Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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La regola dell´intangibilità dell'atto di trasformazione e il suo ambito di applicazione (nota a Trib. Torino, ord., 30 giugno 2006 e 14 maggio 2007) (di Paolo Revigliono)


TRIBUNALE TORINO, ord., 30 giugno 2006 – La Marca Presidente – Dotta Relatore

Società – Società a responsabilità limitata – Delibera di azzeramento e ricostituzione del capitale – Sospensione – Inammissibilità

(Artt. 2479-ter, 2378 c.c.)

Il reclamo contro il provvedimento con cui si è rigettata la sospensione delle delibere (impugnate) di azzeramento e ricostituzione del capitale non può essere accolto sia in quanto esse hanno già prodotto i propri effetti sia in quanto è da considerarsi prevalente l’interesse della società alla prosecuzione dell’attività (1).

TRIBUNALE TORINO, 14 maggio 2007 – Premoselli Presidente – Giusta Relatore

Società – Società a responsabilità limitata – Trasformazione – Invalidità – Impronunciabilità

(Art. 2500-bis c.c.)

L’intangibilità degli effetti dell’atto di trasformazione sancita dall’art. 2500-bis si estende alle delibere invalide che risultano prodromiche alla trasformazione o comunque a questa collegate (2).

RG. 15992/2006

TRIBUNALE DI TORINO
SEZIONE I CIVILE

IL COLLEGIO COSÌ COMPOSTO:
DOTT.SSA Federica La Marca      PRESIDENTE f.f.
DOTT.SSA Paola Ferrero              GIUDICE
DOTT.SSA Roberta DOTTA         GIUDICE REL.

a scioglimento della riserva;
premesso che:
– i Sigg.

hanno proposto reclamo avverso l’ordinanza emessa dal giudice designato di prime cure in data 27.4.2006, che dichiarava inammissibile il ricorso proposto al fine di ottenere la sospensione della delibera del 17.1.2006 della società nella parte in cui riduceva e aumentava il capitale sociale, la inibizione ex art. 700 c.p.c. agli amministratori di procedere al deposito dell’attestazione dell’avvenuto aumento di capitale deliberato in data 17.1.2006 in mancanza di sottoscrizione dell’aumento medesimo da parte di tutti i soci e l’ispezione dell’amministrazione della società;

– il provvedimento reclamato ha così motivato: “....osserva sul punto la parte resistente che anche se si ritenessero astrattamente fondate le domande proposte, l’annullamento delle deliberazioni del 17.01.2006 (e la prodromica richiesta di sospensione in via cautelare della loro esecuzione oggetto del presente procedimento) non potendo in ogni caso riverberare i propri effetti anche sulla successiva delibera di trasformazione, non potrebbe più essere dichiarato in quanto sarebbe tamquam non esset.

Ciò in quanto non potrebbe comunque ristabilire lo status quo ante.

Ed in effetti tale constatazione sembra rispondere a verità. Infatti se la deliberazione in ordine all’approvazione del bilancio al 30.6.2005 e di quello infrannuale al novembre 2005 fossero dichiarate nulle e/o fossero annullate ne discenderebbe che le stesse sorti dovrebbe seguire la conseguente operazione sul capitale (abbattimento delle perdite e ricostituzione dello stesso) assunta in pari data nonché la conseguente ricostituzione della compagine sociale. Ma degli stessi presunti vizi in virtù di quanto disposto dall’art. 2500 bis comma l c.c. non può evidentemente essere affetta la conseguente deliberazione di trasformazione del 2.3.2006.

Ne consegue che in capo ai ricorrenti è sopravvenuta la totale carenza di interesse ad agire, con conseguente inam­missibilità delle domande cautelari;

– i reclamanti criticano il provvedimento impugnato in primo luogo perché ha addebitato loro le spese della fase cautelare anziché disporne la compensazione e ha ritenuto che l’avvenuta trasformazione della società in società per azioni rendesse intangibili ai sensi dell’art. 2500 bis c.c. anche le pregresse deliberazioni societarie;

– i reclamanti, sulla base di tali premesse, ripropongono nella fase del reclamo le medesime doglianze nei confronti della delibera del 17.1.2006, ovvero che la società a tale data era scaduta e pertanto non si potevano prendere determinazioni aventi ad oggetto operazioni sul capitale; che la delibera non aveva consentito che la parte di aumento di capitale non sottoscritta da uno o più soci fosse sottoscritta dagli altri o da terzi cosi come previsto dall’art. 2481 – bis c.c. Comma due e che pertanto alla stregua del principio di inscindibilità l’intera operazione di aumento doveva essere caducata: che anche le delibere di approvazione del bilancio sono nulle per contrarietà agli artt. 2423 c.c.;

– i reclamanti mentre nella fase di primo grado avevano richiesto la sospensione della delibera solo nella parte in cui riduce e aumenta il capitale sociale, nel reclamo hanno ampliato le conclusioni chiedendo la sospensione “dell’as­semblea straordinaria della società del 17.1.2006 nella parte in cui approva i bilanci al 30.6.2005 e 20.11.2005 e riduce e aumenta il capitale sociale” e di ordinare ex art. 700 c.p.c. l’ispezione dell’amministrazione con riguardo alla tenuta della sua contabilità.

– sotto il profilo del periculum i reclamanti non hanno evidenziato alcunché, di talché si devono ritenere proposti i medesimi motivi già esposti nel ricorso alle pag. 24 e 25, 33-34 ovvero. “Appare evidente che dalla mancata sospensione della delibera deriverebbe un ingente danno ai soci                               di sottoscrivere l’aumento di capitale entro il 23 febbraio 2006 in mancanza di una situazione patrimoniale chiara veritiera e corretta. Risulta evidente che in mancanza della sospensione dell’esecuzione della delibera i soci ... sarebbero posti di fronte alla inaccettabile alternativa o di sottoscrivere l’aumento di capitale senza conoscere la reale situazione patrimoniale della società oppure di non sottoscrivere lo stesso, perdendo così la propria qualità di soci della società che porta il loro nome...di fatto i soci non potrebbero oggi intervenire in assemblea e votare il nuovo statuto e con esso la proroga della società. Potrebbero viceversa farlo solo previa sottoscrizione del capitale... che “le ragioni per le quali richiede che la sospensione della deliberazione di aumento di capitale e di inibitoria del deposito della dichiarazione ex art. 2444 c.c. vengano pronunziati omettendo la convocazione della società convenuta derivano dalla circostanza che essendo stata iscritta nel registro delle Imprese la delibera del 17 gennaio 2006 che si è impugnato il 25 gennaio 2005 ed essendo stato concesso per l’esercizio del diritto di opzione il termine di legge di 30 giorni da tale iscrizione, in difetto di notifica dei richiesti provvedimenti entro il 24 febbraio 2005 le fondate ragioni dei ricorrenti sarebbero definitivamente frustrate e il disegno perpetrato ai loro danni compiuto”.

