Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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La clausola c.d. di ribaltamento nelle società consortili (di Maurizio Onza)


Il contributo si concentra sull’analisi della clausola c.d. di ribaltamento nelle società consortili a mezzo della quale le passività, e specialmente le perdite, sono “ribaltate” sui soci. Dopo un’introduzione storica ed un inquadramento sistematico, sono affrontate le principali questioni applicative che l’uso di questa clausola ha posto e continua a porre.

The so called clause of “ribaltamento” provided for the consortium companies

The paper focuses on the analysis of the so called clausula c.d. di ribaltamento, provided for the consortium companies whereby the liabilities, and especially the losses, are transferred to the shareholders. After a historical introduction and a systematic framing, the main applicative questions, arising from the practice, are examined.

KEYWORDS: Clause of “ribaltamento” – Consortium companies – Profit-making purpose – Mutual benefit – Art. 2615-ter c.c.

SOMMARIO:

1. Introduzione: la clausola c.d. di ribaltamento ed i «contributi in denaro» dei «soci» nella società consortile - 2. La «società consortile»: tra "deviazione" dal diritto comune delle società e "specificità" del consorzio - 2.1. (Segue) Spunti dalla nomogenesi dei consorzi e delle «società consortili»: esigenze dell’economia e risposte normative nel 1942 e nel 1976 - 2.2. (Segue) Il contesto normativo contemporaneo - 3. Conseguenze applicative - NOTE


1. Introduzione: la clausola c.d. di ribaltamento ed i «contributi in denaro» dei «soci» nella società consortile

La locuzione clausola c.d. di ribaltamento evoca una previsione pattizia a mezzo della quale le passività [[1]] di un ente, appunto, si “ribaltano” sui partecipanti a questo: una clausola attraverso la quale la passività dell’ente è (pre)destinata a gravare, mercé un “obbligo di copertura”, il patrimonio del partecipante. Si tratta di una manifestazione dell’autonomia privata, frequente nella “prassi” consortile [[2]], la cui emersione normativa si rintraccia nell’art. 2615-ter, 2° comma, c.c., disposizione che abilita «l’atto costitutivo» [[3]] ad obbligare i «soci» di una «società consortile» al “versamento” di «contributi in denaro» [[4]]. E proprio attorno a siffatta disposizione, quanto a latitudine precettiva ed inquadramento sistematico, gravitano i più significativi problemi che, nella teoria e nel­l’applicazione, la clausola c.d. di ribaltamento pone. Problemi: (i) che, essenzialmente, si concentrano nella sua modalità di introduzione, nel contenuto dell’obbligo e nelle sue “vicende” nonché, più in generale, nella tensione tra disciplina dei «consorzi per il coordinamento della produzione e degli scambi» [[5]] ed organizzazione della società quando pre-ordinata a perseguire la funzione (tipica) del consorzio [[6]] indicata negli «scopi» [[7]] descritti dall’art. 2602 c.c.; ed (ii) il cui tentativo di soluzione richiede, in via preliminare, di soffermarsi sulla «società consortile».


2. La «società consortile»: tra "deviazione" dal diritto comune delle società e "specificità" del consorzio

Per avviare l’indagine, si deve muovere svolgendo quella tensione a cui poco fa si cennava. In via elementare, questa si traduce in un concorso tra regole del consorzio e regole delle società che la disposizione sulla «società consortile» pone ma non risolve, limitandosi: (i) alla sua legittimazione, peraltro con un dato letterale ambiguo [[8]] (1° comma); ed (ii) alla possibilità di obbligare i suoi soci a versare contributi in denaro (2° comma), unica regola per essa espressamente approntata. Si lascia, di conseguenza, all’interprete il compito di individuare quante e quali regole dell’uno (il consorzio) e dell’altra (la società e, poi, la società pre-scelta [[9]]) possono o devono applicarsi. Compito, a sua volta, che suppone la selezione di un punto di vista dal quale governare quel concorso di regole: decidendo, insomma, se la «società consortile» è “più società” o è “più consorzio” [[10]]. La sede, com’è ovvio, non consente l’assolvimento di un compito tanto arduo, impegnativo e di persistente attualità [[11]]; ciò nondimeno non sembra revocabile in dubbio che in entrambi i casi, intuitivamente, sia inevitabile confrontarsi con la “specificità” del consorzio, da un lato, e con la “deviazione” dal diritto comune del­le società, dall’altro. Un confronto, questo, che appare utile impostare guardando, prima, alla storia delle disposizioni sui consorzi e sulle società consortili; e, poi, al contesto normativo contemporaneo.


2.1. (Segue) Spunti dalla nomogenesi dei consorzi e delle «società consortili»: esigenze dell’economia e risposte normative nel 1942 e nel 1976

