ovvero a perdere immediatamente di efficacia (art. 669-novies, terzo comma, c.p.c.) nel caso di sentenza che la domanda di accertamento rigetti;

l) che, in tale ipotesi, il rimedio cautelare in questione è tanto più rilevante e pregnante alla luce del divieto dalla legge rivolto al giudice di pronunciare la nullità ovvero l’an­nullamento di tale deliberazione una volta che sia stata iscritto nel registro delle imprese l’atto di fusione (art. 2504-quater, primo comma, c.c.) anche nel caso in cui questo sia stato stipulato dagli amministratori nonostante l’opposizione dei creditori ed in mancanza dell’autorizza­zione di cui agli artt. 2445, ultimo comma, 2503, ultimo comma, c.c.;

m) che, in conclusione, ad azioni diverse quanto ai diritti ed ai rapporti coinvolti corrispondono tutele giurisdizionali diverse quanto a contenuti ed effetti.

È pertanto da condividere l’ordinanza in questa sede reclamata nella parte in cui (conformandosi del resto a Trib. Roma, ord. 28 gennaio 2009, Curatela del fallimento della G. Manfredi s.p.a. c. Società Italiana Metropolitane (S.I.M.E.) s.p.a.) [ined.] ritiene ammissibile pronuncia cautelare su istanza di sospensione di esecuzione deliberazione di approvazione di progetto di fusione (proposta da creditore che della deliberazione deduca la nullità ai sensi dell’art. 2379 c.c.) la cui esecutività sia (temporaneamente) sospesa in conseguenza di tempestiva opposizione del medesimo creditore alla stessa decisione dei soci.

3) La prognosi di fondatezza dell’azione di accertamento della nullità e le conseguenze sulla decisione cautelare. La situazione patrimoniale di cui all’art. 2501-quater c.c., da sottoporre all’approvazione dell’assemblea unitamente al progetto di fusione, deve essere redatta “con l’osservanza delle norme sul bilancio di esercizio”.

L’art. 2423, secondo comma, prevede che il bilancio debba essere redatto “con chiarezza” e debba rappresentare “in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico dell’esercizio”.

Costituisce ius receptum che la deliberazione di assemblea di società di capitali con la quale venga approvato un bilancio redatto in modo non conforme ai sopra menzionati precetti normativi (o in violazione delle norme dettate dalle altre disposizioni in materia di bilancio costituenti espressione dei medesimi precetti) è da ritenersi nulla per illiceità dell’oggetto (art. 2379, primo comma, c.c. per le società per azioni; art. 2479-ter, terzo comma, c.c., per le società a responsabilità limitata), essendo tali disposizioni poste a tutela di interessi trascendenti i limiti della compagine sociale e riguardando anche i terzi, anche essi destinatari delle informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria della società che il bilancio deve fornire con chiarezza e precisione; sì che un bilancio redatto in violazione dell’art. 2423, secondo comma, c.c. è, di per sé, illecito e costituisce quindi l’oggetto, illecito, della deliberazione assembleare che lo abbia approvato (cfr., fra le molte, Cass. 7 marzo 2006, n. 4874; Cass. 29 settembre 2005, n. 19097; Cass. 3 settembre 1996, n. 8048; Cass. 14 marzo 1992, n. 3132; Cass. 8 giugno 1988, n. 3881).

Tali principi sono da ritenere ancora operanti alla luce della disciplina introdotta dal D.lgs. n. 6 del 2003, contemplante, accanto all’ipotesi di annullamento di deliberazioni assembleari ovvero di decisioni dei soci non conformi alla legge ovvero allo statuto sociale (art. 2377 c.c. per le società per azioni; art. 2479-ter, primo e secondo comma, c.c.), l’ipotesi della nullità di deliberazioni ovvero decisioni aventi, per quanto qui interessa, oggetto illecito, da far valere, da parte di chiunque vi abbia interesse, entro tre anni dall’iscrizione o deposito delle deliberazioni ovvero decisioni nel registro delle imprese (ove le deliberazioni siano soggette ad iscrizione ovvero a deposito nel registro delle imprese) oppure dalla relativa trascrizione nel libro dei verbali delle assemblee o delle decisioni (art. 2379, primo comma, c.c. per le società per azioni; art. 2479-ter, terzo comma, c.c. per le società a responsabilità limitata).