– si è costituita la società nella fase del reclamo eccependo: l’intangibilità della trasformazione e delle deliberazioni ai sensi dell’art. 2500 bis c.c., la carenza di legittimazione dei reclamanti in quanto non titolari neppure di una azione e in quanto non più amministratori i Sigg.                               e nel merito che la società non si era sciolta al 17 gennaio 2006 poiché la causa di scioglimento non era ancora stata iscritta nel registro delle imprese così come previsto dall’art. 2484 c.c. come novellato, che in ogni caso non sussisteva il periculum in mora anche alla luce della comparazione degli interessi ex art. 2378 c.c..

OSSERVA QUANTO SEGUE

1) Sull’eccezione di difetto di legittimazione in capo ai ricorrenti-reclamanti.

Ad avviso del Collegio l’eccezione non è fondata, se non con riguardo al sig.

Quest’ultimo invero non era socio alla data del 17.1.2006, né era mai stato socio della società prima di allora.

Secondo la tesi dei reclamanti quest’ultimo sarebbe divenuto socio dopo essersi reso cessionario del diritto di opzione dai soci                               e con la sottoscrizione dell’l% del capitale sociale: tale circostanza sarebbe comprovata dal documento n. 10 avente ad oggetto un bonifico eseguito dal sig.                               a favore della ..."‘ società. Reputa il Collegio che sia fondata la difesa della società sul punto, in quanto dalla visura storica (doc. 4) e dal libro soci (doc. 2) il                              non risulta essere socio della società, né risulta mai essere stato iscritto nel libro soci.

Sussiste invece la legittimazione ad agire del           (socio della società al 29,50% nonché amministratore)       in quanto i medesimi al momento della notificazione della citazione erano amministratori della società e, pertanto, erano legittimati al sensi dell’art. 2479 ter all’impu­gna­zione della delibera asseritamente illegittima. Si rammenta infatti che solo in data 27.2.2006 gli amministratori sono stati revocati. Con riguardo poi alla posizione dei sigg.            (socia quest’ultima) al 19.50%) nella loro qualità di ex soci si ritiene che i medesimi fossero legittimati in quanto titolari del diritto di opzione, e dunque si trovassero nella possibilità di rimanere soci; che in ogni caso comunque la loro legittimazione resta intatta anche con riguardo alla posizione di ex soci e a prescindere dalle censure di nullità delle delibere stesse (si rammenta infatti che l’art. 2479 ter c.c. ha modificato il regime delle delibere nulle e annullabili circoscrivendo l’impugnabilità da parte di chiunque vi abbia interesse alle sole delibere aventi un oggetto illecito o impossibile e quelle prese in assenza assoluta di informazione, e che pertanto si è ristretto sotto questo profilo l’ambito soggettivo di impugnabilità delle delibere): sussiste infatti lo spazio per la legittimazione come ex soci ad impugnare una delibera assunta quando ancora indubbiamente i medesimi erano soci. Come ha invero ritenuto la Corte di Cassazione (Sent. 1988/181) tutte le volte in cui un diritto astrattamente configurabile dell’ex socio nei confronti della società, in relazione alla sua passata partecipazione ad essa, dipenda dall’accertamento della legittimità di una delibera assembleare presa quando egli era ancora socio, negargli la possibilità di impugnarla significherebbe negargli la possibilità concreta di far valere quel diritto medesimo. È vero che la ratio dell’art. 2378 c.c. deve rinvenirsi all’interesse del socio a che la vita futura della società non sia pregiudicata da determinate decisioni interne e quindi nella dimostrazione della permanente partecipazione del­l’op­ponente alla società, tuttavia proprio dall’analisi di tale ratio emerge che ad essa è fuor luogo richiamarsi quando l’esistenza o meno di un diritto attuale dell’ex socio dipenda dalla Sua passata partecipazione alla società e il futuro di quest’ultima invece sia divenuto per lui irrilevante. In tali casi è evidente l’interesse dell’ex socio ad impugnare la delibera assembleare della società pur dopo la sua uscita ed è sufficiente quindi che egli dia la prova di tale interesse per legittimarsi all’eser­cizio della relativa azione. Ne discende che nel caso di specie è indiscutibile ed indubbio l’interesse dei sigg.              ad impugnare la delibera in parola in quanto in astratto la medesima incide sulla loro posizione all’interno della società.

2) Sulle spese di causa.

Sotto tale profilo le doglianze di parte attrice sono da condividere. A prescindere dalla motivazione di merito con la quale si è statuito in ordine alla soccombenza, si osserva che trattandosi di un ricorso cautelare proposto in corso di causa ai sensi dell’art. 2378 Comma 3 c.c. non si poteva provvedere in ordine alle spese dovendosi riservare la relativa pronuncia all’esito della causa di merito nel corso della quale la sospensione è stata richiesta, nulla avendo innovato sul punto la novella di cui alla L. n. 80/2005 e n. 51/2006 con riguardo all’art. 669 sexies.

Pertanto con riferimento alla pronuncia sulle spese il reclamo va accolto.

3) Le conclusioni assunte nel ricorso e nel reclamo.

Prima di entrare nel merito delle doglianze sollevate dai reclamanti, si osserva che davanti al giudice di prime cure gli attuali reclamanti avevano richiesto la sospensione della delibera solo nella parte straordinaria in cui la stessa aumentava il capitale sociale e non già anche nella parte ordinaria di approvazione del bilancio. Nel reclamo le conclusioni assunte sono state in parte modificate nel senso che appunto la sospensione viene richiesta anche con riguardo alla parte in cui la stessa approva i bilanci. Tuttavia, tale modifica non può ritenersi consentita: se è vero che il disposto di cui all’art. 23 comma 5, d.lgs. n. 5/2003 accredita la convinzione che il legislatore si sia nettamente orientato per una concezione del reclamo quale giudizio di riesame della situazione sostanziale e non come giudizio di revisione del provvedimento impugnato, e che pertanto la cognizione del collegio può espandersi a tutto campo e sostituire così integralmente la decisione del giudice di prime cure, ciò incontra il limite della inammissibilità di domande nuove, poiché dall’art. 23 comma 5 non si ricavano spazi per una estensione della materia del contendere. Tale riflessione comporta come logica conseguenza, la inammissibilità in sede di reclamo della domanda con la quale i reclamanti chiedono la sospensione anche della delibera ordinaria della società di approvazione dei bilanci, che non era stata richiesta con il ricorso nel quale le conclusioni assunte erano appunto limitate alla richiesta di sospensione della delibera di aumento di capitale. Alla inammissibilità della domanda consegue il venir meno della necessità di esaminare in questa sola sede la sussistenza del fumus boni iuris con riguardo ai profili di nullità dei bilanci, il cui esame deve essere pertanto riservato e rinviato alla causa di merito già instaurata.

4) L’intangibilità della operazione di trasformazione della società.

Come già detto i reclamanti censurano il provvedimento del giudice di prime cure nella parte in cui ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso, ravvisando carenza di interesse ad agire conseguente all’intangibilità dell’atto di trasformazione ex art. 2500 bis comma 1 c.c. approvata con delibera del 2.3.2006 cui la delibera del 17.1.2006 sarebbe collegata.

