Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Sulla nozione di società a controllo pubblico (di Vincenzo Donativi)


La definizione normativa di “società a controllo pubblico” è apparsa fin da subito poco chiara e le divergenze interpretative che ne sono scaturite provocano un senso generalizzato di disorientamento, frutto tra l’altro di prese di posizione divergenti delle stesse Sezioni Riunite della Corte dei conti, le quali hanno adottato soluzioni diametralmente opposte in sede giurisdizionale e in sede di controllo. Sono sempre più frequenti, anche da parte di amministrazioni centrali dello Stato, invocazioni di un intervento legislativo di chiarificazione, che peraltro suonano come una sorta di “dichiarazione di resa” rispetto alla speranza che possa ancora addivenirsi a una lettura condivisa delle norme. Gli orientamenti sono assai più articolati rispetto alla contrapposizione meramente “duale” che si tende spesso a farne. Nel saggio si propone pertanto una articolazione in cinque differenti indirizzi interpretativi e si espongono le ragioni che inducono a negare adesione alle soluzioni più estreme e radicali: tanto a quella della identificazione tout court tra società a partecipazione pubblica totalitaria o maggioritaria e società a controllo pubblico, tanto a quelle che nella partecipazione pubblica totalitaria o maggioritaria ravvisano estremi sufficienti a radicare una “presunzione relativa” o una possibile “presunzione semplice” di controllo pubblico. Si manifesta invece un’apertura in favore del controllo pubblico congiunto purché stricto sensu inteso. Si argomenta, inoltre, in favore di una interpretazione del secondo periodo dell’art. 2, lett. b), del TUSPP, estesa fino a comprendere sia l’influenza determinante congiunta, sia l’influenza determinante individuale, proponendo quindi una serie di matrici idonee a sintetizzare tutte le sub-fattispecie di influenza rilevanti ai fini della definizione normativa.

About the notion of State-owned companies

The regulatory definition of “State-owned company” immediately appeared unclear and the differences in interpretation cause a general sense of disorientation, as a result, among other things, of divergent positions taken by the same Joint Sections of the Corte dei Conti, which have adopted diametrically opposed solutions, respectively, in jurisdictional and control section. Invocations for a legislative intervention of clarification are increasingly frequent, even by central State administrations, which however sound like a sort of “declaration of surrender” compared to the prospect that it may come to a shared interpretation of the rules. The orientations are much more articulated than the merely “dual” contrast that can be often observed in practice. The essay therefore proposes an articulation in five different interpretative directions and sets out the reasons that lead to deny adhesion to the most extreme and radical solutions: both to that of the mere identification between companies with totalitarian or majority public participation and State-owned companies so much to those that in totalitarian or majority public participation consider extremes sufficient to establish a “relative presumption” or a possible “simple presumption” of public control. Instead, there is an opening in favor of joint public control as long as it is strictly conceived. It is also argued in favor of an interpretation of the second sentence of Article 2, lett. b), of the TUSPP, extended to include both the “joint decisive influence” and the “individual decisive influence”, thus proposing a series of matrices suitable for summarizing all the sub-cases of influence relevant for the purposes of the regulatory definition.

Keywords: State-owned companies – Joint control – Consolidated Law on State-owned companies

SOMMARIO:

1. La definizione delle “società a controllo pubblico” nel TUSPP e i primi iniziali orientamenti: incertezza e divergenze persino … sull’interpretazione delle “interpretazioni ufficiali” - 2. Giurisprudenza e orientamenti “ufficiali” ad oggi - 3. Aporie intrinseche e aporie estrinseche: a) la (non sempre corretta) classificazione degli orientamenti e la diffusa (quanto erronea e solo superficiale) articolazione in termini rigidamente duali e “manichei”; b) un vortice che si autoalimenta; c) il disorientamento generale e l’invocazione (anche da parte di amministrazioni centrali dello Stato) di un intervento legislativo chiarificatore - 4. Una classificazione degli orientamenti che attribuisca la dovuta valenza a tutte le diverse sfumature: la loro (più corretta e completa) articolazione in cinque diverse posizioni - 4.1. “Hp. 1”: la soluzione che conduce alla perimetrazione più angusta dell’area coperta dalle nozioni di controllo e di società a controllo pubblico, attribuendo rilevanza al solo controllo “solitario” da influenza dominante e al controllo congiunto limitatamente alla sub-fattispecie di cui al secondo periodo della lett. b) dell’art. 2 del TUSPP - 4.2. “Hp. 2”: come l’“Hp. 1”, ma includendo, nell’ambito del primo periodo della lett. b), attraverso una lettura estensiva della nozione di controllo di cui all’art. 2359 c.c., anche il controllo congiunto stricto sensu inteso - 4.3. “Hp. 3”: come l’“Hp. 2”, ma includendo anche i patti parasociali risultanti da “comportamenti concludenti” e/o l’allineamento spontaneo di fatto, la cui prova potrebbe essere raggiunta anche mediante ricorso a presunzioni semplici - 4.4. “Hp. 4”: come l’“Hp. 3”, ma partendo dalla presunzione che, salvo prova contraria, alla partecipazione pubblica totalitaria o maggioritaria si colleghi l’esercizio in concreto di un controllo congiunto sulla società - 4.5. “Hp. 5”: l’ipotesi, più estrema e radicale in senso espansivo, della equiparazione assoluta (e senza possibilità di prova contraria) tra partecipazione pubblica totalitaria o maggioritaria e controllo pubblico (salvo solo il caso di soci privati in posizione di controllo di fatto o di controllo congiunto con soci pubblici) - 4.6. Una ulteriore articolazione, rilevante su un piano diverso (e per certi versi ancora più “a monte”): il controllo pubblico congiunto in presenza di partecipazioni pubbliche totalitarie o maggioritarie, tra “fattispecie” e “doveri di comportamento” - 4.7. Una importante precisazione sulla concreta portata applicativa delle cinque ipotesi: solo la quinta comporta l’assoluta e incondizionata corrispondenza tra società a partecipazione pubblica totalitaria o maggioritaria e società a controllo pubblico - 5. La nozione di controllo di cui all’art. 2: l’influenza determinante (per intensità) sulle decisioni finanziarie e gestionali strategiche (per estensione) a connotazione necessariamente individuale (per imputazione) [nel secondo periodo della lett. b)]; e l’influenza dominante (per intensità) sull’assemblea ordinaria (per estensione) a connotazione individuale o anche congiunta (per imputazione) [nel primo periodo della lett. b)] - 5.1. La “condivisione del controllo” nel secondo periodo della lett. b) e il suo ruolo nella “fattispecie” normativa: effetto giuridico o presupposto? - 5.2. La “chiave sistematica” per la soluzione del quesito: la nozione di controllo congiunto nei principi contabili internazionali, quale modello cui è ispirata (rectius, su cui è pressoché testualmente ricalcata) la definizione di controllo del secondo periodo della lett. b) - 5.3. Le prime indicazioni che se ne traggono sulla portata del secondo periodo della lett. b): allargamento della nozione di controllo (dalla sola influenza dominante anche) all’influenza determinante; necessità che l’influenza determinante sia valutata in capo ai singoli soci pattisti; insufficienza di una posizione di influenza (dominante o determinante) collettiva in capo all’in­sieme dei soci pattisti; irrilevanza del “controllo congiunto” stricto sensu inteso e sua rilevanza nel senso di un “controllo (congiunto) ad imputazione individuale” (o, rectius, di un “controllo individuale ad imputazione congiunta”) - 5.4. L’inclusione nella nozione di controllo pubblico delle ipotesi del controllo (lato sensu) congiunto non riferibile a tutte le parti dell’accordo; del controllo individuale da influenza determinante, quand’anche non fondato su pattuizioni parasociali; e del “controllo plurimo disgiunto” - 5.5. Una matrice descrittiva delle relazioni che potrebbero intercorrere tra l’in­tensità dell’influenza del singolo socio pattista sul sindacato e l’intensità del­l’influenza del sindacato nel suo complesso sulla società partecipata - 5.6. Alcune formule riassuntive delle fattispecie di controllo pubblico rilevanti nell’ambito del TUSPP - 6. Il (residuo) dilemma [che differenzia l’“Hp. 1” e l’“Hp. 2”] della rilevanza o meno, nell’ambito del primo periodo della lett. b), delle situazioni giuridiche qualificabili come “controllo congiunto (stricto sensu) da influenza dominante” - 6.1. Ragioni che indurrebbero a ritenere compreso anche il controllo congiunto stricto sensu inteso - 6.2. Ragioni che potrebbero essere addotte in replica: l’autonomia reciproca tra le due diverse fattispecie di controllo (lato sensu) congiunto - 6.3. (Segue) Il crescente consenso dottrinario in favore di una lettura revisionista dell’art. 2359 c.c. - 6.4. (Segue) Il carattere “relazionale” e “funzionale” della/e nozione/i di controllo e gli spunti offerti dalla ratio legis specifica della disciplina in tema di società a controllo pubblico nel TUSPP - 7. Contro l’“Hp. 3”: necessità, quand’anche si condividesse l’“Hp. 2” o comunque la stessa si affermasse definitivamente sull’“Hp. 1”, di circoscrivere la fattispecie al controllo congiunto in senso stretto, frutto di concertazione stabile e strutturata - 7.1. Su una possibile contaminazione concettuale sottesa alla “Hp. 3” e sulle ragioni che si oppongono comunque al suo accoglimento - 7.2. Irrilevanza della discussione sulla forma del contratto in quanto tale. Rilevanza di una valutazione sostanzialistica e di una concezione del controllo congiunto come necessariamente basata su una concertazione stabile e strutturata - 8. Contro le ipotesi della presunzione relativa (“Hp. 4”) o della corrispondenza assoluta (“Hp. 5”) tra società a partecipazione pubblica totalitaria o maggioritaria e società a controllo pubblico - 8.1. Le principali argomentazioni (esegetiche e teleologiche) addotte a loro sostegno - 8.2. Le ragioni che si oppongono al loro accoglimento - 9. Quadro di sintesi delle sub-fattispecie rilevanti - NOTE


