Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Recesso da società costituita a tempo indeterminato e “data di riferimento” della valutazione del valore di liquidazione della partecipazione (di Federico Urbani)


Nel caso in cui la società sia contratta a tempo indeterminato, i soci sono legittimati a recedere dalla stessa ad nutum, con preavviso semestrale. Il quadro normativo vigente presenta numerose lacune, fra cui la mancata indicazione di quale sia la “data di riferimento” della valutazione del valore di liquidazione della partecipazione del recedente. Lo scritto ripercorre i più significativi approdi interpretativi in argomento, per poi sviluppare alcune note (critiche) di commento alla prima pronuncia di merito sul tema in questione.

Exit from a company having an open-ended term and “reference date” of the valuation of the shareholding

In case a company has an open-ended term, any shareholder may exit from the latter even without cause (ad nutum), by means of a six-month prior notice. The legal framework currently in force has many gaps, including the absence of any indication on what should be regarded as the reference date for the valuation of the exit consideration to be paid to the exiting shareholder. The paper outlines the most significant interpretative findings on said matter, setting forth also some (critical) comments on the first court decision on the issue at stake.

Keywords: shareholder exit – liquidation value – firm date – ad nutum withdrawal

(Artt. 2437, 2437-ter, 2473 c.c.) In materia di recesso ad nutum da società costituita a tempo indeterminato, il preavviso di cui all’art. 2473, 2° comma, c.c. determina uno slittamento in avanti degli effetti del recesso, i quali non si producono fino allo spirare dello stesso, ivi incluso il decorrere del termine di rimborso della partecipazione di cui all’art. 2473, 4° comma, primo periodo, c.c. (1) Sino allo spirare del preavviso di cui all’art. 2473, 2° comma, c.c. il recesso non è efficace e il recedente non cessa di correre il rischio d’impresa, partecipando pienamente alla vita sociale. (2) La data di riferimento della valutazione del valore di liquidazione della partecipazione del recedente coincide con quella in cui spira il preavviso di cui all’art. 2473, 2° comma, c.c. (3) Massime non ufficiali   Svolgimento del processo I. Con ricorso cautelare ante causam per sequestro conservativo, X esponeva che: – in data 8 gennaio 2014 costituiva, insieme a P. e R., una società a responsabilità limitata denominata “Alfa”, con sede in Modena ed un capitale sociale pari ad euro 10.000; – la società veniva costituita a tempo indeterminato; – in detta società, la medesima era titolare di una quota di capitale pari al 33,34% e ricopriva la carica di presidente del consiglio di amministrazione; – in data 16 marzo 2018, con raccomandata ricevuta dalla società in data 30 marzo 2018, la medesima comunicava l’intenzione di voler cessare dal ruolo di presidente del consiglio di amministrazione, nonché di voler recedere dalla società ad nutum; – non essendo stato possibile raggiungere un accordo con gli altri soci in merito alla quantificazione del valore della quota di sua spettanza, né avendo ottenuto alcun rimborso della stessa nel termine di 180 giorni dalla sopra indicata dichiarazione di recesso, la ricorrente presentava istanza affinché il tribunale autorizzasse il sequestro conservativo, anche presso terzi, dei beni della società, a garanzia del proprio credito derivante dal recesso dalla società; – pertanto, introduceva ricorso conservativo ante causam ex art. 671 e 669 ter c.p.c., prospettando, quali successive azioni di merito: a) azione di risarcimento danno ex art. 125 cod. Prop. Ind. ed ex art. 1223, 1226 e 1227 cod. civ. Per l’indebito utilizzo delle privative della Signora X e comunque il detrimento arrecato all’avviamento della società; b) azione di responsabilità ex art. 2394 cod. civ. Per aver i Sigg. P. e R. deliberatamente ignorato gli obblighi inerenti la conservazione dell’in­tegrità del patrimonio sociale, in considerazione del mancato esercizio del diritto d’opzione [continua..]
SOMMARIO:

1. Il caso - 2. La normativa di riferimento - 3. I principi enunciati dal Tribunale di Bologna - 4. La dottrina - 4.1. Approdi generali sulla “data di riferimento” della valutazione del valore di liquidazione della partecipazione del recedente - 4.2. Il particolare caso del recesso ad nutum - 5. Il commento - NOTE