Ad avviso del Collegio tale conclusione non appare convincente. Se è vero infatti che per espressa previsione del­l’art. 2500 bis comma 1 c.c. l’avvenuta pubblicità del­l’atto di trasformazione rende intangibili gli effetti della trasformazione medesima, ciò non significa che siffatta intangibilità possa essere estesa a tutte le delibere anteriori della società che non siano strettamente finalizzate alla delibera di trasformazione. In questo senso il riferimento all’orien­ta­mento giurisprudenziale che estende la sanatoria della delibera di fusione invalida a tutto il procedimento di fusione non appare puntuale, posto che tali pronunce si limitano appunto a circoscrivere l’intangibilità a delibere prodromiche alla fusione o che si inseriscono nel procedimento e non già ad estendere la sanatoria anche ad operazioni anteriori che non si inseriscano in questo ambito. Tale interpretazione appare la più rispettosa del dettato normativo dell’art. 2504 quater c.c. che, attesa la natura eccezionale della sanatoria, necessariamente deve essere di stretta interpretazione.

Orbene alla luce di tali principi non si ravvisa un collegamento oggettivo tra la delibera con la quale la società ha nel gennaio 2006 deliberato la riduzione del capitale e il contemporaneo aumento del capitale al minimo legale, in forza del quale la suddetta delibera in ipotesi non potrebbe essere caducata, laddove ritenuta illegittima.

Né allo stato vi sono motivi per ritenere che, per altro verso, la delibera del 17.1.2006 abbia già spiegato effetti irreversibili, soprattutto con riguardo al legittimo affidamento di terzi soggetti operanti sul mercato, che rendano impraticabile la strada della tutela reale.

Alla ritenuta non intangibilità della delibera impugnata consegue ovviamente che debba essere esaminato il fumus boni iuris della invalidità della delibera di aumento di capitale con riguardo ai diversi profili trattati dai reclamanti.

5) Sull’eccezione di illegittimità della operazione sul capitale da parte di una società scaduta.

La prima censura di illegittimità della delibera del 17.1.2006 e quella per la quale nessuna determinazione avente ad oggetto l’operazione sul capitale poteva essere presa dal momento che la società era scaduta per decorso del termine e non era ancora stata deliberata la proroga.

Ad avviso del Collegio tale doglianza non è fondata alla luce delle modifiche apportate dal legislatore all’art. 2484 c.c.: tale norma nel disciplinare le cause di scioglimento delle società a responsabilità limitata prevede infatti che nel­l’ipotesi di cui ai numeri 1, 2, 3, 4, e 5 e quindi anche nel­l’ipotesi in cui la società si sciolga per decorso del termine, gli effetti dello scioglimento si determinano alla data del­l’iscri­zione presso l’ufficio del registro delle imprese della di­chiarazione con cui gli amministratori ne accertino la causa.

Mentre le cause di scioglimento sono rimaste pressoché invariate la maggiore novità si registra in ordine agli effetti dello scioglimento: il legislatore ha espressamente previsto il momento a partire dal quale la causa di scioglimento, esplica i propri effetti, innovando così con il sistema previgente con lo stabilire una netta separazione tra il momento in cui si verifica la causa di scioglimento e quello in cui la stessa causa esplica i suoi effetti mediante l’introduzione di un sistema di pubblicità costitutiva. Si abbandonano cosi, per espressa volontà del legislatore, le tesi dottrinali e giurisprudenziali sinora prevalenti che nel sistema previgente reputavano che le cause di scioglimento fossero operative di diritto (Cass. 1995/1035; 1994/8928; 4089/1980), con la conseguenza che nel caso di specie va disattesa posto che alla data del 17.1.2006 gli amministratori (tra cui appunto i                               ) non avevano ancora provveduto alla iscrizione presso l’ufficio del registro delle imprese della dichiarazione con cui si accertava l’esistenza della causa di scioglimento.

6) Inscindibilità dalle operazioni sul capitale.

L’art. 2481 bis C.C. prevede che la decisione di aumento di capitale “può anche consentire, disciplinandone le modalità, che la parte dell’aumento di capitale non sottoscritta da uno o più sia sottoscritta dagli altri soci o da terzi” e che “se l’aumento di capitale non è integralmente sottoscritto nel termine stabilito dalla decisione, il capitale è aumentato di un importo pari alle sottoscrizioni raccolte soltanto se la deliberazione medesima lo abbia espressamente consentito”. I reclamanti si dolgono che l’assemblea del 17.1.2006 non ha deliberato che la parte di aumento di capitale non sottoscritta da uno o più soci potesse essere sottoscritta dagli altri soci, né ha previsto che in caso di mancata sottoscrizione dell’aumento di capitale da parte di tutti i soci l’aumento di capitale fosse aumentato di un importo pari alla sottoscrizione. Sostengono pertanto che in forza del principio di inscindibilità l’intera operazione doveva perdere di efficacia con conseguente restituzione dei conferimenti ottenuti dai sottoscrittori.

Sotto questo profilo possono sussistere dubbi in ordine alla regolarità formale della delibera poiché in effetti non vi è stata una esplicita decisione che consentisse, disciplinandone le modalità, che la parte dell’aumento di capitale non sottoscritta da uno o più soci potesse essere sottoscritta dagli altri soci                               (una volontà dell’assemblea in tal senso si ricava solo indirettamente dalla dichiarazione del Presidente dell’Assemblea, ricevuta dal Notaio verbalizzante, con la quale si dava atto della volontà della società di sottoscrivere per euro 3.100 il capitale e di esercitare il diritto di prelazione sulla quota di capitale inoptata a condizione che gli altri soci non avessero sottoscritto nei trenta giorni dall’iscrizione della delibera la loro quota del deliberato aumento di capitale. I pur possibili dubbi in ordine alla regolarità formale della delibera sotto questo aspetto si stemperano dal punto di vista delle conseguenze tenendo conto del fatto che nella sostanza i diritti dei reclamanti nella loro qualità di soci sono comunque stati rispettati dalla delibera: i                               sono stati comunque posti nella possibilità di scegliere se sottoscrivere o meno il capitale sociale ricostituito nel termine di trenta giorni concesso per la sottoscrizione in ossequio a quanto previsto dall’art. 2439 c.c. e quindi di fatto mai privati del loro diritto di ricostituire la medesima compagine sociale.

Tale ulteriore riflessione rileva anche sotto il profilo dell’apprezzamento della sussistenza del periculum in mora, richiesto per la sospensione della delibera. In una valutazione necessariamente comparativa degli interessi coinvolti, imposta dall’art. 2378 c.c. e richiamato per le società a responsabilità limitata dall’art. 2479 ter c.c. assume rilevanza anche la gravità della violazione lamentata ed eventualmente riscontrata: i sigg.                               che erano senza dubbio a conoscenza da tempo (soprattutto nella qualità di amministratore e dunque di autore dei bilanci) della situazione di perdite in cui da tempo versava la società, e pertanto consapevoli della necessità di adottare i provvedimenti di ricostituzione del capitale e di rifinanziamento della società al fine di evitare lo scioglimento della società, ben potevano evitare il pregiudizio lamentato in questa sede, sottoscrivendo il capitale nel termine del 26.2.2006, non ravvisandosi correlazione tra il profilo di illegittimità lamentato e il venir meno della qualità di soci.