1. La definizione delle “società a controllo pubblico” nel TUSPP e i primi iniziali orientamenti: incertezza e divergenze persino … sull’interpretazione delle “interpretazioni ufficiali”

La definizione di “società a controllo pubblico” dettata nell’art. 2, lett. m), del d.lgs. 19 agosto 2016 n. 175 («Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica»: d’ora innanzi, semplicemente il “TUSPP”) [[1]] è volta alla individuazione di una species qualificata di società, sottoposte a un regime normativo speciale [[2]], all’interno del più ampio genus delle “società a partecipazione pubblica”. Fin dall’indomani dell’entrata in vigore del TUSPP [[3]], tuttavia, il significato di tale definizione è apparso fortemente controverso, anche in ragione del fatto che il relativo enunciato è reso complesso dall’essere costruito su una catena di rinvii: la lett. m) rinvia alla lett. b) dello stesso art. 2; e, per la prima delle due sub-fattispecie delineate dalla lett. b), quest’ultima rinvia all’art. 2359 c.c. La dottrina ha iniziato ad occuparsi da subito del tema e questa Rivista ha ospitato al riguardo alcuni tra gli scritti più pregevoli e approfonditi [[4]]. Ed anche personalmente ho avuto occasione di contribuire all’avvio del dibattito in uno studio apparso su Giurisprudenza commerciale nel 2018 [[5]], allorquando sul tema erano intervenuti: un atto di “orientamento” diramato in data 15 febbraio 2018 dalla “Struttura di monitoraggio e controllo delle partecipazioni pubbliche” istituita presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze ai sensi dell’art. 15 TUSPP (d’ora innanzi, la “Struttura MEF”), specificamente dedicato a «La nozione di “società a controllo pubblico” di cui all’articolo 2, comma 1, lett. m), del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175 (di seguito “TUSP”)» (d’ora innanzi, l’“Orienta­mento MEF” o l’“Orientamento”); un parere della Sezione regionale di controllo per la Liguria della Corte dei conti [[6]], rilasciato in risposta a un interpello del Comune di Savona e divenuto una sorta di leading case di riferimento sul tema della riconducibilità automatica delle società a capitale pubblico maggioritario nel novero delle società a controllo pubblico; un provvedimento della Sezione delle Autonomie della stessa Corte dei conti [[7]]; una Determinazione [continua ..]


2. Giurisprudenza e orientamenti “ufficiali” ad oggi

Nel frattempo, come anticipato, sono intervenuti nuovi atti e provvedimenti, sicché il quadro degli orientamenti si è andato definitivamente articolando ed arricchendo. Per ragioni di chiarezza e completezza, saranno riportate qui di seguito tutte le posizioni divise per natura e tipologia delle fonti (autorità o enti di cui gli orientamenti sono espressione) e, nei paragrafi successivi, con una articolazione di tipo sistematico per tipologia di risultati cui esse pervengono (con una griglia che riprende tutte le possibili soluzioni in una scaletta ideale progressiva in base al carattere più o meno estensivo o restrittivo dell’area applicativa delle nozioni di controllo e di società a controllo pubblico cui le singole tesi pervengono). Degli stessi provvedimenti, di cui qui si darà conto solo in sintesi (con la sola menzione degli estremi di riferimento nonché della “casella” sistematica nella quale sembra corretto doverli collocare), ho predisposto una più completa “rassegna analitica e sistematica” (con ampi stralci dei rispettivi contenuti), in corso di pubblicazione nella rivista “Corporate Governance”. Ad oggi, dunque, si segnalano le seguenti prese di posizione: A) Autorità preposte con funzioni di orientamento e/o vigilanza: A1) Ministero dell’Economia e delle Finanze: A1a) Struttura di monitoraggio e controllo delle partecipazioni pubbliche presso il Dipartimento del Tesoro: – atto di “Orientamento” del 15 febbraio 2018 su «La nozione di “società a controllo pubblico” di cui all’articolo 2, comma 1, lett. m), del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175 (di seguito “TUSP”)», poc’anzi richiamato come “Orientamento MEF”, cui avevo già dedicato un’ampia analisi nel mio precedente scritto, ma che è stato frequentemente ripreso nei passaggi motivazionali di una serie di provvedimenti della Corte dei conti e sulla cui stessa interpretazione si è nel frattempo cimentata la letteratura in argomento e del quale occorrerà pertanto dar conto nel dettaglio anche in questa sede; – Rapporto sugli esiti della revisione straordinaria delle partecipazioni pubbliche (art. 24 del D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175), del 2019 [[11]], nel quale viene presa una specifica posizione sulla nozione di [continua ..]


3. Aporie intrinseche e aporie estrinseche: a) la (non sempre corretta) classificazione degli orientamenti e la diffusa (quanto erronea e solo superficiale) articolazione in termini rigidamente duali e “manichei”; b) un vortice che si autoalimenta; c) il disorientamento generale e l’invocazione (anche da parte di amministrazioni centrali dello Stato) di un intervento legislativo chiarificatore

Oggetto di analisi, in tutti i provvedimenti citati, è sempre la nozione di controllo e di società a controllo pubblico, ma i risultati cui si perviene non sono coincidenti ed univoci. Segnatamente (ma per una più puntuale e analitica catalogazione v. infra, al § 4), si è affermata una tendenza molto diffusa in favore di una interpretazione estensiva, volta ad includere nel novero delle società a controllo pubblico tutte le società a partecipazione pubblica totalitaria o maggioritaria senza un socio privato di controllo, negli orientamenti espressi dal Ministero degli Interni, dalla Corte dei conti nelle Sezioni Riunite in sede di controllo, nella Sezione Autonomie e in alcune sezioni regionali di controllo. Diversamente, è prevalsa una lettura restrittiva nelle due pronunce emesse dalle Sezioni Riunite della Corte dei conti in sede giurisdizionale e nelle sentenze del Consiglio di Stato e dei TAR. Di più difficile collocazione potrebbero apparire, perlomeno prima facie, le prese di posizione dell’ANAC, che tuttavia, per le ragioni che saranno più diffusamente esposte nel prosieguo, quanto alla delibera 1124/17, non contiene affatto una presa di posizione esplicita che ne consenta una precisa catalogazione e quanto alla delibera 859/19, merita di essere collocata nel contesto delle posizioni restrittive, piuttosto che non in quello delle posizioni estensive. Infine, estensive, ma non in un senso radicale e di certo non nel senso della automatica equiparazione tra società a partecipazione pubblica maggioritaria e società a controllo pubblico, sono numerosissime deliberazioni adottate da diverse sezioni territoriali della Corte dei conti e (a parziale correzione della differente, ma non del tutto corretta, classificazione che se ne fa frequentemente) dal MEF. Analoghe divergenze si registrano anche con riguardo alla letteratura formatasi sul tema, anche se con netta prevalenza delle adesioni a soluzioni vicine a quelle che avevo caldeggiato nel mio precedente scritto [[15]]. Ma il tema si è andato complicando al punto tale che il dibattito risulta letteralmente “inquinato” da una serie di “fattori di disturbo”, che, da un lato, fanno velo a una corretta ricognizione e classificazione degli stessi precedenti giurisprudenziali, non sempre catalogati in modo appropriato e troppo superficialmente ricondotti, con approccio quasi [continua ..]


