Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


La nozione di controllo congiunto nelle cosiddette società pubbliche (di Maurizio Bianchini)


Il legislatore italiano nel 2016 ha emanato un decreto legislativo – n. 175/2016, chiamato testo unico delle società pubblche o “TUSP” (ed emendato dal d.lgs. n. 100/2017) – che accorpa e organizza una serie di norme, in parti già esistenti, in parti di nuovo conio, concernenti le cosiddette “società a partecipazione pubblica”. L’art. 2 di questo nuovo plesso normativo contiene una serie di definizioni, tra le quali spiccano quelle di “società a controllo pubblico” e di “controllo”, alla quale la prima rimanda onde veder applicata una disciplina speciale e tendenzialmente più rigida rispetto a quella applicabile alle società in cui il controllo risulti in mano a dei soggetti privati, ovvero laddove il controllo risulti congiuntamente in mano a un soggetto privato e ad un soggetto pubblico. La definizione di “controllo” contiene a sua volta un rinvio all’art. 2359 c.c. e, inoltre, una nozione piuttosto articolata di “controllo congiunto”, un concetto che, nel diritto societario comune, risulta da sempre molto discusso in dottrina. Dopo una introduzione circa la struttura del nuovo testo unico, a partire da un Orientamento emanato dal Ministero del­l’Economia e delle Finanze e da alcuni recenti provvedimenti amministrativi di alcune Sezioni regionali della Corte dei conti e di successive decisioni emanate dalla Sezioni riunite – molte delle quali hanno ritenuto di poter ampliare la portata della nozione di “controllo congiunto”, così come invece delineata nella norma definitoria del TUSP – il contributo ripercorre l’evoluzione della nozione di “controllo congiunto” nell’ambito del diritto societario, e, alla luce di tale analisi, rilegge criticamente le conclusioni a cui giungono i predetti provvedimenti amministrativi, anche alla luce della pragmatica scelta del legislatore di costruire la nuova definizione di “controllo congiunto” sulla falsariga della corrispondente nozione enucleata nei principi IAS/IFRS, invece di affidarsi ai risultati, tutt’altro che pacifici, raggiunti dalla dottrina intorno a tale concetto. La parte finale del lavoro prende posizione rispetto alla tesi, avanzata da una parte della dottrina proprio alla luce del testo unico, di considerare ormai superata la posizione tradizionalmente maggioritaria, che relega ad ipotesi particolari, le fattispecie di “controllo congiunto” contenute in talune norme speciali sparse nell’ordinamento (come, ad esempio, l’art. 7 della legge antitrust italiana), asserendo che non è possibile, allo stato, ritenere superato il carattere speciale (se non, per alcuni aspetti, addirittura eccezionale) della norma del TUSP che definisce il “controllo congiunto”.

The joint-control definition in the so-called state-owned companies

The Italian legislature in 2016 issued a legislative decree – no. 175/2016 (as amended by leg. decree no. 100/2017), called “consolidated law on state-owned companies (“TUSP”) – that combined together a set of new provisions and an already existing array of rules concerning companies participated by the Italian State, by local governments and/or by other public bodies (collectively, “società a partecipazione pubblica”). Art. 2 of this consolidated collection of laws contains a number of definitions, among which stand out those concerned with “companies under public [i.e., central and/or local governments’] control” and “control”, to which the former refers in order to apply a special and stricter regime, than that which would be otherwise applicable to either companies controlled by private entities or individuals, or where control would rest, jointly, in the hands of both private and public persons (so called “joint-control”). The TUSP’s definition of “control”, in turn, makes an express reference to Article 2359 of the Italian Civil Code (i.e., the general “control” definition), thereby embedding its three-fold normative contents; in addition, it sets forth a rather complex notion of company’s “joint control”, the latter being a concept whose viability and scope have always been much discussed among corporate law scholars. After an introduction of the main structure of the TUSP, concerning different kinds of government-owned companies and a recapitulation of the scope and the merits of the notions of “control” and “joint-control” under Italian business companies law, this essay critically reviews a 2018 Interpretative Release by the Ministry of Economy and Finance, and a handful administrative resolutions and few subsequent decisions issued, respectively, by some of the Regional Offices and by the Central Panel of the Italian Court of Auditors (“Corte dei conti”), which, in the Author’s view, over-expanded the boundaries of the new special legislative notion of a company’s “joint control” with specific regard to companies falling within the scope of the TUSP. The essays further advocates a strict interpretation of the new definitions of “control”, and especially “joint control” of the government-owned companies by a pool of public administration bodies in the light of the pragmatic decision of the legislature to draft such a new definition along the lines of the corresponding notion of “joint-control” previously enucleated in the IAS/IFRS principles, instead of relying on the erratic results reached so far by the scholars’ construction of such multifaceted concept. The final part of the work discusses whether the companies’ “joint-control” rule, as put forward in the TUSP, could have a further effect of expanding its specific, and somewhat exceptional scope to a more general range of applications, thereby trumping the current majority view according to which the few cases of company’s “joint control” so far contained in some special rules scattered throughout the Italian legal system (such as, e.g., Article 7 of the Italian antitrust law) could not allow a general construction of a company’s joint-control theory. The author conclusively takes the position that, in the light of the current Italian legislation, such generalization of the special companies’ “joint-control” concept is not ripe yet.

