Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Inquadramento giuridico, tipicità e polimorfismo delle operazioni straordinarie (di Marco Saverio Spolidoro)


La nozione di operazioni straordinarie è empirica, non teoretica. Il tentativo di fornirne una trattazione sistematica, adottando criteri concettuali organizzati intorno a categorie come quella della “continuità”, ovvero della “modificazione degli statuti sociali” sono destinati al fallimento o non apportano alcuna guadagno conoscitivo o operativo. Quasi tutte le operazioni straordinarie nascono storicamente come agevolazioni di operazioni che richiedevano diversi passaggi societari e che per questo presentavano costi di transazione elevati. La semplificazione si ottiene trasformando questa serie di operazioni, ciascuna soggetta a requisiti formali e sostanziali e di regola tassata, in un’unica operazione societaria. L’esempio della fusione (storicamente nata come “scioglimento senza liquidazione”, come ancora si legge nella direttiva UE 2017/1132) è significativo. Poiché la semplificazione della struttura dell’operazione, che è lo scopo pratico della legge, non copre tutti gli interessi rilevanti, in special modo dei terzi (ma anche, talvolta, dei soci dissenzienti), la tutela di tali interessi deve comunque essere considerata nella disciplina della fusione, senza pensare che essa sia sibisufficiente.

Legal Framework, Types and Polymorphism of Corporate Extraordinary Transactions

The notion of extraordinary transactions is empirical, not theoretical. The attempt to provide a systematic treatment, adopting conceptual criteria organized around categories such as “continuity” or “modification of the corporate statutes” are destined to fail or yield no cognitive or operational gain. Almost all the extraordinary transactions are historically born as facilitations of operations that required different company steps and that for this reason had high transaction costs. Simplification is achieved by transforming this series of operations – each subject to formal and substantial requirements and normally to a stamp duty – into a single corporate transaction. The example of the merger (historically born as “dissolution without liquidation”, as still read in the EU directive 2017/1132) is significant. Since the simplification of the operation structure, which is the practical purpose of the law, does not cover all relevant interests, especially of third parties (but also, sometimes, dissenting shareholders), the protection of such interests must  however be considered in the discipline of fusion, without thinking that it is self-sufficient.

KEYWORDS: Extraordinary Corporate Transactions – Empirical notion – Mergers – Change of Control – Succession and asset transfer.

SOMMARIO:

1. Porfiriani e enciclopedici - 2. Concetto e definizione di operazione straordinaria - 3. Operazioni straordinarie e unificazione di procedimenti scindibili in più fasi - 4. Modificazioni strutturali e operazioni straordinarie - 5. Operazioni straordinarie e continuità dei rapporti - 6. Operazioni straordinarie e funzione economico-sociale: una critica - 7. Operazioni straordinarie e crisi di impresa - 8. Operazioni straordinarie e successione nei rapporti patrimoniali - 9. Illustrazione di un nuovo modo di studiare le operazioni straordinarie a partire dalla fusione: una definizione di tipo "enciclopedico" - 10. Classificazioni descrittive di diversi tipi di fusione - 11. Superamento delle contrapposizioni correnti e studio tematico delle fusioni. Fusioni concentrative e non concentrative - 12. Fusioni e interessi di terzi relativi a singoli beni o rapporti della società - 13. Fusioni e valide ragioni economiche - 14. Fusioni pericolose - NOTE


