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1. Premessa. Discipline 'essenziali' ed «analitiche»: due tecniche legislative a confronto - 2. Dove collocare l''ago della bilancia' decisionale? Autonomia statutaria e riparto di competenze tra soci ed amministratori - 3. Nomina e designazione degli amministratori: le diverse configurazioni del rapporto di amministrazione - 4. Cessazione dalla carica e revoca degli amministratori - 5. I diversi (e variabili) assetti dell'organo amministrativo - 6. Il funzionamento del consiglio di amministrazione - 7. Amministratori delegati e materie di competenza consiliare - 8. La rappresentanza della società - 9. (Segue). Inopponibilità delle limitazioni statutarie ai poteri di rappresentanza - 10. (Segue). I contratti conclusi dal rappresentante in conflitto di interessi con la società - 11. Gli interessi degli amministratori nelle società a responsabilità limitata e per azioni: asimmetrie e lacune normative - 12. Invalidità delle deliberazioni consiliari - NOTE
L’attuale struttura organizzativa delle società a responsabilità limitata italiana, quale delineata dalla riforma introdotta con il d.lgs. n. 6/2003, si caratterizza per una peculiare ed originale fisionomia, che connota tale tipo societario in termini originali e profondamente diversi rispetto sia alla disciplina anteriore, sia alle corrispondenti disposizioni in tema di società per azioni. Rispetto al regime previgente, le novità riguardano la tecnica normativa e l’ordine stesso della trattazione degli istituti che concorrono a disciplinare l’organizzazione interna della società a responsabilità limitata. Sotto quest’ultimo versante, si è abbandonata l’originaria sequenza ispirata al modello azionario – assemblea, amministratori, sindaci, controllo individuale del socio, libri sociali obbligatori, bilancio – con una diversa e peculiare sequenza, che antepone l’amministrazione, i controlli sulla stessa e la contabilità alle decisioni dei soci. Quanto alla tecnica normativa, il meccanismo del rinvio alla disciplina azionaria, operato dai capoversi degli originari artt. 2486 e 2487 c.c., ha lasciato il campo a una disciplina essenziale ed eminentemente suppletiva: il legislatore ha infatti inteso prevedere una generale «libertà di forme organizzative», riconoscendo in particolare «ampia autonomia statutaria riguardo alle strutture organizzative, ai procedimenti decisionali della società e agli strumenti di tutela degli interessi dei soci» [art. 3, 1° comma, lett. c) e d), legge n. 366/2001, legge delega attuata con d.lgs. n. 6/2003]. In attuazione di tali principi il codice detta una disciplina quanto mai duttile, coerente con la connotazione più spiccatamente personalistica di questo tipo societario rispetto al modello azionario e con il dichiarato obiettivo di assegnare un ruolo preminente all’autonomia contrattuale [1]. Ai fini di una più nitida messa a fuoco dei caratteri generali del nuova società a responsabilità limitata, quale risulta dalla novella, particolarmente interessante si rivela un confronto con la regolamentazione del corrispondente tipo societario dettata nel diritto spagnolo dalla Ley 2/1995 de sociedades de responsabilidad limitada del 23 marzo 1995, che ha costituito uno dei più immediati antecedenti storici della [continua ..]
Alla volontà dei soci espressa nell’atto costitutivo la legge rimette in primo luogo la stessa ripartizione delle competenze tra soci e amministratori: nella disciplina della s.r.l. non vengono infatti riprodotti né i limiti alla devoluzione ai soci di decisioni in materia gestoria posti per le società azionarie dall’art. 2364, n. 5, né il principio generale in base al quale «la gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli amministratori» [5]. Se in base alla disciplina legale la gestione della società a responsabilità limitata rimane pur sempre di competenza dell’organo amministrativo (nelle diverse configurazioni che esso può assumere), il contratto sociale è autorizzato a collocare liberamente l’ago della bilancia decisionale, spostandolo in senso «proprietario», con una estensione pressoché illimitata della sfera di competenza dei soci. Le uniche materie riservate alla competenza dell’organo amministrativo sono rappresentate dalla redazione del progetto di bilancio e dei progetti di fusione e scissione (così l’ultimo comma dell’art. 2475); al di là di queste fattispecie, di carattere eccezionale, l’atto costitutivo della società a responsabilità limitata può legittimamente deferire alla volontà vincolante dei soci qualunque decisione relativa all’amministrazione della società e può altresì riconoscere ad essi, collettivamente o anche individualmente, un potere di veto o di istruzione nei confronti di più o meno ampie categorie di operazioni gestorie (artt. 2468, 3° comma, 2479, 1° comma). Lo spazio accordato ai soci nella definizione in sede statutaria del più congeniale punto di equilibrio tra la sfera proprietaria e quella gestoria si rivela incomparabilmente più ampio rispetto a quello, invero quanto mai angusto, riservato agli azionisti della società per azioni; e tale differenza sembra destinata ad assumere rilievo non soltanto sotto il profilo teorico, quale «spartiacque tipologico» tra le due forme societarie, ma anche sul versante operativo, in quanto suscettibile di influenzare i futuri orientamenti degli operatori economici, chiamati ad optare tra l’uno o l’altro tipo di società. L’apertura all’autonomia statutaria in ordine [continua ..]