Keywords: Company law – Companies participated by public administrations – Control – Joint control.

SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. Il meccanismo dell’attribuzione ad una “società a partecipazione pubblica” dell’ulteriore qualifica di “società a controllo pubblico” - 3. Cenni intorno alla nozione di “controllo” nel diritto societario, tra codice civile e normative di settore - 4. La figura del “controllo congiunto”, tra diritto societario comune e disposizioni speciali - 5. L’ampia area applicativa della nozione di “controllo congiunto” dettata dal TUSP, alla luce di alcuni recenti provvedimenti del MEF e della Corte dei conti - 6. Alcuni rilievi critici rispetto ai citati provvedimenti in tema di controllo pubblico congiunto - 7. (segue) Illustrazione di quattro profili critici dei provvedimenti esaminati - 8. Considerazioni critiche intorno alla possibilità di avallare un generale riconoscimento della figura del “controllo congiunto” - 8.1. Il “controllo congiunto” quale generale variante soggettiva delle fattispecie solitarie del “controllo” di cui all’art. 2359 c.c.? (In merito alla portata di alcune norme di diritto societario comune, interno e comunitario, che supporterebbero tale risultato ermeneutico) - 8.2. La (im)possibilità di una generalizzata legittimazione del “controllo congiunto” a partire dalla formulazione dell’art. 2, lett. b) e m), d.lgs. n. 175/2016 - 8.3. La derivazione della definizione di controllo (pubblico) congiunto dai principi contabili internazionali - 8.4. Il possibile carattere eccezionale della figura di controllo congiunto contenuta nel secondo periodo dell’art. 2, lett. b), TUSP - 9. Considerazioni conclusive e di sintesi - NOTE


1. Introduzione

Nel contesto del nuovo regime delle cosiddette società pubbliche, di recente istituito in forza del d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175 [[1]], il tema principale fatto oggetto di questo contributo riguarda la configurabilità o meno, ed eventualmente in quali termini, di un controllo congiunto [[2]] esercitato da parte di “più amministrazioni pubbliche”, rispetto ad una “società a partecipazione pubblica” [[3]]. Nel quadro di una crescente specialità delle disposizioni normative concernenti le cosiddette società pubbliche [[4]] e dei correlativi regimi applicativi – a loro volta innescati dalle diverse (eppur tra loro in certa misura interferenti) definizioni offerte dal testo unico nonché dai loro reciproci richiami e/o rinvii ad altre norme – risulta questione non secondaria quella relativa alla individuazione dei limiti della definizione delle “società a controllo pubblico”. Espressione, quest’ultima, che sebbene definita nell’art. 2, lett. m) del TUSP, si risolve in un mero rimando all’ennesima nozione speciale di “controllo” di società, contenuta nella lett. b) della medesima norma [[5]], così facendo di quest’ultima definizione – ove, tra l’altro, si ritrova un ulteriore rinvio all’art. 2359 c.c. – il baricentro delle questioni qui fatte oggetto di studio. Proprio in ragione dell’importanza e della diffusione assunte dal fenomeno di società a partecipazione pubblica in seno alle quali la componente “pubblica” risulti maggioritaria – e proprio alla luce del TUSP, che ha provveduto alla codificazione [[6]] di regole applicabili alle diverse varianti che le società partecipate dalle pubbliche amministrazioni possono presentare – il punto principale che qui si vorrebbe contribuire a chiarire è l’ambito di possibile applicazione, e quindi l’eventuale l’estensione, nella nozione di “società a controllo pubblico” rispetto a dei casi particolari, in cui le pubbliche amministrazioni, socie di “società a partecipazione pubblica”, non detengano, singolarmente considerate, una posizione di “controllo” e, ciononostante, si finisca per considerarle tutte co-con­trollanti – quasi fossero un’unica amministrazione pubblica – ove [continua ..]


