Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Parere pro veritate (in tema di procedura semplificata di fusione per incorporazione ai sensi dell'art. 2505 c.c.) (di Sabino Fortunato  )


  
SOMMARIO:

1. - 2. - 3. - 4. - 5. - 6. - 7. - 8.


1.

 Mi viene chiesto di esprimere il mio parere sulla seguente fattispecie: «Nell’ambito di un Gruppo, la Società H (Holding) è socio unico – fra l’altro – di quattro società operative A, B, C e D (tutte S.r.l.), tre delle quali (A, B e C) sono le uniche partecipanti, con quote uguali, di un Consorzio (E) con attività esterna in liquidazione. Posto che a detto Consorzio fanno capo talune vertenze giudiziarie, la necessità di procedere alla sua cancellazione ha portato a programmare la sua fusione per incorporazione nella quarta S.r.l. operativa (D) …. Considerato che il Consorzio non ha iniziato la distribuzione dell’attivo e che sia ormai pacifica la possibilità di fusione eterogenea tra società e “soggetti diversi” dalla società, purché vengano rispettate le formalità di cui all’art. 2500-octies c.c., resterebbe da verificare se nel caso di specie possa operarsi una interpretazione iperestensiva dell’art. 2505 c.c. Si chiede, pertanto, se possa adottarsi la procedura semplificata (di fusione)».


2.

La fattispecie in oggetto si tradurrebbe in una fusione per incorporazione di un consorzio indirettamente posseduto al 100% da un unico soggetto (sia pure per effetto di un controllo a catena che si esplica tramite il possesso totalitario delle società A, B e C, le quali partecipano – a loro volta – con quote uguali al fondo consortile) in una società direttamente posseduta al 100% dallo stesso soggetto. In altre parole società incorporante (D) e soggetto incorporando (E) fanno capo al controllo totalitario (diretto per D, indiretto per E) dell’identico soggetto (H). La fattispecie non coincide letteralmente con quella disciplinata dall’art. 2505 c.c. (già art. 2504-quinquies v.f.), che prevede esclusivamente l’ipotesi della incorporazione di una società le cui azioni o quote siano direttamente possedute nella totalità (al 100%) da altra società. Il che, tuttavia, non ha impedito a dottrina e giurisprudenza, sia sotto la previgente formulazione dell’abrogato art. 2504-quinquies sia sotto l’attuale formulazione dell’art. 2505 di interrogarsi sul possibile ampliamento dell’ambito di applicazione della disciplina semplificata ad ulteriori ipotesi, in forza di una interpretazione estensiva o analogica della norma. Ciò presuppone che si stabilisca se la disciplina della c.d. fusione semplificata abbia carattere eccezionale ovvero se, considerata la ratio della «semplificazione», essa consenta applicazioni al di là del caso espressamente regolato.


3.

Il procedimento semplificato di fusione delineato dall’art. 2505 c.c. prevede l’elimi­na­zione da un canto di alcuni dati informativi dal progetto di fusione (nn. 3, 4 e 5 del 1° comma art. 2501-ter) e d’altro canto della relazione degli esperti (art. 2501-sexies). Si aggiunge la possibilità che lo statuto deleghi la decisione in ordine alla fusione all’organo amministrativo (derogando alla normale competenza assembleare), possibilità cui si fa solo cenno in questa sede poiché non sembra assumere rilievo nel caso di specie. Nella sostanza la semplificazione di cui al 1° comma art. 2505 riguarda dati e documenti relativi al rapporto di cambio ed all’assegnazione di azioni o quote ai soci della incorporante, la cui essenzialità viene esclusa per la semplice ragione che nella situazione prefigurata dall’art. 2505 (incorporazione di società interamente posseduta) l’estinzione dell’incorporata comporterà l’an­nullamento in capo all’incorporante delle azioni o quote a suo tempo emesse dall’incor­porata stessa e la sostituzione al loro valore dell’attivo e passivo dell’incorporata. Non avrebbe alcun senso che l’incorporante procedesse ad un’eventuale assegnazione di azioni o quote a sé stessa in sostituzione delle azioni o quote annullate dell’incorporata, sia perché ciò non comporterebbe alcun reale incremento del patrimonio post-fusione sia perché ciò si tradurrebbe in acquisto di azioni proprie che è espressamente vietato proprio in tali circostanze dall’art. 2504-ter c.c. Se così stanno le cose, sembra corretto osservare che «la semplificazione del procedimento ordinario non sia dipesa da un intento derogatorio rispetto alle regole relative al procedimento ordinario, bensì da quello di adattare quelle regole ad una fattispecie meno complessa di quella tipica» (così V. SALAFIA, “La fusione per incorporazione di società interamente o al 90% possedute”, Società, 2006, 16 ss. a p. 17). In altre parole l’art. 2505 si limita a prendere atto della inapplicabilità (superfluità o inutilità) di alcune disposizioni che regolano il procedimento ordinario di fusione in presenza di una fattispecie meno complessa di quella tipica. Ne consegue che l’art. 2505 non [continua ..]