Senza tacere il fatto che anche i profili di periculum esposti nel ricorso ex art. 700 c.p.c. a sostegno dell’istanza di sospensione, e non modificati nell’atto di reclamo, paiono oggi venuti meno sia perché si è ormai tenuta l’assemblea che doveva deliberare la proroga e che adottava il nuovo statuto, sia perché è ormai decorso il termine per l’esercizio del diritto di opzione.

Tenuto poi conto del fatto che in questa sede è consentito al giudice di sospendere ma non anche di revocare gli effetti che la delibera ha già prodotto e del fatto che nella valutazione dei gravi motivi necessari per la sospensione occorre comparare il pregiudizio che subirebbe il ricorrente dalla esecuzione e quello che subirebbe la società dalla sospensione dell’esecuzione della deliberazione, reputa il Collegio che debba prevalere in quest’ottica l’interesse della società nel proseguire l’attività, interesse che senza dubbio sarebbe sacrificato nel caso di sospensione poiché la società stessa si ritroverebbe inevitabilmente in uno stato di liquidazione, con evidente ripercussione sull’interesse sociale e sugli interessi anche dei terzi coinvolti economicamente nelle vicende societarie.

Tali considerazioni consentono di escludere che sussistano i gravi motivi sotto il profilo del periculum per sospendere la delibera impugnata in attesa della decisione definitiva nella causa di merito.

Pertanto il reclamo deve essere respinto ad eccezione della parte in cui ha condannato gli attuali reclamanti alle spese della causa.

P.Q.M.

IL collegio,

In parziale accoglimento del reclamo revoca il provvedimento nella parte in cui condanna i resistenti al pagamento delle spese; conferma per il resto il provvedimento impugnato.

Cosi deciso nella camera di consiglio il 30.6.2006.

 

IL PRESIDENTE f.f.

IL GIUDICE ESTENSORE.

 

REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano
Il Tribunale di Torino, in composizione collegiale,
in persona dei Magistrati
Dott. PREMOSELLI – Presidente
Dott. GIUSTA – Giudice rel. –
Dott. TASSONE – Giudice –
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile n.  /2006 R.G. promossa

da:

 

 

             , rappr. e difesi dall’Avv.             del Foro di Milano e dagli Avv.ti

      

del Foro di

Torino e presso lo studio di quest’ultima elett.dom.ti in Torino per delega in calce all’atto di citazione

– attori

contro

                                  (già

s.r.l.), con sede in Torino, in persona del legale rappr. pro tempore, in Torino elett.dom.ta presso lo studio legale rappr. e

difesa dagli Avv.ti

                                   del Foro di Napoli

per delega in calce alla comparsa costitutiva

– convenuta

Conclusioni degli attori:

Nel merito: In via preliminare ed in ogni caso:

disporsi la cancellazione ex art.89 C.P.C. delle affermazioni contenute nella comparsa di costituzione e risposta della                        srl indicate a pag. 2 della memoria di replica nell’interesse degli attori.

In via principale: accertare e dichiarare la nullità della delibera dell’assemblea ordinaria della                       del 17 gennaio 2005 di approvazione del bilancio al 30 giugno 2005 e di approvazione del bilancio infrannuale al 30 novembre 2005, per i motivi di cui in narrativa, previa disposizione di CTU diretta a rettificare i suddetti bilanci; accertare e dichiarare l’inesistenza o la nullità o l’inefficacia della delibera dell’assemblea straordinaria della

                        del 17 gennaio 2005 nella parte in cui riduce e aumenta il capitale sociale...In subordine: accertare e dichiarare l’annullabilità della delibera dell’assemblea ordinaria della

del 17 gennaio 2005 di approvazione del bilancio al 30 giugno 2005 e di approvazione del bilancio infrannuale al 30 novembre 2005, per i motivi di cui in narrativa..., previa disposizione di CTU diretta a rettificare i suddetti bilanci. In via istruttoria: ... omissis

Conclusioni della convenuta:

Tutto quanto sopra esposto ed eccepito, LA SOCIETÀ    in persona del l.r.p.t. come in epigrafe rapp.ta, difesa e domo.ta, nell’impugnare e contestare tutto quanto ex adevrso dedotto ed eccepito:

 

CHIEDE CHE
l’Ill.mo Tribunale adito Voglia:

In via preliminare, dichiarare l’estinzione del presente giudizio per sopravvenuta carenza ad agire dell’odierna parte attrice per le ragioni di cui in narrativa. Sempre in via preliminare rigettare le avverse domande in quanto inammissibili ed improponibili stante l’intangibilità degli effetti della delibera di trasformazione del 27.02.2006. Domande che hanno ad oggetto presunti profili di invalidità relativi alle deliberazioni precedenti e prodromiche alla deliberazione di trasformazione e che, stante l’operatività dell’art. 2500 bis comma l, c.c., rendono intangibili gli effetti della trasformazione stessa ed impediscono alcun effetto di reviviscenza dello status quo ante.

In subordine, ma sempre in via preliminare, dichiarare la carenza di interesse ad agire e di legittimazione attiva dei sigg.ri                    per le ragioni esposte in narrativa e per l’effetto dichiarane l’estromissione dal presente giudizio, con correlativa condanna al pagamento delle spese di giustizia, anche generali, gravate da IVA e CPA, del doppio grado della fase cautelare e del presente giudizio di merito a favore dei procuratori costituiti ed anticipatari.

Nel merito, ed in ogni caso, rigettare in quanto assolutamente inammissibili, improcedibili ed infondate, in fatto ed in diritto, tutte le domande formulate da controparte per le ragioni di cui in narrativa.

In ogni caso ordinare la cancellazione delle espressioni sconvenienti ed offensive di cui nella parte narrativa e condannare gli attori in solido tra loro e per quanto di rispettiva competenza ai sensi dell’art. 96 c.p.c. stante l’evi­dente temerarietà della lite intentata.

In ogni caso condannare gli attori, in solido tra loro e/o ciascuno per quanto di competenza, al pagamento delle spese, anche generali, diritti ed onorari del doppio grado della fase cautelare e del presente giudizio di merito, comprensive di IVA e CPA, con attribuzione ai procuratori anticipatari.

SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO

In data 17.01.2006 l’assemblea dei soci della        (convocata in sede ordinaria e straordinaria), deliberava – come da verbale redatto dal Notaio                     (rep. n. 40941; rac. n. 18200) – di approvare il bilancio di esercizio chiuso al 30.06.2005 ed il bilancio infrannuale al 30 novembre 2005; di ricostituire il capitale sociale ad euro 10.000,00 previo abbattimento delle perdite ammontanti ad euro 1.098.303,00 mediante azzeramento della riserva di rivalutazione iscritta nel bilancio al 30 novembre 2005 per euro 139.962,00, integrale utilizzo delle altre riserve iscritte nel suddetto bilancio per euro 48.792,00 e della riserva legale inscritta nel suddetto bilancio per euro 863,00 ed infine mediante azzeramento del capitale di euro 10.000,00 con conseguente abbattimento della perdita ad euro 898.686,00; di aumentare il capitale sociale da euro 0,00 ad euro 908.686,00 e di ridurre il capitale per abbattimento perdite di euro 898.686,00; di dare atto che conseguentemente il capitale sociale veniva ricostituito ad euro 10.000,00.