2. Il meccanismo dell’attribuzione ad una “società a partecipazione pubblica” dell’ulteriore qualifica di “società a controllo pubblico”

Il nuovo plesso di regole speciali costituito dal testo unico individua diverse categorie di società pubbliche; oltre a quella, generalissima, di società a partecipazione pubblica, vi si trovano infatti definite, sia la “società in house” (di cui al­l’art. 2, lett. o) e 16, TUSP [[9]]), sia le “società a partecipazione mista pubblico-privata”, di cui all’art. 17 del testo unico del 2016 (per brevità, le “società miste”) [[10]]. E l’eventuale riscontro, rispetto ad ognuna di esse, di una situazione di “controllo”, a certe condizioni potrebbe inoltre determinare la loro ulteriore qualificazione in termini di “società a controllo pubblico”, con conseguenze non secondarie in termini di selezione della disciplina applicabile. Si deve dunque convenire con chi ha prontamente rilevato che la “valenza di queste norme definitorie è meno semplice da puntualizzare e illustrare di quanto possa apparire a prima vista” [[11]]. Come accennato nell’introduzione, in ragione di quanto dispone l’art. 1, co. 3, d.lgs. n. 175/2016 – “[p]er tutto quanto non derogato dalle disposizioni del presente decreto, si applicano alle società a partecipazione pubblica le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali di diritto privato” – il TUSP pare oggi configurare un corpus di norme di diritto singolare, in parte di nuovo conio, in parte già contemplate nella legislazione speciale previgente (sia pure, talora, con tenore e portata diversi), che in certi casi deroga a quello che si potrebbe qui per semplicità connotare come il diritto comune delle società [[12]]; e che, in particolare, incide in varia misura sul regime della costituzione nonché sull’organizzazione e sul funzionamento (cioè, sulla cosiddetta governance) delle attività economiche svolte dalle società partecipate nonché sui diversi profili relativi all’acquisizione e al possesso (in senso ampio e a-tecnico) delle partecipazioni societarie, per l’ap­punto laddove siano coinvolte, a vario titolo e in diverse forme, una o più Amministrazioni pubbliche [[13]]. In questo quadro, se la sussunzione nella definizione di “società a partecipazione pubblica” determina [continua ..]


3. Cenni intorno alla nozione di “controllo” nel diritto societario, tra codice civile e normative di settore

La questione concernente, insieme, i caratteri e i limiti della definizione delle “società a controllo pubblico” appare evocativa di annosi dibattiti sviluppatisi intorno alle diverse tipologie di situazioni e relazioni di “controllo” di e tra società [[22]] e concernenti i profili dell’organizzazione dell’esercizio dell’attività d’im­presa (la cosiddetta corporate governance). Il fulcro di tali dibattiti, com’è ben noto, si colloca in corrispondenza delle disposizioni contenute, primariamente, nell’art. 2359 c.c. e, inoltre, in numerose norme di carattere speciale o settoriale susseguitesi nel tempo [[23]], alimentandosi dei rapporti che tra quella e queste si sono (o, a seconda delle varie posizioni dottrinali, si sarebbero) via via instaurati [[24]]. Del resto, come si è anticipato nel paragrafo 2, anche nell’ambito dedicato alle società pubbliche la lettura della definizione contenuta nella lett. m) dell’art. 2 del TUSP indica chiaramente che il significato attribuibile all’espressione “società a controllo pubblico” [[25]] non può prescindere dalla connessa definizione di “controllo” offerta nell’art. 2, lett. b) del d.lgs. n. 175/2016; la quale, a sua volta, nel primo periodo richiama la corrispondente nozione di diritto societario comune, ossia quella delineata nell’art. 2359 c.c. Al rinvio “pieno” alle tre fattispecie contemplate nel comma 1° di tale ultima norma (controllo interno di diritto, controllo interno di fatto e controllo in virtù di “particolari vincoli contrattuali”), oltre che, a rigore, al comma 2° (controllo indiretto), il secondo periodo della definizione del testo unico ha aggiunto un’ipotesi ulteriore, specificatamente dedicata al “controllo congiunto”, riscontrabile allorquando “in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo” e della quale meglio ci si occuperà nel prosieguo di questo lavoro. Benché non sia possibile ripercorrere in questa sede le complesse tematiche che concernono ciascuna delle fattispecie di controllo individuate nell’art. [continua ..]


