Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
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Cessione di partecipazioni sociali e aliud pro alio (nota ad App. Venezia, 22 dicembre 2006) (di Lorenzo Fabbrini)


CORTE DI APPELLO DI VENEZIA, 22 dicembre 2006 – Radaelli D’Avino, Presidente e Relatore – Eugenia s.r.l. (avv.ti prof. Rimini, Adami) c. Di Bona e altri (avv.ti Dalle Mule, De Zanna, Zambelli).

Società – Società di capitali – Società a responsabilità limitata – Cessione di quote – Garanzie relative al patrimonio sociale – Revoca di concessioni/autorizzazioni amministrative – Insussistenza dell’ipotesi di aliud pro alio datum.

(Artt. 1322,1453 c.c.)

I beni compresi nel patrimonio della società non possono essere considerati del tutto estranei all’oggetto del contratto di cessione di azioni o di quote di una società di capitali, non solo nell’ipotesi in cui le parti abbiano fatto specifico riferimento, mediante la previsione di specifiche garanzie contrattuali, ma anche quando l’affidamento del cessionario circa la ricorrenza di tali requisiti debba ritenersi giustificato alla stregua del principio di buona fede, dal che discende che anche il divario fra l’effettiva consistenza quantitativa del patrimonio sociale rispetto a quella indicata nel contratto, riflettendosi sulla solidità economica e sulla produttività dell’impresa sociale e conseguentemente sul valore e sulla redditività delle azioni (o delle quote), possa integrare gli estremi non solo della mancanza delle qualità essenziali della cosa venduta, ma anche quella radicale diversità (aliud pro alio) che possono giustificare la risoluzione del contratto. (1)

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO DI VENEZIA – Sezione I Civile

composta dai magistrati

dr. Gabriella Radaelli D’Avino Presidente rel. est.

dr. Enricomaria Garbellotto Consigliere

dr. Domenico Tagliatatela Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa promossa in appello con atto di citazione notificato il 21 maggio 2003

da:

società EUGENIA s.r.l. in persona del suo legale rappresentante dr. Mario Sartori di Borgoricco, rappresentata e difesa dagli avv.ti prof. Emanuele Rimini di Milano e Giovanni Adami del Foro di Venezia, dom.ta in Venezia presso l’avv. Giovanni Adami

per mandato a margine dell’atto d’appello

appellante

contro:

DI BONA GIOVANNI, ALBERTI BRUNO, LACEDELLI GOFFREDO, rappresentati e difesi dagli avv.ti Luca Dalle Mule e Gianpaolo de Zanna del Foro di Belluno e Franco Zambelli del Foro di Venezia, dom.ti in Venezia-Mestre presso l’avv. Franco Zambelli

per mandato a margine della comparsa risposta

appellati

Oggetto: Riforma della sentenza n. 78/03 in data 25.2.2003 del Tribunale di Belluno