I principi di libertà e flessibilità delle forme organizzative che caratterizzano la nuova società a responsabilità limitata trovano la più compiuta estrinsecazione nella disciplina della nomina degli amministratori e della struttura dell’organo amministrativo. Al riguardo la legge accorda all’autonomia contrattuale il più ampio spazio d’intervento in ordine alla configurazione del rapporto di amministrazione, all’individuazione delle persone alle quali l’amministrazione medesima è affidata e alla determinazione del metodo secondo il quale esse sono chiamate a operare. Quanto alla fase genetica del rapporto di amministrazione, il 1° comma dell’art. 2475 si limita a dettare due distinti principi, relativi rispettivamente alla eleggibilità alla carica amministrativa e alla titolarità del potere di scelta dei soggetti cui affidare la gestione, prevedendone nel contempo – e sotto entrambi i versanti – la derogabilità. In base a tale disposizione: a) gli amministratori devono essere soci, ma l’atto costitutivo può espressamente prevedere che tale qualifica possa essere rivestita anche da estranei; b) la nomina spetta ai soci e viene deliberata a maggioranza (art. 2479), ma l’atto costitutivo può contemplare differenti modalità di attribuzione della funzione gestoria. La prima regola riflette un principio tradizionale della disciplina della s.r.l.: in assenza di una diversa previsione dell’atto costitutivo, gli amministratori devono essere scelti tra i soci; il contratto sociale può tuttavia consentire la nomina di amministratori terzi, mediante una clausola che nella prassi è peraltro talmente diffusa da aver da tempo determinato un’inversione del rapporto tra regola ed eccezione prefigurato dal legislatore. A questo riguardo, pare più conforme al «tipo reale» la scelta del legislatore spagnolo di estendere l’eleggibilità alla carica di amministratore della sociedad de responsabilidad limitada anche ai non soci, rimettendo allo statuto eventuali selezioni della legittimazione passiva: l’art. 48, 2° comma, della Ley 2/1995 dispone infatti che «salvo disposición contraria de los estatudos, para ser nombrado administrador no se requerirà la condición de socio» [10]. [continua ..]
Oltre a schiudere gli inediti scenari spiccatamente personalistici sopra delineati, la nuova disciplina della s.r.l. consente, su un opposto versante, l’introduzione di assetti di governance più marcatamente capitalistici. Si allude, in particolare, alle clausole che prevedano sistemi di voto per lista o di rappresentazione proporzionale, o ancora meccanismi di cooptazione transitoria da parte degli amministratori rimasti in carica, sulla falsariga di quanto previsto, per la s.p.a., dall’art. 2386 c.c. [18]. Sotto entrambi i profili è dato nuovamente cogliere la maggior duttilità della nostra società a responsabilità limitata rispetto alla sociedad de responsabilidad limitada spagnola, la cui disciplina assegna imperativamente all’assemblea la nomina degli amministratori: l’art. 58, 1° comma, della ley 2/1995scolpisce infatti il principio in base al quale «la competencia para el nombramiento de los administradores corresponde exclusivamente a la Junta General» [19]. Tale regola preclude l’introduzione di clausole dirette a tutelare i soci di minoranza [20], e più in generale a predefinire un’equilibrata rappresentanza dei soci in seno all’organo amministrativo, che nel diritto spagnolo restano dunque affidate alla (più opaca) dimensione dei patti parasociali [21]. Va peraltro rilevato come, proprio con riferimento alla cessazione del rapporto di amministrazione, la «sobrietà» della nostra regolamentazione tenda talora a trascolorare in un’assai meno apprezzabile «lacunosità». In questo quadro, gli statuti sono sollecitati a colmare il silenzio normativo in ordine alla disciplina delle cause estintive del rapporto di amministrazione, dei loro effetti e delle modalità di sostituzione degli amministratori cessati: e ciò anche mediante clausole c.d. «simul stabunt simul cadent», che determinano la cessazione dell’intero organo a seguito della cessazione di taluni amministratori. L’aspetto più delicato – e che in quanto tale richiede le maggiori attenzioni e cautele in sede di redazione dell’atto costitutivo – è tuttavia rappresentato dai presupposti e dalle conseguenze della revoca degli amministratori. Al riguardo la legge non detta alcuna regola, limitandosi a [continua ..]