4. La figura del “controllo congiunto”, tra diritto societario comune e disposizioni speciali

Sin qui si è fatto prevalentemente riferimento a nozioni di controllo “solitario”, cioè ad ipotesi di influenza dominante imputabile ad un solo soggetto. Tuttavia, la dottrina, sia pure con un’iniziale timidezza [[48]], e poi tra molte incertezze, non ha tardato ad identificare “un’ulteriore e diverso profilo ‘soggettivo’ del ‘tipo controllo”, quello del controllo congiunto, il quale, secondo una posizione inizialmente minoritaria, andrebbe a costituire un “sottoinsieme del ‘tipo’ di carattere generale” [[49]]. Quanto alla sua definizione [[50]], si può qui ricordare la tesi di chi la identifica nella “ipotesi in cui un’impresa (necessariamente collettiva) risulti dominata (per via interna o esterna o per concorso di entrambi i rapporti, partecipativi e non) non già da un solo soggetto, bensì da due o più, insieme tra loro” [[51]]. Altri – ma il punto non può affatto darsi per pacifico – vi hanno altresì ravvisato quella circostanza per cui “più soggetti dispongono di poteri di veto o interdittivi” [[52]] rispetto ad una certa società (e, si aggiunge, anche siffatta situazione potrebbe determinarsi in virtù di previsioni statutarie o parasociali [[53]]). Opportunamente si è altresì puntualizzato che “svariati e non di poco conto sono i problemi che a questa situazione di potere si collegano. Innanzitutto, sotto il profilo ‘ontologico’ questa è una di quelle ipotesi di massimo confine tra coordinamento e dominio sicché è spesso difficile distinguere questa fattispecie sia dal controllo ‘solitario’ (in specie ‘temperato’) sia dal non controllo” [[54]]. Quella del controllo congiunto è dunque una figura, per così dire, di frontiera e dai tratti talora sfuggenti. Anche a seguito di una (tutto sommato molto breve) stagione degli anni Novanta del XX secolo che ha visto l’emanazione di alcune disposizioni esplicitamente concernenti ipotesi di controllo congiunto (una tra tutte: l’art. 7 della legge n. 287/1990, di cui si è già avuto modo di descrivere alcuni tratti salienti [[55]]), appare tuttora controverso se – con riguardo a tale specifica fenomenologia del controllo – sia effettivamente [continua ..]


5. L’ampia area applicativa della nozione di “controllo congiunto” dettata dal TUSP, alla luce di alcuni recenti provvedimenti del MEF e della Corte dei conti

Ad alimentare il dibattito circa l’estensione del controllo congiunto di società a partecipazione pubblica, eventualmente esercitato da parte di “più amministrazioni pubbliche” oggi contribuiscono alcuni atti amministrativi (classificabili come deliberazioni, pareri, orientamenti) emanati nel corso del 2018 e già citati all’esordio di questo lavoro. Ad essi si è poi aggiunta la già ricordata sentenza delle Sezioni riunite in sede di controllo della Corte dei conti del 20 giugno 2019 che, in buona sostanza, aderisce (sia pure con alcune considerazioni ulteriori) alla posizione propugnata dai precedenti provvedimenti, che ora si passeranno in rassegna. Quanto all’Orientamento del MEF del 15 febbraio 2018, esso prende le mosse dal rilievo secondo il quale la “corretta individuazione della nozione di società a controllo pubblico, di cui al TUISP, risulta dall’esame del combinato disposto delle lett. b) ed m) del comma 1 dell’articolo 2 del” TUSP. Vale subito la pena rilevare come – a parte la preferenza che si intenda o meno accordare ad un approccio interpretativo basato sul “combinato disposto” di due norme definitorie [[83]] – le disposizioni in questione non risultino affatto simmetriche, nel senso che la lett. m) non definisce alcunché, limitandosi ad un rinvio puro e semplice alla nozione di “controllo” inclusa nella lett. b), sicché è proprio quest’ultima norma che appare capace di esprimere il contenuto sostanziale della prima, e senza residui [[84]]. Di questo preliminare aspetto sembrerebbe avvedersi anche la Direzione VIII del MEF (ossia la “Struttura di monitoraggio e controllo delle partecipazioni pubbliche”), a cui si deve l’Orientamento in parola, laddove, proseguendo la propria disamina, prende le mosse proprio da tale ultima definizione; salvo poi insistere nella “lettura combinata” di entrambe, intendendo valorizzare quella forse non felicissima espressione della disposizione in parola in cui “una o più amministrazioni pubbliche” potrebbero assumere il controllo. Quasi a lasciar intendere che l’alternativa ipotesi del controllo imputabile a “più amministrazioni pubbliche” – cioè congiunto – possa vivere di vita propria e per l’appunto slegata da quella esplicitata nel secondo [continua ..]