In punto: risoluzione contratto cessione quote sociali

CONCLUSIONI DELL’APPELLANTE: nel merito: dichiarare risolto il contratto di compravendita avente ad oggetto la totalità delle quote della AL.DI.LA s.r.l. di cui è causa; alternativamente, accertare la nullità o dichiarare l’annullamento del contratto di compravendita di cui è causa; condannare per l’effetto le parti convenute, in via tra loro solidale, alla restituzione del prezzo corrisposto pari a lire 39.000.000 (oggi € 20.141, 82) oltre agli interessi legali e la rivalutazione monetaria nonché al risarcimento dei danni da quantificarsi in via equitativa. In via istruttoria: ammettere, pur ritenendoli confermativi delle ammissioni effettuate dalle controparti nel corso dell’udienza del 1° giugno 1993, i capitoli di prova per interrogatorio formale del sig. Giovanni Bona e per testi: 1) vero che nelle prime settimane del 1985 il signor Giovanni Di Bona in proprio e per conto degli altri soci dell’AL.DI.LA s.r.l. i sigg.ri Goffredo Lacedelli e Bruno Alberti, propose al legale rappresentante della Eugenia s.r.l. di acquistare, tramite la cessione della totalità delle quote sociali, l’impianto scioviario denominato sciovia Grignes; 2) vero che sia durante le trattative (che si svolsero nei primi mesi del 1985) il Giovanni Di Bona anche per conto dei sigg.ri Goffredo Lacedelli e Bruno Alberti, assicurò e garantì l’esistenza e la funzionalità tecnica della sciovia Grignes, sottolineando soltanto l’opportunità di sostituire la fune di traino. Sui precedenti capitoli, con riserva di integrare la lista entro prefiggendo termine, si indicano fin d’ora come testi i sigg.ri: Giuseppe Rosenwirth, via Molinari 63, Pordenone; Helmuth Schmalzi, via Scurcià 56, Ortisei (Bolzano). Con condanna dei signori Giovanni Di Bona, Goffredo Lacedelli e Bruno Alberti in via tra loro solidale alle spese, diritti e onorari di giudizio per entrambi i gradi di giudizio in favore della società Eugenia s.r.l.

CONCLUSIONI DEGLI APPELLATI: nel merito rigettarsi l’appello ex adverso interposto perché infondato in fatto e in diritto e anche sulla scorta delle eccezioni formulate di violazione dell’art. 1227 secondo comma c.c. e di prescrizione della domanda di annullamento e, conseguentemente, confermarsi integralmente la sentenza di primo grado impugnata. Con vittoria di spese, onorari e accessori di causa. In via istruttoria: respingersi le richieste istruttorie avanzate da parte appellante, in quanto radicalmente inammissibili, poiché irrilevanti.

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 14 e 16.3.1991 la s.r.l. Eugenia conveniva in giudizio Giovanni Di Bona, Bruno Alberti e Goffredo Lacedelli, esponendo che con contratto 25.2.1985 costoro avevano ceduto all’attrice tutte le quote della società AL.DI.LA, proprietaria della sciovia Grignes e un anno dopo il comune di Cortina d’Ampezzo e la regione Veneto avevano revocato le concessioni per l’esercizio e apertura al pubblico di detto impianto per mancata effettuazione della visita di adeguamento decennale. Chiedeva che il contratto venisse dichiarato risolto per consegna di aliud pro alio o annullato per vizio del consenso (perché oggetto del contratto era stato un impianto esistente e funzionale), ovvero dichiarato nullo per difetto di consenso o, infine, risolto per il mandato verificarsi della situazione presupposta, con conseguente condanna dei convenuti alla restituzione del prezzo (lire 39.000.000), oltre interessi e rivalutazione.

Si costituivano i convenuti eccependo la carenza di legittimazione sia dell’attrice che dei convenuti, la prescrizione e decadenza dell’azione esperita con riferimento alla vendita di beni mobili, tali essendo le quote societarie, e l’infondatezza nel merito delle domande attoree.

L’attrice dava per pacifiche e ammesse le circostanze oggetto delle richieste di prova per interrogatorio e per testi formulate dai convenuti, salvo riproporle poi al­l’udien­za di precisazione delle conclusioni.

Con sentenza n. 78/03 il Tribunale di Belluno respingeva le eccezioni di carenza di legittimazione e nel merito rilevava che oggetto del contratto erano le quote sociali della s.r.l. AL.DI.LA e non l’impianto scioviario; che non risultava prestata una specifica garanzia relativamente alla consistenza economica della società; che le trattative erano intervenute tra operatori del settore, che si erano determinati all’acquisto senza neppure pretendere la consegna di documentazione tecnica. Escludeva di conseguenza che vi fosse stato difetto di consenso o errore essenziale e riconoscibile sull’oggetto del negozio; che ricorresse un’ipotesi di presupposizione mancandone la prova e infine che fosse verificata la consegna di aliud pro alio dal momento che erano state trasferite le quote della società come convenuto. Pertanto, ritenute irrilevanti le prove testimoniali riproposte dalla Eugenia in sede di precisazione delle conclusioni, rigettava tutte domande condannando l’attrice alle spese.