Tanto l’ordinamento italiano quanto l’ordinamento spagnolo permettono ai soci di conformare liberamente la struttura e l’assetto dell’organo amministrativo. In primo luogo, il contratto sociale può prevedere un organo monocratico (amministratore unico) o una pluralità di amministratori. La disciplina italiana si rivela, anche sotto questo profilo, particolarmente duttile ed elastica: e ciò non soltanto perché non pone, a differenza della legge spagnola, limiti al numero degli amministratori (rispettivamente, di tre e dodici) [29], ma altresì per la possibilità, accordata ai soli soci della nostra s.r.l., di scegliere di volta in volta, all’atto della loro designazione, il numero degli amministratori e, prima ancora, di optare tra organo monocratico e pluripersonale, senza che occorra neppure un’indicazione statutaria che li legittimi ad operare in tal senso [30]. I due ordinamenti tendono a riavvicinarsi con riferimento ai possibili assetti dell’organo pluripersonale. Entrambi consentono infatti di optare tra tre alternative: a) un consiglio di amministrazione che delibera con metodo collegiale; b) una pluralità di amministratori che gestiscono disgiuntamente tra loro (amministrazione disgiuntiva); c) una pluralità di amministratori che operano in modo congiunto, di regola all’unanimità (amministrazione congiuntiva) [31]. In assenza di diversa previsione, il regime legale dell’amministrazione pluripersonale rimane quello tradizionale delle società di capitali: gli amministratori costituiscono il consiglio di amministrazione e deliberano a maggioranza per teste collegialmente, secondo il modello indicato sub a), che tende in buona parte a coincidere con il consiglio di amministrazione delle società per azioni. Il legislatore italiano prevede peraltro un’ulteriore variante di tale modello, rappresentata dall’organo consiliare che assume le decisioni gestorie senza riunirsi, mediante consultazione scritta o sulla base del consenso espresso per iscritto dagli amministratori, precisando che, in tal caso, dai documenti sottoscritti dagli amministratori devono comunque risultare con chiarezza l’argomento oggetto della decisione e il consenso alla stessa [32]. Qualora lo statuto introduca invece sistemi di amministrazione disgiuntiva o congiuntiva, [continua ..]
Una differenza particolarmente rilevante tra le tecniche legislative utilizzate nei due ordinamenti si registra in ordine alla delega delle funzioni gestorie. Mentre infatti il diritto spagnolo opera un espresso rinvio alla disciplina azionaria («la delegación de facultades se regirà por lo establecido para las sociedades anónimas»: art. 57, 1° comma, Ley 2/1995), il silenzio riservato all’istituto dal legislatore italiano impone all’interprete uno sforzo ricostruttivo ben più complesso. Se è opinione comune che anche nella società a responsabilità limitata, pur in mancanza di un’espressa previsione normativa, sia comunque consentita la creazione di organi delegati (comitato esecutivo e amministratori delegati) [38], l’assenza di una norma corrispondente all’art. 2381 c.c. solleva il dubbio se l’autorizzazione alla delega debba necessariamente risultare dall’atto costitutivo, ovvero se sia anche qui sufficiente, come nella s.p.a., il consenso espresso dai soci all’atto della nomina degli amministratori [39]. Un ulteriore, e più delicato, interrogativo concerne l’applicabilità dei fondamentali protocolli organizzativi e informativi che connotano la governance delle società azionarie [40]. Quanto al primo aspetto, la soluzione positiva trova riscontro – almeno nelle s.r.l. di maggiori dimensioni – nel dovere dell’organo di controllo di vigilare «sull’osservanza della legge e dello statuto, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione ed in particolare sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento» [41]: tale previsione sembra in effetti assumere un notevole rilievo sistematico, confermando – ed anzi, a ben vedere, presupponendo – la configurabilità anche nella società a responsabilità limitata di un dovere degli amministratori di predisporre assetti adeguati alla natura e alle dimensioni dell’impresa; e, in presenza di deleghe, del dovere del consiglio di amministrazione (e dunque, in primo luogo, dei consiglieri privi di deleghe) di valutare l’adeguatezza degli assetti predisposti dagli amministratori con funzioni esecutive, sulla base delle informazioni da questi [continua ..]