1. Porfiriani e enciclopedici

I lessici, dicono i più autorevoli studiosi di semiologia, possono essere organizzati “a dizionario” oppure “a enciclopedia” [[1]]: i primi accolgono definizioni fondate sulle proprietà analitiche dell’oggetto, dove per proprietà analitiche si intendono proprietà essenziali, tali che qualunque predicato di una proposizione in cui ciò che deve essere definito (tecnicamente il definiendum) sia il soggetto del­l’e­nunciato è logicamente deducibile dalla definizione o non è in contraddizione con la definizione. Al contrario, i secondi accolgono definizioni che descrivono stati del mondo, informano su proprietà accidentali dell’oggetto, elencano i predicati possibili del definiendum in un enunciato che dice ciò che si sa riguardo al definiendum. La struttura dei lessici del primo tipo è definita arbor porphiriana, da Porfirio, allievo di Plotino e autore di un manuale, l’Isagoge, molto apprezzato nel Medioevo e oggi tornato di qualche notorietà anche al di fuori della stretta cerchia degli eruditi, dopo un lungo oblio, grazie anche all’interesse che l’arbor rivestirebbe nella progettazione di sistemi di intelligenza artificiale. I lessici enciclopedici, invece, hanno la funzione principale di raccogliere tutto ciò che di vero o di falso si dice di una certa realtà, di modo che chi si trovi a discutere di un determinata questione sia adeguatamente informato su quanto occorre sapere per argomentare efficacemente, senza che il discorso scenda di livello. I lessici porfiriani sono funzionali a discorsi dogmatico-deduttivi, mentre quelli enciclopedici sono connaturali a discorsi pratico-funzionali. La tesi di partenza del mio ragionamento è che il concetto di operazione straordinaria è una nozione enciclopedica, non invece porfiriana. Non esistono insomma proprietà essenziali né delle operazioni straordinarie né delle singole operazioni alle quali si fa comunemente riferimento parlando di operazioni straordinarie. Le concezioni teoriche sulla fusione, la scissione e altre operazioni straordinarie non possono condizionare la disciplina e l’interpretazione della disciplina. Se mai esistessero proprietà analitiche delle operazioni straordinarie, potrebbero inoltre essere ignorate senza [continua ..]


2. Concetto e definizione di operazione straordinaria

Le “operazioni straordinarie” non hanno nel codice civile italiano una definizione specifica, come quella contenuta per esempio nella legge tedesca (in particolare nel § 1 Umwandlungsgesetz), che peraltro si esaurisce in un elenco di operazioni, oppure, sull’esempio tedesco, nella legge spagnola (Articulo 1 Ley 3/2009, de 3 de abril, sobre modificaciones estructurales de las sociedades mercantiles), che riproduce l’elenco e vi aggiunge la precisazione, forse ovvia, che si tratta di modificazioni strutturali dell’impresa. Nel linguaggio comune degli esperti, l’espressione “operazioni straordinarie” designa alcune vicende dell’impresa (anzi, alcune operazioni tipiche e proprie delle società commerciali) che la prassi professionale considera di per sé estranee alla gestione ordinaria o corrente delle attività sociali e che peraltro è difficile definire in astratto. È pacifico che tali operazioni non coincidono con le operazioni che nel diritto italiano di regola debbono essere deliberate dall’assemblea straordinaria delle società di capitali, poiché la competenza deliberativa dell’assemblea c.d. “straordinaria” delle società di capitali comprende anche operazioni che non sono tali nel senso in cui comunemente se ne parla nel settore professionale che qui interessa; d’altra parte, alcune operazioni comunemente ritenute “straordinarie”, come le cessioni e i conferimenti d’azienda, non sono di competenza dell’assemblea, salvo che comportino un cambiamento dell’oggetto della società oppure una liquidazione “di fatto”. Se poi si considera la dottrina italiana in tema di operazioni straordinarie, si può constatare che non sempre vi è concordia nell’elencare le operazioni alle quali correttamente si applica l’aggettivo “straordinarie”. Del resto, anche in Germania e Spagna, dove si enumerano le operazioni straordinarie sottoposte a una certa disciplina o rientranti nella sfera di applicazione di una legge speciale dedicata alla riorganizzazione strutturale dell’impresa, si ammette senza alcuna difficoltà che il concetto di “operazione straordinaria” è più ampio e flessibile rispetto a quel che risulta dall’elenco contenuto nella [continua ..]