4. Una classificazione degli orientamenti che attribuisca la dovuta valenza a tutte le diverse sfumature: la loro (più corretta e completa) articolazione in cinque diverse posizioni

Come anticipato, gli orientamenti (e, in ogni caso, le ipotesi interpretative prospettabili) in ordine alla valenza del c.d. “controllo congiunto” (qui ancora lato sensu inteso) nel contesto delle diverse definizioni di controllo – e, dunque, nello specifico ambito della nozione di “controllo” e di “società a controllo pubblico” di cui all’art. 2, lett. b) e lett. m), del TUSPP – sono assai più dei due schemi contrapposti a cui le diverse posizioni vengono normalmente ascritte. Le differenze, difatti, sono tali per cui le varie ricostruzioni meritano di essere articolate con maggior dettaglio, attribuendo la dovuta rilevanza a tutte le sfumature (che, per vero, hanno una ricaduta applicativa e una portata concreta tali da farne assai più che semplici “sfumature”) con cui le singole opinioni si accompagnano e che finiscono, appunto, per caratterizzarle e delimitarle. Per rendere più fruibile l’esito di tale ricostruzione, può essere utile classificare quindi gli orientamenti utilizzando una sorta di griglia, nella quale collocare, in ordine crescente di “estensione”, le diverse posizioni: partendo da quella più estrema e radicale in senso restrittivo, che prende le mosse dalla totale negazione di ogni rilevanza al controllo congiunto nel contesto della definizione codicistica e che quindi relega il controllo pubblico congiunto alla sola ipotesi di cui al secondo periodo dell’art. 2, lett. b), del TUSPP; passando attraverso le tesi intermedie; per arrivare infine a quella più estrema e radicale in senso “espansivo”, per la quale si avrebbe una pressoché integrale sovrapposizione tra società a partecipazione pubblica totalitaria o maggioritaria e società a controllo pubblico (fatta eccezione, nel caso di partecipazione pubblica maggioritaria, per le sole ipotesi in cui fosse ravvisabile, in concreto, un controllo di fatto da parte del socio privato o un controllo congiunto tra soci pubblici e soci privati).


4.1. “Hp. 1”: la soluzione che conduce alla perimetrazione più angusta dell’area coperta dalle nozioni di controllo e di società a controllo pubblico, attribuendo rilevanza al solo controllo “solitario” da influenza dominante e al controllo congiunto limitatamente alla sub-fattispecie di cui al secondo periodo della lett. b) dell’art. 2 del TUSPP

In testa alla griglia deve essere collocata l’ipotesi più estrema e radicale in senso restrittivo, ovverosia quella che conduce a una perimetrazione delle nozioni di controllo pubblico e di società a controllo pubblico dotata di minore ampiezza e, quindi, con un’area applicativa più ridotta rispetto a qualunque altra soluzione. Alla base di tale ipotesi ricostruttiva si pone un duplice presupposto sistematico/interpretativo: (i) una concezione del controllo codicistico tuttora fedele alla tradizione, ovverosia ancorata alla ricostruzione tradizionalmente prevalente in dottrina, secondo la quale il controllo ex art. 2359 c.c. sarebbe sempre e solo solitario o individuale e mai configurabile come controllo congiunto [[19]]; (ii) un’interpreta­zione del combinato disposto di cui alle lett. b) e m) dell’art. 2 del TUSPP, tale per cui il rinvio all’art. 2359 c.c. debba essere inteso nella sua purezza e senza contaminazioni e l’unica ragione di specialità che differenzierebbe la nozione di controllo di cui al TUSPP rispetto a quella del codice civile starebbe nella fattispecie delineata nel secondo periodo della lett. b), ovverosia in quella particolare figura di “controllo congiunto” che presuppone l’esistenza di previsioni di legge o statutarie o di patti parasociali grazie ai quali tragga alimento, in capo a più di un socio pubblico, una “posizione di blocco”, ovverosia una posizione di potere che si concretizzi nella possibilità di porre il proprio veto all’adozione delle decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale. Pertanto, stando a tale prima ipotesi di lettura, pur in presenza di un “sindacato di controllo”, ovverosia di un patto parasociale attraverso il quale il gruppo dei soci sindacati, inteso nel suo complesso, sia posto in grado di esercitare stabilmente un’influenza dominante sulla società (ed a prescindere se attraverso la disponibilità in forma aggregata della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria o di voti comunque sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assem­blea ordinaria e/o se attraverso la disponibilità, del pari aggregata, di diritti che consentano loro di prevalere sulla restante compagine sociale in punto di adozione delle decisioni finanziarie e gestionali strategiche [continua ..]


4.2. “Hp. 2”: come l’“Hp. 1”, ma includendo, nell’ambito del primo periodo della lett. b), attraverso una lettura estensiva della nozione di controllo di cui all’art. 2359 c.c., anche il controllo congiunto stricto sensu inteso

Una seconda ipotesi si differenzia da quella precedente per il profilo sopra enunciato sub (i), ovverosia per il fatto di abbandonare l’approccio tradizionalmente prevalente e di raccogliere invece l’idea che l’influenza dominante cui fa riferimento l’art. 2359 c.c. potrebbe essere anche ad imputazione congiunta, ovverosia potrebbe far capo anche ad un gruppo di soggetti che, attraverso un patto parasociale, esercitino collettivamente una siffatta influenza sulla società partecipata, anche a prescindere, dunque, dalla condizione che uno o più dei soci sindacati dispongano singolarmente di un potere di influenza individuale (sia esso dominante o determinante) e guardando, quindi, al gruppo dei soci sindacati collettivamente e unitariamente inteso. Il controllo, in altri termini, sarebbe imputato cumulativamente a tutti i soci sindacati, inclusi quelli che non godano di poteri di influenza, dominante e neanche determinante, a livello individuale, unica condizione essendo quella che la collettività dei paciscenti, collettivamente e unitariamente intesa, abbia una posizione di influenza dominante sulla società [[22]]. In tale prospettiva, allora, il rinvio all’art. 2359 c.c. da parte dell’art. 2, lett. b), primo periodo, del TUSPP, sarebbe sufficiente ad attribuire rilevanza, anche ai fini del controllo pubblico, alle situazioni nelle quali sia ravvisabile un accordo tra soci pubblici che consenta loro di esercitare in concreto un’influenza dominante concertata e collettiva (e dunque, in tal senso, un “controllo congiunto”) sulla società. In favore di tale soluzione si sono espressi, oltre a una parte della dottrina [[23]] e al Consiglio Nazionale del Notariato [[24]], l’Osservatorio sulla finanza e contabilità degli enti locali del Ministero dell’Interno [[25]] e unanimemente la magistratura amministrativa che si è avuto modo di reperire, dal Consiglio di Stato [[26]] ad alcuni Tribunali Amministrativi Regionali [[27]].


4.3. “Hp. 3”: come l’“Hp. 2”, ma includendo anche i patti parasociali risultanti da “comportamenti concludenti” e/o l’allineamento spontaneo di fatto, la cui prova potrebbe essere raggiunta anche mediante ricorso a presunzioni semplici

Dalla seconda ipotesi si può estrapolarne una terza, il cui fattore differenziale sta nella considerazione che il patto parasociale su cui si fonderebbe l’influenza dominante collettiva, nel caso del primo periodo dell’art. 2, lett. b), potrebbe essere anche tacito, con l’ulteriore corollario (anche se, a stretto rigore, non vi sarebbe un rapporto di corrispondenza biunivoca necessaria tra i due profili) che la prova della sua esistenza potrebbe essere raggiunta anche mediante il ricorso alle presunzioni semplici ex art. 2727 c.c., in presenza quindi di indizi gravi, precisi e concordanti, rimessi al prudente apprezzamento del giudice (art. 2729 c.c.). Accedendo a tale ulteriore articolazione, pertanto: – andrebbero collocate nell’ambito della “Hp. 2” le opinioni di chi ritiene che il patto parasociale su cui potrebbe fondarsi la posizione di influenza dominante collettiva debba essere necessariamente un patto “formalizzato” e non anche meramente tacito: e ciò – come si vedrà meglio più avanti – principalmente sul presupposto che l’endemica complessità strutturale propria dei patti parasociali sia tale da rendere di fatto inimmaginabile una loro stipulazione tacita e/o sul rilievo che i contratti delle pubbliche amministrazioni, per previsione di legge e per univoco orientamento giurisprudenziale, sono comunque sottoposti a forma scritta ad substantiam (e v. anche, nella materia specifica, l’art. 9, 5° comma, TUSPP, secondo cui «La conclusione, la modificazione e lo scioglimento di patti parasociali sono deliberati ai sensi dell’articolo 7, comma 1»); – all’“Hp. 3” sarebbe, per contro, ascrivibile l’opinione di chi fa leva sul rilievo che i patti parasociali sono contratti a forma libera (come conferma lo stesso art. 2341-bis c.c., con l’inciso «in qualunque forma stipulati») e che la solennità formale, pur prescritta per i contratti pubblici, rileverebbe sul (diverso) piano delle patologie negoziali, mentre nella prospettiva d’indagine della nozione di controllo pubblico non sarebbe rilevante la validità o meno di quel contratto, ma la sua capacità, in concreto, di esercitare un’influenza effettiva e sostanziale sul governo della società partecipata, secondo una prospettiva concettuale simile a quella nota al diritto antitrust, dove [continua ..]


