Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Sez. II – Osservatorio sul processo societario - Osservatorio di giurisprudenza sul processo societario (di Sergio Menchini)


SOMMARIO:

1. Questioni generali (a cura di Michele Comastri e Fabio Valerini) - 1.1. Questioni di legittimità costituzionale - 1.2. Modalità di notificazione degli atti tramite fax ed e-mail - 2. Il processo ordinario di cognizione (a cura di Michele Comastri e Fabio Valerini) - 2.1. La notificazione dell’istanza di fissazione dell’udienza da parte del convenuto - 2.2. La mancata notificazione dell’istanza di fissazione dell’udienza e l’estinzione del processo - 2.3. La mancata notificazione dell’istanza di fissazione dell’udienza alla parte contumace - 2.4. Le conseguenze dell’omesso deposito dell’istanza di fissazione dell’udienza - 3. I procedimenti sommari e cautelari (a cura di Michele Comastri e Fabio Valerini) - 3.1. Il procedimento sommario di cognizione - 3.2. Il procedimento cautelare - 3.2.1. La revoca cautelare degli amministratori di s.r.l. (art. 2476, 3° comma, c.c.) - 4. I procedimenti in camera di consiglio (a cura di Margherita Scalamogna) - 4.1. Decorrenza temporale di applicazione della nuova disciplina - 4.2. Il mutamento di rito - 4.3. La competenza per territorio - 4.4. Differenze tra procedimenti nei confronti di una sola parte e procedimenti nei confronti di più parti - 4.5. La modifica, la revoca e il reclamo - 4.6. I «casi analoghi» ai sensi dell’art. 29 - 4.7. Casi analoghi e casi non analoghi ai sensi dell’art. 33 - 4.8. I provvedimenti adottati inaudita altera parte di cui all’art. 31, d.lgs. n. 5/2003 - 4.9. La prosecuzione del procedimento nelle forme del rito ordinario - 5. L’arbitrato e la conciliazione (a cura di Alessandro Motto) - 5.1. Questione di legittimità costituzionale - 5.2. I rapporti tra arbitrato societario e arbitrato di diritto comune - 5.3. L'applicazione della nuova disciplina alle clausole statutarie già stipulate alla data della sua entrata in vigore - 5.4. L'applicabilità della nuova disciplina a clausole statutarie per arbitrato irrituale - 5.5. Il requisito di estraneità del terzo incaricato della nomina - 5.6. I limiti soggettivi di efficacia della clausola compromissoria statutaria - 5.7. I limiti oggettivi alla compromettibilità - 5.8. I rapporti tra arbitrato e tutela cautelare


1. Questioni generali (a cura di Michele Comastri e Fabio Valerini)

1.1. Questioni di legittimità costituzionale

Le disposizioni dell’art. 12, legge 3 ottobre 2001, n. 366 (recante Delega al Governo per la riforma del diritto societario) e del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 (recente Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell’art. 2 della legge 3 ottobre 2001, n. 366) sono state oggetto di plurime questioni di costituzionalità da parte dei giudici di merito, questioni che, tuttavia, nella maggior parte delle ipotesi, la Corte Costituzionale ha dichiarato o manifestamente inammissibili perché ritenute carenti di alcuni requisiti necessari per il giudizio di costituzionalità (Corte cost., ord. 26 febbraio 2006, n. 209; ord. 20 luglio 2006, n. 306; ord. 9 marzo 2007, n. 70, tutte per mancanza del tentativo di dare alle norme denunciate un’interpretazione costituzionalmente orientata e per contraddittorietà della motivazione; Corte cost., ord. 19 dicembre 2006, n. 435 per difetto di motivazione circa la rilevanza e la non manifesta infondatezza) ovvero inammissibili (Corte cost., sent. 14 dicembre 2006, n. 415), per mancanza di motivazione circa la legittimazione del giudice a quo a sollevare la relativa questione. In un caso (Corte cost., ord. 19 dicembre 2006, n. 434), la Corte ha disposto la rimessone degli atti al giudice a quo per la sopravvenienza del decreto legislativo correttivo. Ad oggi, la Corte è entrata nel merito delle questioni sollevate soltanto in due casi, respingendo in entrambi le censure formulate dai giudici a quibus. In un primo caso, il giudice a quo aveva sospettato l’illegittimità dell’art. 25, comma 1, nella parte in cui, nel regolare il procedimento in camera di consiglio, individua il giudice territorialmente competente solo in base al luogo in cui la società ha la sede legale, anziché secondo le regole generali. La censura veniva prospettata con riferimento agli artt. 76 e 3 Cost.: la disposizione di legge, da un lato, sarebbe in violazione del principio direttivo rappresentato dal divieto di introdurre modifiche alla competenza per materia o per territorio e, dall’altro lato, introdurrebbe una ingiustificata disparità di trattamento rispetto ai procedimenti ordinari di cognizione nella medesima materia societaria, per i quali rimarrebbe invece [continua ..]


1.2. Modalità di notificazione degli atti tramite fax ed e-mail

In giurisprudenza si è posto il dubbio se il d.lgs. n. 5/2003, avendo consentito il ricorso alle nuove forme di comunicazione degli atti processuali, abbia, altresì, reso non necessaria l’intermediazione dell’Ufficiale giudiziario [per la necessità Trib. Monza 4 novembre 2004, inedita; Trib. Monza 30 dicembre 2004, www.judicium.it; Trib. Bari 14 dicembre 2006, n. 3070, inedita (che però osserva che l’atto sarebbe nullo per mancanza di certezza della data, nullità questa, tuttavia sanabile, per raggiungimento dello scopo, nel caso a quo il convenuto non aveva eccepito la tardività della notifica), Trib. Trani 10 maggio 2006, n. 451, con il rispetto delle prescrizioni di cui alla legge 7 giugno 1993, n. 183; Trib. Napoli 8 maggio 2006; contra Trib. Foggia 21 aprile 2006; Trib. Bari 2 giugno 2005, inedite, sul presupposto che le modalità previste dal d.lgs. n. 5/2003 sono altre e diverse rispetto a quelle del c.p.c. e Trib. L’Aquila 25 marzo 2005, www.judicium.it, per cui il d.lgs. vuole superare i formalismi della legge 21 gennaio 1994, n. 53].