3. Operazioni straordinarie e unificazione di procedimenti scindibili in più fasi

La prima questione degna di nota è se vi sia un elemento comune tra la trasformazione, la fusione e la scissione. Non a torto, si indica tale elemento nell’effetto modificativo della struttura delle società o delle imprese coinvolte che tutte e tre le operazioni citate indubbiamente presentano [[4]]. Un tratto particolare, che in Italia rimane spesso inosservato, è però che fra le fusioni, le scissioni e le trasformazioni vi sono più possibili collegamenti, anche diversi da quello più ovvio, di cui ho appena parlato. Uno di questi, la cui importanza è centrale per ragioni che appariranno chiare più avanti, rinvia a un profilo che si potrebbe definire “funzionale” e “pratico”, corrispondente a una specifica direttiva di politica legislativa. S’intende dire che, non solo in Italia, ma anche altrove, trasformazioni, fusioni e scissioni “entrano” nel diritto societario come strumenti di semplificazione di operazioni che potevano comunque essere realizzate anche prima che ne fosse dettata una disciplina, come in Italia è facile attestare in modo incontrovertibile sulla base della storia relativamente recente della scissione e come del resto traspare da formule tuttora impiegate, per esempio negli artt. 89.1 e 90.1 della direttiva (UE) 14 giugno 2017 relativa ad alcuni aspetti di diritto societario (testo codificato) in cui si parla di «scioglimento senza liquidazione» a proposito della fusione. Queste formule non sono soltanto legate a una cultura giuridica poco evoluta [[5]], come a volte si legge, ma riflettono la genesi logica dell’istituto, se non addirittura la sua origine storica [[6]]. La semplificazione consiste nel fatto che la legge ha previsto un procedimento organizzativo “unitario” per ottenere un risultato economico che, in assenza della disciplina ad hoc, sarebbe stato comunque raggiungibile, in modo più tortuoso e meno efficiente, ponendo in essere una pluralità di procedimenti distinti, rispetto a ciascuno dei quali sarebbero potenzialmente configurabili difficoltà idonee a bloccare o a ritardare l’operazione. Per esempio, se non fosse possibile procedere tramite una deliberazione unitaria a maggioranza (art. 2500-ter c.c.), la trasformazione di una società in nome collettivo in società per azioni richiederebbe lo scioglimento [continua ..]


4. Modificazioni strutturali e operazioni straordinarie

Se il nesso pratico fra trasformazione, fusione e scissione è ovvio, si è già osservato che la legge considera queste diverse operazioni non già come semplici trasferimenti, cessioni o conferimenti di elementi patrimoniali, bensì come modificazioni del rapporto sociale, o se si vuole, dell’atto costitutivo. Tale modificazione è detta strutturale, perché riguarda la struttura dell’impresa: si tratta però di una formula ambigua, perché gli aspetti della struttura sociale sono molteplici, non ogni modificazione della struttura costituisce un’operazione straordinaria e in definitiva lo stesso concetto di modificazione strutturale non aiuta a risolvere problemi come, ad esempio, se sia possibile la c.d. scissione asimmetrica o la fusione tra società con patrimonio netto negativo o la fusione con liquidazione in denaro di alcuni soci. Dire che le operazioni straordinarie danno luogo a modificazioni strutturali della società serve dunque soprattutto ad escludere che le operazioni straordinarie rendano necessaria la ricostituzione della società, cioè la volontà di estinguere la società esistente e di costituire un’altra società al suo posto. Riguardo alla contrapposizione tra semplice modifica e ricostituzione della società, ricordo che nella Francia del­­­l’800 vi era stato chi, anche nel caso dell’aumento del capitale a pagamento, esi­geva l’unanimità perché l’operazione avrebbe dato luogo appunto a una ricostituzione della società [[10]]. Le propaggini di questa dottrina si sono viste anche in Italia, nel 900, riguardo alla reintegrazione del capitale, specie in caso di perdita totale [[11]]. Una volta acquisita la premessa per cui le operazioni straordinarie sono modificazioni strutturali del rapporto sociale o dell’atto costitutivo per effetto di una scelta del legislatore e non per ché sia stato riconosciuto un fatto di natura, si dovrebbe precisare che l’effetto modificativo è il risultato di un procedimento che, di regola coinvolge una deliberazione dei soci o dell’organo sociale che rappresenta i soci, ma talvolta si articola in altro modo. Come si svolga questo procedimento, chi sia in esso coinvolto, quali controlli siano previsti, tutto ciò evidentemente non dipende in alcun modo dalla [continua ..]