1. Il caso

L’ordinanza in commento ha affrontato – per quanto a conoscenza, prima nel panorama giurisprudenziale di merito e di legittimità – la questione relativa a quale sia la “data di riferimento” della valutazione del valore di liquidazione della partecipazione del socio recedente, nel particolare caso del recesso ad nutum esercitato in seno a una società costituita a tempo indeterminato. Nel caso di specie, il presidente del consiglio di amministrazione, detentore di una quota di partecipazione minoritaria (non per questo marginale, rappresentando infatti il 33,34% del capitale sociale), dopo aver rinunziato alla carica ricoperta e dichiarato la propria intenzione di recedere dalla società ai sensi dell’art. 2473, 2° comma, c.c., non avendo ottenuto soddisfazione dalla società (che non aveva dato corso al procedimento di liquidazione della partecipazione del recedente), agiva in giudizio per ottenere il sequestro conservativo dei beni della società a garanzia del proprio credito, prospettando fra l’altro, per la successiva fase di merito, la proposizione di un’azione volta a ottenere la condanna al pagamento di quanto dovuto (com’è evidente, previa determinazione del valore di liquidazione della pro­pria quota). In pendenza di giudizio, gli altri soci deliberavano lo scioglimento della società. Il giudice bolognese – all’esito di un articolato ragionamento, del quale si dirà più diffusamente nel prosieguo (pur con le particolari sensibilità proprie della tutela cautelare, consistenti nella verifica della sussistenza del fumus boni iuris e del periculum in mora) – rilevava: (a) per un verso, che la dichiarazione di recesso ad nutum non aveva ancora acquisito efficacia in quanto, fra la data di ricezione della medesima da parte della società e quella di conclusione del procedimento giudiziale, il periodo di pre­avviso (statutariamente fissato in un anno, sfruttando l’opzione di estensione del periodo di default di centottanta giorni, come previsto dall’art. 2473, 2° comma, c.c.) non era ancora decorso, sicché “non [era] ancora sorta alcuna ragione di credito [del recedente] nei confronti della società per effetto della dichiarazione di recesso”; (b) per l’al­tro, che “ai fini [continua ..]


2. La normativa di riferimento

Come noto, gli artt. 2437, 3° comma, e 2473, 2° comma, c.c. attribuiscono ai soci – rispettivamente di società azionarie e a responsabilità limitata – il diritto di recedere dalla società ove l’atto costitutivo non individui un (puntuale) termine finale dell’ente, così garantendo un generale diritto al disinvestimento in presenza di un vincolo dalla durata indeterminata, da esercitarsi per mezzo di una semplice dichiarazione potestativa di volontà, anche in assenza di altra causa e così ad nutum. Le disposizioni appena richiamate prevedono, inoltre, che tale dichiarazione veda il definitivo dispiegamento dei propri effetti solo dopo che siano decorsi centottanta giorni dalla ricezione da parte della società della medesima [1], estensibile da parte dello statuto sino a un massimo di un anno, purché medio tempore non sia stato deliberato lo scioglimento della società [2]. Tale previsione normativa, preordinata a generare un maggior equilibrio fra esigenze corporative (dell’ente, soprattutto nella prospettiva della stabilità della consistenza del proprio patrimonio, potenzialmente da ridursi per procedere alla liquidazione delle azioni o della quota di partecipazione del recedente, in caso di mancata collocazione presso gli altri soci o i terzi) e individuali (del socio, dotato di uno strumento di “liberazione” da un vincolo altrimenti imperituro [3]-[4]), ha suscitato il levarsi di critiche da parte di numerosi interpreti, che ne hanno sottolineato i possibili effetti dirompenti (e in taluni casi estremamente dannosi) per l’in­tegrità del patrimonio sociale, anche nell’ot­tica della garanzia del credito dei terzi [5]. Ciò tenuto peraltro conto del fatto che tale strumento è accessibile non solo ai soci di minoranza, ma anche a quelli di maggioranza [6], distinguendosi dalle altre ipotesi inderogabili di recesso, rientranti in una dinamica di azione-reazione [7]: sia nel caso in cui l’evento rilevante sia costituito da un atto [8], sia nelle differenti ipotesi di recesso fondate su un fatto [9]. Di conseguenza, il preavviso deve essere visto come uno strumento di riduzione del­l’intensità delle conseguenze negative discendenti dall’esercizio del diritto di recesso per disinvestire [continua ..]