6. Alcuni rilievi critici rispetto ai citati provvedimenti in tema di controllo pubblico congiunto

Dalla lettura dei provvedimenti amministrativi sopra esaminati emerge una tendenza ad accreditare – e proprio a partire da una disciplina di settore come quella contenuta nel TUSP – una nuova impostazione della figura del controllo congiunto, che, pur partendo da presupposti ben distinti, risulta sotto molti profili analoga a quella proposta da quella parte della dottrina giuscommercialistica che da sempre si è mostrata pronta a considerare superata la figura del controllo “solitario” a cui tradizionalmente si faceva riferimento allorquando si discuteva delle situazioni di controllo contenute nell’art. 2359, co. 1, c.c. [[93]]. Eppure, in virtù del carattere decisamente settoriale proprio delle suddette definizioni, non mi pare di poter riscontrare quell’effetto interpretativo “ampliativo” che invece in quelle deliberazioni pare darsi quasi per scontato e che pare condiviso anche da una parte della dottrina [[94]]. E ciò tanto più considerando che quel medesimo effetto ampliativo e generalizzante era già stato per lo più negato in passato, e benché ci si fosse trovati di fronte all’introduzione nell’ordinamento di disposizioni, anch’esse di carattere speciale – e mi riferisco in particolare all’art. 7, legge n. 287/1990 –, ma che pur avrebbero mostrato di possedere, per tenore, per oggetto e per impatto sistematico, un’attitudine ad alterare il corrente acquis in tema di controllo societario ben maggiore rispetto a quelle ora contenute nelle definizioni inserite nel TUSP [[95]]. Invero, nei provvedimenti riportati nel precedente paragrafo, non tanto si fa leva sul concetto di controllo congiunto nel significato attribuito a tale figura (e sia pure con una certa difficoltà) dalla maggioranza della dottrina giuscommercialistica in passato affaticatasi sul punto, quanto piuttosto si tenta di accreditarne una nozione autonoma; eppure, in ragione della male intesa interazione della prima definizione (di cui alla lett. m)) con l’art. 2359 c.c. (in quanto norma fatta oggetto di un autonomo rinvio da parte della seconda, di cui alla lett. b) dell’art. 2, TUSP) – così come immaginata dai provvedimenti che sin qui si sono esaminati, per l’appunto invocando il loro “combinato disposto” – si finisce per postulare un’applicazione, per così dire, [continua ..]


7. (segue) Illustrazione di quattro profili critici dei provvedimenti esaminati

Entrando nel dettaglio, va segnalato come nei provvedimenti riportati nel paragrafo 5 la tesi “ampliativa” sia stata in effetti perseguita lungo un sentiero interpretativo in parte diverso da quello perseguito in dottrina, e in particolare argomentandola a partire da quattro distinte angolazioni. (A) Anzitutto, si rileva un approccio all’esegesi della normativa settoriale metodologicamente non condivisibile: la fattispecie riportata nella lett. a) dell’Orienta­mento MEF – cioè la prima delle due tipologie di situazioni in cui il Ministero ritiene possa essere riscontrata una fattispecie di “controllo congiunto” (ma analoga impostazione si ritrova anche nella di poco precedente deliberazione della Corte dei conti Liguria) – non corrisponde a quella prevista dalla legge; essa infatti si riferisce ad un insieme di ipotesi di controllo congiunto non espressamente contemplate dal TUSP, bensì estrapolate dal MEF in modo autonomo, a partire da una discutibile lettura dell’apparato definitorio del testo unico. Invero, non è dato evincersi dal citato Orientamento su quali basi testuali si ritenga possibile configurare altre ipotesi di controllo congiunto “anche a prescindere dall’esistenza di un vincolo legale, contrattuale statutario o parasociale tra le stesse” (cioè “anche a prescindere” da quanto espressamente richiesto dal secondo periodo dell’art. 2, co. 1, lett. b), d.lgs. n. 175/2016), ma, se ben si comprende, pur sempre basate sull’art. 2359 c.c. (così infatti si esprime la suddetta lett. a) dell’Orientamento), quando invece la norma definitoria – la più volte citata lett. b), dell’art. 2 TUSP – pare proprio affermare il contrario [[100]]. All’opposto, come pare riconoscere anche quella dottrina che pur si mostra favorevole (ma per altre ragioni) alla generalizzazione della figura di controllo congiunto, se è vero che la lett. m) dell’art. 2, del testo unico, nel momento in cui afferma che sono qualificabili come “a controllo pubblico” le società in cui “una o più amministrazioni pubbliche esercitano poteri di controllo ai sensi della lett. b)”, si limita per l’appunto a rinviare a quanto dispone la precedente lett. b), al fine di individuare il perimetro applicativo della specifica normativa applicabile alle [continua ..]