5. Operazioni straordinarie e continuità dei rapporti

Che trasformazioni, fusioni e scissioni siano considerate per legge, salvo casi particolari, modificazioni degli atti costitutivi delle società dal punto di vista del procedimento deliberativo è palese: negarlo come fatto di diritto positivo è impossibile, così come è impossibile sostenere che esse non diano luogo ad alterazioni strutturali delle società [[14]]. Semmai può esser notato che proprio la premessa per cui trasformazioni, fusioni e scissioni sono cambiamenti strutturali dell’organiz­za­zione costituisce il presupposto, se non logico, almeno pratico di combinazioni tra le diverse operazioni qui considerate: si avranno perciò fusioni e scissioni “trasformative” [[15]]; come pure si possono concepire fusioni, scissioni e trasformazioni che comportano cambiamento dell’oggetto sociale [[16]] o hanno funzione liquidatoria [[17]]; né si può trascurare quella singolare commistione di scissione e fusione che si ha non solo nel caso della scissione a favore di società beneficiaria preesistente, ma anche in quello della scissione di due società a favore di un’unica società di nuova costituzione o di una società preesistente. Che trasformazioni fusioni e scissioni siano in sé “soltanto” modificazioni strutturali o dell’atto costitutivo è invece più discutibile, come dimostrano le controversie ancora in corso almeno sugli effetti patrimoniali di fusioni e scissioni e sulla circostanza che vi sia “estinzione” o meno delle società fuse o incorporate e della società scissa in caso di scissione totale [[18]]. Alcuni sostengono che gli effetti patrimoniali sarebbero conseguenza della modificazione strutturale, ma non costituirebbero per esempio l’essenza della fusione. Altri suggeriscono che si deve differenziare tra trasformazione da un lato e fusione e scissione dall’altro. A me pare che non sia questione di “essenze”: nelle operazioni straordinarie i trasferimenti di patrimonio, quando esistono, non sono oggetto di un atto traslativo compiuto dagli organi rappresentativi della società o delle società dante causa, ma di una deliberazione adottata secondo le regole previste per le modificazioni dell’atto costitutivo. Questa è la disciplina dettata in generale, a meno che ricorrano [continua ..]


6. Operazioni straordinarie e funzione economico-sociale: una critica

Più in generale, merita una critica l’impostazione di chi attribuisce a ciascuna delle operazioni straordinarie una sorta di funzione tipica “virtuosa” (per di più spes­so individuata in astratto, senza alcuna attenzione per i diversi contesti concreti in cui esse possono essere progettate e attuate). Su questa concezione, secondo cui ciascuna operazione straordinaria deve corrispondere una finalità almeno economicamente “buona”, sembra influire il preconcetto inconscio per cui, siccome la disciplina delle operazioni straordinarie semplifica operazioni che altrimenti sarebbero comunque realizzabili in modo più complicato e costoso, accedere a tale agevolazione sarebbe come un premio, da riservare a chi ne sia degno in virtù di un merito (come ripeto) almeno di carattere economico. D’altronde, se per le fusioni è facile dire quali potrebbero essere le tipiche funzioni economiche, vale a dire da un lato la crescita delle imprese [[27]] (per le fusioni aggregative di società indipendenti) o dall’altro lato la razionalizzazione della struttura organizzativa (si pensi soprattutto alle fusioni fra società vincolate da rapporti di gruppo o comunque tra “società-madre” e “società-figlie”), non altrettanto agevole è indicarla per le trasformazioni (specie per quelle c.d. “regressive”, riguardo alle quali vi è tutta una tradizione di problemi e di ostacoli sollevati hinc et inde), mentre è addirittura difficile – senza mezzi termini – identificare con sicurezza una ragione economica che «tipicamente» giustifichi le scissioni. Non si dimentichi che, rispetto alle scissioni, è emersa in giurisprudenza una tendenza a ritenerle soggette a revocatoria [[28]] in quanto tendenzialmente o addirittura tipicamente idonee a indebolire il patrimonio e a disperdere la garanzia patrimoniale dei creditori della società che si scinde: tesi a mio avviso del tutto priva di fondamento, soprattutto nei termini in cui viene talvolta formulata [[29]], ma che ben testimonia i rischi che si corrono quando si pretende di attribuire a ciascuna operazione straordinaria una funzione o causa astratta, che sarebbe stata posta alla base della loro disciplina dalla natura stessa, e il cui difetto in concreto porterebbe a disconoscere i pretesi [continua ..]


