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Il ruolo delle società a responsabilità limitata nel diritto europeo: quadro comparatistico e prospettive evolutive
Daniele U. Santosuosso
Dopo una premessa sulla attuale centralità della piccola e media impresa e della rilevanza per essa della società a responsabilità limitata, l’A. svolge la propria indagine comparativa guardando al percorso storico del modello alla riscoperta del tipo. Se ne deduce un tipo dalla causa mista, con la quota come “partecipazione originale” e con una struttura adattabile ai bisogni ed alle finalità dei soci. Tali caratteri si sono tradotti, con le riforme in atto dalla fine del secolo scorso, in un ampliamento della libertà negoziale, a sua volta declinata in vari principi: la flessibilità dell’organizzazione corporativa e della struttura finanziaria, la semplificazione dei processi e delle attività (libertà delle forme), la disintermediazione (libertà di e nel mercato). L’A., prendendo ad esempio il fenomeno del crowdfunding, svolge alcune riflessioni su un auspicabile sistema giuridico, pronto e adatto a simili realtà, e conclude proponendo in generale che ci si affranchi dall’idea di una eccessiva e “soffocante” regulation per lasciare invece ampi spazi all’autonomia privata in un equilibrato mix di norme tra libertà contrattuale e diritto imperativo.
After a premise on the current centrality of small and medium-sized enterprises and the relevance for it of limited liability company, this essay carries out its own comparative law investigation looking at the historical path of the model in the rediscovery of the type. A type with an hybrid cause emerges, with the share (quota) as “original participation” and with a structure adaptable to the needs and purposes of the shareholders. The essay argues that these characteristics – through the reforms that have taken place since the end of the last century – have been translated into an expansion of freedom of contract, which in turn has been articulated in various principles: flexibility of corporate organization and financial structure, simplification of processes and activities (freedom of form), disintermediation (freedom “of and in” the market). The essay, taking as an example the phenomenon of crowdfunding, concludes with some thoughts about how to make corporate and financial law ready and attractive, by proposing that policy-makers break away from the idea of an excessive and “stifling” regulation to give instead ample space to private autonomy, in a balanced mix of rules between freedom of contract and mandatory law.
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Sommario:
1. Premessa. La centralità della piccola e media impresa - 2. Cenni storici. L’evoluzione di un modello - 3. I venti riformatori in Europa dalla fine del secolo scorso. Destrutturazione e libertà negoziale - 4. La libertà negoziale nel principio di flessibilità - 4.2. La struttura finanziaria - 5. La libertà negoziale nella semplificazione dei processi e delle attività. La digitalizzazione del diritto societario (libertà delle forme) - 6. La libertà negoziale nella disintermediazione (libertà di e nel mercato) - 7. Alla ricerca dell’ordinamento più equilibrato. Favorire ampi spazi di autonomia privata in un equilibrato mix di norme tra libertà contrattuale e diritto imperativo. Esemplare applicazione a proposito del crowdfunding - NOTE
1. Premessa. La centralità della piccola e media impresa
Uno studio sul ruolo delle società a responsabilità limitata nel diritto interno ed europeo inevitabilmente presuppone che si guardi al percorso storico nella riscoperta del tipo. Dico subito che non mi ascrivo ai seguaci di Hugo de Vries, ideatore della teoria delle mutazioni genetiche; né credo siamo di fronte alle manipolazioni genetiche (per giunta “mostruose”) che allignano in alcune delle riflessioni di chi mi ha preceduto in questo convegno. Penso invece che nella storia del diritto anche comparato della società a responsabilità limitata possa intravedersi soltanto l’evoluzione di una specie, il cui codice genetico ha mantenuto la medesima caratteristica di “ambiguità”: amplissima libertà negoziale congiunta alla limitata responsabilità (patrimoniale dei soci ma anche, per certi versi, risarcitoria, per i meno severi canoni di condotta richiesti ai gestori). Nel bilanciamento di queste due tendenze stanno la natura e il successo del modello. Emerge ancora il progressivo riconoscimento della centralità della piccola e media impresa e la sua “incentivazione “a livello legislativo nella prospettiva del diritto come (variabile) beneficio in funzione economica; evoluzione che trova oggi il suo culmine, e l’attuale peso numerico (di quasi 15 milioni in UE) ne è testimonianza [[1]]. Condivido quindi quanto osservavano nel 2013 due attenti studiosi [continua ..]