4.4. “Hp. 4”: come l’“Hp. 3”, ma partendo dalla presunzione che, salvo prova contraria, alla partecipazione pubblica totalitaria o maggioritaria si colleghi l’esercizio in concreto di un controllo congiunto sulla società

Rispetto alla terza ipotesi, per vero, c’è anche un’ulteriore variazione sul tema, che può essere quindi classificata come quarta ipotesi: quella di chi si spinge fino a sostenere che la presunzione di controllo pubblico dovrebbe scaturire di default in presenza di partecipazioni pubbliche totalitarie o maggioritarie e che, quindi, dovrebbe in linea di principio e in prima battuta assumersi, salvo prova contraria, che le pubbliche amministrazioni socie titolari di partecipazioni totalitarie o maggioritarie esercitino di fatto le proprie prerogative sociali attraverso forme di concertazione, ancorché tacite. La differenza con l’ipotesi precedente è che la concertazione sarebbe sempre presunta, fino a prova contraria, mentre nell’“Hp. 3” la presunzione sarebbe una “presunzione semplice” (art. 2727 c.c.), come tale solo eventuale, costituendo mezzo di prova di una concertazione che il giudice potrebbe trarre esclusivamente dall’esame dei fatti specifici e concreti, ove dagli stessi potessero essere ricavati i (necessari) indizi gravi, precisi e concordanti (art. 2729 c.c.). Tale posizione è stata fin qui adottata solo dall’ANAC [[37]], ma con una motivazione che lascia chiaramente intendere che la conclusione raggiunta è ritagliata sulle caratteristiche specifiche della particolare disciplina in tema di prevenzione della corruzione e di trasparenza. Della medesima soluzione si avverte un’eco anche in un provvedimento dalla Sezione di Controllo per la Regione Lazio della Corte dei conti [[38]] e, ma con talune incertezze di lettura delle motivazioni (che indurrebbero invero a una collocazione a cavallo tra l’Hp. 4 e l’Hp. 5), in alcuni provvedimenti della Sezione di Controllo per la Regione Marche della Corte dei conti [[39]]. Anche in letteratura si registra una sola posizione ascrivibile a tale orientamento [[40]].


4.5. “Hp. 5”: l’ipotesi, più estrema e radicale in senso espansivo, della equiparazione assoluta (e senza possibilità di prova contraria) tra partecipazione pubblica totalitaria o maggioritaria e controllo pubblico (salvo solo il caso di soci privati in posizione di controllo di fatto o di controllo congiunto con soci pubblici)

La quinta ipotesi, la più estrema e radicale in senso espansivo, è quella della piena equiparazione tra “società a partecipazione pubblica totalitaria” o “maggioritaria” e “società a controllo pubblico”: equiparazione assoluta e senza possibilità di prova contraria, fatta eccezione per il solo caso in cui, pur a fronte di una partecipazione pubblica maggioritaria, vi fosse un socio privato in posizione di controllo solitario di fatto [[41]] o di controllo congiunto assieme a uno o più soci pubblici [[42]]. Stando a tale quinta ipotesi, la presunzione sarebbe non già più una presunzione semplice rimessa all’apprezzamento del giudice e volta alla prova dell’esistenza di un accordo quantomeno tacito tra i soci pubblici, ma finirebbe per assumere (così come nell’“Hp. 4”) i caratteri di una sorta di presunzione legale, per di più a carattere assoluto (diversamente dall’“Hp. 4”, dove la presunzione avrebbe carattere solo relativo). La stessa, difatti, non ammetterebbe prova contraria, in quanto, quan­d’anche fosse certo che tra i soci pubblici non vi sia alcuna forma di concertazione o di coordinamento, la qualificazione come società a controllo pubblico non verrebbe in ogni caso a mutare, essendo mera ed automatica conseguenza della composizione (totalitaria o maggioritaria) del capitale. Tale posizione è affermata senza riserve, oltre che da una isolata dottrina [[43]], dalle Sezioni Riunite in sede di controllo della Corte dei conti [[44]]; e da diverse sezioni territoriali della Corte dei conti e, segnatamente, dalla Sezione Liguria [[45]], dalla Sezione Piemonte [[46]], dalla Sezione Trentino Alto Adige [[47]], dalla Sezione Lombardia [[48]], nonché dalla Sezione Lazio [[49]], che però, nel provvedimento n. 35/2020 segnalato supra, parrebbe invece optare per l’Hp. 4, e dalla Sezione Marche [[50]], la quale tuttavia, in alcuni altri provvedimenti, presenta motivazioni recanti alcuni fattori di incertezza tali da porli a cavallo tra l’Hp. 4 e l’Hp. 5 [[51]] e in un caso addirittura parrebbe optare per la soluzione, ancora meno radicale e, anzi, tendenzialmente opposta, di cui all’Hp. 3 [[52]]. Come anticipato, una posizione simile è altresì adottata anche in alcuni [continua ..]


4.6. Una ulteriore articolazione, rilevante su un piano diverso (e per certi versi ancora più “a monte”): il controllo pubblico congiunto in presenza di partecipazioni pubbliche totalitarie o maggioritarie, tra “fattispecie” e “doveri di comportamento”

In disparte rispetto alla griglia di ipotesi fin qui delineate, occorre infine dare conto di una ulteriore rilevante distinzione che merita di essere effettuata tra chi afferma l’equivalenza definitoria e quindi normativa tra società a partecipazione pubblica totalitaria o maggioritaria e società a controllo pubblico e chi ritiene che, a fronte di una partecipazione pubblica totalitaria o maggioritaria pur frazionata, gli enti pubblici soci avrebbero il dovere di porre in essere forme di concertazione negoziata tali da assicurare loro il pieno esercizio del controllo congiunto sulla partecipata [[55]]. Le prime affermazioni, difatti, attengono al piano (normativo e concettuale) della “fattispecie”. Le seconde afferiscono, invece, al (diverso) piano dei “doveri di comportamento” della pubblica amministrazione. L’asserita incombenza di un dovere di formalizzazione di strumenti negoziali di esercizio del controllo pubblico congiunto, difatti, non è di certo idonea a qualificare la società partecipata come società a controllo pubblico, ma potrebbe al più condurre a una censura del comportamento dei soci pubblici che, pur disponendo della totalità o della maggioranza delle partecipazioni, agiscano in modo “sparso” e senza alcuna forma di coordinamento, disperdendo così le potenzialità di influenza cui potrebbero altrimenti accedere. Ed anzi, a strettissimo rigore logico, tale seconda ipotesi interpretativa quasi presupporrebbe l’esplicito o l’implicito rigetto della prima: dire che i soci pubblici avrebbero il dovere di accedere a forme di concertazione negoziata necessarie per l’esercizio congiunto del controllo significa invero riconoscere che la (mera) partecipazione pubblica totalitaria o maggioritaria … non sarebbe di per sé sola sufficiente ad integrare gli estremi del controllo. Anche se, a ben vedere, nella motivazione delle Sezioni Riunite, così come in taluni provvedimenti delle sezioni territoriali, le due impostazioni vengono abbracciate cumulativamente, sul rilievo che la fattispecie del controllo pubblico sarebbe in ogni caso riconoscibile pur a fronte di una partecipazione pubblica “disorganizzata” e che i doveri di comportamento che vengono predicati sarebbero funzionali non già all’instaurazione del controllo (che si assume, appunto, come preesistente), ma a un suo [continua ..]


4.7. Una importante precisazione sulla concreta portata applicativa delle cinque ipotesi: solo la quinta comporta l’assoluta e incondizionata corrispondenza tra società a partecipazione pubblica totalitaria o maggioritaria e società a controllo pubblico

Una precisazione di estrema rilevanza, a questo punto dell’analisi, è che – come si auspica possa essere emerso dal quadro sintetico fin qui riportato – delle cinque ipotesi in cui si è ritenuto di poter articolare le diverse posizioni interpretative in argomento, solo l’Hp. 5 si spinge al punto da predicare l’assoluta corrispondenza tra società a capitale pubblico totalitario o maggioritario e società a controllo pubblico (beninteso, salva la sola eccezione di un controllo privato di fatto o di un controllo congiunto pubblico/privato). Persino l’Hp. 4, difatti, peraltro assai poco gettonata, consentirebbe comunque di raggiungere una prova contraria; e l’Hp. 3, che appare diffusa quantomeno allo stesso modo della Hp. 5, presuppone in ogni caso l’esercizio effettivo e concreto di un controllo congiunto sulla società, lasciando quindi spazio alla dimostrazione che nessuna forma di concertazione, neanche in via di fatto e neanche mediante comportamenti concludenti, sia stata posta in essere dai soci pubblici pur titolari della totalità o della maggioranza del capitale sociale.