7. Operazioni straordinarie e crisi di impresa

L’idea per cui le operazioni straordinarie sono agevolate in quanto corrispondono a un tipo ideale di virtù economica ha per lungo tempo pesato sulla possibilità di utilizzare la trasformazione, la fusione e la scissione come strumenti di reazione alla crisi. Molti anni fa, una dottrina autorevole, per quanto minoritaria (seguita però anche da una parte della giurisprudenza), negava alle società per azioni in crisi o in stato di liquidazione, magari per effetto della perdita del capitale, la possibilità di trasformarsi in società a responsabilità limitata per risparmiare i costi del collegio sindacale, sulla base della premessa che una simile trasformazione non avrebbe avuto merito economico o sarebbe stata incompatibile con le finalità della liquidazione [[33]]. Quanto alla fusione e alla scissione, giustificazioni simili erano (e sono ancora) addotte da alcuni interpreti per affermare, talvolta anche praeter legem, l’esistenza di regole che avrebbero imposto alle società in liquidazione o per le quali si era verificata una causa di scioglimento (tipicamente la perdita del capitale minimo) di rimettersi a galla e di revocare la liquidazione prima di deliberare di fondersi o di procedere a una scissione [[34]]. Oggi la disciplina delle crisi è cambiata, sotto la pressione di una pratica che ben ha compreso l’importanza di lasciare da parte immagini concettuali artificiose e di permettere, anche in situazioni di crisi, operazioni di tipo concentrativo, purché economicamente capaci di recuperare valori che sarebbero altrimenti dissipati. Per quanto tali operazioni risultino formalmente identiche alle fusioni o scissioni delle società in attività corrente, vi è però un distacco notevole dal modello di base. Quest’ultimo mette al centro delle operazioni straordinarie la deliberazione modificativa dell’atto costitutivo adottata dall’assemblea o dai soci, mentre nel diritto della crisi vi è comunque una marginalizzazione dell’assemblea e in genere la perdita di importanza dei poteri di veto, con l’entrata in scena di meccanismi giudiziari, pubblici o quasi-pubblici sostitutivi della normale organizzazione sociale. Che questo spinga a una revisione della dottrina, per esempio ponendo al centro dell’attenzione non già l’aspetto della modificazione dell’atto [continua ..]


8. Operazioni straordinarie e successione nei rapporti patrimoniali

Fosse o no fra le aspirazioni del legislatore la pretesa di completezza della disciplina codicistica delle operazioni straordinarie, tale aspirazione non ha certamente avuto concreta soddisfazione. Ciò verosimilmente dipende da una serie di ragioni, che sono comunque da storicizzare. Un esempio molto particolare potrebbe valere per tutti: la disciplina del procedimento di fusione si è formata senza considerare che, in alcuni casi, la fusione può implicare che ai dipendenti delle società incorporate o estinte cessino di applicarsi i vecchi contratti collettivi in vigore presso il precedente datore di lavoro. A disciplinare tale interesse provvedono fuori della disciplina codicistica della fusione, ma all’interno del procedimento di fusione come fenomeno pratico, il riformato art. 2112 c.c. e l’art. 47 l. 29 dicembre 1990, n. 428 [[36]]. Allo stesso modo, il legislatore ha abolito la previsione di un diritto di recesso dei soci dissenzienti in caso di fusione, ma non lo ha escluso quando la fusione comporti, per i soci, un cambiamento dell’oggetto della società nella quale abbiano investito, una trasformazione del tipo sociale, l’inizio o la fine della situazione di direzione e coordinamento, eccetera. L’opinione oggi sostanzialmente pacifica include quindi questa sequenza (dico quella del recesso) nella sequenza pratica del procedimento di fusione anche se la disciplina societaria non lo contempla [[37]]. Questi esempi sono in sé poco attraenti, ma hanno il pregio di indicare verso quale direzione potrebbe rivelarsi promettente indirizzare nuove indagini sulle operazioni straordinarie. Il compito è tutt’altro che semplice, e oggi non mi sentirei nemmeno tentare di indicare vagamente una direzione se non restringessi ulteriormente l’oggetto della mia attenzione. L’occasione di questo convegno, che onora la memoria di uno studioso che genialmente ha orientato il dibattito sulle fusioni per oltre cinquant’anni, mi induce a mettere proprio le fusioni al centro delle mie ulteriori speculazioni.