3. I principi enunciati dal Tribunale di Bologna

L’ordinanza – nel fare propria la tesi secondo cui, con riferimento alle ipotesi “re­attive” di recesso, la perdita della qualità di socio e la conseguente assunzione di quella (esclusiva) di creditore sociale si verifica dal momento in cui la comunicazione sull’esercizio del diritto di recesso perviene alla società [16] – ha manifestato l’adesione del giudice bolognese all’interpretazione di chi ha sostenuto che la “data di riferimento” della valutazione del valore di liquidazione della partecipazione del socio recedente, nel particolare caso del recesso ad nutum esercitato in seno a una società costituita a tempo indeterminato, deve farsi coincidere con quella in cui spira (senza che sia intervenuta una deliberazione di scioglimento della società) il termine di preavviso di cui agli artt. 2437, 3° comma, o 2473, 2° comma, c.c., a seconda del tipo di società interessata [17]. Tale conclusione – a quanto noto, prima espressione giurisprudenziale sul punto – ha trovato un fondamento nei seguenti elementi argomentativi: (a) il preavviso di cui alle disposizioni appena richiamate “determina uno slittamento in avanti degli effetti del recesso, i quali non si produrranno fino allo spirare dello stesso, in guisa che la società abbia il tempo necessario per poter reperire le risorse utili a liquidare la quota del socio uscente”, con ciò generandosi una frazione temporale fra momento della comunicazione e momento del recesso; (b) sino allo spirare del termine di preavviso il recesso non è efficace, sicché “il socio che ha manifestato la volontà di uscire dalla società non cessa di correre il rischio d’impresa […] ma partecipa pienamente alla vita sociale” e ai risultati della gestione; (c) nel caso del recesso ad nutum, la disposizione secondo cui il rimborso della partecipazione deve essere eseguito entro centottanta giorni dalla comu­nicazione di esercizio del diritto (art. 2473, 4° comma, primo periodo, c.c.) deve leggersi nel senso che detto termine di comple­tamento del procedimento decorre da quan­do detta comunicazione acquisisce efficacia e pertanto, nel caso in questione, dallo spirare del termine di preavviso (anche perché, se così non fosse, nei casi di estensione [continua ..]


4. La dottrina

Pur in presenza di un’ampia e approfondita letteratura sul diritto di recesso, la questione di quale sia la data cui fare riferimento nella determinazione del valore di liquidazione della partecipazione del socio recedente ad nutum è stata affrontata, in molte occasioni, in seno a più ampie trattazioni sulla portata del diritto in parola, in modo tangente e spesso con minor attenzione rispetto alle indagini sul (più “affascinante” e frequente nella prassi) diritto di recesso “reattivo” a fronte di una deliberazione o un fatto legittimante il disinvestimento. Non solo per chiarezza di esposizione, ma soprattutto per l’utilità di un’analisi sistematica sull’argomento, conviene procedere distinguendo fra diritto di recesso derivante da un atto, un fatto oppure dalla semplice volontà di disinvestimento ad nutum (ove la società sia costituita a tempo indeterminato), nei due casi di società azionaria e a responsabilità limitata.


4.1. Approdi generali sulla “data di riferimento” della valutazione del valore di liquidazione della partecipazione del recedente

Nel primo caso, la disposizione dedicata alle società azionarie (art. 2437-ter, 5° com­ma, c.c.) si premura di indicare il termine entro il quale i soci devono essere informati della determinazione degli amministratori sul valore di liquidazione delle azioni [19], in­dividuato nel quindicesimo giorno precedente quello per cui è programmata la celebrazione dell’assemblea, senza tuttavia specificare a quale data deve riferirsi tale valore. È opinione condivisa che essa deve essere quanto più ravvicinata al termine dell’in­formativa preventiva ai soci, fermi naturalmente i tempi “tecnici” necessari per completare il procedimento valutativo e sottoporre i suoi esiti all’approvazione dell’or­gano amministrativo “sentito il parere del collegio sindacale e del soggetto incaricato della revisione legale dei conti” (art. 2437-ter, 2° comma, c.c.) [20]. Il quadro disciplinare applicabile alle società a responsabilità limitata, silente su molti aspetti procedimentali e sostanziali, non reca un’indicazione analoga, motivo per cui si ritiene che i soci non abbiano il diritto di conoscere preventivamente il valore di liquidazione della quota, dovendo eventualmente esercitare il diritto di recesso “al buio” [21], salvo lo statuto attribuisca il diritto a ricevere un’informativa pre-assembleare al pari di quanto avviene nelle società azionarie [22]. Cionondimeno, con riguardo alla “data di riferimento” della valutazione, l’art. 2473, 3° comma, c.c. prevede che essa deve individuarsi nel “momento della dichiarazione di recesso” (necessariamente suc­cessivo a quello dell’assemblea, salvo diversa disposizione statutaria), così confermando la natura “mobile” della stessa (in base all’esercizio del diritto), evenienza dalla quale può discendere la disomogeneità delle valutazioni nel caso in cui (com’è ben possibile accada) le dichiarazioni di esercizio del diritto di recesso giungano a conoscenza della società in momenti differenti [23]. Nel secondo caso, per tutte le società di capitali, la legge nulla dispone in merito alla conoscibilità del valore di liquidazione: a differenza delle deliberazioni assembleari, i fatti legittimanti il recesso possono [continua ..]