2. Il processo ordinario di cognizione (a cura di Michele Comastri e Fabio Valerini)

2.1. La notificazione dell’istanza di fissazione dell’udienza da parte del convenuto

Un aspetto molto delicato sul quale si è divisa la giurisprudenza di merito, sin dall’indomani del­l’entrata in vigore del rito societario, concerne l’ammissibilità della immediata notificazione del­l’istan­za di fissazione dell’udienza, da parte del convenuto, senza attendere il termine concesso dalla legge – o, eventualmente, dallo stesso convenuto – all’attore, per la notificazione della memoria di replica ai sensi dell’art. 6, 1° comma, d.lgs. n. 5/2003. Il problema che si è posto è il seguente: il conv­enuto che, nel termine di sessanta giorni, abbia provveduto a notificare all’attore la propria comparsa di costituzione e risposta, può – nel termine di venti giorni dalla propria costituzione in giudizio ex art. 8, 2° comma, lett. c) – chiedere la fissazione dell’udienza, impedendo all’attore di notificare la propria memoria di replica? La giurisprudenza maggioritaria affronta il tema muovendo dal convincimento che la notificazione dell’istanza di fissazione da parte del convenuto farebbe scattare le preclusioni previste dall’art. 10 e impedirebbe all’attore di replicare alle deduzioni contenute nella comparsa di risposta, senza a tal fine poter utilizzare né la nota ex art. 10, 1° comma, né la comparsa conclusionale prevista dall’art. 12, 3° comma. Sulla base di tale convincimento, una parte rilevante della giurisprudenza è giunta a sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 10, nella parte in cui consente al convenuto di utilizzare, senza alcuna limitazione, lo strumento dell’istanza e di ostacolare, così, l’effettivo esercizio del diritto di difesa dell’attore [Trib. Lamezia Terme, ord. 30 giugno 2004, Giur. it., 2005, 1, 2, 569 ss.; Trib. Alba, ord. 7 dicembre 2005, www.judicium.it; contra, si segnala Trib. Nola, ord. 9 febbraio 2005, www.filodiritto.it che ritiene manifestamente infondata la questione di costituzionalità, in quanto il diritto di replica dell’attore deve essere salvaguardato soltanto in seguito ad un allargamento del thema decidendum; Trib. Belluno, ord. 13 febbraio 2006, inedita]. Sempre sulla base del medesimo convincimento, un’altra parte della giurisprudenza sostiene che ogniqualvolta il convenuto abbia [continua ..]


2.2. La mancata notificazione dell’istanza di fissazione dell’udienza e l’estinzione del processo

Un altro profilo del tormentato testo dell’art. 8, d.lgs. n. 5/2003, sul quale ha già avuto modo di formarsi una rilevante giurisprudenza, è costituito dall’interpretazione del combinato disposto dei suoi primi quattro commi. Come è noto, i prime tre commi della disposizione in esame – ampiamente ritoccati dall’art. 4 del d.lgs. 6 febbraio 2004, n. 37 e dall’art. 3 del d.lgs. 28 dicembre 2004, n. 310 – dispongono che ciascuna parte ha l’onere di notificare la propria istanza di fissazione dell’udienza, entro la scadenza del termine di venti giorni dalla data della notifica dello scritto difensivo delle altre parti al quale non intende replicare o alla scadenza del relativo termine; il 4° comma dell’art. 8, modificato dall’art. 4 del d.lgs. 6 febbraio 2004, n. 37, dispone che la mancata notifica dell’istanza di fissazione dell’udienza nei venti giorni successivi alla scadenza dei termini di cui ai commi precedenti o del termine per il deposito della memoria di controreplica del convenuto di cui all’art. 7, 2° comma, ovvero dalla scadenza del termine massimo di cui all’art. 7, 3° comma, determina l’estin­zione del processo rilevabile anche d’ufficio. Secondo l’indirizzo giurisprudenziale maggioritario, il 4° comma dell’art. 8 si limita a prevedere la sanzione – costituita dall’estinzione del processo – per la violazione dei termini previsti dai primi tre commi della medesima disposizione; in questo modo, questa giurisprudenza arriva a ritenere che i venti giorni indicati dal 4° comma «altro non siano se non quelli di cui già trattano i primi tre commi del medesimo art. 8», con la conseguenza che ciascuna parte ha a propria disposizione, per chiedere l’udienza, soltanto il termine specificamente previsto da uno dei primi tre commi, decorrente dalla data della notifica dello scritto cui non intenda replicare ovvero dalla scadenza del relativo termine (che è il termine dato alla controparte per replicare); in tal modo, l’inutile decorso dei termini dettati dai primi tre commi dell’art. 8 implica, a carico della parte alla quale spetta l’alternativa tra proporre l’istanza di fissazione dell’udienza o notificare una memoria di replica, la perdita del potere di chiedere l’udienza (si noti che, in taluni casi, la stessa parte [continua ..]