La deliberazione assembleare che approvi, unitamente al progetto di fusione, una situazione patrimoniale che non si conformi alle norme imperative di cui si discute è quindi nulla per illiceità del relativo oggetto.

Con particolare riferimento alla società incorporante (come accade nel caso di specie), la situazione patrimoniale consente ai creditori della stessa (Sicilcassa fra questi) di valutare gli effetti che l’approvata fusione produce sulla garanzia patrimoniale offerta dalla stessa società. La veridicità, correttezza e chiarezza delle informazioni desumibili dal contenuto di tale atto costituisce il presupposto per la formazione di tale giudizio.

In effetti, in mancanza di una rappresentazione contabile, chiara, corretta e veritiera della situazione patrimoniale della società, il creditore non è neppure in grado di valutare compiutamente la ricorrenza in concreto del pregiudizio alle proprie ragioni di credito che dalla fusione in ipotesi derivi.

L’interesse qualificato di Sicilcassa all’accertamento della dedotta nullità è quanto mai evidente.

Nel caso concreto non pare proprio che la situazione patrimoniale di Farsura di cui si discute sia conforme al precetto di rappresentazione veritiera e corretta della situazione patrimoniale e finanziaria della stessa società.

In essa non vi è alcuna indicazione circa il debito di Farsura nei confronti di Sicilcassa costituito dagli interessi moratori maturati sul credito – pari ad €. 25.010.326 – elargito in suo favore da quest’ultima, riportato nel bilancio della stessa Farsura al 31 dicembre 2007.

Sostiene Farsura che non sussisteva alcun obbligo di indicare nella situazione patrimoniale gli interessi moratori su tale credito, che erano stati sospesi in forza di un pactum de non petendo (lettere Sicilcassa del 29 gennaio 1990 e del 15 marzo 1991) risolutivamente condizionato, in via alternativa, al verificarsi di uno dei seguenti eventi: “Allorquando il Grup­po (ndr. del quale Farsura è parte) avrà riscosso in tutto o in parte (…) il residuo credito vantato dalla Farsura nei confronti del Comune di Palermo, nonché qualora il credito della Cassa sul quale detti interessi maturano dovesse formare oggetto di recupero in sede di procedura concorsuale”.

Farsura deduce in particolare che tali condizioni si sarebbero avverate: la prima nel periodo compreso fra il dicembre 1990 ed gennaio 1991, allorché essa ebbe ad incassare dal Comune di Palermo £. 95.000.000.000 in esecuzione di un lodo arbitrale poi impugnato; la seconda il 26 febbraio 2000, giorno in cui il tribunale di Palermo ebbe a dichiarare il fallimento della Arturo Cassina Estero s.r.l. (società del c.d. “gruppo Cassina” al quale appartiene anche Farsura) e che aveva parimenti sottoscritto nel 1988 accordo cosiddetto “di consolidamento” tra Sicilcassa e tutte le società del medesimo “gruppo Cassina” per un importo, riferito alla sola Farsura, superiore ad €. 25.000.000, così come riportato nel bilancio 2007 innanzi citato.

Ciò avrebbe quindi determinato l’avvenuta prescrizione del diritto di Sicilcassa al pagamento degli interessi moratori per avvenuto decorso del termine previsto dall’art. 2948, n. 4), c.c.

Al riguardo sono da condividere le considerazioni del giudice di prima istanza in ordine alla fragilità di tali argomentazioni.

Non risulta punto che Sicilcassa abbia già ottenuto il rimborso del credito elargito in favore di Farsura, neppure in sede concorsuale.

Al contrario la persistenza del credito in questione per sorte capitale non è contestata da Farsura: la seconda condizione per la risoluzione del pactum de non petendo non può quindi ritenersi ragionevolmente verificata.

Non sembra neppure essersi verificata la prima condizione.