Ha proposto appello la s.r.l. Eugenia, sostenendo che era stato chiaro a tutti i soggetti contraenti che il bene oggetto della trattativa era la sciovia Grignes, il cui atto di concessione rilasciato nel 1967 dal Comune di Cortina era infatti stato consegnato all’acquirente; che la sua esistenza era stata implicitamente garantita all’atto della cessione; che invece era stato consegnato un impianto inesistente, perché era solo un ammasso di ferraglia cui era stata revocata la concessione, e quindi aliud pro alio, il che giustificava la chiesta risoluzione.

Anche la domanda di annullamento era stata ingiustamente rigettata, mentre vi era effettivamente stato un errore sulle qualità essenziali del bene compravenduto, errore riconosciuto dai cedenti che ben sapevano ch’era mancata la visita decennale di adeguamento della sciovia. Se poi le parti avessero totalmente ignorato le circostanze che impedivano di considerare la sciovia un impianto di risalita, doveva ritenersi che sull’oggetto del contratto non si era formato il consenso. Ha censurato la sentenza del Tribunale anche laddove aveva escluso la presupposizione, essendo invece risultato che tutte le parti avevano dato per presupposto il trasferimento dell’impianto “garantito come giuridicamente esistente e funzionante”. Ha chiesto pertanto l’integrale riforma della sentenza, con accoglimento delle domande di risoluzione o in alternativa di nullità o annullamento del contratto e con condanna dei convenuti-appellati alla restituzione del prezzo. In via di stretto subordine ha chiesto la riforma della statuizione sulle spese.

Si sono costituiti i sigg.ri Di Bona, Alberti e Lacedelli contestando la ricostruzione di controparte in quanto oggetto esclusivo del contratto di cessione delle quote erano state appunto queste ultime senz’alcun ampliamento dell’oggetto nel senso della deduzione in contratto della sciovia Grignes con annessi e connessi, né era stata prestata alcuna garanzia in tal senso. Hanno anche escluso che il contratto di cessione quote fosse stato preceduto da altro contratto di cessione della sciovia, rilevando peraltro che del primo, e non del secondo, era stata richiesta la risoluzione.

Hanno poi contestato la pretesa consegna di aliud pro alio poiché l’inidoneità della sciovia non rivestiva carattere definitivo, ma era perfettamente sanabile. Hanno altresì eccepito che, avendo nel frattempo la soc. Eugenia venduto il materiale della sciovia a un paese dell’Est europeo, non poteva più chiedersi la risoluzione art. 1492, comma 3° c.c., bensì solo la riduzione del prezzo.

Quanto alla domanda di annullamento hanno eccepito in via preliminare ch’era prescritta e nel merito che non ne sussistevano i presupposti soggettivi visto che l’ammini­stratore della s.r.l. Eugenia e della s.r.l. AL.DI.LA erano la stessa persona (Mario Sartori infatti era stato nominato il 18.2.85 amministratore anche della AL.DI.LA), al corrente quindi della situazione patrimoniale di quest’ultima. Oltretutto il valore della società esposto a bilancio, cui era stato commisurato il prezzo della cessione, non teneva alcun conto dell’avviamento, bensì solo dei cespiti patrimoniali.

Sul danno hanno rilevato che la s.r.l. Eugenia non si era adoperata tempestivamente per ottenere le necessarie autorizzazioni, concorrendo con la sua omissione all’aggrava­mento del danno. Infine hanno negato che fosse stata offerta prova della presupposizione.

Sulle conclusioni in epigrafe trascritte il Collegio in data odierna tratteneva la causa in decisione.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’eccezione di improcedibilità della domanda di risoluzione ex art. 1492, ultimo comma c.p.c. per avere la soc. Eugenia nel frattempo venduto l’impianto scioviario de quo a un paese dell’Est europeo non può essere presa in considerazione non essendo la circostanza minimamente provata né tanto meno riconosciuta dalla controparte.