5. La nozione di controllo di cui all’art. 2: l’influenza determinante (per intensità) sulle decisioni finanziarie e gestionali strategiche (per estensione) a connotazione necessariamente individuale (per imputazione) [nel secondo periodo della lett. b)]; e l’influenza dominante (per intensità) sull’assemblea ordinaria (per estensione) a connotazione individuale o anche congiunta (per imputazione) [nel primo periodo della lett. b)]

Si può procedere, a questo punto, alla individuazione dell’ipotesi che si ritiene più corretta. Lo si farà attraverso un’analisi condotta per gradi e con approssimazioni successive, anche e soprattutto al fine di rimanere fedeli al monito, enunciato fin da principio, di addivenire a un’interpretazione delle definizioni di controllo e di società a controllo pubblico saldamente ancorata ai dati esegetici e sistematici che è consentito estrarre dal dettato normativo. Punto di partenza dell’analisi non può che essere il secondo periodo dell’art. 2, lett. b). E ciò per due ragioni, tra loro strettamente intrecciate. Innanzitutto perché in quel segmento normativo è racchiusa l’unica ipotesi di controllo lato sensu congiunto la cui rilevanza ai fini che qui occupano è riconosciuta da tutti come pacifica. Ed inoltre in quanto, proprio perché in quel segmento normativo è rintracciabile una opzione legislativa esplicita, ogni tentativo di estrapolare per via interpretativa ulteriori fattispecie o sub-fattispecie di controllo congiunto cui sarebbe attribuibile analoga valenza normativa non potrebbe non fare i conti con la necessità di verificare se tali ipotetiche fattispecie o sub-fattispecie (per così dire, implicite) siano o meno conciliabili con quel dato normativo e con quelle fattispecie o sub-fattispecie (esplicite): il che postula che non vi si pongano in contraddizione o non rendano di fatto superfluo (per reciproco assorbimento) un segmento normativo rispetto all’al­tro o che comunque non presentino qualsivoglia altra forma di possibile conflitto logico o sistematico.


5.1. La “condivisione del controllo” nel secondo periodo della lett. b) e il suo ruolo nella “fattispecie” normativa: effetto giuridico o presupposto?

Focalizzando quindi l’attenzione sul secondo periodo della lett. b), una questione preliminare che merita di essere affrontata e che è apparsa fin qui per lo più trascurata è quella di comprendere come debba essere intesa la locuzione finale della norma e, segnatamente, il sintagma preposizionale complesso «delle parti che condividono il controllo» e, al suo interno, il predicato («condividono») che forma il cuore del sub-sintagma verbale («condividono il controllo») che a sua volta ne costituisce il fulcro [[57]]: più semplicemente, come debba essere intesa la relazione che si pone tra la “condivisione del controllo” e il “consenso unanime” di tutte le parti che lo condividono, richiesto quale presupposto costitutivo della fattispecie. Le letture possibili (e di conseguenza la portata sistematica ed applicativa della definizione) sono invero differenti, a seconda che la condivisione del controllo: (i) la si intenda come conseguenza, ovverosia come effetto giuridico, e la si collochi, dunque, sul piano della fattispecie in quanto tale, ovverosia dell’esito cui si perverrebbe in presenza del(l’unico) presupposto del necessario consenso unanime delle parti che condividono il controllo; o piuttosto (ii) la si intenda come premessa o precondizione e la si collochi, dunque, sul piano dei presupposti, assieme ed accanto, quindi, all’(ulteriore) presupposto del necessario consenso unanime delle parti che condividono il controllo, la cui (cumulativa) verificazione precederebbe la fattispecie e condurrebbe al suo perfezionamento. Nella ipotesi (i): la condivisione del controllo (e, dunque, la fattispecie stessa di controllo congiunto cui la norma dà corpo) si avrebbe come conseguenza del fatto che le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale possano essere adottate solo col consenso unanime di un insieme di soci pubblici. Nella ipotesi (ii): la condivisione del controllo (e dunque la presenza di una qualche forma di controllo congiuntamente riferibile a un insieme di soci pubblici) sarebbe la premessa di fatto necessaria per poter poi affermare, ma solo laddove nell’ambito di tale insieme fosse richiesto il consenso unanime delle parti che condividono il controllo, che ricorra la specifica fattispecie di controllo congiunto cui la norma attribuisce rilevanza. Occorrerebbe quindi, a tal [continua ..]


5.2. La “chiave sistematica” per la soluzione del quesito: la nozione di controllo congiunto nei principi contabili internazionali, quale modello cui è ispirata (rectius, su cui è pressoché testualmente ricalcata) la definizione di controllo del secondo periodo della lett. b)

La chiave sistematica che consente di dirimere il superiore dilemma è ricavabile da una preliminare osservazione, che ha il pregio di risultare oggettiva e pacifica: il fatto che la formulazione del secondo periodo della lett. b) sia uniformata, ed anzi pressoché testualmente ricalcata, sulla definizione di controllo congiunto di cui ai principi contabili internazionali e, in particolare, sulla definizione accolta nei principi IFRS 11 e IAS 28 e 31 [[58]]. Il principio IFRS 11 è dedicato agli “Accordi a controllo congiunto” e le definizioni rilevanti sono riportate ai parr. 4 e 7, dove, rispettivamente, si dice che «Un accordo a controllo congiunto è un accordo del quale due o più parti detengono il controllo congiunto» (§ 4; e v. anche lo IAS 28); e si precisa che «Il controllo congiunto è la condivisione, su base contrattuale, del controllo di un accordo, che esiste unicamente quando per le decisioni relative alle attività rilevanti è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo» (§ 7 e ancora lo IAS 28). Rispetto a quella del TUSPP, la definizione è pressoché pedissequa, salvo per il riferimento più generico alle “attività rilevanti” (oggetto di specificazione poi al § 8 e al § B5 come le «attività che incidono significativamente sui rendimenti dell’ac­cordo»), che nel TUSPP si converte nella più specifica locuzione di «attività finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale» [[59]], nonché per la presenza dell’avverbio “unicamente”, che svolge un ruolo decisivo ai fini delle deduzioni che saranno svolte in appresso sul significato più corretto da attribuire alla definizione normativa. Ai fini che qui occupano, poi, sono assolutamente chiare e dirimenti le specificazioni riportate nei §§ 8 e 9 dell’IFRS 11, nelle quali si legge, rispettivamente, che: «Una entità che è parte di un accordo deve valutare se l’accordo contrattuale concede collettivamente a tutte le parti, o a un gruppo di parti, il controllo dell’ac­cordo. Tutte le parti, o un gruppo di parti, controllano l’accordo collettivamente se devono dirigere insieme le attività che incidono significativamente sui rendimenti [continua ..]


5.3. Le prime indicazioni che se ne traggono sulla portata del secondo periodo della lett. b): allargamento della nozione di controllo (dalla sola influenza dominante anche) all’influenza determinante; necessità che l’influenza determinante sia valutata in capo ai singoli soci pattisti; insufficienza di una posizione di influenza (dominante o determinante) collettiva in capo all’in­sieme dei soci pattisti; irrilevanza del “controllo congiunto” stricto sensu inteso e sua rilevanza nel senso di un “controllo (congiunto) ad imputazione individuale” (o, rectius, di un “controllo individuale ad imputazione congiunta”)

In conclusione, allora, le prime indicazioni che se ne ricavano sono nel senso che: (i) ciò che conta ai fini del perfezionamento della fattispecie del “controllo” (recte, del controllo congiunto) di cui ai principi contabili internazionali e di cui all’art. 2, lett. b), secondo periodo, del TUSPP, è che sia ravvisabile una posizione di potere individuale in capo a singole parti dell’accordo, essendo insufficiente la presenza di una posizione di potere in capo alle parti dell’accordo intese nel loro complesso. La posizione di potere in questione deve a sua volta concretizzarsi nella possibilità di porre il proprio veto all’adozione delle decisioni rilevanti (nel TUSPP: delle decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale), potendo quindi essere qualificata e descritta come “influenza determinante”; (ii) avendo riguardo all’assetto definitorio complessivo di cui all’art. 2 del TUSPP, accanto alle fattispecie di controllo da “influenza dominante” ex art. 2359 c.c. [cui si fa riferimento nel primo periodo della lett. b)], si collocherebbero [ai sensi del secondo periodo della medesima lett. b)] le fattispecie di controllo da “influenza determinante” [[62]]; (iii) a prescindere da quanto si dirà in ordine alla possibile declinazione singolare (con individuazione e imputazione individuali) o anche stricto sensu congiunta (con individuazione sintetica e imputazione plurima congiunta indifferenziata) del controllo da influenza dominante di cui alla prima parte della lett. b), il controllo da influenza determinante di cui alla seconda parte è sempre e necessariamente un controllo ad individuazione atomistica (e, come si argomenterà più avanti, ad imputazione selettiva); (iv) si potrebbe, pertanto, anche parlare (come del resto fanno gli stessi principi contabili internazionali) di “controllo congiunto”, ma a patto di non cadere nell’e­quivoco che lo stesso sia tale per effetto di una individuazione sintetica e di una imputazione indifferenziata, trattandosi semmai di un “controllo (congiunto) ad im­putazione individuale” o, più correttamente, di un “controllo individuale ad imputazione congiunta”, a sua volta intesa non già come (individuazione sintetica e imputazione) indifferenziata, ma come imputazione selettiva e, [continua ..]