Sicilcassa, infatti, nella lettera inviata il 15 marzo 1991, menzionando il residuo credito ”vantato dalla Farsura nei confronti del Comune di Palermo”, non poteva che fare riferimento alle somme che erano rimaste a carico di tale ente pubblico a seguito del parziale pagamento effettuato tra il dicembre 1990 ed il gennaio 1991.

Alla luce del contenuto del bilancio di Farsura relativo all’anno 2007 si rileva rilevare che tale società risultava, al 31 dicembre 2007, creditrice nei confronti del Comune di Palermo per i seguenti importi: “Lodo parziale Comune di Palermo emesso il 2/7/88 con sentenza 7/7/95, quanto ad € 8.770.425=; Lodo Comune di Palermo emesso il 31/7/96, quanto ad € 25.166.260=; Interessi legali Comune di Palermo, quanto ad €. 22.307.315” (pagina sei della nota integrativa al bilancio 31 dicembre 2007). Nello stessa nota integrativa è inoltre espressamente evidenziato che “i detti crediti immobilizzati per Lodi in contenzioso non hanno subito decrementi rispetto allo scorso esercizio”.

Se, quindi, al 31 dicembre 2007 risultava ancora indicato nel bilancio di Farsura il credito in questione nei confronti del Comune di Palermo, a quella data non poteva ancora dirsi verificata alcuna riscossione degli importi sopra indicati da parte della stessa Farsura.

In buona sostanza, essendo quanto mai probabile (alla luce del contenuto dei documenti acquisiti al processo) l’esistenza di credito, ancorché condizionato nella relativa esigibilità, di Sicilcassa verso Farsura per interessi moratori in misura pari a circa €. 200.000.000 (nessuna obiezione sostanziale è mossa da Farsura quanto a tale quantificazione del credito fatta da Sicilcassa), sembra proprio che nella situazione patrimoniale di cui si discute dovesse necessariamente darsi conto (in particolare nel fondo rischi), della prevedibile passività per Farsura derivante dal verificarsi della condizione risolutiva del pactum de non petendo riferito all’esigibilità degli interessi di cui si è detto.

In ragione della quanto mai probabile grave irregolarità nella redazione della situazione patrimoniale (evidenziante, come sottolineato dall’ordinanza reclamata, “una netta cesura tra la reale consistenza complessiva della società ed i dati rappresentati nella situazione patrimoniale”) approvata unitamente al progetto di fusione non può che sospendersi l’esecuzione delle deliberazioni di cui discute per i motivi correttamente evidenziati, quanto a comparazione fra gli interessi coinvolti, dall’ordinanza esaminata.

In conclusione la decisione cautelare deve essere confermata (omissis).

(omissis)

 

(1-4) Questioni in tema di opposizione dei creditori alla fusione: deposito delle somme in pendenza di opposizione, concorso con l’azione di nullità proposta dal creditore opponente e fondamento dell’istituto

 

  
SOMMARIO:

1. Il caso - 2. La normativa di riferimento - 3. Gli orientamenti giurisprudenziali - 4. Le posizioni della dottrina - 5. Il commento - NOTE