Nel merito ritiene la Corte che la censura alle argomentazioni della sentenza secondo le quali la cessione delle quote di una società ha per oggetto immediato della partecipazione e non il suo valore economico, salvo che siano previste esplicite garanzie contrattuali circa la consistenza patrimoniale della stessa, sia fondata in astratto alla luce del più recente orientamento della Corte di Cassazione, ma non in concreto. Secondo la sentenza n. 18181 del 9.9.2004 infatti “i beni compresi nel patrimonio della società non possono essere considerati del tutto estranei all’og­getto del contratto di cessione di azioni o di quote di una­ società di capitali, non solo nell’ipotesi in cui le parti abbiano fatto specifico riferimento, mediante la previsione di specifiche garanzie contrattuali, ma anche quando l’affida­mento del cessionario circa la ricorrenza di tali requisiti debba ritenersi giustificato alla stregua del principio di buona fede”, dal che discende che “anche il divario fra l’effet­tiva consistenza quantitativa del patrimonio sociale rispetto a quella indicata nel contratto, riflettendosi sulla solidità economica e sulla produttività dell’impresa sociale e conseguentemente sul valore e sulla redditività delle azioni (o delle quote), possa integrare gli estremi non solo della ‘man­canza di qualità essenziali’ della ‘cosa venduta’, ma anche di quella radicale diversità” (aliud pro alio) che possono giustificare la risoluzione del contratto.

Ora nella fattispecie risulta

a) che gli unici cespiti patrimoniali della società, stando al bilancio 31.12.1984, appena antecedente la cessione, erano l’impianto scioviario e un battipista, oltre a “costruzioni leggere” e “attrezzature” di più modesto valore, verosimilmente destinate all’esercizio della sciovia (v. doc. 2 dell’appellante)

b) che v’era stato un iniziale accordo avente per oggetto direttamente la sciovia in questione tra Mario Sartori, legale rappresentante della soc. Eugenia, e Giovanni Di Bona, che era uno dei soci della soc. AL.DI.LA, ma non ne aveva la rappresentanza (all’epoca in capo al liquidatore Lacedelli: v. doc. 2 degli appellati), concretatosi nella consegna da parte del Di Bona al Sartori di un impegno scritto del tenore “Cedo la sciovia Grignes con annessi e connessi ...” (v. in tal senso il cap. 2 degli appellati riconosciuto per vero dalla controparte all’udienza 19.10.93).

Può dunque ritenersi che fosse noto alle parti che l’Eugenia, acquisendo il pacchetto sociale dell’ AL.DI.LA, mirava proprio a divenire proprietaria dell’impianto scioviario in questione  con annessi e connessi, ma ciò non significa ancora che l’impianto fosse all’epoca efficiente da un punto di vista tecnico e pienamente agibile da un punto di vista amministrativo, né tanto meno che vi fosse un obbligo dei cedenti di consegnarlo munito di dette qualità.

Vi sono anzi indizi in contrario.

In particolare risulta provato che l’impianto in quell’in­verno 1984/85 non era stato aperto e che nella precitata occasione sub b Di Bona aveva detto al Sartori, che di ciò gli chiedeva ragione, che “vi erano vari problemi” (v. capp. 1 e 2 dei convenuti appellati dati anch’essi per veri dall’at­trice all’udienza 19.10.93).

Neppure nell’inverno successivo alla cessione (inverno 1985/86) la sciovia venne messa in funzione, nonostante che all’epoca non fosse ancora sopraggiunta la revoca delle autorizzazioni amministrative; e tuttavia la società acquirente non avanzò alcuna doglianza con i cedenti per il suo mancato utilizzo. Addirittura non ne avanzò, per quel che risulta provato in causa, quando apprese della revoca e nei tre anni successivi!