2.3. La mancata notificazione dell’istanza di fissazione dell’udienza alla parte contumace

Occorre segnalare che la giurisprudenza è divisa in ordine alle conseguenze della mancata notificazione, ad opera dell’attore, dell’istanza di fissazione dell’udienza alla parte convenuta che sia rimasta contumace nel termine previsto dai commi primo e quarto dell’art. 8: secondo una parte della giurisprudenza l’omissione de qua sarebbe priva di sanzione [Trib. Viterbo 6 aprile 2005, Foro it., 2006, I, 936]; secondo altre pronunce, determinerebbe l’estinzione del processo, rilevabile d’ufficio [Trib. Terni, ord. 28 febbraio 2005, Foro it., 2006, I, 936].


2.4. Le conseguenze dell’omesso deposito dell’istanza di fissazione dell’udienza

La giurisprudenza ha avuto modo di confrontarsi con un aspetto della disciplina del rito societario che ha sollevato alcune gravi perplessità anche nei primi commentatori della riforma: l’art. 9, ultimo comma, d.lgs. n. 5/2003 dispone che l’istanza di fissazione dell’udienza previamente notificata debba essere depositata nella cancelleria del tribunale entro il termine perentorio di dieci giorni dal giorno dell’ultima notificazione, ma non prevede la sanzione ricollegata al mancato deposito. Nel silenzio del legislatore, una parte della giurisprudenza ha ricollegato all’omesso deposito dell’istanza la grave sanzione dell’estinzione dell’intero processo [Trib. Lucca, ord. 18 ottobre 2004, www.judicium.it; Trib. Napoli, ord. 2 febbraio 2005, www.associazionepreite.it]. Appare, viceversa, decisamente più rassicurante una recente presa di posizione di altra parte della giurisprudenza, che – guidata anche da ragioni di opportunità – ha inteso ricollegare al mancato tempestivo deposito dell’istanza di fissazione dell’udienza l’applicazione analogica dell’art. 307 c.p.c. e, quindi, il decorso di un periodo annuale di quiescenza, entro il quale la parte che ne abbia interesse è posta in grado di riassumere il giudizio, fermi peraltro gli effetti preclusivi ricollegati dall’art. 10, 2° comma, alla notificazione della istanza non depositata [Trib. Milano, ord. 25 ottobre 2006, inedita; Trib. Milano, ord. 12 gennaio 2007, www.judicium.it].


3. I procedimenti sommari e cautelari (a cura di Michele Comastri e Fabio Valerini)

3.1. Il procedimento sommario di cognizione

Con riferimento al procedimento sommario di cognizione previsto dall’art. 19 del d.lgs. n. 5/2003 in giurisprudenza si sono riscontrate difformità di interpretazione relativamente all’individuazione delle condizioni di ammissibilità della domanda di pagamento di somme di denaro, rispetto a cui già la dottrina si era mostrata divisa. Più in particolare, come noto, il procedimento societario si applica anche ai rapporti in materia di intermediazione mobiliare da chiunque gestita, servizi e contratti di investimento, ivi compresi i servizi accessori, fondi di investimento, gestione collettiva del risparmio e gestione accentrata di strumenti finanziari, vendita di prodotti finanziari, ivi compresa la cartolarizzazione dei crediti, offerte pubbliche di acquisto e di scambio, contratti di borsa. A seguito dei recenti scandali finanziari, i risparmiatori hanno impugnato i contratti di investimento stipulati con gli istituti di credito (e principalmente i contratti aventi ad oggetto bond Cirio, Parmalat, Argentina) facendo valere, normalmente ed in subordine, la nullità, l’annullamento ovvero la risoluzione dei contratti medesimi e chiedendo, infine, a vario titolo la restituzione delle somme investite. A tale domanda segue, normalmente la domanda riconvenzionale della banca (condizionata all’accoglimento di quella del risparmiatore) avente ad oggetto la restituzione dei titoli. Il dubbio si è posto relativamente alla possibilità di poter ricorrere al procedimento di cui all’art. 19 d.lgs. nelle ipotesi in cui la condanna segue ad una sentenza dichiarativa della nullità o costitutiva dell’annullamento o della risoluzione. Da un lato, infatti, parte minoritaria della giurisprudenza ritiene che il ricorso sia inammissibile poiché l’espressione contenuta nell’art. 19, d.lgs. n. 5/2003, che limita l’applicazione del rito sommario alle controversie «che abbiano ad oggetto il pagamento di una somma di denaro anche se non liquida, ovvero la consegna di cosa mobile», deve essere interpretata in senso restrittivo, ossia nel senso di escludere l’applicazione di tale procedura in ogni controversia in cui sia necessario un accertamento seppur incidentale di nullità, annullabilità, inadempimento contrattuale [così Trib. Milano, ord. 26 settembre 2005, www.ilcaso.it, seguito poi da Trib. Cuneo, ord. 24 [continua ..]


3.2. Il procedimento cautelare

Con riferimento all’applicazione delle norme sul procedimento cautelare, si deve segnalare che notevoli sono stati i contrasti emersi in giurisprudenza circa la natura anticipatoria o meno di alcune misure cautelari, tuttavia si ritiene di poter osservare che al momento nessuna delle pronunce normalmente repertate in un senso o nell’altro possono costituire un precedente in termini sul nostro tema, questo perché l’unico giudice che dovrà fare applicazione dei concetti di anticipatorietà e conservatività delle misure richieste ai fini del suo decidere sarà soltanto quello adito ex art. 669-novies c.p.c. Le numerose pronunce repertate sul nostro argomento costituiscono, in realtà, provvedimenti con cui si concede o nega la tutela richiesta e nei quali il giudice si sofferma sulla natura della misura ai limitati fini della fissazione o meno del termine per l’inizio della causa di merito.