9. Illustrazione di un nuovo modo di studiare le operazioni straordinarie a partire dalla fusione: una definizione di tipo "enciclopedico"

La definizione più accurata della fusione tra società che mi sia stato possibile escogitare, dopo lunga riflessione, è la seguente: la fusione tra società è un procedimento societario che permette di sostituire ad una pluralità di società – intese come organizzazioni giuridicamente distinte fra loro – un’unica società, nella quale confluiscono e si consolidano i patrimoni delle società partecipanti e nella quale i rispettivi soci acquisiscono o mantengono una partecipazione proporzionale al valore delle partecipazioni da essi detenute nelle società partecipanti, valore da determinare tramite una negoziazione nella prospettiva della fusione. Non fa parte della definizione di fusione l’emissione di azioni o l’assegnazione di quote di capitale ai socie delle società partecipanti alla fusione, posto che in certe fattispecie ciò è espressamente vietato, in altre non è necessario: l’essenziale è infatti, come detto, che i soci (salvo il caso del conguaglio) mantengano invariato dopo la fusione il valore della loro partecipazione, in ragione della rispettiva proporzione anteriore alla fusione, rapportata all’entità “consolidata”, che emerge dalla fusione (sia essa l’in­corporante o la società risultante dalla fusione). In altre parole, non solo se la società Alfa si fonde con Beta S.p.A., di cui è l’unico azionista, i soci di Alfa restano con le partecipazioni che avevano, ma anche nell’ipotesi in cui i soci delle società partecipanti alla fusone detengano in ciascuna di esse la stessa partecipazione che detengono nella società incorporante, la fusione può avvenire senza concambio (o con concambio, se lo si preferisse, ma sempre senza variazione della quota percentuale di partecipazione al capitale la società incorporante in capo ai relativi soci). Per altro verso, nella fusione c.d. propria tra società di cui una sia l’unica socia dell’altra, i socie della controllante riceveranno sì azioni o quote della società risultante dalla fusione in cambio delle partecipazioni che essi avevano nella controllante, ma parteciperanno alla società risultante dalla fusione nella stessa misura in cui prima della fusione partecipavano alla controllante. Ancora, è concepibile che, [continua ..]


10. Classificazioni descrittive di diversi tipi di fusione

Al piano puramente descrittivo della fattispecie della fusione appartengono alcune coppie di qualificazioni contrapposte. La più nefasta di esse è quella tra fusione propria e fusione per incorporazione: dico nefasta perché nell’immaginario di alcuni studenti di giurisprudenza essa occupa un ruolo tanto preminente da annullare quasi ogni altra, malgrado che la fusione propria abbia un’esistenza quasi solo libresca. Quasi mai, infatti, la pratica registra fusioni “con costituzione di nuova società”, fusione alla quale, considerata la rarità della sua occorrenza concreta, attribuire l’aggettivo qualificativo “propria” sembra quasi un ossimoro. In realtà, che questa sia la fusione propria risulta dal fatto che essa è stata la prima e per un certo tempo l’unica a essere stata prevista espressamente nella nostra legge commerciale [[40]]. Ben più significativa, per quanto comunque descrittiva, è la distinzione fra fusioni “con concambio” e fusioni “senza concambio”, a seconda che la fusione determini una sostituzione di partecipazioni o di azioni oppure che non la determini. Non si ha “concambio” quando le azioni o quote delle società che cessano di avere un’esistenza soggettiva autonoma (in questo senso estinte), in quanto non possono più circolare, vengono annullate senza che, al loro posto, siano assegnate ai soci che ne erano titolari altre partecipazioni o azioni. Si noti che il concambio, quando ha luogo, avviene secondo una certa proporzione, detta “rapporto di cambio”, che normalmente riflette un’istanza di giustizia commutativa e perciò rispecchia il valore delle singole parti (le società partecipanti) rispetto al tutto (la società emergente dalla fusione) in un scambio di ricchezza tra i due termini soggettivi dello scambio. Dico “normalmente”, invece che “sempre”, perché strutturalmente vi può essere concambio di azioni e quote anche in mancanza di uno scambio economico di beni rappresentativi di valori: infatti uno scambio tra azioni e quote delle società partecipanti e azioni o quote della società risultante dalla fusione è strutturalmente inevitabile nel caso della fusione c.d. propria e poiché nulla vieta che vi sia una fusione propria tra [continua ..]