Né risulta che sull’efficienza e agibilità dell’impianto i cedenti avessero prestato specifiche garanzie. O quanto meno non ve n’è prova. Il capitolo di prova n. 2 della Eugenia tendente a provare una siffatta circostanza non è stato ammesso (v. ordinanza 15.5.96), non risulta – come del resto il cap. 1 – riproposto all’udienza di precisazione delle conclusioni 9.7.96 e, non trattandosi di prova nuova, non possono essere ammessi in appello, ostandovi l’art. 345 c.p.c. (previgente).

L’appellante, sul presupposto, indimostrato, come ora si è visto, che oggetto del contratto fosse un impianto efficiente e agibile, sostiene che la sciovia risultò invece “inesistente” o comunque un aliud rispetto a quanto convenuto – e di qui l’inadempimento integrale che comporterebbe la risoluzione – poiché l’anno successivo (aprile 1986) furono revocate la concessione di esercizio da parte del Comune di Cortina e l’autorizzazione all’apertura al pubblico da parte della Regione Veneto, motivate dal fatto che al­l’USTIF era risultata non effettuata la visita di adeguamento decennale (docc. 4 e 5 dell’appellante).

Ma se da un lato è pacifico in causa che l’impianto in quanto tale – e cioè presuntivamente la macchina per la movimentazione della fune di traino, gli speciali ganci da traino, i ritti di sostegno lungo il percorso e gli annessi e connessi menzionati in bilancio (v. supra) – era esistente anche se l’appellante, in difetto dell’agibilità, lo degrada a un ammasso di ferraglia o a un insieme di pezzi di ferro; dall’altro si ignora che cosa si siano dette o non dette le parti in ordine alla situazione delle concessioni/autorizza­zioni amministrative, che, in quanto soggette a scadenze e a verifiche periodiche, rappresentavano elementi sui quali i contraenti, tutti operatori del settore, avevano certamente fermato la loro attenzione.

Mancando la prova che fossero state indicate nel contratto o comunque promesse determinate qualità del cespite patrimoniale in argomento, non può ravvisarsi una consegna di aliud pro alio ove il cespite, indirettamente trasferito con la cessione della totalità delle quote sociali, risulti mancante di tali qualità, quand’anche si tratti di qualità essenziali per uno sfruttamento immediato del bene quale bene produttivo (mentre era ottenibile uno sfruttamento per così dire differito presentando – e poi realizzando – un “progetto di ammodernamento”: v. lettera 8.5.1990 della Regione).

Non sussistono quindi gli estremi per l’accoglimento della domanda di risoluzione per inadempimento.

Per analoghe ragioni, bene espresse dal giudice di primo grado (v. sentenza pag. 20: “Eugenia non ha certo dimostrato che l’accordo di cessione di quote fosse subordinato alla condizione inespressa, ma tenuta presente da entrambi i contraenti, che l’impianto Grignes fosse funzionale e in regola sotto il profilo amministrativo”) non può accogliersi neppure la domanda di risoluzione per il venir meno di un fatto presupposto.

Anche la domanda di annullamento dei contratti di cessione per errore va respinta perché manca la prova della premessa di fatto su cui si fonda la domanda, e cioè che la soc. Eugenia ritenesse (erroneamente) “di diventare proprietaria di un impianto scioviario esistente e funzionante” (v. atto d’appello pag. 25).

Infondata infine è la domanda di nullità dei contratti di cessione per non essersi mai formato il consenso delle parti sull’oggetto del contratto, basata sull’ipotesi che tutte ignorassero la non regolarità amministrativa dell’impianto. Anche in questo caso difetta la prova della premessa di fatto, che cioè oggetto voluto del contratto fosse un impianto perfettamente regolare e funzionante (e non l’im­pianto così com’era, nelle condizioni tecniche e amministrative in cui di fatto si trovava al momento della cessione).