Una differenza particolarmente rilevante tra le tecniche legislative utilizzate nei due ordinamenti si registra in ordine alla delega delle funzioni gestorie. Mentre infatti il diritto spagnolo opera un espresso rinvio alla disciplina azionaria («la delegación de facultades se regirà por lo establecido para las sociedades anónimas»: art. 57, 1° comma, Ley 2/1995), il silenzio riservato all’istituto dal legislatore italiano impone all’interprete uno sforzo ricostruttivo ben più complesso. Se è opinione comune che anche nella società a responsabilità limitata, pur in mancanza di un’espressa previsione normativa, sia comunque consentita la creazione di organi delegati (comitato esecutivo e amministratori delegati) [38], l’assenza di una norma corrispondente all’art. 2381 c.c. solleva il dubbio se l’autorizzazione alla delega debba necessariamente risultare dall’atto costitutivo, ovvero se sia anche qui sufficiente, come nella s.p.a., il consenso espresso dai soci all’atto della nomina degli amministratori [39]. Un ulteriore, e più delicato, interrogativo concerne l’applicabilità dei fondamentali protocolli organizzativi e informativi che connotano la governance delle società azionarie [40]. Quanto al primo aspetto, la soluzione positiva trova riscontro – almeno nelle s.r.l. di maggiori dimensioni – nel dovere dell’organo di controllo di vigilare «sull’osservanza della legge e dello statuto, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione ed in particolare sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento» [41]: tale previsione sembra in effetti assumere un notevole rilievo sistematico, confermando – ed anzi, a ben vedere, presupponendo – la configurabilità anche nella società a responsabilità limitata di un dovere degli amministratori di predisporre assetti adeguati alla natura e alle dimensioni dell’impresa; e, in presenza di deleghe, del dovere del consiglio di amministrazione (e dunque, in primo luogo, dei consiglieri privi di deleghe) di valutare l’adeguatezza degli assetti predisposti dagli amministratori con funzioni esecutive, sulla base delle informazioni da questi ultimi ricevute. E ad analoga [continua ..]
Nella comune derivazione dal diritto comunitario, e segnatamente, dalla prima direttiva [48], risiedono le ragioni della sostanziale identità delle discipline in tema di rappresentanza, che per la s.r.l. italiana risulta tuttora in gran parte modellata sulla corrispondente normativa dettata dall’art. 2384 c.c. in tema di società per azioni: anche agli amministratori della società a responsabilità limitata è infatti riconosciuto un potere di rappresentanza generale della società (art. 2475-bis, 1° comma, c.c.) e sostanzialmente identico è il regime dell’opponibilità ai terzi dei vizi della nomina e delle limitazioni del potere rappresentativo. Quanto al primo profilo, va peraltro osservato che la formulazione utilizzata dal 1° comma dell’art. 2475-bis c.c. – per la quale «gli amministratori hanno la rappresentanza generale della società» – non è del tutto coincidente con quella dettata in tema di società per azioni dall’art. 2384 c.c.: mentre la prima disposizione opera una diretta attribuzione ad ogni amministratore del potere di rappresentanza della società, la seconda si limita ad enunciare il carattere «generale» del potere di rappresentanza «attribuito agli amministratori dallo statuto o dalla deliberazione di nomina». Un primo corollario che pare senz’altro desumibile dal nuovo dato normativo è rappresentato dal riconoscimento a ciascun amministratore, individualmente, della titolarità del potere rappresentativo generale [49]. Viceversa, l’ordinamento spagnolo confina tale regola alla sola ipotesi di adozione statutaria del regime di amministrazione disgiuntiva, laddove in presenza di un consiglio di amministrazione, «el poder de representación corresponde al propio Consejo, que actuarà colegiadamente», salva la possibilità per l’atto costitutivo di attribuire con apposita clausola il potere rappresentativo ad uno o più consiglieri «a titulo individual o conjunto» [50]. Anche nel nostro ordinamento deve comunque riconoscersi la possibilità per l’autonomia statutaria di riservare selettivamente il potere di rappresentanza ad alcuni amministratori (nella prassi statutaria, al presidente o all’amministratore delegato). Tale conclusione ha solide basi testuali, da un lato, [continua ..]