In particolare il socio                  al fine di ricapitalizzare la società provvedeva a versare nelle casse sociali complessivamente la somma di euro 908.686,00 di cui euro 463.429,00 a mezzo di bonifico bancario n. 0920003200650 accreditato sul conto intestato alla società presso la                  in data 16 gennaio 2006 ed il resto a mezzo assegni circolari tutti emessi in data 17.01.2006 dalla                  ed intestati alla società.

Per effetto di tale sottoscrizione e versamento il Presidente dell’Assemblea dava atto che il capitale era stato ricostituito ad euro 10.000,00 e sottoscritto dalla

per euro 3.100,00 in proporzione al diritto di opzione spet­tantele e con contestuale esercizio da parte della medesima del diritto di prelazione sulla quota di capitale inoptata (pari ad euro 6.900,00) a condizione che gli altri soci non avessero sottoscritto nei trenta giorni dall’iscri­zione della delibera la loro quota del deliberato aumento di capitale.

Conseguentemente nel libro dei soci, veniva testualmente annotato che: il ricostituito capitale a 10.000 euro è stato sottoscritto e versato interamente dal socio              per euro 3.1.00,00 sulla base del diritto di opzione e 6.900,00 euro come esercizio della prelazione sull’inoptato sottoposto a condizione risolutiva dell’esercizio da parte degli altri soci nei 30 gg. dall’iscrizione della delibera nel registro delle Imprese.

Ai soci

veniva concesso il termine previsto dall’art.2481 bis c.c. di trenta giorni decorrenti dalla iscrizione della delibera nel Registro delle imprese per l’esercizio del diritto di opzione sulle quote di capitale sociale nelle more sottoscritte e versate dal socio

Poiché la delibera veniva iscritta nel Registro delle imprese in data 25.1.2006, il termine entro il quale i soci potevano esercitare il diritto di opzione scadeva in data 24.2.2006; a tale data, solo il socio

aveva provveduto a sottoscrivere la porzione di capitale sociale spettantele, per cui unici componenti della compagine sociale di

risultavano essere

titolare di una quota di euro 8.000,00, pari all’80% del capitale sociale e                  titolare di una quota di euro 2.000,00, pari al 20% del capitale sociale.

In data 2.3.2006 nel corso dell’assemblea straordinaria dell’anzidetta società, avente all’ordine del giorno la trasformazione da srl in spa e di contestuale adeguamento del capitale sociale, i soci all’unanimità, deliberavano la trasformazione della società da srl in spa e aumentavano il capitale sociale in conformità al modello societario prescelto.

La delibera di trasformazione veniva debitamente trascritta nel Registro delle imprese di Torino e in data 20.3.2006.

Con atto di citazione notificato in data 14 febbraio 2006 gli attori convenivano innanzi a questo Tribunale la società
           (già per sentir ivi così provvedere: «accertare e dichiarare la nullità della delibera dell’assemblea ordinaria della             del 17 gennaio 2005 di approvazione del bilancio al 30 giugno 2005 e di approvazione del bilancio infrannuale al 30 novembre 2005, per i motivi di cui in narrativa, previa disposizione di CTU diretta a rettificare i suddetti bilanci; accertare e dichiarare l’inesistenza o la nullità della delibera dell’assemblea straordinaria della                  del 17 gennaio 2005 nella parte in cui riduce e aumenta il capitale sociale. In subordine: accertare e dichiarare l’annulla­bilità della delibera dell’assemblea ordinaria della
           del 17 gennaio 2005 di approvazione del bilancio al 30 giugno 2005 e di approvazione del bilancio infrannuale al 30 novembre 2005, per i motivi di cui in narrativa, previa disposizione di CTU diretta a rettificare i suddetti bilanci».

In pari data gli attori depositavano altresì ricorso ex artt. 2479 ter – 2378 comma 3 c.c. affinché il Giudice volesse: i) sospendere ex art. 2378, 3° e 4° c., C.C., inaudita altera parte o in subordine fissando un’udienza che consenta l’emissione del provvedimento entro la data del 23 febbraio 2006, l’esecuzione della delibera dell’assemblea straordinaria della             del 17 gennaio 2006 nella parte in cui riduce e aumenta il capitale sociale; ii) inibire ex art. 700 C.P.C., inaudita altera parte, o in subordine fissando un’udien­za che consenta agli amministratori della società di procedere al deposito dell’attestazione dell’avvenuto aumento di capitale deliberato in data 17.01.06 in mancanza di sottoscrizione dell’aumento medesimo da parte di tutti i soci; iii) ordinare ex art. 700 C.P.C. inaudita altera parte, o in subordine fissando un’opportuna udienza, l’ispezione del­l’am­ministrazione della detta società, con particolare riguardo alla tenuta della sua contabilità; iv) Designare il Giu­dice per la trattazione della causa di merito e fissare da­vanti al medesimo l’udienza per la conferma, modifica o revoca dei provvedimenti di cui sopra.

Il Presidente del Tribunale di Torino – sezione I, dato atto che in data 25.01.2006 era stata iscritta al registro delle imprese la delibera in questione, contenente altresì l’atte­stazione dell’esercizio effettuato (sottoposta a condizione del mancato esercizio da parte degli altri soci entro 30 giorni) della prelazione sull’inoptato e del contestuale versamento di quanto da lei dovuto a tale titolo; dato atto che i ricorrenti avevano iscritto a ruolo in pari data la causa di merito rivolta all’annullamento della suddetta delibera (R.G. n. 4392/06), iniziata con citazione notificata il 14.02.2006; ritenuto che non sussisteva l’eccezionale urgenza di disporre la sospensione perché il potenziale pregiudizio come allegato dai ricorrenti sarebbe consistito nel non poter intervenire in una futura assemblea e votare il nuovo statuto e con esso la proroga della società la cui durata è cessata il 31.12.05: assemblea che, per altro non risultava essere stata ancora convocata.

Il Presidente rigettava quindi l’istanza di sospensione omesso il contraddittorio, designando il Giudice per la trattazione del ricorso.