3.2.1. La revoca cautelare degli amministratori di s.r.l. (art. 2476, 3° comma, c.c.)

Con riferimento alla singole misure cautelari si è registrato un vivace ed ancora non sopito dibattito intorno alla misura (certamente) cautelare di cui all’art. 2476, 3° comma, c.c. relativa alla revoca degli amministratori di s.r.l. La discussione fiorita all’indomani della riforma ha visto principalmente due filoni interpretativi: per il primo il provvedimento ex art. 2476, 3° comma, c.c. è una misura strumentale ad un’azione costitutiva di merito avente ad oggetto la revoca per giusta causa dell’ammini­stratore [così Trib. Santa Maria Capua Vetere 30 aprile 2004, inedita; Trib. Santa Maria Capua Vetere 15 novembre 2004, Società, 2005, 477; Trib. Napoli 22 marzo 2005 (s.m.), Redazione Giuffrè, 2005. In argomento un obiter di Corte cost. 14 dicembre 2005, n. 481]; per il secondo ed invero più fondato orientamento, invece, il provvedimento risulta strumentale all’azione sociale di responsabilità, prevista e disciplinata dalla medesima disposizione [così Trib. S. Maria Capua Vetere (16-)20 luglio 2004, Società, 2004, 1545]. Per completezza occorre segnalare un orientamento isolato, in base al quale l’istanza cautelare di revoca degli amministratori configura un provvedimento idoneo ad anticipare la decisione di merito che pronuncia in via definitiva la revoca sub specie di tutela risarcitoria in forma specifica, secondo la regola generale desumibile dall’art. 2058 c.c. [così Trib. Roma 31 marzo 2004, Corriere giur. 2005, 263 ed in Riv. not., 2004, II, 768, poi confermata in sede di reclamo da Trib. Roma, 22 giugno 2004, Giur. merito, 2005, I, 95; Trib. Roma 5 agosto 2004, Società, 2004, 1542]. Ulteriore questione (inspiegabilmente) controversa che si è posta tanto nella giurisprudenza quanto in dottrina, sempre con riferimento alla misura cautelare della revoca degli amministratori di s.r.l., è rappresentata dalla possibilità di chiedere la misura ante causam [ex multis Trib. Pinerolo 2 novembre 2004; Trib. Roma 30 luglio 2004, Giur. it., 2005, 309; Trib. Catania 14 ottobre 2004; Trib. Roma 11 giugno 2004; Trib. Roma 22 giugno 2004; Trib. Milano 12 gennaio 2006, www.judicium.it; Trib. Agrigento, ord. 15 febbraio 2006; Trib. Ravenna 3 febbraio 2006. Ritiene, [continua ..]


4. I procedimenti in camera di consiglio (a cura di Margherita Scalamogna)

4.1. Decorrenza temporale di applicazione della nuova disciplina

La disciplina di cui agli artt. 25 ss. del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 si applica – in luogo del rito di cui agli artt. 737 ss. c.p.c. – a tutti i procedimenti instaurati a partire dal 1° gennaio 2004, data di entrata in vigore del suddetto decreto legislativo. Ai fini della determinazione del momento di instaurazione del procedimento, deve farsi riferimento alla data del deposito del ricorso introduttivo (Trib. Roma 6 luglio 2004, Giur. merito, 2005, 312). La giurisprudenza è costante nel ritenere che tale nuovo rito si applichi anche nel caso in cui la procedura di liquidazione delle società interessate sia iniziata anteriormente alla data suddetta, in virtù del principio secondo cui le norme processuali da applicarsi sono quelle in vigore al momento dell’adozione del provvedimento richiesto (in questo senso: Trib. L’Aquila 2 ottobre 2004, Società, 2005, 915 e per esteso anche in www.judicium.it; Trib. Napoli 17 marzo 2005, Società, 2005, 752).


4.2. Il mutamento di rito

La giurisprudenza ritiene che nel caso in cui il procedimento doveva svolgersi nelle forme del processo dichiarativo societario e sia stato introdotto, invece, nella forma del procedimento in camera di consiglio, il mutamento di rito può essere disposto solo previo esperimento del contraddittorio e, quindi, soltanto all’udienza in camera di consiglio appositamente fissata dal giudice (Trib. L’Aquila 2 luglio 2004, Società, 2005, 241).


4.3. La competenza per territorio

Ai sensi del 1° comma dell’art. 25 del d.lgs. n. 5/2003 è competente a decidere il giudice del luogo presso cui la società ha sede legale. Il Tribunale di Agrigento (con ordinanza del 17 giugno 2004, Giur. it., 2005, 2309) ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale in relazione a tale disposizione per contrasto con gli artt. 3 e 76 Cost. Il giudice a quo, infatti, riscontrava una violazione di delega, dal momento che la suddetta norma, contrariamente all’art. 19 c.p.c., individua una competenza territoriale esclusiva. Ciò sebbene il legislatore delegante, nell’art. 12, 1° comma, legge 3 ottobre 2001, n. 366, «Delega al Governo per la riforma del diritto societario», avesse posto un divieto di modifica della competenza territoriale. Inoltre, sempre a giudizio del Tribunale di Agrigento, la diversità di disciplina tra i procedimenti camerali societari ed i procedimenti di cognizione ordinaria, dovuta alla norma imputata, comporterebbe un’irragionevole diversità di trattamento tra fattispecie processuali omogenee. La Corte Costituzionale, con sentenza 10 maggio 2005, n. 194 (in Giur. it., 2005, 2309) ha ritenuto la suddetta questione di legittimità costituzionale non fondata, rigettando entrambe le argomentazioni. Non sussiste violazione di delega poiché il divieto di modifiche alla competenza, di cui all’art. 12 della legge delega, trova «la propria ratio nel dibattito politico sviluppatosi in relazione ad una possibile, radicale modifica delle regole di competenza»; non ricorre neanche violazione del principio di uguaglianza, dal momento che tra il processo di cognizione ordinario ed il procedimento camerale non sussiste «l’omogeneità necessaria a rendere compatibili le rispettive discipline». La precisazione relativa alla competenza territoriale di cui all’art. 25 del d.lgs. in materia di procedimenti societari ha, quindi, il fine di «non appesantire l’istruttoria di un procedimento orientato indubbiamente alla celerità».