A differenza del nostro ordinamento, che equipara l’estraneità dell’atto all’oggetto sociale alla violazione dei limiti contenuti nell’atto costitutivo, il diritto spagnolo continua a disciplinare diversamente le due fattispecie: a) permettendo alla società, come si è detto, di opporre ai terzi in mala fede o in colpa grave «que el acto no està comprendido en el objeto social»; b) sancendo, all’opposto, l’assoluta inefficacia di fronte ai terzi di qualunque limitazione statutaria dei poteri di rappresentanza («cualquier limitación de las facultades representativas de los administradores, aunque se halle inscrita en el Registro Mercantil, serà ineficaz frente a terceros»: art. 63, 1° comma). Denominatore comune di entrambi gli ordinamenti è comunque il principio, di fonte comunitaria, in base al quale la violazione dei limiti statutari non inficia la piena validità ed efficacia del negozio, ma esaurisce il suo rilievo (al di fuori dell’exceptio doli) sul piano dei rapporti interni alla società, quale base per un’azione di responsabilità e, prima ancora, quale giusta causa di revoca. La regola, dettata per la s.r.l. italiana dal 2° comma dell’art. 2475-bis («le limitazioni ai poteri degli amministratori che risultano dall’atto costitutivo o dall’atto di nomina, anche se non pubblicate, non sono opponibili ai terzi, salvo che si provi che questi abbiano intenzionalmente agito a danno della società») va raccordata con il 5° comma dell’art. 2383 c.c. (dettato in tema di società per azioni ma richiamato per la s.r.l. dall’art. 2475, 2° comma, c.c.), per il quale «le cause di nullità o annullabilità della nomina degli amministratori che hanno la rappresentanza della società non sono opponibili ai terzi dopo l’adempimento della pubblicità di cui al quarto comma, salvo che la società provi che i terzi ne erano a conoscenza». Al pari della società per azioni, la società a responsabilità limitata resta pertanto vincolata: a) dagli atti compiuti dagli amministratori invalidamente nominati, salvo che provi che il terzo contraente era a conoscenza del vizio che inficiava la nomina (art. 2383, 5° comma, c.c., richiamato dall’art. 2475, 2° comma, c.c.); b) dagli atti [continua ..]
Un profilo peculiare che distingue la società a responsabilità limitata italiana sia dal corrispondente tipo spagnolo, sia dalle società a base azionaria, è rappresentato dalla nuova disciplina dei contratti conclusi dagli amministratori dotati del potere di rappresentanza della società in conflitto di interessi con la società, introdotta dalla riforma nel 1° comma dell’art. 2475-ter c.c., ai sensi del quale tali negozi possono essere annullati su domanda della società rappresentata se il conflitto del rappresentante era conosciuto o riconoscibile dal terzo. La norma – che si pone in perfetta aderenza al principio generale enunciato per i contratti conclusi dal rappresentante in una situazione di conflitto di interessi dall’art. 1394 c.c. [58] – è destinata a trovare applicazione nei confronti dei contratti stipulati in una situazione di conflitto di interessi da parte di amministratori unici, di amministratori delegati dotati di poteri rappresentativi e anche gestori, rientranti nella delega loro conferita, di amministratori muniti di poteri di rappresentanza ma privi dei corrispondenti poteri di gestione (come sovente avviene per il presidente del consiglio di amministrazione) o ancora di amministratori rappresentanti in regime di amministrazione disgiuntiva. Secondo l’opinione prevalente, presupposto applicativo della disposizione in esame è che l’amministratore-rappresentante, portatore di un interesse conflittuale con quello della società, abbia la possibilità di influire sul contenuto del contratto; al contrario, ove egli si limiti a tradurre in termini negoziali la volontà sociale preventivamente formatasi in una decisione assunta in seno alla società, verrebbe meno la ratio che giustifica l’applicazione della regola in esame, non sussistendo il rischio di una condotta opportunistica da parte del soggetto dotato del potere di rappresentanza [59]. I negozi conclusi dal legale rappresentante in esecuzione di una decisione degli amministratori o dei soci viziata da conflitto di interessi devono pertanto ritenersi annullabili, ai sensi del 1° comma dell’art. 2475-ter c.c., unicamente nel caso in cui la decisione lasci margini di discrezionalità nel definire il contenuto (e forse anche i tempi) dell’accordo e per i profili del contratto non oggetto di preventiva definizione da parte [continua ..]