Il Giudice designato dal Presidente disponeva l’instaura­zione del contraddittorio e la comparizione delle parti per l’udienza del 21.3.2006, all’esito della quale – con ordinanza del 27 aprile 2006 rigettava il ricorso, dichiarandolo inammissibile e condannando i ricorrenti al pagamento delle spese di lite. Per la riforma del suddetto provvedimento proponevano reclamo al Collegio gli attori ricorrenti; il Tribunale, in composizione collegiale, all’esito del­l’udien­za tenuta in data 30.6.2006, accoglieva parzialmente il reclamo, revocando il provvedimento di condanna al pagamento delle spese processuali; confermava, per il resto, il provvedimento impugnato. Quanto allo svolgimento del giudizio di merito, a seguito della notificazione dell’atto di citazione introduttivo, la convenuta notificava la comparsa di risposta, cui seguiva la memoria di replica degli attori ex art. 6 D.Lgs. n. 5/2003. Indi, la convenuta proponeva istanza di fissazione dell’udienza, cui – seguiva la designazione del Giudice relatore che, con decreto del 20.7.2006, fissava l’udienza collegiale, riservando al Collegio la decisione su tutte le questioni controverse tra le parti e l’eventuale ammissione della C.T.U. richiesta dagli attori. Nel corso dell’udienza collegiale del 20 aprile 2007, le parti svolgevano le rispettive difese e conclusioni e il Tribunale riservava la decisione della causa.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Ritiene il Tribunale che debba esaminarsi preliminarmente l’eccezione di inammissibilità ed improcedibilità delle domande di merito formulate dagli attori, svolta dalla difesa della convenuta sotto il profilo che l’avvenuta pubblicità della delibera di trasformazione del 2.3.2006 rende intangibile l’atto di trasformazione e sana qualsivoglia invalidità da cui essa sia affetta, ivi comprese quelle ipoteticamente derivanti dalle deliberazioni prodromiche e precedenti, oggetto della presente impugnativa; consegue da ciò, a dire della convenuta, la carenza di interesse ad agire, derivante dall’intangibilità dell’atto di trasformazione ex art. 2500 bis, comma 1, C.C., approvata con delibera del 2.3.2006; la convenuta ha ampiamente illustrato tale eccezione nelle proprie difese (in particolare, alle pagg. 7-12 della comparsa conclusionale).

Reputa il Collegio che l’eccezione in esame sia fondata e meritevole di accoglimento per le seguenti considerazioni. Come noto, l’art. 2500 bis C.C. testualmente dispone che, eseguita la pubblicità della delibera di trasformazione nelle forme previste dall’art. 2500 C.C., non possa più pronunciarsi l’invalidità dell’atto; tale principio, introdotto con la riforma del diritto societario attuata con il D.Lgs. n. 6/2003, appare profondamente innovativo, anche se riproduce la disciplina già esistente nell’ordinamenteo giuridico in tema di fusione e scissione (art. 2504 quater C.C., non modificato dalla riforma ed art. 2506 ter).

La Relazione governativa, al par. 14, precisa che tale innovazione richiama una norma che ha ben funzionato in tema di fusione e con essa si è inteso privilegiare la certezza dei rapporti giuridici nei confronti dei terzi.

L’art. 2500 bis, co. 2, fa espressamente salvo, in caso di invalidità della trasformazione, il diritto al risarcimento del danno eventualmente spettante ai partecipanti all’ente trasformato ed ai terzi danneggiati dalla trasformazione.

In tal modo, il legislatore ha sostituito la tutela rappresentata dall’impugnazione della delibera con altra forma di tutela a carattere risarcitorio sia a favore dei partecipanti all’ente trasformato, sia ai terzi danneggiati. Va ricordato che la ratio della disciplina introdotta con D.L.vo 16 gennaio 1991 n. 22 in recepimento della III direttiva Cee (art. 2504 quater in tema di fusione) risulta essere quella di assicurare la stabilità dei rapporti e dei traffici economici derivanti dalla fusione, in considerazione della complessità degli effetti che derivano dall’atto di fusione e dell’esigenza di tutela dell’affidamento ingenerato nei terzi che instaurano rapporti con la società risultante dal procedimento di fusione.

La volontà di impedire il prodursi di tali conseguenze è espressa dalla Relazione ministeriale che accompagna il citato D.L.vo n. 22/1991, introduttivo dell’art. 2504 quater C.C., ove si manifesta l’intento di evitare “le difficoltà gravissime che nascerebbero quando fosse dichiarata nulla una fusione già attuata: difficoltà in ordine sia alla suddivisione dei patrimoni ormai unificati e, nel tempo intercorrente fino alla formazione del giudicato modificati magari profondamente, sia alla ricostruzione delle compagini dei soci delle diverse società partecipanti all’operazione”.

La giurisprudenza di merito ha ripetutamente affermato, con riguardo alla fusione, la legittimità costituzionale di questa disciplina che privilegia il principio di certezza dei rapporti giuridici a fronte degli interessi dei soci e dei terzi, assicurando peraltro adeguata riparazione in caso di deliberazione illegittima attraverso lo strumento risarcitorio (cfr. Trib. Genova, 21 dicembre 2000, in Società, 2001, pag. 448; Trib. Milano, 13 maggio 1999, in Società, 2000, pag. 75).

Anche nel caso di trasformazione, come nell’ipotesi di fusione, è da ritenere che l’invalidità che non può esser fatta valere dopo il compimento degli adempimenti pubblicitari non sia soltanto quella dell’atto di trasformazione in quanto tale, ma anche degli eventuali atti precedenti che possano incidere sulla validità della deliberazione; che, sempre in conformità all’orientamento emerso in materia di fusione e scissione, la sanatoria riguardi non soltanto i casi di nullità dell’atto di trasformazione, ma anche le ipotesi di annullabilità, come si evince dalla lettera dell’art.2500 bis C.C., che parla genericamente di “invalidità dell’atto di trasformazione”. L’uso del termine “invalidità” si riferisce ad una nozione ampia che non si presta, di per sé, né alla luce delle chiare finalità perseguite dal legislatore, ad essere intesa in senso restrittivo, con esclusione cioè di alcuno dei vizi che possono caratterizzare l’atto. Anche secondo la giurisprudenza di legittimità (Cass., 20.12.2005, n. 28242) la disposizione di cui all’art. 2504 quater C.C., secondo cui, una volta eseguita l’iscrizione dell’atto di fusione delle società, l’invalidità dello stesso non può più essere dichiarata, pone una preclusione di carattere assoluto, che riguarda tanto il caso in cui si deducano vizi inerenti direttamente all’atto di fusione, quanto l’ipotesi, in cui i vizi concernano il procedimento di formazione dell’atto e della sua iscrizione. Discende da tali premesse e dai citati criteri interpretativi – elaborati in materia di fusione ed applicabili, per affinità se non identità di ratio, alla presente fattispecie di trasformazione societaria che – se pure la delibera in questa sede impugnata dagli attori è costituita da quella assunta in data 17.1.2006 da

avente ad oggetto l’approvazione del bilancio al 30 giugno 2005 e del bilancio infrannuale al 30 novembre 2005, nonché la riduzione del capitale sociale e contestuale aumento del medesimo, per ripianare le perdite conseguenti a quei bilanci e riportare il capitale al minimo legale non possa pronunciarsi la nullità o annullabilità richiesta dagli attori poiché i vizi lamentati dagli stessi – anche se ipoteticamente e astrattamente fondati non potrebbero in ogni caso riverberare i propri effetti sulla successiva delibera di trasformazione, divenuta intangibile per effetto della pubblicità ex art. 2500 bis C.C., che rende impossibile caducarne gli effetti.

In altre parole, essendosi irreversibilmente trasformati gli originari soggetti, non può rivivere lo status quo ante e gli attori, che agiscono nella presente sede in qualità di soci risultano privi di interesse ad agire, non potendosi ravvisare alcun concreto interesse all’accoglimento di una domanda di invalidità di delibere che dovrebbero ripercuotersi anche sulla conseguente delibera di trasformazione che – secondo la prospettazione di parte attrice sarebbe stata assunta sulla base di elementi contabili non veritieri e da soggetti in tutto o in parte non legittimati.