8. Considerazioni critiche intorno alla possibilità di avallare un generale riconoscimento della figura del “controllo congiunto”

Benché, come visto, i risultati a cui approdano non possano essere condivisi, i provvedimenti amministrativi discussi nei precedenti paragrafi hanno avuto il merito di mettere alla prova il significato della nuova definizione speciale di controllo introdotta nell’ambito dello specifico “micro-sistema” di cui qui ci si sta occupando, e in particolare ai fini di individuare i “confini” di quella situazione che nel­l’introduzione era stata identificata come controllo (pubblico) congiunto [[132]]: così evidenziandosi il problema con particolare riferimento ad una serie di fattispecie particolari, ma assai diffuse nella prassi, di una molteplicità di partecipazioni pubbliche di minoranza in società a partecipazione pubblica che vengono tra loro artificiosamente accorpate e unificate allo scopo immediato di considerare le amministrazioni socie come se costituissero una maggioranza coesa e coordinata, al fine ultimo di far scattare la specifica disciplina delle “società a controllo pubblico”. Dal canto suo, all’indomani dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 175/2016, parte della dottrina si è chiesta se, anche andando al di là della portata settoriale ascrivibile a tale ulteriore plesso normativo – il “testo unico” specificamente dedicato alle cosiddette società pubbliche [[133]] – vi fosse un (e allora quale fosse il) significato sistematico del nuovo intervento normativo specificamente dedicato alla nozione di controllo [[134]]. In particolare, da voci autorevoli è stato rilevato come il legislatore del d. lgs. n. 175/2016 non si sarebbe limitato “a rinviare alla disposizione civilistica dell’art. 2359 c.c., ma” avrebbe utilizzato, “nell’intento di ricomprendere nella prima tutte le figure di ‘controllo congiunto’ (peraltro, non fatto oggetto di specifica definizione), una formula” per l’appunto onnicomprensiva, giudicata capace di far ritenere “superata la tesi della configurazione necessariamente ‘solitaria’ del controllo” [[135]]. Esprimendosi in senso favorevole ad un generalizzato riconoscimento del controllo congiunto nel nostro sistema di diritto societario – ma, intendendolo come oggetto di un processo evolutivo già compiutosi, per così dire, a monte della definizione speciale di [continua ..]


8.1. Il “controllo congiunto” quale generale variante soggettiva delle fattispecie solitarie del “controllo” di cui all’art. 2359 c.c.? (In merito alla portata di alcune norme di diritto societario comune, interno e comunitario, che supporterebbero tale risultato ermeneutico)

Occorre anzitutto ricordare che la figura di controllo congiunto non risulta espressamente evocata né tanto meno definita in termini generali nel testo unico: sebbene l’ultima parte della definizione di cui all’art. 2, lett. b), d.lgs. n. 175/2016 si contraddistingua per un maggiore dettaglio delle condizioni per aversi co-controllo [[140]], rimane pur sempre il fatto che anche questa disposizione, non soltanto non nomina formalmente la figura del controllo congiunto, ma neppure la definisce in termini generali [[141]]; quest’ultimo è anzi un tratto, sia pure di ordine negativo (la non-definizione), che la accomuna alle precedenti (e ancor più generiche) situazioni di controllo congiunto che in passato hanno fatto capolino, a livello normativo, nell’ambito del cosiddetto diritto societario comune – quello a cui lo stesso testo unico rinvia in via residuale e a mo’ di chiusura del sistema delle società a partecipazione pubblica, ai sensi dell’art. 1, co. 3. Altre situazioni di controllo congiunto rispetto alle quali, peraltro, in passato è sempre prevalsa una interpretazione ricostruttiva in chiave settoriale – si pensi ad esempio al riferimento al controllo congiunto contenuto rispettivamente, nell’art. 7 della legge n. 287/1990 e nel­l’art. 36 del d.lgs. n. 127/1991 – e dunque riconoscendo loro una portata applicativa limitata al contesto specifico di provenienza [[142]]. Inoltre, non convince il tentativo di legittimare la tesi della riconducibilità del controllo congiunto alla sfera dell’art. 2359 c.c. a partire dal tenore dell’art. 2341-bis, co. 1, lett. c), c.c., giacché detta norma si concentra sulla possibilità che un patto parasociale possa determinare l’imputazione di un’“influenza dominante” contemporaneamente a più soggetti, ma non sembra permettere di andare oltre, e così di affermare che tutte le fattispecie di controllo implicate nell’art. 2359, c.c. includono tale ultima ipotesi di controllo da patto parasociale [[143]], e quindi anche quella, a quest’ultima connessa, di controllo “congiunto”. In altri termini, non pare possibile argomentare una generalizzata riconducibilità del controllo congiunto alle ipotesi contemplate nell’art. 2359 c.c. sulla base dell’attuale tenore dell’art. 2341-bis c.c., [continua ..]