4.4. Differenze tra procedimenti nei confronti di una sola parte e procedimenti nei confronti di più parti

Le norme sul rito in camera di consiglio, per le controversie societarie, contemplano due species procedimentali differenti a seconda che il procedimento si svolga in confronto di una parte sola o in confronto di più parti. La giurisprudenza, al fine di distinguere i due procedimenti, interpreta il termine parte come «centro di interessi». Pertanto la procedura di cui agli artt. 28 e 29 troverà applicazione ogniqualvolta il giudice camerale sia chiamato alla cura di un unico interesse – sebbene di questo siano titolari più soggetti – mentre la procedura di cui agli art. 30 ss. si applicherà nel caso in cui il giudice camerale intervenga valutando interessi diversi, se non contrapposti, tra più soggetti (in tal senso, Trib. L’Aquila 2 ottobre 2004, cit.). Da ciò una parte della giurisprudenza ha tratto la conclusione secondo cui nel caso di procedimenti nei confronti di più parti, le spese di giudizio vanno liquidate secondo il principio della soccombenza (Trib. Roma 6 luglio 2004, cit.; Trib. Lucca 14 novembre 2005, cit.), discostandosi dal­l’o­rien­tamento giurisprudenziale prevalente che esclude la possibilità per il giudice di disporre sulle spese, poiché non sarebbe possibile individuare una parte soccombente (sul punto si rinvia a: Cass. (ord.), 17 maggio 2005, n. 10349 e Cass. 10 gennaio 2005, n. 293, Foro it., 2006, I, 824; Cass. 5 luglio 2002, n. 9828, Foro it., 2003, I, 533; Cass. 15 marzo 2001, n. 3750, Foro it., 2002, I, 831). Tuttavia anche quest’ultimo orientamento ritiene applicabili le norme di cui agli artt. 91 ss. c.p.c. in sede di reclamo, vista l’ontologica dinamica di quest’ultimo (si rinvia a: Cass. 8 maggio 2001, n. 6365, Foro it., 2002, I, 830). Nel caso di procedimenti nei confronti di una sola parte, dove non è prospettabile un contrasto che renda una parte vittoriosa e l’altra soccombente, non può trovare applicazione la disciplina di cui agli artt. 91 ss. c.p.c. In questi casi, le spese andranno ripartite, a meno che non ricorra un diverso accordo tra le parti, a carico di tutti i soggetti interessati all’adozione del provvedimento in egual misura (Trib. L’Aquila 9 marzo 2005, www.judicium.it). Applicando semplicemente quanto è esplicitato nella norma, la giurisprudenza è ferma nel [continua ..]


4.5. La modifica, la revoca e il reclamo

Dal momento che i provvedimenti adottati al termine di un procedimento camerale sono suscettibili di essere modificati e revocati, «essi sono inidonei alla cosa giudicata formale e, quindi, a quella sostanziale» (Trib. Roma 6 luglio 2004, cit.). Tale precisazione giurisprudenziale non è priva di rilevanza dal momento che, contrariamente alla disposizione di cui all’art. 742 c.p.c., in virtù della quale i provvedimenti adottati in seguito ad un procedimento camerale possono essere revocati o modificati «in ogni tempo», l’art. 26, 3° comma, d.lgs. n. 5/2003, subordina la revocabilità e la modificabilità dei procedimenti cameral-societari al ricorrere di «nuove circostanze». Da qui deriva la maggiore stabilità di questi ultimi provvedimenti, ancorché essi non siano suscettibili di passare in giudicato. La giurisprudenza, pur non avendo ancora individuato il contenuto da attribuire alla dizione «nuove circostanze», legittimanti la revoca e la modifica dei suddetti provvedimenti, ha affrontato, tuttavia, la delicata questione relativa al rapporto intercorrente tra revoca e reclamo. In caso di nuove circostanze, infatti, tali due strumenti sembrerebbero essere concorrenti. Il Tribunale di Tivoli (30 agosto 2004, Giur. merito, 2005, 1839) ha previsto che le istanze di modifica e revoca non possono esperirsi, pena l’inammissibilità, in pendenza del reclamo, ma solo al termine di questo, se fondate su circostanze verificatesi successivamente al reclamo stesso o in quella sede non dedotte. Per quanto riguarda, inoltre, la possibilità si sospendere l’esecutività del provvedimento, questa può essere concessa solo dal giudice interpellato in sede di reclamo e può essere richiesta anche da un soggetto interessato dal provvedimento che, tuttavia, non sia stato parte nel giudizio di prime cure. Ne deriva, allora, l’inammissibilità della richiesta di sospensione dell’esecutività del decreto attraverso lo strumento residuale di cui all’art. 700 c.p.c. (Trib. S. Maria Capua Vetere 16 aprile 2004, Giur. merito, 2004, 2490). Da ultimo, in relazione alla nozione di «gravi motivi» legittimanti la sospensione del provvedimento impugnato in sede di reclamo, il Tribunale di Napoli (con sentenza resa il 23 dicembre 2004, Società, 2005, 751) ha [continua ..]