Sia la “codificazione dei consorzi”, realizzata con il codice civile del 1942, sia la di essa successiva modificazione, risalente alla legge n. 377/1976, sono dichiaratamente ispirate a rispondere ad esigenze (concrete) della “moderna” (coeva) economia [[12]]. Nel 1942, di questa, uno degli aspetti più «salienti» appariva il «fenomeno dei raggruppamenti – volontari e obbligatori – di imprese, diretti a conseguire risultati economici mediante un coordinamento della loro attività, ferma restando l’auto­nomia giuridica delle singole imprese» [[13]]. Ed anzi, nel «vastissimo campo del fenomeno consortile» [[14]], aveva acquisito una «notevole unità di lineamenti» il consorzio tra imprenditori esercenti «una medesima attività economica o attività economiche connesse» ed avente ad «oggetto la disciplina dell’attività stesse mediante una organizzazione comune»; sì da richiedere al legislatore di “colmare” la lacuna normativa che su siffatta conformazione del “fenomeno” si avvertiva, disciplinandone, in modo altrettanto unitario, la «gestione»; e non più solo (fondamentalmente) gli aspetti “pubblicistici”, affidati ad una già esistente ed ampia «legislazione speciale», caratterizzata, pertanto, da interventi “isolati” ed episodici [[15]]. Un “fenomeno”, poi, spontaneamente “sorto” per contrastare la «crisi dell’eco­no­mia liberale», cagionata da diversi fattori tra i quali spicca, sopra tutti (e, si direbbe quale origine) il «progresso tecnico», “alleando” «forze economiche» per provvedere autonomamente «all’equilibrio nella produzione» perduto per il “fallimento” delle «leggi economiche della libera concorrenza» [[16]]. Cosicché la disciplina “codicistica” dei consorzi, nel 1942, rimediava ad una assenza normativa [[17]], rispondendo ad una esigenza, divenuta nitida nella “prassi” [[18]], di “aggregazione” [[19]] di imprenditori in un mutato scenario economico. D’onde la previsione di una nuova, unitaria, disciplina coerente [continua ..]


2.2. (Segue) Il contesto normativo contemporaneo

La storia testimonia la sopravvenuta esigenza di disciplinare il consorzio e, poi, la società consortile “deviando” dal diritto comune e calibrando la “deviazione” sulla “specificità” consortile che, in thesi, ne fissa legittimità e limiti. Ed ammessa l’esistenza di società, quale organizzazione di produzione dell’azione “metaindividuale” [[38]], prima nella “prassi” e poi “per legge” a funzione consortile, “diversa” quindi da quella (tradizionale e tipica) delineata nell’art. 2247 c.c. [[39]], restava però irrisolto il rapporto tra quantum di “deviazione” e “specificità” funzionale. Aspetto che non a caso costituiva una traiettoria di ricerca nel 1976 già sperimentata [[40]] e che, di lì a poco, avrebbe gemmato studi fondamentali [[41]] sugli usi percepiti “devianti” e, per così dire, “anomali” della società [[42]]. Sia ben inteso: le regole organizzative (in particolare tese a governare i processi decisionali, dichiarativi e di partecipazione al risultato) sono, in sé, neutre, prescindendo dal tipo di risultato e dalla sua destinazione programmati da chi di quelle regole si avvale. Gli è, però, che le regole organizzative previste nel diritto societario del codice civile del 1942 erano al servizio del lucro e, poi, di un lucro perseguito da una iniziativa collettiva. D’onde l’“anomalia” di cui si parlava. Ebbene, oggi, quell’ “anomalia” è fortemente depotenziata, gli “usi funzionalmente devianti” della società (nei sensi detti) essendo stati accolti nel sistema attraverso alcuni significativi e decisivi interventi del legislatore. E di alcuni è opportuno dare conto, potendo fornire indicazioni capaci di contribuire ad indentificare i confini del quantum di “deviazione” dal diritto comune delle società e, conseguentemente, il rapporto con la “specificità” del consorzio, offrendo all’interprete criteri per la soluzione del concorso di regole da cui il ragionamento ha preso le mosse [[43]]. In primo luogo, la polivalenza funzionale [[44]] della società è divenuta [continua ..]


3. Conseguenze applicative

La previsione dei «contributi in denaro» dei «soci», persone o enti (anche, in talune ipotesi, pubblici [[67]]), nelle società consortili esprime, secondo la nomogenesi, un connotato eventuale, tipico e di diritto scritto della funzione consortile ed innesta nella società prescelta un elemento “deviante” dal diritto comune delle società. Una “deviazione” da riguardare nella relazione tra soci e società consortile e che, in questa traiettoria conoscitiva, si lascia razionalizzare come segue: a) la società consortile, in quanto “società”, è un ente “distinto” dai suoi partecipanti [[68]]; b) questa entificazione [[69]] genera un’articolazione dei patrimoni coinvolti, distinguendo il patrimonio dell’ente, da un lato, ed il patrimonio dei partecipanti, dal­l’altro [[70]]; c) l’articolazione dei patrimoni descritta isola, a sua volta, i terzi titolari di ragioni di credito in due classi, gli uni, creditori della società consortile, sul cui patrimonio vantano e realizzano le pretese [[71]]; gli altri, i creditori del socio della società consortile, i quali vantano e realizzano sul di lui patrimonio le pretese; d) l’isolamento in questione è permeabile solo verso il patrimonio del socio, aggredibile per realizzare le pretese del creditore vantate nei confronti della società consortile secondo le regole dettate dal modello societario pre-scelto [[72]]. Risulta pertanto evidente la diversità, strutturale e funzionale, di piani tra garanzia patrimoniale della società consortile e contributi in denaro al versamento dei quali i soci si obbligano. Quella, individua i beni sui quali i creditori dell’ente possono rivalersi, eventualmente coinvolgendo beni compresi nel patrimonio del partecipante e, in un passato neppure tanto non remoto, ragguagliando (si badi: ex lege) tale coinvolgimento ad un “valore” massimo [[73]]; queste, sono prestazioni dei partecipanti verso l’en­te [[74]]. Prestazioni che, quand’anche potessero apprezzarsi siccome crediti della società consortile verso il socio, postulerebbero, per rilevare direttamente verso i creditori [continua ..]


NOTE