8.2. La (im)possibilità di una generalizzata legittimazione del “controllo congiunto” a partire dalla formulazione dell’art. 2, lett. b) e m), d.lgs. n. 175/2016

Occorre a questo punto prendere atto che intorno al tema del “controllo congiunto” spesso si sono sovrapposte due questioni, che invece pare opportuno tenere ben distinte. La prima concerne l’ammissibilità, in linea di principio, di una simile situazione di controllo; essa appare a sua volta articolabile in due sotto-problemi: quello relativo alla stessa ammissibilità logica di un potere di comando nei confronti una società, ossia un potere di influenzare la condotta di una società (quanto meno con riguardo a decisioni strategiche), condiviso fra due o addirittura tra più soggetti, perciò da considerarsi co-controllanti, con correlativa applicazione a ciascuno del regime giuridico ricollegabile al riscontro, alla stregua della normativa applicabile, della fattispecie di “controllo” [[158]]; e quello relativo alla ammissibilità giuridica, ossia un’ammissibilità che questa volta viene in rilievo, non tanto dal punto di vista logico, bensì dal punto di vista giuspositivo e che dunque potrebbe fondarsi, non tanto su un riscontro di un eguale potere di influenzare le decisioni strategiche di un altro soggetto giuridico, quanto sull’esigenza di ricollegare ad una situazione che in potenza consenta di configurare una simile posizione una certa qualifica (quella di “(co-)controllante”) per farne poi discendere l’applicazione di una certa disciplina. A tale ultimo proposito, si può brevemente osservare che il fatto stesso che il legislatore in più occasioni abbia coniato delle norme che espressamente contemplano il “controllo congiunto” (l’art. 7, legge 10 ottobre 1990, n. 287; l’art. 37, d.lgs. 9 aprile 1991, n. 127; l’art. 122, co. 5, lett. d), del T.U.F., l’art. 2341-bis, co. 1, lett. c), c.c., oltre allo stesso art. 2, lett. b), d.lgs. n. 175/2016) [[159]], dovrebbe suggerire una risposta positiva a tale secondo aspetto della prima questione, pur rimanendo ancora da valutare la seconda questione, ossia quella relativo all’am­mis­sibilità, ma questa volta in linea generale, del “controllo congiunto” nel nostro ordinamento [[160]]. Questo secondo profilo riguarda, per così dire, il “respiro sistematico” della stessa nozione di “controllo congiunto”, siccome riscontrabile in alcune delle già citate norme [continua ..]


8.3. La derivazione della definizione di controllo (pubblico) congiunto dai principi contabili internazionali

È proprio sotto questo ulteriore profilo che credo il discorso sull’ammissibilità e sull’ampiezza della nozione ora in parola possa rivelare un certo interesse. Invero, quella che il legislatore del testo unico pare abbia inteso imboccare è una strada ben distinta da quelle opzioni normative che forse ci si poteva attendere in questo contesto, poiché prescinde del tutto dall’elaborazione dottrinale affaticatasi per anni sulla possibilità di configurare (ed eventualmente in quali termini ed entro quali limiti) un controllo congiunto basato sull’influenza “determinante” (congiunta) ovvero, a seconda delle posizioni assunte, “dominante” (congiunta), di e tra società o, meglio, di e tra imprese (e non solo) [[180]]. Invero, quella delineata nel secondo periodo dell’art. 2, lett. b) d.lgs. n. 175/ 2016 appare una soluzione ben diversa, sia dalla scelta di ignorare del tutto l’ipotesi del controllo congiunto, sia da quella che avesse preso ad espresso riferimento le pur non numerose ipotesi (sc. fattispecie normative) di tale figura già note nel settore del diritto dell’impresa: vuoi appunto mutuando quanto già previsto nel­l’art. 2341-bis, co. 1, lett. c), c.c. o nell’art. 122, TUF; vuoi ricorrendo ad un rinvio all’art. 7 della legge antitrust; vuoi, infine – in linea con precedenti norme di diritto speciale riguardanti le società pubbliche, e valorizzando il riferimento alle “norme di legge” contenuto nella definizione in parola – riconoscendo una specifica rilevanza, anche e soltanto in via di fatto, di un diritto di veto riscontrabile in capo a più amministrazioni pubbliche, sotto forma di “controllo plurimo disgiunto”. E cioè riconoscendo come co-controllanti pubbliche (sebbene disgiunte) le pubbliche amministrazioni che, pur in assenza di un consapevole e volontario coordinamento, in virtù del combinato operare, per l’appunto, di norme giuridiche (e/o statutarie) e di una dato assetto proprietario, si trovino a dover sistematicamente convergere in ordine all’adozione delle decisioni strategiche, finanziarie e gestionali riguardanti l’attività sociale [[181]]. Il legislatore del testo unico ha invece deciso di rifuggire da tutte queste pur possibili strade, forse proprio con l’intento di superare i nodi [continua ..]