1. Il caso

1.1. Il primo dei provvedimenti annotati è reso dal Tribunale di Roma nella sua funzione di giudice del Registro delle Imprese. Un creditore della società incorporata propone opposizione alla fusione ex art. 2503 c.c. Pendente l’opposizione, la società debitrice deposita presso una banca una somma corrispondente all’intera pretesa dedotta in giudizio dal creditore opponente e stipula l’atto di fusione, chiedendone poi l’iscrizione nel registro delle imprese. Il conservatore del registro si oppone alla domanda, sul presupposto che, pendente l’opposizione di un creditore, l’atto di fusione possa essere iscritto nel registro solamente se il tribunale abbia autorizzato le società partecipanti a dare attuazione alla fusione, secondo quanto previsto dall’art. 2445, ult. cpv., c.c., non essendo a tal fine sufficiente il deposito della somma. Il Tribunale di Roma conferma il rifiuto opposto dal conservatore. Secondo il giudice del registro, l’opposizione di un creditore alla fusione determina il divieto legale di stipulare l’atto di fusione, rimuovibile solo con un provvedimento del tribunale ai sensi dell’art. 2445, ult. cpv., c.c. Di conseguenza, una volta proposta l’opposizione, il deposito delle somme dovute al creditore opponente non è sufficiente per consentire alle società partecipanti di attuare la fusione, essendo comunque a tal fine necessaria l’autorizzazione del tribunale.   1.2. Il secondo e il terzo provvedimento riguardano il medesimo caso. Il creditore di una delle società partecipanti alla fusione esercita in via concorrente, nel medesimo processo, i) l’azione di nullità della decisione dei soci sulla fusione (art. 2379 c.c.), adducendo la “falsità” della situazione patrimoniale della società debitrice; e ii) l’opposizione alla fusione (art. 2503 c.c.). In corso di causa, il creditore domanda poi la sospensione dell’esecuzione della decisione impugnata, ai sensi dell’art. 2378, 3° comma, c.c. Il giudice monocratico accoglie la domanda di sospensione proposta dal creditore. In sede di reclamo, il collegio conferma l’ordinanza di sospensione. Le argomentazioni poste a fondamento dei due provvedimenti sono analoghe. a) La falsità della situazione patrimoniale di fusione rende nulla la deliberazione di fusione, per [continua ..]


2. La normativa di riferimento

Art. 2378, 3° e 4° comma, c.c.Art. 2379 c.c.Art. 2445, ult. cpv., c.c.Art. 2501-quater c.c.Art. 2503 c.c.


3. Gli orientamenti giurisprudenziali

3.1. Sulla questione affrontata dal primo provvedimento, vale a dire se il deposito delle somme effettuato in pendenza di opposizione possa consentire la stipula e l’iscrizione dell’atto di fusione anche in difetto dell’autorizzazione del tribunale ex art. 2445, ult. cpv., c.c., le poche e risalenti pronunce della giurisprudenza sono discordi. Secondo un primo orientamento, “il deposito presso un istituto bancario della somma corrispondente al credito effettuato nel corso del giudizio di opposizione non è che una forma di garanzia” [1]. Come tale, può giustificare l’autorizzazione all’attuazione della fusione da parte del tribunale ai sensi dell’art. 2445, ult. cpv., c.c., ma non può, in sé, legittimare l’ese­cuzione dell’operazione in pendenza di opposizione [2]. La domanda d’opposizione determina il divieto legale di procedere alla fusione, divieto che solo un provvedimento del giudice può far venire meno [3]. Secondo altro orientamento, invece, l’autorizza­zione del tribunale non è necessaria, perché il deposito delle somme è una forma di garanzia per sua natura sempre idonea a soddisfare l’interesse del creditore opponente, che come tale esclude ogni margine di apprezzamento da parte del giudice e rende inutile e ingiustificato il suo intervento [4].   3.2. Il secondo e il terzo provvedimento affrontano invece questioni diverse. a) La prima questione riguarda la falsità delle situazioni patrimoniali previste dall’art. 2501-quaterc. e le conseguenze che ne derivano in ordine alla validità della decisione dei soci sulla fusione. Sul punto si sono formati due opposti orientamenti giurisprudenziali. Secondo un primo orientamento, la situazione patrimoniale di fusione (anche quando è sostituita dal bilancio di esercizio) è atto degli amministratori, non è soggetta ad approvazione – neppure implicita – da parte dei soci e non forma parte dell’oggetto e del contenuto della decisione dei soci sulla fusione, che è oggi espressamente limitato alla «approvazione del progetto di fusione» (art. 2502, 1° comma, c.c.) [5]. Di conseguenza, la violazione delle norme sulla redazione del bilancio richiamate dall’art. 2501-quater, 1° comma, c.c. non incide sull’oggetto stesso [continua ..]