4.

Sotto il profilo della ratio l’esame della dottrina e della giurisprudenza che si sono sin qui cimentate sull’argomento sembrano far emergere almeno quattro posizioni (benché non sempre gli autori o le decisioni mostrino piena consapevolezza delle ragioni abbracciate o riescano a distinguere in maniera precisa le varie posizioni). A) La tesi più restrittiva ritiene che la procedura semplificata trovi applicazione alla sola ipotesi disciplinata di fusione per incorporazione in senso stretto (e che si attui addirittura solo tra società fondende dello stesso tipo), argomentando da una presunta «tassativa formulazione» della norma (ora art. 2505, ma già art. 2504-quinquies), dalla autonomia giuridica delle società fondende, dalla essenzialità del rapporto di cambio in difetto di espressa deroga e dalla esigenza di evitare qualunque rischio di pregiudizio per i terzi. Così con varie accentuazioni in dottrina: SCARDULLA, PETTARIN, LOLLI e DONZELLI; in giurisprudenza l’isolato decreto del Trib. Paola, 7 giugno 1994, Società, 1995, 93 ss., secondo cui sarebbe «illegittima e non può essere omologata la delibera di fusione per incorporazione con cui si chiede l’applicazione dell’art. 2504-quinquies … qualora la società incorporante non possieda alcuna azione o quota dell’in­corporanda. Infatti, condizione necessaria per l’applicazione dell’art. 2504-quinquies è che la società incorporante possieda tutte le azioni o quote dell’incorporanda e inoltre è richiesto che per effetto della fusione non si determini alcuna modifica della sostanza patrimoniale della società incorporante, a tutela dei soci ma anche dei terzi (nel caso di specie trattasi di fusione tra una s.r.l. ed una s.n.c. di cui la prima non possiede alcuna quota della seconda, ma in cui i soci delle due società partecipanti alla fusione sono i medesimi e partecipano nella stessa misura al capitale della s.n.c. e della s.r.l.)». Sulla decisione v. il contrapposto commento di LOLLI in Società, 1995, 93 ss. e di FIMMANÒ, in Notariato, 1995, 48 ss. B) Una seconda tesi sottolinea l’inapplicabilità delle regole relative al rapporto di cambio e perciò l’estensione della stessa disciplina a quei casi in cui (pur non [continua ..]


5.

Sub A) La tesi più restrittiva appare del tutto ingiustificata e viene in effetti respinta dalla stragrande maggioranza di dottrina e giurisprudenza. Essa è in contrasto con il generale «principio di economia» degli atti giuridici soprattutto nell’ambito delle sequenze procedimentali, secondo cui possono omettersi gli atti o i dati che risultino inutili allo scopo. Nella specifica materia del procedimento di fusione tanto l’art. 2505 (già 2504-quinquies) quanto l’art. 2505-bis (incorporazione di società possedute al 90%) nonché il recente art. 2505-quater (fusioni cui non partecipano società con capitale rappresentato da azioni) sembrano espressione di quel generale principio, oltre che di una apposita direttiva di semplificazione contenuta nella legge-delega della riforma societaria [art. 7, lett. a), legge n. 366/2001; cfr. anche M.T. BRODASCA]. Ad avallare una rigida interpretazione dell’art. 2505 non appaiono sufficienti né l’invoca­zione dell’autonomia giuridica delle società partecipanti alla fusione, contraddetta proprio dagli artt. 2505 e 2505-bis; né la presunta essenzialità del rapporto di cambio, che è proprio l’og­getto del thema probandum; né l’invocazione di generici rischi di pregiudizio per i terzi, ove non si forniscano gli elementi che individuino una «lesione qualificata» di tali terzi per effetto della procedura semplificata di fusione (e dunque per la omissione dei dati e documenti che sarebbero presenti nella procedura ordinaria). Sub B) Anche la seconda tesi si rivela piuttosto restrittiva, tanto che non si trova – a quanto mi consta – mai sostenuta in assoluto, bensì come premessa all’ulteriore sviluppo che sfocia nella terza prevalente e di gran lunga maggioritaria posizione. È pur vero che nel caso espressamente disciplinato non vi sarebbe spazio per la determinazione di un rapporto di cambio e l’assegnazione di azioni o quote dell’incorporante a sé medesima. Ma è anche vero che la mera impossibilità di applicazione dell’ordinario procedimento di fusione non avrebbe richiesto l’espressa regolamentazione della fattispecie; donde la possibilità di argomentare che la disciplina di semplificazione ha ragione di porsi non tanto nei casi di impossibilità [continua ..]