8.4. Il possibile carattere eccezionale della figura di controllo congiunto contenuta nel secondo periodo dell’art. 2, lett. b), TUSP

Pur sempre con riguardo al contenuto della disposizione che espressamente prende in considerazione l’ipotesi di controllo congiunto, si è inoltre messo in evidenza come, sul piano del diritto societario comune, mentre il “controllo interno” (di diritto e/o di fatto) presuppone “l’influenza dominante del socio sull’assemblea ordinaria, beninteso riguardo alle materie di sua competenza che riguardano le decisioni essenziali alla continuazione della società ivi elencate (art. 2364, nn. 1-4, c.c.), e annette rilievo alla sola influenza positiva, non anche ai poteri d’interdi­zione dei soci di minoranza”, nella definizione di cui all’art. 2, lett. b), TUSP, “invece, viene in considerazione anche l’influenza determinante (e non solo dominante) negativa, cioè il potere ‘di blocco’ o ‘di veto’; e per di più l’una e l’altra forma d’influenza riguardano materie che ricadono, nelle s.p.a., nell’alveo dei poteri di gestione (sia pure straordinaria) degli amministratori e non nell’area delle competenze assembleari” [[186]]. A parte il riferimento all’influenza “determinante” (che in realtà nella definizione del testo unico non compare), mi sembra che le questioni sollevate nel passaggio sopra citato siano due. Da un lato, si sottolinea come la disciplina introdotta con riguardo alle ipotesi di controllo congiunto, siccome queste ultime implicano l’unanimità dei consensi di coloro che condividono il controllo – in ipotesi, le pubbliche amministrazioni –, avrebbe dato accesso ad ipotesi di esercizio (congiunto) del controllo mediante l’attribuzione alla singola P.A. di un diritto di “blocco” o di veto rispetto alla decisione (strategica) da adottare; e una siffatta situazione appare dunque in contrasto con la tradizionale ricostruzione della nozione codicistica di controllo, così suscitando “le perplessità di chi riteneva non sufficiente per ravvisare il controllo societario il ‘solo’ potere di porsi come elemento necessario della volontà assembleare, ovverosia” – per l’appunto – “la possibilità di esercitare che si può definire negativo, da intendersi quale una sorta di diritto di veto” [[187]]. Accettare la nozione di controllo congiunto proposta [continua ..]


9. Considerazioni conclusive e di sintesi

Alla luce dei rilievi svolti nei paragrafi 6, 7 e 8, pare conclusivamente possibile sostenere, per un verso, (a) che non pare potersi trarre dalla definizione speciale del TUSP alcun dirimente argomento a favore di una generalizzazione del concetto di controllo congiunto [[197]], tale da permettere di ricondurlo a (e così di affiancarlo quale variante soggettiva di) ognuna delle tre fattispecie di controllo solitario espressamente previste nell’art. 2359, co. 1, c.c.; e, per altro verso, (b) che l’unica ipotesi di controllo congiunto configurata nella definizione di controllo di cui al TUSP è dunque quella in cui i soci pubblici debbono, al fine del riscontro di tale fattispecie di controllo, determinarsi all’unanimità – e quindi debbono concorrere insieme e positivamente – con riguardo alle decisioni “finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività” sociale, in virtù di norme di legge, di clausole statutarie ovvero di specifici patti contenuti in accordi parasociali [[198]]. E una siffatta ipotesi, come si è cercato di mettere in luce a partire da diverse prospettive, parrebbe essere connotata da caratteri non soltanto di specialità ma addirittura di eccezionalità rispetto alle figure di controllo di cui all’art. 2359 c.c., cui pure rinvia il primo periodo dell’art. 2 lett. b), TUSP. Cercando poi di pervenire – sulla base di quanto sopra rilevato – ad una possibile individuazione dell’ambito operativo della definizione legislativa di “società a controllo pubblico” (e così, indirettamente, anche di quella relativa alla nozione speciale di “controllo”), si può schematicamente indicare che oltre alle tradizionali ipotesi di controllo riconducibili direttamente all’alveo dell’art. 2359 c.c. (norma quest’ultima espressamente richiamata dal primo periodo dell’art. 2, lett. b) del TUSP), sussiste controllo congiunto, alla stregua di tale norma speciale allorquando, (a) in forza, vuoi di norme di legge – e dunque alla stregua dell’art. 2449 c.c. o anche dell’art. 7, legge n. 287/1990 (ove ad esempio si tratti di valutare atti e comportamenti della società sotto il profilo (anti)concorrenziale) – vuoi di regole statutarie, vuoi di disposizioni contenute in patti parasociali, (b) sia espresso un “consenso [continua ..]


NOTE