4.2. Il particolare caso del recesso ad nutum

Relativamente all’ipotesi appena richiama­ta, occorre anzitutto ricordare che la norma di cui all’art. 2473, 3° comma, c.c. è accompagnata – anche in questo caso riferita, nella lettera della legge, alle sole società a responsabilità limitata – da quella contenuta nell’art. 2473, 4° comma, primo periodo, c.c., in ossequio alla quale “il rimborso delle partecipazioni per cui è stato esercitato il diritto di recesso deve essere eseguito entro centottanta giorni dalla comunicazione del medesimo fatta alla società”. L’analisi del portato normativo di tali disposizioni ha condotto gli interpreti a raggiungere conclusioni del tutto divergenti. Da un lato, vi è chi ha raggiunto risultati analoghi a quelli del giudice bolognese nella pronuncia commentata [28]. Muovendo dalla premessa secondo cui, in pendenza del termine legale (o statutario, se esteso) di preavviso, la manifestazione di volontà del recedente non è produttiva di effetti, costituendo un semplice stimolo per l’attivazio­ne del procedimento di recesso da parte della società [29], si è concluso che il momento cui si deve riferire la determinazione del valore di liquidazione non potrebbe che essere quello dell’acquisto di efficacia della volontà di abbandono della compagine sociale. Altrimenti si giungerebbe al risultato – inammissibile, secondo tale prospettiva – di ancoraggio della valutazione a una data, per un verso, precedente (di molti mesi) a quella di produzione di effetti della comunicazione sull’esercizio del diritto di recesso e, per l’altro, riferita a un momento in cui il recedente è (e in prospettiva sarà) ancora partecipe del rischio d’impresa e dei risultati della gestione [30]. Si è inoltre sostenuto che tale interpretazione garantirebbe un “maggior grado di veridicità della quantificazione del valore della partecipazione”, in quanto “liquidare al socio il valore attribuito, potenzialmente fino ad un anno prima, alla sua partecipazione sociale, non solo non è conciliabile con l’intento del legislatore a fornire, almeno di default, una valutazione veritiera del valore della partecipazione, ma sarebbe indice proprio per questo di una nuova volontà punitiva del socio recedente, ovvero proprio dal sistema da cui si [continua ..]


5. Il commento

Analizzata la normativa di riferimento e ripercorsi i principali approdi dottrinali sulla questione in esame, è opportuno sviluppare alcune note di commento sulla pronun­cia in epigrafe, indicando (pur sinteticamente) le ragioni per cui la soluzione fatta propria dal giudice bolognese non pare condivisibile. A questo proposito, occorre prendere le mosse da una constatazione di fondamentale importanza, ad avviso di chi scrive dirimente per l’individuazione della (corretta) soluzione del dubbio interpretativo di cui si discorre. La “data di riferimento” rispetto alla quale gli amministratori sono tenuti a determinare il valore di liquidazione della partecipazione del recedente non deve coincidere necessariamente – ossia di regola, in qualsiasi ipotesi di scioglimento unilaterale del rapporto sociale – con quella in cui: (i) la comunicazione di esercizio del diritto di re­cesso viene effettuata ovvero acquista efficacia, come dimostrato dal caso del recesso derivante da una deliberazione (ove, almeno per le società azionarie, è previsto che tale data sia, per legge, addirittura precedente a quella dell’atto sociale legittimante); (ii) detta comunicazione diviene “non disinnescabile”, venendo meno la possibilità di revocare la deliberazione legittimante o disporre lo scioglimento dell’ente, in quanto sempre successiva alla “data di riferimento” applicabile (nel caso dell’atto, quella che si pone nell’intorno del quindicesimo giorno precedente e, nel caso del fatto, quella in cui lo stesso si è verificato); (iii) il recedente perde, in ogni caso, il proprio status socii, sia che si ritenga ciò avvenga alla data della comunicazione (in quanto, come si è detto, almeno nel caso del recesso da deliberazione, la valutazione addirittura precede l’atto sociale legittimante), sia che si opti per la diversa soluzione che vede tale mutamento avvenire al momento della liquidazione della partecipazione (in quanto esso non potrà che essere successivo alla valutazione, che ne è presupposto essenziale). Al contrario, la “data di riferimento” della valutazione può senz’altro precedere tutte le altre appena indicate, a conferma dell’am­missibilità nell’attuale quadro disciplinare – quantomeno in linea di principio – di una soluzione [continua ..]


NOTE