5.4. L’inclusione nella nozione di controllo pubblico delle ipotesi del controllo (lato sensu) congiunto non riferibile a tutte le parti dell’accordo; del controllo individuale da influenza determinante, quand’anche non fondato su pattuizioni parasociali; e del “controllo plurimo disgiunto”

Proseguendo ancora nel ragionamento, occorre farsi carico di ulteriori (e del pari non trascurabili) precisazioni. Da una prima impressione ricavabile dal tenore letterale del secondo periodo della lett. b), invero, si potrebbe essere indotti a credere che la fattispecie di controllo ivi delineata sarebbe solo quella che risultasse imputabile a “tutti” i soci (pubblici) parte dell’“accordo”. Ma si tratterebbe di impressione erronea, che merita quindi di essere subito corretta sotto diversi profili. (a) In primo luogo, il controllo congiunto ad individuazione atomistica da influenza determinante è anche quello riferibile ad alcune ma non a tutte le parti dell’accordo (e dunque, in tal senso, ad imputazione “selettiva” e non “indifferenziata”). In questo, nuovamente, vengono in soccorso i principi contabili internazionali, dove si legge che «Un accordo può essere un accordo a controllo congiunto anche se non tutte le parti abbiano il controllo congiunto dell’accordo» e che «Il presente IFRS opera una distinzione tra le parti che detengono il controllo congiunto del­l’accordo (partecipanti ad attività a controllo congiunto o a joint venture) e le parti che partecipano a un accordo a controllo congiunto ma non detengono il controllo» (IFRS 11, § 11). Conseguentemente, difatti, si tengono distinte le figure del “gestore congiunto”, inteso come «Un partecipante a una attività a controllo congiunto che abbia il controllo congiunto di tale attività», e della “parte di un accordo a controllo congiunto”, intesa come «Una entità che partecipa a un accordo a controllo congiunto, indipendentemente dal fatto che abbia il controllo congiunto dell’accor­do» (così nella “Appendice A – Definizione dei termini”). Nella medesima direzione, poi, spingono anche ragioni per così dire “interne” alla stessa definizione di cui all’art. 2 del TUSPP. Non sono invero ravvisabili ragioni particolari per le quali si possa essere indotti ad adottare una soluzione diversa e “correttiva” rispetto a quella pacificamente e testualmente accolta dai principi contabili internazionali cui la norma è uniformata e, correlativamente, che possa giustificare la sottoposizione delle due situazioni, nel contesto del TUSPP, a un [continua ..]


5.5. Una matrice descrittiva delle relazioni che potrebbero intercorrere tra l’in­tensità dell’influenza del singolo socio pattista sul sindacato e l’intensità del­l’influenza del sindacato nel suo complesso sulla società partecipata

Un’ultima puntualizzazione sembra ancora necessaria, con riguardo alle diverse combinazioni, a seconda del relativo grado di intensità, dell’influenza del singolo socio pattista all’interno del patto e, rispettivamente, del sindacato (inteso nel suo complesso) sulla società (recte, sempre sulle decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale). Il criterio ispiratore è, peraltro, assolutamente univoco: deve trattarsi di combinazioni tali da condurre a un comune risultato finale (unico necessario e sufficiente ai fini del perfezionamento della fattispecie) per il quale uno o più soci pattisti siano in una posizione di forza di tale intensità che il loro consenso sia necessario per l’adozione di quelle decisioni strategiche. Sembra allora possibile costruire una matrice che si articola in quattro diverse ipotesi: A)influenza dominante del singolo socio pattista su un sindacato capace collettivamente di esercitare un’influenza dominante sulla società = controllo individuale da influenza dominante [di cui all’art. 2359, 1° comma, n. 2), c.c. e di cui quindi al primo periodo della lett. b) dell’art. 2 TUSPP]; B)influenza dominante del singolo socio pattista su un sindacato capace collettivamente di esercitare un’influenza determinante sulla società = controllo individuale da influenza determinante [di cui al secondo periodo della lett. b)]; C)influenza determinante del singolo socio pattista su un sindacato capace collettivamente di esercitare un’influenza dominante sulla società = controllo (individuale o congiunto, a seconda se analoga posizione di controllo sia ravvisabile contemporaneamente anche in capo ad altri soci pattisti) da influenza determinante [di cui al secondo periodo della lett. b)]; D)influenza determinante del singolo socio pattista su un sindacato capace collettivamente di esercitare un’influenza determinante sulla società = controllo (individuale o congiunto, a seconda se analoga posizione di controllo sia ravvisabile contemporaneamente anche in capo ad altri soci pattisti) da influenza determinante [di cui al secondo periodo della lett. b)], ma in via solo eventuale, ovverosia in esito a un’attenta valutazione fattuale delle circostanze concrete, verificando cioè in che termini, nello specifico, si manifesti l’influenza determinante su ciascuno dei [continua ..]


5.6. Alcune formule riassuntive delle fattispecie di controllo pubblico rilevanti nell’ambito del TUSPP

Volendo allora ribadire le tre sub-fattispecie con cui si è chiuso il precedente § 5.4, accompagnandole con l’adozione di formule sintetiche e convenzionali, l’in­fluenza determinante che verrebbe in rilievo coprirebbe le seguenti ipotesi: (i) il “controllo congiunto da influenza dominante o determinante collettiva, con due o più soci in posizione di influenza dominante o determinante sul sindacato” [[70]]; (ii) il “controllo plurimo disgiunto”; (iii) il “controllo individuale da influenza determinante”, che a sua volta potrebbe essere ulteriormente sotto-articolato in: (iii-a) “controllo individuale da influenza determinante concertata”; (iii-b) “controllo individuale da influenza determinante non concertata”.


6. Il (residuo) dilemma [che differenzia l’“Hp. 1” e l’“Hp. 2”] della rilevanza o meno, nell’ambito del primo periodo della lett. b), delle situazioni giuridiche qualificabili come “controllo congiunto (stricto sensu) da influenza dominante”

Le conclusioni cui si è fin qui pervenuti potrebbero apparire sufficienti a risolvere l’ulteriore dilemma circa la possibilità di attribuire o meno rilevanza, nell’am­bito del primo periodo della lett. b), anche ad ipotesi di controllo congiunto, stricto sensu inteso, da “influenza dominante”. A ben vedere, tuttavia, nessuna delle due possibili soluzioni (né quella positiva né quella negativa) sarebbe il necessario precipitato logico e/o sistematico di quelle conclusioni, così come – per converso – nessuna delle due vi si porrebbe in rapporto di insanabile contraddizione logica e/o sistematica.


6.1. Ragioni che indurrebbero a ritenere compreso anche il controllo congiunto stricto sensu inteso

Per vero, ad escludere la rilevanza del controllo congiunto in senso stretto potrebbe essere speso un argomento dotato di particolare immediatezza e, come tale, di possibile grande impatto persuasivo. L’argomento più forte consisterebbe nell’appellarsi al fatto che il fenomeno della possibile condivisione del controllo non è rimasto affatto estraneo alla disciplina del TUSPP. Ed anzi, il legislatore lo ha espressamente regolato, dedicandogli la (sub-)definizione di cui al secondo periodo della lett. b) dell’art. 2. La nozione così dettata, come si è visto, è palesemente recettiva della definizione di controllo congiunto di cui ai principi contabili internazionali. E questa, a sua volta, presuppone sempre e comunque una individuazione atomistica (e mai sintetica) del controllo e una sua imputazione selettiva (e non indifferenziata). Riconoscere che la nozione di controllo di cui al primo periodo sia inclusiva anche del controllo congiunto inteso in senso stretto, e dunque con individuazione sintetica (e imputazione indifferenziata) all’insieme dei soci sindacati anche in assenza di posizioni di influenza individuale, significherebbe quindi contraddire una scelta di politica legislativa che, condivisibile o meno, sarebbe comunque stata effettuata e si sarebbe tradotta in diritto positivo. Per di più, potrebbe ancora aggiungersi, si rischierebbe altrimenti di rendere superflua la sub-definizione di cui al secondo periodo della lett. b), giacché la fattispecie del controllo congiunto ad individuazione necessariamente atomistica di cui al secondo periodo costituirebbe una sorta di cerchio concentrico a superficie ridotta rispetto alla fattispecie del controllo congiunto ad individuazione sintetica di cui al primo periodo [[71]].


6.2. Ragioni che potrebbero essere addotte in replica: l’autonomia reciproca tra le due diverse fattispecie di controllo (lato sensu) congiunto

Contro la seconda possibile obiezione, tuttavia, sarebbe sufficiente riprendere quanto più diffusamente argomentato nei paragrafi precedenti, le cui conclusioni dovrebbero rendere evidenza del fatto che non si porrebbe una possibile questione di autonomia reciproca (di spazio operativo) tra le due sub-definizioni di controllo (lato sensu congiunto) da patto parasociale. Le ipotesi di controllo congiunto di cui al primo periodo, difatti, sarebbero quelle individuabili sinteticamente in capo all’insieme dei soci pubblici raccolti in un patto di sindacato che consenta a quello stesso insieme, inteso unitariamente e nel suo complesso, di esercitare un’influenza dominante sull’assemblea ordinaria della società partecipata: sicché si tratterebbe di controllo congiunto in senso stretto, con imputazione del pari plurima congiunta e indifferenziata a ciascuno dei soci pattisti. Ipotesi di controllo congiunto di cui al secondo periodo, per contro, sarebbero quelle nelle quali, anche solo per effetto (di previsioni di legge o statutarie o) di patti parasociali pur non aventi per oggetto o per effetto l’esercizio congiunto di un’influenza dominante collettiva sulla società, uno o più soci pubblici finiscano per godere di una posizione di blocco, di un potere di veto, di una (individuale, ancorché plurima) influenza determinante sulle decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale. In altri termini, e più diffusamente: (i) ipotesi di controllo congiunto di cui al primo periodo sarebbero ravvisabili in presenza di patti parasociali grazie ai quali il gruppo dei soci sindacati, complessivamente e sinteticamente inteso, acquisisca una posizione di forza qualificabile co­me “influenza dominante” nell’assemblea ordinaria della partecipata (e poi a prescindere dalla posizione di forza e di influenza individuale di cui disporrebbe il sin­golo contraente all’interno del gruppo coalizzato). Il che si aggiungerebbe al­l’ipo­tesi [tradizionale species di controllo solitario di fatto ex art. 2359, 1° comma, n. 2), c.c.] in cui un singolo socio pubblico disponga di voti sufficienti ad esercitare autonomamente un’influenza dominante sull’assemblea ordinaria grazie alla leva assicuratagli da una posizione di dominio all’interno di un sindacato di controllo. Sicché sul primo periodo si [continua ..]