Merita inoltre considerare, quale ulteriore circostanza rilevante al fine di ravvisare il carattere prodromico della delibera impugnata rispetto al successivo atto di trasformazione e l’inserimento di tutti gli atti in esame in una scansione temporale prevista e voluta dalle parti, che nel patto para sociale stipulato in data 4.6.2002 da

con le società                  e                 (doc. 3Q conv. nel proc. cautelare) che le parti, ai sensi dell’art. 5.2 si impegnavano a fare quanto loro possibile affinché l’as­sem­blea straordinaria della                  deliberasse, tra il resto, la “trasformazione della società incorporante o risultante dalla fusione da società a responsabilità limitata in società per azioni con il nome di                  capitale sociale di almeno 100.000,00 euro e durata sino al 31 dicembre 2050 e la delega al consiglio di aumentarlo sino a euro 131.000,00 oltre sovrapprezzo”.

La trasformazione, prevista dalle parti sin dal 2002, presupponeva la necessaria ed obbligatoria (ex art. 2482 ter C.C., già art. 2447 C.C. ante riforma) riduzione delle perdite e contestuale ricapitalizzazione, al fine di aumentare il capitale sociale al minimo legale necessario per poter addivenire alla trasformazione da srl in spa, con assegnazione ai soci del termine di gg. trenta per l’esercizio del diritto di opzione; dopo l’adozione delle due delibere (di approvazione del bilancio e della situazione infrannuale, nonché di ripianamento delle perdite ai sensi dell’art. 2482 ter C.C.) in data 17.1.2006 (oggetto dell’impugnativa in esame) seguiva la decorrenza del termine per la sottoscrizione del­l’opzione (non esercitata dai soci sino al 27.2.2006), indi in data 2.3.2006 si teneva l’assemblea straordinaria della società avente ad oggetto la trasformazione da srl in spa ed il contestuale aumento ed adeguamento del capitale sociale.

La riferita successione logica e cronologica delle delibere assunte denota la connessione ed il collegamento tra le delibere oggetto della presente impugnativa e il successivo atto di trasformazione; per effetto dell’ampia portata pratica dell’art. 2500 bis C.C. già sottolineata, non può pertanto pronunciarsi né l’invalidità dell’atto di trasformazione, sottoposto ad iscrizione nel registro delle imprese, né delle delibere anteriori ad esso prodromiche.

Poiché, come si è visto, ai sensi dell’art. 2500, bis co. 2, C.C., non è prevista la tutela “caducatoria”, conseguente alle azioni di invalidità, ma esclusivamente un rimedio risarcitorio, conseguente all’antigiuridicità della delibera di trasformazione o di altri atti del relativo procedimento, non può che concludersi affermando la sopravvenuta carenza di interesse ad agire degli attori, i quali hanno formulato nel presente giudizio solo domande di accertamento e declaratoria di nullità o annullabilità delle delibere assembleari anzidette, non già domande risarcitorie.

La sopravvenuta pubblicità dell’atto di trasformazione non può che comportare, per le ragioni sin qui esposte, l’esaurimento dell’interesse all’azione intrapresa e alla pronuncia giudiziale richiesta, quale riflesso processuale del mutamento della situazione sostanziale.

Tale conclusione appare dirimente ed esime dal valutare le ulteriori questioni prospettate dalle parti.

Restano da esaminare, infine, le istanze di cancellazione ex art. 89 C.P. reciprocamente proposte dalle parti; in particolare, gli attori hanno chiesto la cancellazione delle affermazioni contenute nella comparsa di costituzione della convenuta e meglio specificate a pag. 2 della memoria di replica ex art. 6 D.Lgs. n. 5/2003 nell’interesse degli attori; la convenuta ha chiesto la cancellazione delle espressioni riportate a pag. 44 della comparsa conclusionale, nonché il risarcimento del danno ai sensi dell’art. 96 C.P.C., “stante l’evidente temerarietà della lite intentata”.

Ritiene il Tribunale che tali istanze non siano accoglibili, poiché le espressioni rispettivamente “censurate” dalle parti non possono considerarsi gratuitamente offensive in quanto attengono all’oggetto della causa e delle difese svolte e configurano un uso legittimo, ancorché particolarmente colorito, del diritto di difesa e di critica. Neppure può farsi luogo al risarcimento del danno ex art. 96 C.P.C., richiesto dalla difesa della convenuta, non essendovi prova che ricorrano l’elemento soggettivo dell’illecito (costituito da mala fede o colpa grave) né di quello oggettivo, rappresentato dall’effet­tiva esistenza ed entità del danno lamentato a questo titolo.

Quanto al regolamento delle spese processuali, secondo i criteri di causalità e soccombenza, devono porsi a carico degli attori le spese sia della fase cautelare, sia del presente giudizio di merito, il tutto secondo la liquidazione di cui in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale, respinta ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, così decide:

Respinge le domande degli attori per sopravvenuta carenza di interesse ad agire.

Respinge le istanze di cancellazione ex art. 89, C.P.C. e di risarcimento del danno ex art. 96 C.P.C.

Dichiara tenuti e condanna gli attori al pagamento delle spese processuali, comprensive anche di quelle relative alla fase cautelare, che liquida in euro 10.000,00 per diritti ed onorari, oltre rimborso spese generali, Iva e Cpa.

Così deciso in Torino, nella Camera di consiglio della 1^ Sezione civile, in data 20 aprile 2007.
Il Giudice est.:
Il Presidente:

 

(1-2) La regola dell’intangibilità dell’atto di trasformazione ed il suo ambito di applicazione

  
SOMMARIO:

1. Il caso e le motivazioni della decisione - 2. La dottrina - 3. I precedenti giurisprudenziali - 4. Commento - NOTE


1. Il caso e le motivazioni della decisione

Allo scopo di comprendere pienamente la portata e l’indubbia rilevanza che i provvedimenti in esame sono destinati a rivestire e, nel contempo, le obiezioni che, come vedremo, possono legittimamente essere mosse alle argomentazioni addotte dai giudici torinesi, pare necessario riassumere brevemente gli snodi salienti della vicenda. In data 17 gennaio 2006 l’assemblea dei soci della s.r.l. Alfa, composta dai soci A, B, C e D approvava, con il voto contrario degli ultimi due soci, il bilancio della società e contestualmente deliberava di azzerare il capitale e di ricostituirlo ad euro 10.000 previo abbattimento delle restanti perdite; l’aumento del capitale veniva sottoscritto e versato dai soci A e B, in parte sulla base del diritto di opzione spettante in misura proporzionale alla loro originaria quota di partecipazione, in parte mediante l’esercizio immediato della prelazione sull’eventuale quota rimasta inoptata sotto la condizione risolutiva dell’esercizio da parte dei soci C e D del diritto di opzione ad essi spettante ai sensi dell’art. 2481-bis c.c. nei trenta giorni decorrenti dall’iscrizione della delibera nel registro delle imprese. Alla scadenza di detto termine, poiché i soci C e D non provvedevano ad esercitare il diritto di opzione, gli unici componenti della compagine sociale, titolari dell’intero capitale, risultavano essere i soci A e B. Nel frattempo peraltro i soci C e D, ancor prima dello spirare del detto termine e, precisamente, il 14 febbraio 2006, convenivano la società Alfa presso il Tribunale di Torino, chiedendo al Giudice di accertare e dichiarare la nullità della delibera di approvazione del bilancio e di quella avente per oggetto la riduzione e la ricostituzione del capitale sociale; nel contempo depositavano un ricorso ai sensi dell’art. 2479-ter – 2378, 3° comma, c.c. al fine di ottenere, tra l’altro, la sospensione, inaudita altera parte, dell’esecuzione della delibera di riduzione ed aumento del capitale. Il Presidente rigettava l’istanza di sospensione, designando il Giudice per la trattazione del ricorso, il quale, disposta l’instaurazione del contradditorio, rigettava il ricorso dichiarandolo inammissibile; tale decisione veniva sostanzialmente confermata (ad eccezione della condanna al pagamento delle spese, che veniva revocata) da parte del Tribunale in composizione collegiale in sede di reclamo, [continua ..]