Va respinto l’appello proposto in via subordinata avverso la statuizione di condanna della soc. Eugenia alle spese del primo grado di giudizio, non ricorrendo alcuna ragione per una loro compensazione.

p.q.m.

definitivamente pronunciando nella causa d’appello proposta dalla s.r.l. Eugenia contro Di Bona Giovanni, Alberti Bruno e Lacedelli Goffredo

1) rigetta l’appello proposto dalla s.r.l. Eugenia avverso la sentenza n. 78/03 del tribunale di Belluno

2) condanna la società appellante a rimborsare ai tre appellati in solido fra loro le spese del presente grado che liquida in euro 6.423,30 (di cui euro 4.500,00 per onorari, euro 1.071,58 per diritti di avvocato e il residuo per spese, comprese spese generali fortettarie) oltre IVA e CPA.

Venezia, 6 aprile 2006

SOMMARIO:

1. Il caso - 2. Precedenti giurisprudenziali e dottrina - 3. Osservazioni sulla pronuncia in commento - NOTE


1. Il caso

La sentenza in commento merita di essere segnalata in quanto ritorna sulla problematica delle garanzie nel contesto dei contratti di compravendita di partecipazioni in società di capitali, siano esse azioni o quote: in particolare, la sentenza si sofferma sui profili che riguardano la tutela dell’acquirente di partecipazioni societarie (totalitarie o di controllo) in assenza di specifiche clausole di garanzia, per le difformità relative alla situazione patrimoniale della società emerse in un momento successivo alla conclusione ed all’esecuzione del contratto di acquisizione. La vicenda sulla quale è intervenuta la pronuncia è la seguente. I tre soci di una società a responsabilità limitata vendono tutte le quote che ne costituiscono il capitale sociale ad un unico acquirente. La società le cui quote vengono trasferite era proprietaria, come risulta dall’ultimo bilancio approvato prima della cessione, di una sciovia, oltreché di cespiti minori. Un anno dopo la cessione vengono revocate le concessioni per l’esercizio e per l’apertura al pubblico dell’im­pianto scioviario, a causa della mancata effettuazione, precedentemente alla compravendita, della visita di adeguamento decennale. La società acquirente, dopo sei anni dalla compravendita, essendo ormai indisponibili i rimedi ex empto per intervenuta decadenza e prescrizione, cita in giudizio i venditori chiedendo, in via principale, la risoluzione del contratto per consegna di aliud pro alio, ovvero, l’an­nul­la­mento del contratto per vizio del consenso, ovvero la dichiarazione di nullità per difetto di consenso o, infine, la risoluzione del contratto per mancata verificazione della situazione presupposta. I giudici di primo grado, rilevando che oggetto del contratto erano le quote sociali e non l’impianto scioviario e che non risultava prestata alcuna garanzia sulla consistenza economica della società, avevano respinto tutte le domande dell’attore. In particolare, la domanda di risoluzione per consegna di aliud pro alio è respinta «dal momento che erano state trasferite le quote della società come convenuto». Avverso tale pronuncia l’attrice propone appello, sostenendo, in particolare, che nel corso delle trattative era risultato chiaro come il bene oggetto delle trattative fosse la sciovia (il cui atto di concessione [continua ..]