6.3. (Segue) Il crescente consenso dottrinario in favore di una lettura revisionista dell’art. 2359 c.c.

(Segue) Il crescente consenso dottrinario in favore di una lettura revisionista dell’art. 2359 c.c. Inoltre, non si potrebbe fare a meno di riconoscere che, in dottrina, si sta sempre più allargando la schiera dei consensi favorevoli a un approccio revisionista di quella che un tempo era registrabile come una schiacciante e netta prevalenza di opinioni nel senso che il controllo da influenza dominante di cui all’art. 2359 c.c. fosse sempre e comunque declinabile come controllo individuale e mai come controllo congiunto. Il superamento della tesi tradizionale, peraltro già oggetto di articolate (ancorché inizialmente minoritarie) sollecitazioni dottrinarie ante litteram [[72]], si sostiene che potrebbe trovare oggi fondamento, tra l’altro ed in particolare, nella ricaduta sistematica delle previsioni di cui al nuovo art. 2341-bis, 1° comma, c.c. ove è reputato particolarmente significativo il riferimento testuale ai patti parasociali che, «al fine di stabilizzare il governo delle società», «hanno per oggetto per effetto l’e­sercizio anche congiunto di un’influenza dominante» [[73]]. La formulazione della norma sui patti parasociali – si sostiene ancora – costituirebbe quantomeno testimonianza del fatto che l’“influenza dominante” non sarebbe più concetto di cui possa predicarsi una sorta di incompatibilità aprioristica (sia poi essa logica o sistematica) rispetto alla declinazione pluralistica (e, segnatamente, “congiunta”) del controllo [[74]].


6.4. (Segue) Il carattere “relazionale” e “funzionale” della/e nozione/i di controllo e gli spunti offerti dalla ratio legis specifica della disciplina in tema di società a controllo pubblico nel TUSPP

Ancora, è assolutamente pacifico che quella di controllo sia nozione “relazionale” e “funzionale” [[75]], sicché le norme definitorie di diritto positivo speciale che rinviano all’art. 2359 c.c. ben potrebbero prestarsi a una sua più o meno ampia (ri-)modulazione: beninteso, nei limiti in cui il relativo dettato normativo lo consenta e in termini compatibili con i caratteri fondanti della nozione di controllo oggetto del rinvio (e, come tale, normativamente recepita). In tale prospettiva, proprio dall’assetto normativo ricavabile dalla definizione di controllo nell’art. 2 TUSPP e, in particolare, dalla combinazione sistematica tra i due periodi della lett. b), potrebbero essere tratti spunti ermeneutici idonei a corroborare l’ipotesi che il rinvio all’art. 2359 c.c. possa e debba reputarsi comprensivo anche delle fattispecie di influenza dominante ad individuazione sintetica e imputazione plurima congiunta indifferenziata [[76]]. Difatti, avendo specifico riguardo all’art. 2 TUSPP, una volta assunto, come si è qui ipotizzato, che attraverso il secondo periodo della lett. b) sia stata attribuita rilevanza all’influenza determinante nelle diverse declinazioni sopra segnalate, non mancherebbero buone ragioni per opinare che, a maggior ragione, non potrebbe ri­manervi estranea l’ipotesi dell’influenza dominante ancorché solo collettiva. In altri termini: se la pura e semplice circostanza che uno o più soci pubblici dispongano di una posizione di forza che consiste nella (ma è altresì limitata alla) possibilità di opporre il proprio veto all’adozione di decisioni finanziarie o gestionali strategiche è stata reputata sufficiente a giustificare la sottoposizione di quella società allo statuto normativo speciale delle società a controllo pubblico, tanto più, allora, quello speciale statuto normativo dovrebbe applicarsi ad una società nella quale più soci pubblici esercitino, sia pure collettivamente, un’influenza dominante sull’as­semblea ordinaria. Ed invero: nel primo caso, la disponibilità di un potere meramente interdittivo non sarebbe di certo sufficiente a porre il/i socio/i pubblico/i in condizione di assicurare, con la propria autonoma volontà, l’adozione delle decisioni (di adeguamento statutario e/o di ordine [continua ..]


7. Contro l’“Hp. 3”: necessità, quand’anche si condividesse l’“Hp. 2” o comunque la stessa si affermasse definitivamente sull’“Hp. 1”, di circoscrivere la fattispecie al controllo congiunto in senso stretto, frutto di concertazione stabile e strutturata

L’apertura manifestata nel precedente paragrafo in favore dell’opzione interpretativa inclusiva del controllo congiunto stricto sensu nella sub-fattispecie di controllo di cui al primo periodo della lett. b) impone ora di esporre le ragioni per le quali si ritiene di non poter replicare analoga apertura anche in favore della soluzione sopra classificata come “Hp. 3”.


7.1. Su una possibile contaminazione concettuale sottesa alla “Hp. 3” e sulle ragioni che si oppongono comunque al suo accoglimento

L’opzione interpretativa sopra classificata come “Hp. 3” consisterebbe nell’at­tribuire rilevanza anche ai casi in cui l’influenza dominante collettiva trovi fondamento in patti parasociali frutto di comportamenti concludenti e la cui prova potrebbe essere raggiunta anche mediante il ricorso alle presunzioni semplici ex art. 2727 c.c. Per vero, le adesioni a tale ipotesi passano talora attraverso una sorta di “contaminazione concettuale”. Parrebbe, difatti, assai poco plausibile che un patto parasociale possa perfezionarsi in forma tacita, non foss’altro per la difficoltà di ravvisare in un mero comportamento concludente l’assunzione di un vero e proprio vincolo di comportamento destinato ad operare per il futuro: un vincolo di comportamento i cui fattori di complessità (oggetto, modalità di espletamento, durata, ecc.) sembrano ben poco compatibili con forme diverse da un accordo espresso (se non scritto, quanto meno verbale). Con questo non si vuole di certo affermare che sarebbe del tutto impossibile im­maginare ipotesi concrete in cui un comportamento concludente possa risultare sufficiente al perfezionamento del vincolo [[77]]: così, ad esempio, si potrebbe pensare al caso di una proposta espressa (per ipotesi, trasmessa per iscritto) di conclusione di un patto parasociale poi seguita, pur in assenza di accettazione esplicita, da un comportamento di allineamento alle linee operative di condotta indicate nella proposta, tale da configurare una sua tacita accettazione [[78]]. Ma si tratterebbe di ipotesi piuttosto rare e peculiari, che coprirebbero fattispecie del tutto marginali e, dunque, dalla portata concreta ridotta, ben lontane dalla generalità dei casi che le opinioni in questione intenderebbero invece abbracciare. Probabilmente, allora, più che di comportamento concludente quale manifestazione del consenso alla stipulazione di un patto parasociale recante vincoli di comportamento pro futuro, la tesi in commento intende far riferimento al comportamento concludente indicativo di un “consapevole allineamento” (simile al c.d. “conscious parallelism” o “parallelismo consapevole” proprio, nuovamente, del diritto antitrust), ovverosia di una spontanea concertazione nel governo (coordinato, appunto) della società partecipata. Una cosa, difatti, è parlare di comportamento concludente come [continua ..]