11. Superamento delle contrapposizioni correnti e studio tematico delle fusioni. Fusioni concentrative e non concentrative

Un’interpretazione seriamente impegnata della disciplina legislativa della fusione di società non può evidentemente partire dalla definizione e dalle contrapposizioni descrittive che, in parte costretto dal titolo della relazione ho voluto premettere. Come ho appena detto, essa serve essenzialmente a sbarrare la strada ad altre definizioni, per mezzo delle quali si finisce a mio parere per condizionare negativamente la stessa interpretazione della legge. Occorre invece muovere da una fenomenologia della fusione che parta da un esame sistematico della realtà osservabile. I punti di osservazione sono molteplici e, nella loro varietà, non mi è stato possibile ridurli ad unità. Non escludo che un più attento esame possa permettere un significativo progresso nella costruzione della fenomenologia. Dico soltanto che per il momento i miei sforzi in tale direzione non sono stati coronati da successo e che d’altronde non mi pare per il momento necessario intensificarli. I punti di vista principali nella considerazione realistica delle fusioni debbono peraltro essere coordinati dal presupposto per cui si sta comunque trattando di fusioni che rientrino nel paradigma descrittivo di partenza. Ciò non esclude che, per esempio, parlando di fusioni “dal punto di vista del diritto della concorrenza”, cioè nell’interpretare la legge antitrust, si debba espungere qualsiasi riferimento a concentrazioni che non si realizzino tramite il procedimento descrittivamente definito come “fusione”: si vuole però mettere al centro del discorso ciò che ne costituisce l’oggetto caratteristico [[47]]. Partendo appunto dal diritto della concorrenza [[48]], la fusione è senza alcun dubbio uno dei mezzi attraverso i quali si realizza una concentrazione fra imprese: la legge stessa lo prevede in modo esplicito. Non ogni fusione dà peraltro luogo ad una concentrazione, perché non necessariamente alla fusione consegue una modificazione stabile e duratura della struttura del mercato. Non dà luogo ad una concentrazione del mercato la fusione tra la società interamente posseduta e la società che ne sia l’unico socio: e ciò indipendentemente dal fatto che la fusione sia classificata come fusione con incorporazione ovvero come fusione con costituzione di nuova società e, nel primo caso, senza che il [continua ..]


12. Fusioni e interessi di terzi relativi a singoli beni o rapporti della società

In ogni caso, la fusione concentrativa provoca, dal punto di vista economico, uno scambio o trasferimento di ricchezza o, se si preferisce, il cambiamento del soggetto che controlla le risorse produttive o comunque le opportunità economiche dell’organizzazione per cui si verifica un cambiamento del soggetto che le controlla ovvero del tipo di controllo esercitato sull’organizzazione (per es. da congiunto a solitario). Almeno da questo punto di vista, non si può fare a meno di considerare la fusione come potenzialmente idonea a costituire lo strumento del trasferimento della titolarità economica di patrimoni [[52]]: infatti il controllo sulle attività, cioè sui processi economici dell’impresa, comporta la titolarità dei beni e dei rapporti attivi e passivi che costituiscono, in termini giuridici, l’azienda sociale. Occorre allora soffermarsi sulla discussione se la fusione dia o non dia luogo a trasferimento a titolo particolare dei beni e dei rapporti che sono compresi nell’azienda o se invece la disciplina positiva, con la formula per cui si tratterebbe di “assunzione” in capo alla società incorporante o risultante dalla fusione di tutto l’attivo e passivo delle (altre) società partecipanti, preveda una successione universale ovvero una “continuità” (anch’essa testualmente evocata), ovvero infine se la successione sia regolata in modo affatto originale, sì che per taluni aspetti la fusione sarebbe trattata come successione universale (per esempio ai fini della trascrizione nei registri immobiliari e dei beni mobili registrati), mentre per altri aspetti si applichino segmenti della disciplina delle successioni a titolo particolare (vedi infra). Dal punto di vista della circolazione dei beni e dei rapporti giuridici, è da accantonare la prospettiva consistente nel partire dalla qualificazione della sostituzione alla società originariamente titolare della società incorporante o risultante dalla fusione nella “intestazione” del patrimonio e dei singoli elementi di esso. Tale prospettiva non sembra infatti sufficientemente realistica, pregiudicata com’è dalla polemica circa l’effetto estintivo o meramente modificativo della fusione sul rapporto sociale e sulla persona giuridica delle società destinate ad essere assorbite in altra [continua ..]