4.6. I «casi analoghi» ai sensi dell’art. 29

L’elencazione di cui agli artt. 29 e 33, in relazione alle specifiche ipotesi in cui trova applicazione il procedimento camerale, rispettivamente, nei confronti di una sola parte e nei confronti di più parti, non è tassativa. La norme stesse, del resto, terminano con una clausola di apertura, prevedendo che i suddetti procedimenti si applichino «in quanto compatibili, ai casi analoghi previsti dal codice civile e dalle leggi speciali». La giurisprudenza ha provveduto all’individuazione di qualche fattispecie analoga cui ritiene, quindi, applicabile il procedimento di cui all’art. 28. 1. Il procedimento camerale unilaterale ha trovato applicazione nel caso di nomina dell’esperto da compiersi ai sensi dell’art. 2473, 3° comma, c.c., per la valutazione del rimborso spettante ai soci che intendano esercitare il proprio diritto di recesso, qualora per la determinazione di tale valutazione vi sia disaccordo tra i soci stessi. Tale procedimento appare, infatti, «del tutto assimilabile a quello previsto dall’art. 2437-ter, 6° comma, c.c., per la liquidazione delle azioni del socio che recede da una società per azioni (sebbene siano diversi i criteri di liquidazione e di contestazione del valore determinato dalla società): infatti, in entrambe le fattispecie la determinazione del valore della quota di liquidazione è strutturata come il risultato di una contrattazione tra le parti, dove le previsioni legali sono cedevoli e/o integrabili dall’autonomia statutaria e dove, tuttavia, le disposizioni dell’autonomia negoziale collettiva sono comunque esposte ad una contrattazione tra società e socio fino al ricorso all’arbitraggio del terzo» (Trib. L’Aquila 9 marzo 2005, cit.). 2. Il rito di cui all’art. 28 è stato ritenuto applicabile anche all’ipotesi di convocazione dell’assem­blea straordinaria per la sostituzione del liquidatore unico deceduto di società a responsabilità limitata priva di collegio sindacale. In questo caso deve seguirsi la procedura camerale nei confronti di una sola parte dal momento che non sussistono interessi diversi da quello facente capo al ricorrente, volto ad «uscire da uno stallo procedimentale determinatosi per causa non dipendente né dalla volontà del ricorrente né da quella di altri» (Trib. L’Aquila 2 [continua ..]


4.7. Casi analoghi e casi non analoghi ai sensi dell’art. 33

La giurisprudenza ha ritenuto di dover applicare il rito cameral-societario di cui agli artt. 30 ss., d.lgs. n. 5/2003, ai seguenti «casi analoghi»: (a) il reclamo proposto da un socio di società personale avverso il decreto con cui il Presidente del Tribunale ha dichiarato estinta la liquidazione della società e assegnato i residui beni in comunione ai soci (Trib. Napoli 17 marzo 2005, Società, 2005, 752); (b) l’ipotesi di richiesta di convocazione dell’assemblea da parte dei soci, qualora gli amministratori non vi provvedano, dal momento che l’art. 2367, 2° comma, c.c., deve ritenersi applicabile anche alle società a responsabilità limitata; è inammissibile, pertanto, una richiesta in tal senso formulata nelle forme dell’art. 700 c.p.c. (Trib. Brescia 8 marzo 2005, Società, 2005, 1254); (c) la revoca del liquidatore di una società di persone per giusta causa, ai sensi dell’art. 2275 c.c. (Trib. Udine 6 aprile 2004, Società, 2005, 916); (d) la nomina dei liquidatori nell’ipotesi di scioglimento di una società ex art. 2484 c.c., se non sussiste accordo tra i soci (Trib. Modena 12 maggio 2004, Gius, 2004, 3337); (e) l’ipotesi di denuncia per gravi irregolarità ex art. 2409 c.c., non solo nelle società cooperative per azioni, ma anche nelle società cooperative a responsabilità limitata (Trib. Catania 14 aprile 2005, Foro it., 2005, I, 2337). La giurisprudenza ha anche individuato delle ipotesi in cui il procedimento cameral-societario nei confronti di una pluralità di parti non si applica. Precisamente: (a) il suddetto rito non trova applicazione in caso di ricorso per la denuncia di gravi irregolarità nella gestione di società a responsabilità limitata, poiché la domanda ex art. 2409 c.c. è stata espressamente esclusa per tale tipologia di società (Trib. Terni 9 aprile 2004, Foro it., 2005, I, 868); (b) l’applicazione del suddetto rito riguarda solo l’istanza della società per l’autorizzazione alla fusione nelle more del giudizio di opposizione, mentre è stata esclusa per le ipotesi di opposizione dei creditori alla fusione (Trib. Milano 10 marzo 2005, Foro it., 2005, I, 2593); (c) l’opposizione di creditori di [continua ..]


4.8. I provvedimenti adottati inaudita altera parte di cui all’art. 31, d.lgs. n. 5/2003

Per quanto riguarda la concessione del decreto adottato dal Presidente del Tribunale inaudita altera parte, ex art. 31, d.lgs. n. 5/2003, secondo il Tribunale di Catania (14 aprile 2005, Giur. it., 2005, 2337), tale provvedimento non può essere emesso quando attraverso di esso «si intendano conseguire i risultati dell’ispezione sull’amministrazione, che può essere disposta solo dopo aver sentito amministratori e sindaci, e cioè dopo l’instaurazione del contraddittorio tra le parti». In relazione al contenuto di tale provvedimento, poi, si è ritenuto che questo non possa avere il medesimo contenuto di quello del decreto collegiale motivato definitivo, di cui al 2° comma della stessa norma, poiché «soltanto strumentale al provvedimento finale» (Trib. Milano 22 marzo 2005, Redazione Giuffrè, 2006).