6.

 Sub D) Su un piano non del tutto coincidente con la precedente opinione maggioritaria si muove chi, sul presupposto della piena disponibilità degli interessi coinvolti dall’operazione del rapporto di cambio, perviene ad escludere la necessità della relazione degli esperti pur nelle ipotesi in cui un rapporto di cambio (non formale) sussista, ma consti nel contempo la rinuncia (ad essa) unanime dei soci di tutte le società partecipanti all’operazione. La fattispecie è stata decisa in termini divergenti da Trib. Milano, 2 novembre 2000 (in Società, 2001, 326, con commento di G. ZAGRA e in Giust. it., 2001, 321 ss. con nota di R. WEIGMANN) e da App. Milano, 12 gennaio 2001 (in Società, 2001, 434 con commento di V. SALAFIA e in Giur. Comm., 2001, 3 ss., con nota di G. BATTISTI) che ha riformato la decisione di primo grado. Il Tribunale ha ritenuto che la relazione degli esperti abbia funzioni informative a tutela di interessi ulteriori rispetto agli interessi dei soci, come ad esempio quelli dei creditori del singolo socio, soprattutto laddove il capitale sociale sia destinato ad essere distribuito in misura non proporzionale alle partecipazioni già possedute nelle società fondende (essendo la relazione superflua solo nel caso di mancata alterazione delle proporzioni delle partecipazioni originarie). La Corte di Appello, invece, ha ritenuto che il rapporto di cambio (e relativa valutazione) attenga alla tutela esclusiva dei soci, con la conseguenza che essi legittimamente all’unanimità possono decidere di omettere «quegli adempimenti rivolti essenzialmente alla loro informazione sul contenuto economico-finanziario dell’operazione di fusione». La relazione degli esperti «è strumento di valutazione delle partecipazioni che non sottrae ai soci (unanimi) il potere di esprimere il discrezionale giudizio sulla congruità del rapporto di cambio proposto dagli amministratori». D’altro canto la tutela dei terzi ha rimedi propri di carattere specifico o di diritto comune. I creditori sociali anteriori sono tutelati dal diritto di opposizione ex art. 2505 c.c. I creditori particolari del singolo socio (che pure non sono legittimati alla opposizione ex art. 2505) trovano tutela nei generali meccanismi di esecuzione e iscrizione nel registro delle imprese delle [continua ..]


7.

A me pare che, dopo la recente riforma del diritto societario, gli argomenti a sostegno di una unanime rinunciabilità della relazione degli esperti siano decisamente aumentati. Giustamente si osserva che occorre identificare l’interesse qualificato del terzo che renderebbe indisponibile l’informazione ricavabile dalla relazione degli esperti. Se si guarda all’interesse dei creditori sociali delle società fondende, mal si comprende quale possa essere il loro interesse qualificato rispetto ad un documento strumentale alla valutazione di congruità del rapporto di cambio che non altera in alcun modo i patrimoni delle società fondende, che costituiscono la garanzia generica del loro credito. Tradizionalmente, la tutela informativa che li concerne viene individuata nella redazione della situazione patrimoniale (sostituibile con il più recente bilancio d’esercizio non più «vecchio» di sei mesi…) a valori d’esercizio e non certo nella determinazione del rapporto di cambio o nella connessa relazione degli esperti. E proprio in relazione a ciò ad essi è riconosciuta una tutela specifica mediante il diritto di opposizione avverso la delibera di fusione. Se si guarda alla posizione dei creditori particolari dei soci delle società fondende, su cui può in effetti riflettersi la possibile alterazione di valori conseguente ad un rapporto di cambio non proporzionale, emerge tutta la problematica connessa al giusto equilibrio fra potere di disposizione del debitore sul proprio patrimonio e strumenti di tutela del creditore. A mia conoscenza, ignoro strumenti di tutela del creditore che incidano con efficacia reale, in termini di invalidità, sugli atti di disposizione del debitore. L’ordinamento reagisce o mediante declaratoria di inefficacia relativa dell’atto (revocatoria) o mediante la tutela risarcitoria di tipo aquiliano (illecita lesione del credito), giammai mediante la sanzione di invalidità dell’atto di disposizione, proprio al fine di non intralciare al di là del dovuto la libertà dei traffici giuridici. Parimenti se si guarda alla posizione dei potenziali acquirenti delle partecipazioni nel periodo intermedio fra deposito del progetto di fusione e iscrizione della delibera di fusione, la tutela è affidata in via di principio agli ordinari istituti che regolano [continua ..]


8.
Fascicolo 1 - 2009