2. Precedenti giurisprudenziali e dottrina

Secondo l’orientamento giurisprudenziale dominante, dal quale la sentenza qui in commento sembra essersi discostata, le questioni riguardanti il patrimonio o i singoli beni della società, le cui partecipazioni costituiscono l’oggetto del contratto di compravendita, non possono venire in rilievo a meno che il cedente non abbia prestato specifiche garanzie in tal senso. Tale orientamento distingue quindi in maniera rigorosa i casi in cui oggetto dell’alienazione siano azioni o quote sociali da quello in cui vengano trasferiti soltanto i beni della società, e richiede, per i casi rientranti nella prima fattispecie, la presenza di una specifica garanzia da parte del cedente affinché possano assumere rilievo i vizi o le mancanze di qualità del patrimonio sociale [2]. Il compratore, quindi, può efficacemente tutelarsi solo per mezzo di espresse clausole di garanzia sulla consistenza o sulle caratteristiche del patrimonio sociale [3]. Su un piano prettamente giuridico, infatti, l’ogget­to della vendita di partecipazioni societarie non è rappresentato dai beni sociali, ma solo ed esclusivamente dalle partecipazioni sociali. Di conseguenza, le garanzie previste dalla legge possono riguardare solo le partecipazioni trasferite e non il patrimonio sociale. Il compratore, quindi, deve fare attenzione affinché vengano inserite nel contratto di acquisizione specifiche clausole di garanzia che gli permettano di tutelarsi di fronte ad eventuali vizi o carenze dei beni o del patrimonio sociale [4]. Quanto detto non significa che, in mancanza di una specifica garanzia contrattuale, al compratore sia preclusa qualsiasi forma di tutela. In alcuni casi, infatti, il compratore potrà godere di un’adeguata protezione pur in assenza di una espressa garanzia contrattuale sulla consistenza e sulle caratteristiche del patrimonio sociale [5]. Data però la difficoltà, per il compratore, di provare i presupposti necessari per l’attivazione di questi rimedi, si ritiene per lo più che simili soluzioni rappresentino dei casi-limite. In particolare, il compratore, se è in grado di dimostrare di essere stato tratto in inganno dal comportamento doloso del venditore, può ottenere l’an­nul­la­mento del contratto per dolo determinante (art. 1439 c.c.), o il risarcimento del danno per dolo incidente (art. 1440 [continua ..]


3. Osservazioni sulla pronuncia in commento

Dall’argomentazione della Corte d’Appello di Venezia, sembra desumersi, anche se non lo si legge chia­ramente nella motivazione della sentenza, che nel caso in cui fosse stato provato che il compratore aveva effettivamente fatto affidamento sull’esistenza di elementi del cespite, quali la sussistenza di regolare autorizzazione risultata in un secondo momento inesistente, allora sarebbe configurabile un’ipotesi di consegna di aliud pro alio. L’importanza di una conclusione in tal senso consisterebbe nell’attribuire rilevanza, ai fini della risoluzione per consegna di aliud pro alio, non tanto alle partecipazioni sociali, che rappresentano l’oggetto immediato della cessione, quanto al patrimonio della società compravenduta. Bisogna, tuttavia, riconoscere come una simile interpretazione sarebbe in linea con l’orientamento della Corte di Cassazione secondo il quale la mancanza di un’autorizzazione amministrativa indispensabile allo sfruttamento del cespite, che rappresenta la quasi totalità del patrimonio sociale della società compravenduta, potrebbe giustificare, valorizzando l’interpretazione del contratto secondo buona fede, la concessione del rimedio della risoluzione del contratto per consegna di aliud pro alio, e ciò anche in assenza di esplicita garanzia in ordine alla sussistenza dell’autorizzazione amministrativa in questione [16]. Non sono mancati, infatti, casi in cui la Cassazione ha ammesso la risoluzione del contratto sul presupposto che l’impossibilità di sfruttare il cespite – che rappresentava la quasi totalità del patrimonio sociale della società ceduta – secondo la sua funzione economico sociale, stante la mancanza o la revoca delle autorizzazioni amministrative necessarie, lasciava insoddisfatte le aspettative che avevano indotto il cessionario ad effettuare l’acquisto [17]. Con ciò non si intende estendere la tutela del compratore ad ogni ipotesi in cui venga deluso l’af­fi­damento che egli abbia riposto, pur in assenza di un specifica garanzia, sull’esistenza di determinati elementi del cespite. Come abbiamo visto, la giurisprudenza riconosce una tutela al compratore solo in presenza di una espressa garanzia, da parte del venditore, sulle caratteristiche e sulla consistenza dei beni e del patrimonio sociale. La risoluzione del con­tratto per consegna di [continua ..]


NOTE
Fascicolo 4 - 2008