2. La dottrina

L’affermata identità di ratio che accomunerebbe, secondo l’impostazione del Tribunale di Torino, le vicende della trasformazione e della fusione è, in realtà, parzialmente smentita da un’attenta considerazione delle differenti caratteristiche strutturali che contraddistinguono le due vicende e dei diversi effetti che ne derivano; una considerazione che ha condotto, più in generale, gli interpreti a sottolineare l’inopportunità della scelta del legislatore di modellare la disciplina dell’invalidità della trasformazione sulla base di quella relativa all’invalidità della fusione [1]. Come una parte della dottrina ha infatti opportunamente messo in luce, la trasformazione, a differenza della fusione (ed anche della scissione), non comporta, normalmente, un mutamento della consistenza del patrimonio dell’ente, con la conseguenza, tra l’altro, che non si pone quell’esigenza, che risulta invece tipica della fusione, di “rendere ‘irreversibile’ un effetto giuridico, quale è il patrimonio delle società che si fondono” [2]. È stato altresì sottolineato come la disciplina attualmente contenuta nell’art. 2500-bis mal si attagli alla circostanza per cui la decisione di addivenire alla trasformazione e l’atto di trasformazione non costituiscono due fasi logicamente e cronologicamente distinte, ma “coesistono in un’unica determinazione assembleare verbalizzata dal notaio” [3]. Tale circostanza si riflette anche sulla fase successiva dell’iscrizione nel registro delle imprese: il fatto che la delibera di trasformazione possa, in quanto tale, essere iscritta entro un brevissimo lasso di tempo dalla data della sua adozione “rende impraticabile qualsiasi rimedio cautelare, impedendo il richiamo a soluzioni interpretative proposte riguardo all’opera­zio­ne di fusione” [4], come, in particolare, la richiesta di sospensione della delibera [5]. Alla luce di questi rilievi si è giustamente sottolineato come le disposizioni in materia di invalidità delle delibere assembleari sarebbero risultate sostanzialmente idonee a regolare anche l’invalidità del­l’atto di trasformazione [6] e che, al più, nell’ottica della salvaguardia degli interessi dei terzi, si sarebbe potuto adottare una [continua ..]


3. I precedenti giurisprudenziali

Anteriormente alla riforma, la mancanza di una espressa disciplina relativa all’invalidità della trasformazione lasciava aperti taluni interrogativi, ovvero l’individuazione delle cause di invalidità e quindi la determinazione delle conseguenze della pro­nuncia di illegittimità della trasformazione in ordine alla società trasformata. La giurisprudenza ha avuto modo di esprimersi essenzialmente in relazione al secondo profilo. Secondo una parte di essa, nell’ipotesi in cui la società trasformata fosse costituita da una società di capitali si sarebbe dovuto applicare, in via analogica, l’art. 2332, con la conseguente realizzazione del procedimento di liquidazione previsto da tale disposizione [21]. Secondo una differente impostazione, l’assenza di una specifica disciplina avrebbe comportato l’appli­cazione delle norme generali sull’invalidità del contratto contenute negli artt. 1418 ss. In particolare, laddove si fosse accertata l’invalidità della trasformazione, si sarebbero determinati una “reviviscenza” della società originaria e quindi un integrale ripristino degli organi sociali sussistenti al momento della trasformazione [22]. Come è stato opportunamente sottolineato [23], l’in­tro­duzione della nuova disciplina rende improponibile la suddetta impostazione, dal momento che l’art. 2500-bis è precisamente volto alla conservazione dell’ente trasformato, nell’ottica di privilegiare la certezza dei terzi e dei rapporti giuridici. Più problematica risulta invece la questione circa la possibilità, alla luce dell’attuale disciplina, di applicare l’art. 2332 laddove la struttura della società che risulta dalla trasformazione sia caratterizzata da gravi vizi di forma o di contenuto [24].


4. Commento

I profili di criticità che, come si è osservato, caratterizzano l’attuale disciplina relativa all’invalidità della trasformazione trovano una puntuale conferma nella vicenda che sta alla base dei provvedimenti che si commentano e nelle motivazioni di questi ultimi. Procedendo con ordine, costituisce innanzi tutto motivo di forte perplessità il fatto che sia stato respinto il ricorso della parte attrice volto ad ottenere la sospensione delle delibere di approvazione del bilancio e di riduzione ed aumento del capitale; la motivazione che è stata formulata dal giudice in sede cautelare – richiamata sinteticamente nella sentenza in esame – è stata ravvisata, innanzi tutto, nella mancanza del periculum in mora: il potenziale pregiudizio lamentato dagli attori, vale a dire il fatto di non poter partecipare ad una futura assemblea e votare il nuovo statuto e la proroga della società, il cui termine di durata era frattanto scaduto il 31 dicembre 2005, non poteva ritenersi fondato, secondo i giudici, in quanto la suddetta assemblea non era ancora stata convocata. La perplessità nasce dalla circostanza per cui, in realtà, la rilevanza e l’immediatezza del pregiudizio degli attori era da considerarsi insito nella stessa situazione che si era venuta a creare in conseguenza delle delibere impugnate, vale a dire la definitiva estromissione dei soci di minoranza dalla compagine sociale e quindi la loro impossibilità di partecipare alle future assemblee; il fatto che, nel momento della richiesta di sospensione, non fosse stata ancora effettivamente convocata una riunione assembleare, non incideva minimamente sulla rilevanza del pregiudizio e sull’urgenza di provvedere, dal momento che la convocazione di un’assemblea avrebbe potuto essere effettuata in qualsiasi momento, come i fatti successivi hanno puntualmente mostrato: occorre infatti ricordare che la convocazione dell’assemblea per la trasformazione è di pochi giorni successivi alla richiesta di sospensione delle delibere precedenti. La seconda ragione, addotta in particolare dal Tribunale in sede di reclamo contro il rigetto dell’istan­za di sospensione, per negare la sussistenza del periculum in mora, attiene a quella valutazione comparativa del pregiudizio del ricorrente in rapporto a quello della società, che, come è noto, l’art. 2378, 4° comma, [continua ..]


NOTE
Fascicolo 3 - 2008