4.9. La prosecuzione del procedimento nelle forme del rito ordinario

La giurisprudenza ritiene, concordemente, che nel caso in cui sorgano contrasti in relazione ai presupposti della liquidazione, nel corso del procedimento di nomina dei liquidatori, l’accertamento dei suddetti presupposti vada effettuato incidentalmente secondo le forme del rito camerale con pluralità di parti, a meno che una di queste ultime non chieda che, ai sensi dell’art. 32, la questione venga decisa in sede di cognizione piena (Trib. Udine 3 dicembre 2004, www.judicium.it; Trib. Modena 12 maggio 2004, cit.). Tale orientamento giurisprudenziale è pienamente conforme all’indirizzo indicato dalla sezioni unite della Corte di cassazione, anteriormente all’entrata in vigore della disciplina societaria (Cass., Sez. Un., 25 giugno 2002, n. 9231, Foro it., 2002, I, 2303).


5. L’arbitrato e la conciliazione (a cura di Alessandro Motto)

5.1. Questione di legittimità costituzionale

È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 34, 6° comma, ai sensi del quale l’introduzione nello statuto sociale della clausola compromissoria può avvenire a maggioranza, anziché all’unanimità. La disposizione non prevede, infatti, una forma di arbitrato obbligatorio nei confronti dei soci dissenzienti, poiché, da un lato, è ad essi conferito il potere di recedere dalla società e, dall’altro lato, il necessario momento volontaristico da cui l’opzione arbitrale non può prescindere deve essere individuato nel momento in cui il soggetto, entrando a far parte della società, presta adesione alle regole del gruppo organizzato, tra cui, quindi, anche quella – di fonte legale – che fa soggiacere la scelta in ordine all’introduzione della clausola arbitrale al volere della maggioranza (Trib. Milano 7-18 luglio 2005, Giur. it., 2006, 313 ss. e in Società, 2006, 1155 ss.).


5.2. I rapporti tra arbitrato societario e arbitrato di diritto comune

L’applicazione giurisprudenziale evidenzia che la più rilevante problematica sollevata dalla nuova disciplina attiene ai rapporti tra modello arbitrale speciale (c.d. «societario»), da essa introdotto, e modello arbitrale codicistico (c.d. «di diritto comune»), disciplinato agli artt. 806 e ss. c.p.c. La questione assume rilievo pratico in virtù dell’art. 34, 2° comma, a norma del quale la clausola compromissoria statutaria «deve prevedere il numero e le modalità di nomina degli arbitri, conferendo, in ogni caso, a pena di nullità, il potere di nomina di tutti gli arbitri a soggetto estraneo alla società». Secondo la giurisprudenza prevalente, i rapporti tra le due figure di arbitrato vanno ricostruiti in termini di reciproca esclusione: nelle ipotesi in cui il legislatore ha previsto che si applichi l’arbitrato societario, non è consentito ai soggetti ricorrere all’arbitrato di diritto comune, ma essi debbono, necessariamente, rivolgersi al modello speciale; pertanto, la nullità della clausola compromissoria statutaria ex art. 34, 2° comma, determina la non deferibilità in arbitri della lite insorta, a causa della mancanza di un valido accordo compromissorio (Trib. Trento, ord. 11 febbraio 2004; Trib. Trento, ord. 8 aprile 2004, entrambe in Riv. arb., 2004, 737 ss. e in Giur. merito, 2004, 1699 ss.; Trib. Catania 26 novembre 2004, Corriere giur., 2005, 1131 ss. e in Giur. merito, 2006, 115 ss.; Trib. Latina 22 giugno 2004, Società, 2005, 94; Trib. Milano 4 maggio 2005, Giur. it., 2005, 1653 ss.; Trib. Udine, ord. 4 novembre 2004, Società, 2005, 777; Trib. Pordenone 19 luglio 2005, www.judicium.it; Trib. Torino 27 settembre 2004, Dir. prat. soc., fasc. 10, 6 giugno 2005, 80 ss. e in Società, 2005, 899 ss.; Trib. Forlì 4 novembre 2005; Trib. Milano 9 novembre 2005; Trib. Milano 25 giugno 2005, tutte in Società, 2006, 749 ss.; Trib. Belluno 26 ottobre 2005, Giur. it., 2006, 1639 ss.; Trib. Tortona, ord. 3 agosto 2004, Giur. comm., 2006, II, 498, 502-503; Trib. Milano 21 ottobre 2005, Giur. comm., 2006, II, 502, 512; per la giurisprudenza arbitrale, vedi, nel senso indicato: Coll. arb. Biella 25 maggio 2004, Riv. arb., 2004, 767 ss.; Coll. Arb. Genova 29 [continua ..]


5.3. L'applicazione della nuova disciplina alle clausole statutarie già stipulate alla data della sua entrata in vigore

Secondo la maggioranza delle pronunce sono nulle ai sensi dell’art. 34, 2° comma, tanto le clausole compromissorie preesistenti alla data di entrata in vigore del decreto, quanto quelle di successiva introduzione nello statuto della società (Coll. arb. Biella 24 maggio 2004, cit. (in motivazione); Trib. Trento, ord. 11 febbraio 2004, cit.; Trib. Trento, ord. 8 aprile 2004, cit.; Trib. Milano 4 maggio 2005, cit.; Trib. Catania 26 novembre 2004, cit.; Trib. Latina 22 giugno 2004, cit.; Trib. Pordenone 19 luglio 2005, cit.; Trib. Forlì 4 novembre 2005, cit.; Trib. Milano 9 novembre 2005, cit.; Trib. Milano 25 giugno 2005, cit.; Trib. Tortona ord. 3 agosto 2004, cit.; Trib. Milano 21 ottobre 2005, cit.; Coll. arb. Genova 29 aprile 2005, cit.; Coll. arb. Bologna 15 ottobre 2004, cit.). Per parte minoritaria della giurisprudenza, invece, sono affette da nullità soltanto le clausole di nuova introduzione, mentre quelle già stipulate, ma non adeguate al disposto di cui all’art. 34, 2° comma, sono valide ed efficaci ai fini della instaurazione di un arbitrato di diritto comune, in quanto ad esse non può ritenersi applicabile in via retroattiva la sanzione di nullità comminata dalla disposizione richiamata (Trib. Udine, ord. 4 novembre 2004, cit.; Trib. Torino 27 settembre 2004, cit.; Trib. Belluno 26 ottobre 2005, cit.).