13. Fusioni e valide ragioni economiche

La distinzione fra diversi tipi di fusione secondo la loro possibile causa (di alienazione/acquisizione oppure di mera riorganizzazione) evoca un’ulteriore contrapposizione, tra fusioni “dotate” o “prive di valide ragioni economiche”, che si rende rilevante specialmente dal punto di vista del diritto tributario e, secondo alcuni, dal punto di vista del c.d. merger leveraged buy out [[56]]. Nella particolare prospettiva del diritto tributario e della pratica fiscale [[57]], la nozione di “ragione economica” subisce poi una peculiare torsione, giacché non è considerata tale e comunque non si reputa “valida” una ragione economica consistente nell’intenzione di conseguire un beneficio fiscale. Orbene, se il principio risulta facilmente applicabile in ipotesi estreme (come quella che diede origine al­l’in­verecondo commercio delle c.d. “bare fiscali”, cui ho fatto a tempo ad assistere nei miei verdi anni), ben più frequenti sono le ipotesi in cui la “ragione fiscale” con­corre con altre ragioni. Poiché sarebbe evidentemente insoddisfacente elidere il fattore “BF” (dove “BF” sta per “beneficio fiscale”) ogni volta che sia possibile invocare una qualsivoglia ragione economica concorrente, pare inevitabile porre a confronto le diverse possibili ragioni economiche della fusione per scoprire quale sia la prevalente. Proprio in ciò si annida però la maggior difficoltà dell’operazione e la fonte della più grave incertezza per i privati, ai quali si fa sempre balenare davanti lo spettro dell’abuso delle norme tributarie [[58]]! Quanto alla fusione con indebitamento e al leveraged buy out, impregiudicata la questione se l’assenza di un merito economico comporti l’assoggettamento al divieto di finanziamento dell’acquisto di proprie azioni (tesi che ho in altra occasione confutato o tentato di confutare) [[59]], è indubbio che delle ragioni della fusione non solo debba darsi atto, come in tutte le fusioni alle quali si applichi l’art. 2501-quinquies c.c., ma anche, indipendentemente dall’applicazione di tale norma, nella ben più dettagliata relazione prescritta dall’art. 2501-bis, 3° comma, c.c. Prendendo spunto da queste diposizioni [continua ..]


14. Fusioni pericolose

Proseguendo per associazione di idee, altra contrapposizione rilevante è quella tra fusioni pericolose (merger leveraged buy out) e fusioni “semplici”. Emergono, anzi riemergono, sia pure con altra veste, alcune delle distinzioni precedenti: in par­ticolare quella che distingue una fusione con funzione di alienazione/acqui­si­zione dalla mera riorganizzazione, quell’altra che contrappone la fusione che trasferisce il controllo da quella che non lo trasferisce (ancorché realizzi la sostanza economica di uno scambio). Non ci sarebbe bisogno di soffermarsi oltre, se non fosse per la opportunità di sottolineare come la formulazione della norma, pur lodevole nelle intenzioni, lasci a desiderare dal punto di vista del risultato pratico-politico che è stato conseguito. L’aver richiesto che tra gli elementi della fattispecie vi sia l’indebitamento per conseguire il controllo della società con la quale sarà poi fatta la fusione sembra infatti escludere dall’ambito della disciplina i casi in cui la società, indebitata per motivi diversi, si fonda con una propria controllata allo scopo di utilizzarne le proprietà e i flussi reddituali a servizio dei propri debiti: non è evidente perché questa ipotesi non meriti l’attenzione per l’equilibrio finanziario e l’informazione del pubblico spesa per la fattispecie testualmente contemplata. A altro punto di vista, se una società già controllante di un’altra società si indebita per conseguire il possesso dell’intero capitale della società già controllata, la successiva fusione potrebbe aver luogo senza applicare la disciplina dell’art. 2501-bis. Né basta, perché, stando alla lettera, la disciplina è applicabile anche a casi in cui non è posto in pericolo il credito di terzi, ma sono i soci a svolgere il ruolo di finanziatori, benché il loro finanziamento possa essere postergato ed avere la funzione di “quasi-capitale”. E ancora, l’aver incluso nella fattispecie legale un’ov­vietà descrittiva, vale a dire che la fusione tra controllante e controllata fa sì che i ceditori della controllante possano soddisfarsi sul patrimonio e sui redditi della società di cui è stato acquisito il controllo concorrendo con i creditori della controllata, [continua ..]


NOTE