4. Le posizioni della dottrina

4.1. Sulla questione decisa dal Tribunale di Roma nel primo dei provvedimenti annotati, le opinioni della dottrina sono divise. Vi è chi ritiene che il deposito delle somme, compiuto in pendenza di opposizione, sia comunque idoneo a legittimare la stipula e l’iscrizione dell’atto di fusione, anche senza l’auto­rizzazione del tribunale ex art. 2445 c.c. [16]. E chi, invece, in linea con l’orientamento accolto dai giudici capitolini, ritiene sempre necessario l’inter­vento del tribunale e considera il deposito delle somme alla stregua di una delle “idonee garanzie”, che il giudice può essere chiamato a valutare ai fini dell’au­torizzazione all’attuazione della fusione, nonostante l’oppo­sizione [17]. 4.2. a) Sulla prima questione affrontata dal secondo e dal terzo dei provvedimenti annotati, vale a dire il rilievo che la situazione patrimoniale e i suoi eventuali vizi assumono nel procedimento deliberativo di fusione (supra, par. 3.2, sub lett. a) e b)), si propone anche in dottrina lo stesso contrasto di opinioni che si è rilevato nella giurisprudenza. Un primo orientamento ritiene, infatti, che la situazione patrimoniale è atto degli amministratori, non deve essere approvata dall’assemblea e non forma oggetto della decisione di fusione [18]. Di conseguenza, la “falsità” della situazione patrimoniale non importa la nullità, ma solo l’annullabilità della decisione di fusione [19]. Questa prima impostazione fa leva, tra l’altro, sul tenore letterale dell’art. 2502, 1° comma, c.c., nel testo novellato del 1991, che individua l’oggetto della decisione di fusione nella «approvazione del progetto di fusione» [20]. Secondo un secondo orientamento, in parte risalente ad epoca anteriore alla novella del 1991, la situazione patrimoniale di fusione deve invece essere approvata dall’assemblea e forma parte dell’oggetto della decisione dei soci sulla fusione [21]. Da ultimo, è stata avanzata una tesi “intermedia”, secondo cui la “falsità” della situazione patrimoniale rende comunque nulla la decisione dei soci, a prescindere dalla circostanza che la situazione patrimoniale formi o no oggetto della decisione dei soci sulla fusione. Ciò in quanto la decisione di [continua ..]


5. Il commento

5.1. Sulla questione affrontata dalla prima decisione annotata, e cioè se il deposito delle somme pendente l’opposizione legittimi l’attuazione della fusione anche senza l’autorizzazione del tribunale, si confrontano esigenze (pratiche) di speditezza del procedimento di fusione, con la necessità di tutelare adeguatamente l’interesse del creditore opponente. L’analisi di questa questione deve partire, a mio parere, dalla costatazione che il 1° comma dell’art. 2503 equipara il deposito delle somme al pagamento dei creditori e stabilisce che entrambi, se fatti nel termine di sessanta giorni dall’iscrizione nel registro delle decisioni dei soci sulla fusione, privino i creditori del diritto di fare opposizione. Il pagamento produce effetti analoghi, anche se fatto dopo l’opposizione. Estingue il credito e, di conseguenza i) determina la cessazione della materia del contendere e la chiusura del giudizio di opposizione [32]; e ii) consente alle società partecipanti di dare attuazione alla fusione, anche senza necessità dell’autorizzazione del tribunale. La logica vorrebbe allora che questa “simmetria”, tra pagamento fatto prima e dopo l’opposizione, possa valere anche per il deposito delle somme, che l’art. 2503, 1° comma, c.c., si è detto, equipara al pagamento. In effetti, è per questa ragione che parte della dottrina giunge a conclusioni opposte rispetto a quelle accolte dal Tribunale di Roma con il primo dei provvedimenti annotati, affermando che il deposito delle somme, anche se fatto pendente l’opposizione, consenta alle società partecipanti di attuare la fusione senza necessità di ottenere l’autorizzazione del tribunale ex art. 2445, ult. cpv., c.c. [33]. L’equazione tra pagamento e deposito delle somme va tuttavia valutata anche alla luce, e in funzione, della natura dell’opposizione e degli effetti che l’at­tuazione della fusione in pendenza di opposizione produce sulla posizione soggettiva del creditore opponente. Secondo l’opinione prevalente (e preferibile), ribadita, se pur in obiter, dal Tribunale di Roma nel primo dei provvedimenti annotati, l’opposizione ha natura giudiziale, nel senso che va proposta con atto di citazione e dà luogo all’instaurazione di un ordinario [continua ..]


NOTE
Fascicolo 4 - 2010