Con riferimento alle operazioni che coinvolgono interessi degli amministratori il codice civile detta una disciplina ben più scarna rispetto alla corrispondente normativa in tema di società per azioni dall’art. 2391. Per la s.r.l., il codice si limita infatti a prevedere l’impugnabilità delle decisioni assunte con il voto determinante di amministratori in conflitto di interessi (art. 2475-ter, 2° comma, c.c.) [63]. Rispetto alla disciplina azionaria, sono definiti in termini diversi, e più selettivi, tanto i presupposti applicativi, quanto le regole applicabili in presenza di tali presupposti. Con riferimento ai presupposti applicativi, va sottolineato che mentre l’art. 2391 c.c. è destinato a trovare applicazione in presenza di un interesse nell’operazione, anche non qualificabile come confliggente, comunque riferibile ad uno degli amministratori della s.p.a., la regola enunciata dal capoverso dell’art. 2475-ter presuppone che l’amministratore della s.r.l. sia portatore di un interesse che si pone obiettivamente in conflitto con quello della società. Ancora più sensibile è la differenza con riguardo alla disciplina. Il legislatore descrive infatti in termini profondamente diversi sia gli obblighi imposti agli amministratori al verificarsi dei presupposti ora ricordati, sia le conseguenze sanzionatorie connesse alla loro inosservanza. Per la società per azioni è infatti previsto, con riguardo alla condotta richiesta: 1) un obbligo di disclosure preventiva in capo all’amministratore che abbia nell’operazione un proprio interesse (non necessariamente in conflitto, come detto); 2) in ipotesi di amministratore delegato, un obbligo di astensione dall’operazione, pur rientrante nella delega, con devoluzione della decisione sul punto al consiglio; 3) in ogni caso, un obbligo di adeguata motivazione della deliberazione consiliare in ordine alle ragioni e alla convenienza dell’operazione. Con riferimento alle sanzioni, dalla disciplina in tema di s.p.a. si evince che l’inosservanza degli obblighi ora ricordati costituisce di per sé giusta causa di revoca dell’amministratore interessato (e, nell’ipotesi sub 3, dell’intero consiglio); inoltre, se vi sia un danno potenziale per la società, rende impugnabile la deliberazione consiliare (o del comitato esecutivo) che sia stata adottata in [continua ..]
La disciplina dettata dall’art. 2475-ter c.c. per l’annullamento delle decisioni viziate da conflitto di interessi costituisce l’unica ipotesi di impugnativa di decisioni degli amministratori di società a responsabilità limitata espressamente contemplata dalla legge. Anche sotto questo profilo si registra uno scostamento rispetto alla legge spagnola, che opera un rinvio alla disciplina azionaria, riconoscendo espressamente la legittimazione all’impugnativa degli «acuerdos» consiliari «nulos y anulables» sia agli amministratori, sia ai soci che rappresentino il cinque per cento del capitale, entro il breve termine di decadenza di trenta giorni (decorrente, rispettivamente, dall’adozione o dalla conoscenza della delibera) [65]. Viceversa, nel nostro ordinamento, la mancanza di una norma corrispondente – e l’assenza di richiami alla regolamentazione prevista, per la s.p.a., dall’art. 2388 c.c. – ha indotto una parte degli interpreti a revocare in dubbio l’impugnabilità delle deliberazioni consiliari [66]. Per le s.r.l. a connotazione più spiccatamente capitalistica sembrano tuttavia sussistere i presupposti per un’applicazione analogica delle regole dettate per le società azionarie, con conseguente proponibilità nei confronti delle decisioni degli amministratori di azioni di nullità o annullabilità per vizi di procedimento o di contenuto diversi dal conflitto d’interessi e riconoscimento in capo ai soci della legittimazione a impugnare le deliberazioni (o decisioni) direttamente lesive dei loro diritti [67]. A tutte le ipotesi di impugnativa deve ritenersi comunque immanente il principio dettato a tutela dell’affidamento dei terzi dall’art. 2475-ter, secondo cui l’eventuale invalidità della decisione consiliare non pregiudica «i diritti acquistati in buona fede da soggetti terzi, in base ad atti compiuti in esecuzione della decisione» [68]. Sembra in ogni caso da riconoscersi la possibilità per la società e per i soci di richiedere in via cautelare inibitorie al compimento di operazioni illecite potenzialmente dannose, ai sensi degli artt. 700 ss. c.p.c. Lo spettro applicativo del procedimento cautelare atipico disciplinato da queste disposizioni – reso più incisivo, in materia societaria, dalla conservazione della [continua ..]