7.2. Irrilevanza della discussione sulla forma del contratto in quanto tale. Rilevanza di una valutazione sostanzialistica e di una concezione del controllo congiunto come necessariamente basata su una concertazione stabile e strutturata

Nell’art. 2, lett. b), invero, tanto il primo quanto il secondo periodo non attribuiscono affatto rilevanza all’allineamento spontaneo, bensì esclusivamente alla concertazione (deve intendersi, stabile e strutturata) frutto di pattuizioni parasociali [[79]]. Nella stessa legislazione antitrust, del resto, la rilevanza del parallelismo consapevole troverebbe un aggancio letterale nella formulazione degli enunciati normativi, nei quali si fa riferimento testuale alle c.d. “pratiche concordate” (o concerted practices), con locuzione significativamente e palesemente peculiare e non suscettibile di estensione a casi come quello qui in esame, dove analoghe aperture lessicali non sono presenti né in alcun modo ravvisabili. Per di più, nonostante il possibile fondamento testuale, è fortemente discusso se possa essere davvero sufficiente il mero parallelismo consapevole o se, piuttosto, la norma non intenda fare riferimento alla possibilità di ricavare la prova dell’intesa restrittiva da indici presuntivi tratti dal comportamento allineato delle parti: nel qual caso si tratterebbe pur sempre di una prova, sia pure per presunzioni, dell’esistenza di un vero e proprio accordo e non già della mera convergenza di condotte frutto di decisioni autonome ed indipendenti l’una dalle altre [[80]]. Ed ancora, emblematiche, anche in chiave storica e sistematica, sono le vicende che hanno riguardato la fattispecie degli acquisti “di concerto” e delle “persone che agiscono di concerto” nella disciplina sull’OPA obbligatoria, attraverso il combinato disposto delle disposizioni di cui all’art. 109 e 122 TUF. Come è noto, prima delle modifiche apportate all’art. 109 in sede di recepimento della “direttiva OPA”, la norma non si affidava a una clausola generale accompagnata da presunzioni legali, ma identificava quattro situazioni specifiche e tendenzialmente tassative di identificazione del concerto, con in testa il caso degli aderenti a un patto parasociale, ancorché nullo. Ebbene, in una serie di casi piuttosto noti alle cronache finanziarie, la Consob aveva ripetutamente ricavato in via presuntiva l’esistenza di una concertazione parasociale, ritenendo quindi di ravvisare gli estremi della prima delle quattro fattispecie specifiche, dai comportamenti in concreto tenuti dalle parti: e tuttavia la giurisprudenza [continua ..]


8. Contro le ipotesi della presunzione relativa (“Hp. 4”) o della corrispondenza assoluta (“Hp. 5”) tra società a partecipazione pubblica totalitaria o maggioritaria e società a controllo pubblico

Scartata l’“Hp. 3” e tenendo sempre presenti le argomentazioni che hanno indotto a confutarla nonché quelle che hanno fatto propendere per l’accoglimento dell’“Hp. 2”, non resta che esporre le ragioni per le quali tanto meno sarebbero condivisibili le conclusioni più estreme e radicali di cui alla quarta e alla quinta ipotesi di possibile interpretazione della definizione di controllo pubblico.


8.1. Le principali argomentazioni (esegetiche e teleologiche) addotte a loro sostegno

Sono principalmente due gli ordini di argomentazioni spesi a sostegno delle letture estensive. Un primo ordine di argomentazioni è di tipo letterale e si basa su una particolare interpretazione del combinato disposto tra le lett. b) e m) dell’art. 2, TUSPP, tale per cui la lett. m) non si limiterebbe a un mero rinvio recettizio alla nozione di controllo di cui alla lett. b), ma avrebbe una propria ed autonoma portata. In particolare, la locuzione «una o più amministrazioni pubbliche», contenuta nella lett. m), andrebbe intesa nel senso che ogni singola sub-fattispecie di controllo enunciata nella lett. b) sarebbe suscettibile di essere declinata in termini sia di controllo ad imputazione individuale (e, dunque, come fattispecie di controllo individuale, o singolare, o solitario) sia di controllo ad imputazione plurima (e, dunque, come fattispecie di controllo, sia pure lato sensu, congiunto, quand’anche più correttamente qualificabile come controllo plurimo disgiunto e finanche in assenza dei presupposti caratteristici pur di quest’ultima più blanda configurazione). In caso contrario – si aggiunge – la lett. m) si esaurirebbe in «un’enunciazione pleonastica” rispetto al contenuto della precedente lett. b)» [[91]]. Proprio tale locuzione, pertanto, consentirebbe di superare il fatto che la lett. b) già contiene un riferimento a una specifica ipotesi di controllo (plurimo o) congiunto, come quella delineata nel secondo periodo della disposizione medesima. Tale riferimento, cioè, non andrebbe letto nel senso che con esso il legislatore abbia inteso individuare l’unica possibile fattispecie di controllo (plurimo o) congiunto ai fini del TUSPP, ma piuttosto nel senso che quella così delineata sarebbe solo una fattispecie specifica e, per così dire, tipizzata di controllo, che si aggiungerebbe ad altre fattispecie di controllo (plurimo o) congiunto che fossero del pari ricavabili dal combinato disposto delle lett. b) e m): il che sarebbe testimoniato – e in ciò le tesi in commento ravvisano un ulteriore argomento di ordine esegetico – dall’uti­liz­zo della locuzione «anche quando», che mostrerebbe chiaramente come intenzione del legislatore fosse quella non già di esaurire, bensì, per l’appunto, di aggiungere. Da tale combinato disposto, dunque, si trarrebbe [continua ..]


8.2. Le ragioni che si oppongono al loro accoglimento

La principale ragione che si oppone all’accoglimento di tali ipotesi di lettura è, a sua volta, semplicemente legata al fatto che le stesse finiscono per dar corpo a una sorta di presunzione legale (presunzione relativa, nella “Hp. 4” e presunzione assoluta, nella “Hp. 5”) e non più giudiziale: una presunzione di cui tuttavia farebbe difetto la fonte, che non potrebbe essere altro che (per l’appunto) normativa [[93]]. Quanto alla “Hp. 5”, poi, si perverrebbe a una completa e assoluta sovrapposizione di concetti (società a prevalente partecipazione pubblica e società a controllo pubblico) che il sistema mostra invece di tenere in ben distinta considerazione. Ma su quest’ultimo genere di obiezioni, sarebbe sufficiente rinviare all’intero apparato argomentativo che avevo speso nel mio precedente saggio, cui può ora aggiungersi il peso della condivisione di analoga linea argomentativa tanto nelle sentenze rese dalle Sezioni Riunite della Corte dei conti in sede giurisdizionale, tanto dalla prevalente dottrina che si è espressa in argomento in tempi successivi all’uscita di quel saggio. Per mero scrupolo di completezza, vale la pena richiamarle solo in sintesi ed in forma schematica, con l’aggiunta però di ulteriori passaggi, specificazioni e approfondimenti conseguenti alle argomentazioni svolte e alle conclusioni raggiunte nei precedenti paragrafi. (i) Innanzitutto, a corroborare le ipotesi di lettura qui non condivise non sarebbe sufficiente il rinvio generico all’art. 2359 c.c. di cui al primo periodo della lett. b), in quanto: (i-a) come si è visto nel precedente § 7.2, anche la dottrina favorevole alla riconduzione del controllo congiunto alla matrice definitoria di cui all’art. 2359 c.c. ritiene che il controllo congiunto presupponga forme di concertazione stabili e strutturate e che, a tal fine, debbano ricorrere condizioni particolarmente stringenti e qualificate e, segnatamente, che sia necessario un «fondamento sufficientemente sicuro», ossia un’unificazione delle singole influenze «nell’unitaria influenza qualificata in cui si sostanzia il controllo», attraverso la garanzia di una «collaborazione certa» da parte dei «titolari delle medesime capacità di influenza» e un coordinamento tra gli stessi «in virtù di [continua ..]


9. Quadro di sintesi delle sub-fattispecie rilevanti

Data la complessità del tema ed essendo pervenuti a diverse conclusioni parziali nell’ambito di un ragionamento che si è svolto gradualmente e per approssimazioni successive, può essere utile ribadire, in termini di mera sintesi, le conclusioni finali cui si è ritenuto di poter approdare. In tale prospettiva, e senza qui considerare le ipotesi di controllo “contrattuale” esterno di cui all’art. 2359, 1° comma, lett. c), c.c., nonché rinviando alle specificazioni più diffusamente svolte in ordine alla tipologia (per intensità e per estensione) dell’influenza che deve risultare in capo al socio o ai soci pubblici, gli estremi di una società a controllo pubblico ai sensi del TUSPP sarebbero ravvisabili nelle seguenti ipotesi. 1) Ai sensi del primo periodo della lett. b): in presenza di una posizione di influenza dominante individuale o congiunta sull’assemblea ordinaria in capo a uno o più soci pubblici. Segnatamente: 1-a) allorquando un socio pubblico sia titolare di una posizione di controllo individuale da influenza dominante sull’assemblea ordinaria (quand’anche grazie a una leva di tipo parasociale); 1-b) allorquando più soci pubblici siano titolari di una posizione di controllo congiunto in senso stretto (ad individuazione “sintetica” e imputazione plurima congiunta “indifferenziata”) da influenza dominante sull’assemblea ordinaria (a prescindere quindi dal fatto che uno o più di essi godano di una posizione di influenza dominante o determinante individuale). 2) Ai sensi del secondo periodo della lett. b): allorquando uno o più soci pubblici siano titolari di una posizione di controllo individuale o plurimo (ma in ogni caso ad individuazione “atomistica” e imputazione “selettiva”) da influenza determinante sulle decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale, per effetto di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, indifferentemente quindi dal fatto che si tratti di influenza determinante plurima e concertata di fonte parasociale o di influenza determinante plurima non concertata o, ancora, di influenza determinante individuale e, inoltre, indipendentemente dal fatto che l’in­fluenza determinante individuale sia o meno fondata su una leva parasociale. Segnatamente: 2-a) allorquando ricorra un [continua ..]


NOTE