5.4. L'applicabilità della nuova disciplina a clausole statutarie per arbitrato irrituale

Attiene sempre alla sanzione di nullità prevista dall’art. 34, 2° comma, il problema dell’applica­zio­ne di tale disposizione a clausole compromissorie statutarie per arbitrato irrituale. Sul punto, la giurisprudenza è divisa; ma appare doveroso sottolineare che l’unica pronuncia che ha approfonditamente affrontato il problema ha escluso che le clausole per arbitrato irrituale siano soggette alla disposizione richiamata (Trib. Biella 28 febbraio 2005, n. 102, Giur. it., 2006, 101 ss.; contra, ma senza fornire specifica motivazione sul punto, Trib. Pordenone 19 luglio 2005, cit.; Trib. Bologna, 25 maggio 2005, cit.).


5.5. Il requisito di estraneità del terzo incaricato della nomina

In ordine al requisito di estraneità che il soggetto designato per la nomina deve possedere ai sensi dell’art. 34, 2° comma, in giurisprudenza è stato affrontato e risolto in senso positivo il problema della validità della clausola che designa il Presidente del sindacato di categoria cui la società aderisce. Si è infatti rilevato che l’estraneità dal gruppo organizzato del soggetto incaricato soddisfa il requisito posto dalla previsione legale quando il designatore sia individuato con riferimento ad un soggetto investito di una determinata carica, restando irrilevanti – sul piano della validità della clausola – eventuali legami giuridici intercorrenti tra la società e la persona fisica ricoprente l’incarico; tali legami, invece, assumono rilevanza ove la designazione sia effettuata a favore di una specifica persona fisica (Trib. Milano 7-18 luglio 2005, cit., che precisa, altresì, che «il concetto di estraneità del designatore non può essere dilatato fino ad una sorta di neutralità ideologica»).


5.6. I limiti soggettivi di efficacia della clausola compromissoria statutaria

In tema di limiti soggettivi di efficacia della convenzione arbitrale, è stato esaminato il problema della vincolatività della clausola compromissoria rispetto a soggetti non facenti più parte della società. Nel processo di impugnazione delle delibere assembleari in conseguenza delle quali gli attori avevano perso la loro qualità di soci, è stata affermata l’efficacia rispetto agli istanti della convenzione arbitrale adottata con delibera successiva alla loro fuoriuscita dalla compagine sociale; il giudicante ha affermato che l’estensione della clausola statutaria agli ex soci discende dall’applicazione del disposto di cui all’art. 34, 3° comma, che prevede la vincolatività della clausola anche per coloro «la cui qualità di socio è oggetto della controversia» (Trib. Milano 27 settembre 2005, Giur. comm., 2006, II, 1128 ss.).


5.7. I limiti oggettivi alla compromettibilità

In punto di limiti oggettivi alla compromettibilità, la giurisprudenza è unanime nell’affermare che il legislatore delegato, non avvalendosi della facoltà concessa dalla legge delega, ha ribadito il tradizionale limite della disponibilità del diritto controverso quale condizione di arbitrabilità delle liti societarie. Partendo da tale presupposto, i giudici di merito, nell’affrontare il problema della determinazione delle controversie compromettibili, si sono limitati a richiamare l’orientamento giurisprudenziale consolidato in materia anteriormente all’entrata in vigore del decreto, secondo cui, in ambito societario, non sono compromettibili in arbitri le controversie che hanno ad oggetto interessi della società e/o concernono la violazione di norme poste a tutela dell’interesse collettivo dei soci o di terzi. In applicazione di tale criterio, si è affermato che: a) non è compromettibile la domanda di impugnazione della deliberazione che approva lo statuto sociale, così come la subordinata domanda volta alla declaratoria di nullità di singole clausole dello statuto stesso, in quanto trattasi di materia «per definizione sottratta alla disponibilità dei singoli soci, siccome riflettente interessi della società» (Trib. Lucca 11 gennaio 2005, Giur. merito, 2005, 2662 ss.); b) non è compromettibile l’impugna­zione proposta avverso la delibera che, in ragione del suo oggetto, incide prioritariamente sul diritto dei terzi creditori o potenziali contraenti della società a conoscere la effettiva situazione patrimoniale della stessa (Trib. Milano 27 settembre 2005, cit.); c) è compromettibile l’azione di impugnativa assembleare quando essa tenda all’annullamento della delibera, in quanto la sussunzione del vizio di invalidità lamentato all’interno delle ipotesi di annullabilità dimostra che nel caso di specie risultano prevalentemente coinvolti interessi individuali dei soci, come tali disponibili, e non interessi della società o di terzi, a presidio dei quali è, invece, posta la più grave sanzione della nullità della delibera (Trib. Milano, ord. 4 ottobre 2005, Giur. comm., 2006, II, 1128 ss.; Trib. Napoli 30 settembre 2005, Corr. merito, 2005, 1138; Trib. Torino 27 settembre 2004, cit.); d) non è [continua ..]


5.8. I rapporti tra arbitrato e tutela cautelare
Fascicolo 2 - 2007