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2. Cenni storici. L’evoluzione di un modello
Per tornare alla genesi della fattispecie, i principali ordinamenti dell’800 e del ‘900 prevedevano il modello anche se con significative diversità di approccio. In alcune giurisdizioni sono presenti alcune “tracce” del modello nel diritto positivo, ove esso è semplicemente citato dal legislatore ma senza che a ciò segua una disciplina differenziata dalla società per azioni se non per la quota (così è, implicitamente, nel Code de Commerce del 1807, all’art. 34; ed espressamente nel Codice di Commercio italiano del 1882, che nomina le “società anonime per quote” in vari articoli [[3]], e nel Codice di Commercio spagnolo del 1885 all’art. 122, unica norma dedicata, che consentiva a tali società di costituirsi). In altre giurisdizioni si presenta come prototipo, gradualmente esteso ai vari Stati europei muovendo dalla Germania con la legge del 20 aprile 1892 e dalla Venezia Giulia e Tridentina secondo la legge austriaca del 6 marzo 1906 [[4]], sino alla Francia con la legge del 7 marzo 1925: non vi è soltanto l’esigenza di dotare le imprese minori del beneficio della responsabilità limitata, ma anche quella – stigmatizzata nella stessa relazione al nostro Codice del ’42 – di offrire agli operatori uno schema, basato sulla quota, «sufficientemente elastico». Il modello all’inizio non ha un grande [continua ..]
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3. I venti riformatori in Europa dalla fine del secolo scorso. Destrutturazione e libertà negoziale
L’ulteriore passaggio nel senso evolutivo tracciato si compie, in quasi tutti gli Stati Membri dell’UE, a partire dalla fine del secolo scorso, con la rivisitazione delle normative allora vigenti. Vari sono stati i fattori di spinta, in generale riconducibili alla constatazione che il tessuto economico europeo è formato in schiacciante maggioranza da imprenditori piccoli e medi, e che un favor legislativo a tutela dei loro interessi crea valore per l’economia. Tale linea di politica legislativa si è accentuata – con una straordinaria accelerazione – a causa di due eventi complessi e tuttora perduranti di portata “deflagrante”: uno di carattere economico, la crisi economico-finanziaria del 2008; l’altro di matrice giurisprudenziale, l’indirizzo originato dalla sentenza del Caso Centros che ha determinato il noto fenomeno della concorrenza tra ordinamenti, inducendo altresì ad una certa disaffezione per l’omogeneità comunitaria. In questo vasto movimento legislativo di riforma si rintraccia un motivo di fondo, che dal punto di vista funzionale può descriversi da un lato come di “destrutturazione”, ossia l’alleggerimento e la scomposizione delle strutture, dall’altro e dal punto di vista giuridico può ricondursi al principio generale di libertà negoziale, a sua volta declinabile nella “flessibilità” [continua ..]
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4. La libertà negoziale nel principio di flessibilità
4.1. L’organizzazione corporativa Il principio di flessibilità trova naturale fondamento nel principio generale della libertà contrattuale-statutaria, ed attuazione su vari piani. Innanzitutto sul piano dell’organizzazione societaria. Esemplare è l’esperienza tedesca con la nota riforma del 2008 (la Momig: Modernisierung des GmbH-Rechts und zur Bekämpfung von Missbräuchen), le cui finalità sono state comprese e concretizzate dal diritto giurisprudenziale. I soci sono stati definiti «i signori della società» (Herren der Gesellashaft), non solo con ampi diritti di informazione e ispezione – per la verità già riconosciuti dalla riforma del 1980 – ma altresì con indiscussi poteri – maggiormente estesi che in Italia – sulla gestione ordinaria, sino al punto da poter realizzare forme di deresponsabilizzazione degli amministratori e prevedere sistemi autorizzatori per ogni atto di gestione. E ancora, l’estesa autonomia permette che la maggioranza dei soci abbia diritti particolari, così di essere amministratore o di sostituirsi all’assemblea, nominando e revocando gli amministratori medesimi. Come autorevolmente notato da Kindler in un recente convegno per il decennale della Rivista di diritto societario [[6]], questi poteri rendono interessante il modello anche per investitori stranieri. Anche in Francia la flessibilità [continua ..]
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4.2. La struttura finanziaria
L’attuazione del principio di flessibilità della società si rinviene anche a livello di struttura finanziaria. Ciò è avvenuto in primo luogo con l’alleggerimento dei requisiti di capitale, che figura come una delle voci di sicura attrazione per le incorporazioni all’estero. È significativo per esempio che la risposta tedesca alla Private Liability Company inglese del Companies Act del 2006, caratterizzata da una disciplina molto leggera in materia di capitale sociale, sia stata la UG dal capitale 1 euro (con poche differenze limitative – così come l’inammissibilità di conferimenti in natura – rispetto alla GmbH [[10]]), che oggi, rappresentando quasi l’11 % delle GmbH, ha contribuito a far reincorporare in Germania molte società sostanzialmente tedesche che si erano trasferite, a migliaia, nel Regno Unito. Ma anche il legislatore francese è stato resiliente con la riforma del 2003 che ha modificato l’art. 223-2 del Code de Commerce [[11]], stabilendo che l’importo possa essere liberamente fissato nello statuto, anche di un centesimo di euro. In secondo luogo giocano, certamente in modo più sofisticato, le opzioni patrimoniali e finanziarie volte a consentire, anche alle imprese dove è rilevante l’intuitus personae, di ottimizzare l’attrazione dei capitali. Lo si [continua ..]
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5. La libertà negoziale nella semplificazione dei processi e delle attività. La digitalizzazione del diritto societario (libertà delle forme)
La salvaguardia delle esigenze “private” si attua nei principali ordinamenti anche con la semplificazione dei processi e delle attività. Ciò vale innanzitutto in fase costitutiva, attraverso norme di contenimento dei costi (anche con modelli standard) e le nuove regole sulla digitalizzazione (in un quadro di rivalutazione dello storico principio di libertà delle forme). Anche questa declinazione della autonomia, oltre a essere assecondata dai rule makers (prima per giovani e start up e poi sostanzialmente generalizzata), trova riscontro empirico, in quanto un altro dei fattori di richiamo dei Paesi target, con meta privilegiata UK (a molta distanza dal “gruppo degli inseguitori”), è stato per molto tempo rappresentato dalla eliminazione sostanziale dei costi di costituzione [[15]]. Su tale tendenza alla emancipazione dalle forme può ricordarsi ancora una volta l’ordinamento tedesco, che con una costituzione semplificata e meno costosa (§ 5a GmbH; ancor meno costosa adottando il modello standard del Musterprotokoll e con massimo tre soci: § 2, GmbH) offre una sistema sempre più attraente. Sulla digitalizzazione, a livello comunitario, fallita la proposta della Società Privata Europea, anch’essa ispirata alla libertà negoziale, la proposta di Direttiva relativa alle società a responsabilità limitata con un unico [continua ..]
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6. La libertà negoziale nella disintermediazione (libertà di e nel mercato)
La libertà negoziale si realizza infine con forme di emancipazione dal concetto unitario di quota – in termini di espressione di situazioni giuridiche soggettive – e dalla stessa intermediazione – e correlative forme e processi negoziali – nel mercato. È l’ultimo tassello di diritto positivo del processo evolutivo del modello di società a responsabilità limitata, e si articola in diverse significative innovazioni. Innanzitutto si prevede per la prima volta la standardizzazione delle quote (v. la relazione a questo convegno di Mario Notari a proposito delle deroghe agli artt. 2468, commi 2 e 3, e all’art. 2479, co. 5 sul diritto di voto), con la raccolta e la circolazione in titoli (eventualmente strumenti finanziari): elementi sì tipici delle società azionarie, ma che non creano un nuovo tipo societario ma danno campo, nella fedeltà all’archetipo ottocentesco della libera trasferibilità salvo limiti (sino alla intrasferibilità) statutari, a una sua possibile variante. È vero che a forme di standardizzazione ritenute compatibili con il modello di base si poteva giungere in via interpretativa per tutte le società a responsabilità limitata grazie a una serie di orientamenti anticipatori, ma restava l’impossibilità di fare appello al mercato del capitale, oggi possibile. In secondo luogo, appunto a valle della scelta di consentire anche [continua ..]
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7. Alla ricerca dell’ordinamento più equilibrato. Favorire ampi spazi di autonomia privata in un equilibrato mix di norme tra libertà contrattuale e diritto imperativo. Esemplare applicazione a proposito del crowdfunding
Di fronte a fenomeni così nuovi e complessi mi sembra che una eccessiva e “soffocante” regulation possa danneggiare gli aspetti virtuosi del fenomeno, e invece lasciare ampi spazi all’autonomia privata in un equilibrato mix di norme tra libertà contrattuale e diritto imperativo possa comporre al meglio le diverse esigenze. Tale conclusione trova a mio avviso esemplare riscontro con riferimento al tema da ultimo affrontato del crowdfunding: l’esperienza mostra invero che dove si è applicato in misura massiccia il diritto dei consumatori in senso stretto il modello non ha attecchito, come accaduto in UK; e lo stesso è accaduto, ancorché in modo speculare, dove l’estesa applicazione della securities law lo ha reso troppo costoso e vincolante, così nell’ordinamento USA. [[24]]. Il dato socio-economico oggetto di sussunzione e disciplina conferma questa conclusione. Il fenomeno da cui è nato il crowdfunding è invero quello di un mercato esclusivamente primario, a presa diretta con la folla degli investitori i quali, senza rilevante interesse né per ciò che è disclosure (sarebbe una eccezione trovare chi si legga il prospetto) nè per una modesta cedola annua intendono invece condividere, ancora una volta con una partecipazione originale e quindi non invasiva a livello amministrativo (ormai si vanno [continua ..]
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NOTE